Terziario, settore
Tradizionalmente, il sistema produttivo viene disaggregato in tre settori (o 'rami') principali: il settore primario, che comprende l'agricoltura, le attività minerarie, le foreste e la pesca; il settore secondario, che comprende l'industria manifatturiera e le costruzioni; il settore terziario, che raggruppa tutte le altre attività, definite in maniera residuale e corrispondenti ai settori dei servizi.
Nel settore terziario si trovano due grandi classi di attività: i 'servizi destinabili alla vendita' (in inglese market services), come il commercio, i pubblici esercizi, i trasporti, le comunicazioni, il credito, le assicurazioni, i servizi immobiliari e quelli alle imprese, la ricerca, la sanità privata, i servizi personali e alle comunità; i 'servizi non destinabili alla vendita' (non market services), che ricomprendono attività come l'istruzione, la giustizia, la difesa, la sanità pubblica, i servizi generali della pubblica amministrazione. La distinzione tra queste due classi di attività è molto netta: la prestazione dei 'servizi destinabili alla vendita', a prescindere dalla proprietà o dalla natura pubblica o privata del servizio, passa per il mercato e ha un prezzo come corrispettivo. La prestazione dei 'servizi non destinabili alla vendita', invece, non passa per il mercato e viene finanziata con tasse o imposte. Così, ad esempio, la sanità o l'insegnamento possono rientrare nell'una o nell'altra classe a seconda che siano venduti oppure offerti gratuitamente dallo Stato; i trasporti sono destinabili alla vendita, anche se offerti dall'amministrazione pubblica perché passano per il mercato; i penitenziari non sono destinabili alla vendita, anche se privatizzati.
Anche il settore non profit, che assorbe quote di occupazione crescenti nei paesi più sviluppati e rientra pressoché interamente nel settore terziario, può ricadere nell'una o nell'altra categoria: le attività sociali gratuite del volontariato sono servizi non destinabili alla vendita; la ricerca, la formazione o il teatro non profit, se vengono venduti sul mercato, possono invece essere servizi destinabili alla vendita. Caratteristica essenziale del non profit, infatti, non è la modalità di cessione del servizio, ma la non distribuzione degli utili, insieme all'utilità sociale del servizio svolto.
La tripartizione del sistema produttivo nei settori primario, secondario e terziario è dovuta ai lavori pionieristici di A.G.B. Fisher (v., 1935) e Colin Clark (v., 1940). Il dettaglio della disaggregazione all'interno del settore terziario si ritrova invece nella metodologia di costruzione delle statistiche elaborata dalle Nazioni Unite e dalla Commissione Statistica Europea. Questi uffici hanno avuto il merito di risolvere in via convenzionale le dispute tra studiosi sui confini del settore. Diverse definizioni, come quelle di Clark (v., 1940) o di Kuznets (v., 1966), erano tutte egualmente legittime, ma assai distanti tra loro, con la conseguenza di portare a dati e risultati empirici inconciliabili. La soluzione convenzionale adottata nelle statistiche ufficiali ha invece consentito di effettuare comparazioni tra epoche e paesi diversi.
Se consideriamo il terziario nel suo complesso, possiamo osservare che il settore ricomprende attività produttive eterogenee tra loro. Comparti tradizionali ad alta intensità di lavoro, come i trasporti, i ristoranti o i servizi alle persone, si trovano a fianco di attività moderne a elevato valore aggiunto pro capite, come le telecomunicazioni, la ricerca, la sanità. Nella loro eterogeneità tuttavia, i servizi presentano alcune caratteristiche comuni che li distinguono in qualche modo dai beni. Secondo le definizioni proposte da Fuchs (v., 1968), i servizi sono prodotti intangibili, istantanei (cioè che si esauriscono al momento della produzione), non immagazzinabili, non trasportabili, realizzati in presenza del consumatore da cui sono inseparabili (si pensi a un taglio di capelli, o a un'operazione clinica, impossibili da realizzare in assenza del consumatore dei servizi stessi). Molti di questi attributi sono diventati obsoleti per le tecnologie della comunicazione, che consentono lo sviluppo di servizi a distanza. Ma il tentativo di Fuchs è ancora utile per capire alcune caratteristiche del terziario.
Quanto detto fino ad ora riguarda il terziario, o i servizi, come settore. Il quadro, tuttavia, sarebbe incompleto se non menzionassimo altre due definizioni di servizi che sono oggetto di dibattito. Oltre che come settore, infatti, i servizi possono essere considerati come prodotto e come occupazione o mansione. Mentre il terziario come settore viene definito e rilevato considerando le imprese (più precisamente le unità produttive) che producono servizi, i servizi come prodotto non coincidono generalmente con questo universo, dal momento che molte imprese che appartengono all'industria, e dunque al settore secondario, producono e vendono a loro volta servizi: dalla manutenzione al trasporto delle proprie merci; dalla consulenza alla sicurezza nei propri impianti (per converso le imprese di servizi, come ad esempio i ristoranti, producono anche beni materiali).
Ancor più rilevante è la definizione di servizi come occupazione, o meglio ancora mansione (job). Una parte sostanziale di addetti all'industria e all'agricoltura svolge mansioni di servizio, a cominciare dall'amministrazione. Come è ovvio, non vi è molta differenza tra un manager del settore elettrico (industria) e un manager delle telecomunicazioni (servizi). E ve n'è ancor meno tra il direttore finanziario di un'impresa industriale e quello di un'impresa terziaria o di una banca. Quando si valuta la crescita delle mansioni terziarie, dunque, esse vanno aggregate in una categoria comune (i servizi come occupazione) a prescindere dal settore di appartenenza.
Per tutti questi motivi, quando si parla di terziario occorre adottare definizioni appropriate e prestare attenzione alla precisione terminologica: i servizi come settore (tipico aggregato nelle analisi dei cambiamenti strutturali delle economie) vanno distinti dai servizi come prodotto (utilizzati ad esempio nelle analisi sulla dematerializzazione delle società) e vanno ancora distinti dai servizi come occupazione (nozione centrale per lo studio delle classi sociali).
Nei paragrafi che seguono ci occuperemo del terziario come settore, concentrando l'attenzione sulle economie avanzate. Dove necessario, tuttavia, accenneremo anche alle altre due accezioni del termine.
Le analisi quantitative del settore terziario si scontrano con notevoli problemi di misura, soprattutto per quanto riguarda il prodotto (v. Siniscalco, 1989).
Per i 'servizi non destinabili alla vendita' le rilevazioni del prodotto, a prezzi correnti o costanti, sono rese quasi impossibili dalla mancanza del mercato. Le stime che compaiono nella contabilità nazionale sono generalmente basate sul volume di salari e stipendi corrisposti nell'ambito del settore, con alcuni ovvi inconvenienti: gli aumenti e le diminuzioni del valore aggiunto riflettono cambiamenti di prezzo e quantità negli inputs, spesso come effetto di provvedimenti politici (assunzioni, blocchi del turnover, prepensionamenti, aumenti salariali, part time, ecc.). Queste variazioni possono essere del tutto indipendenti dall'andamento effettivo dell'output. Da ciò deriva la difficoltà di analizzare la produttività e l'efficienza nella prestazione di questi servizi.
Per superare tali problemi e per migliorare il controllo della spesa pubblica in alcuni comparti della pubblica amministrazione, come la sanità, le poste o il fisco, si è tentato di costruire indici di output e produttività. Ma si è trattato di esercizi sporadici e comunque costruiti sulla base di assunzioni molto forti. Per tutti questi motivi, l'analisi dei servizi non destinabili alla vendita è generalmente limitata all'occupazione. Gli addetti e i salari, infatti, rappresentano le uniche grandezze misurabili con certezza e confrontabili nel tempo e tra paesi.
Nei 'servizi destinabili alla vendita', oggetto di transazione e scambiati sul mercato, i problemi non sono minori. Per i servizi di intermediazione, come il commercio, il credito o le assicurazioni, il prodotto a prezzi correnti è misurato dal margine, poiché il prodotto di questi settori è definito dal valore dei flussi di merci o di denaro intermediati. Il valore aggiunto è indi calcolato sottraendo dal margine i costi intermedi. In tutti gli altri servizi il prodotto a prezzi correnti è misurato dal valore delle vendite, mentre il valore aggiunto è ottenuto sottraendo alle vendite i costi intermedi.
Nelle misure a prezzi costanti o in termini reali la questione si complica per la difficoltà, che esiste in molti comparti, di individuare un'unità omogenea di prodotto. Tra le molteplici attività terziarie vi sono comparti, come le telecomunicazioni, i trasporti o persino la sanità, dove il prodotto è abbastanza standardizzato. Ma nella gran parte dei servizi ogni prestazione è diversa per qualità e risultato. Dalle prestazioni legali alla ricerca, dall'intrattenimento ai servizi alla persona, è difficile individuare indici accettabili di quantità. Simmetricamente è altrettanto difficile individuare prezzi unitari. Occorre considerare inoltre che anche nei servizi standardizzabili la concorrenza avviene spesso sulla qualità, tanto da differenziare anche profondamente prestazione e prezzo (si pensi al ventaglio di tariffe e qualità sui viaggi aerei intercontinentali, oppure ai nuovi servizi offerti dalle telecomunicazioni).
Per la maggior parte dei servizi, dunque, la stima del valore aggiunto in termini reali o a prezzi costanti diventa problematica, se non arbitraria, e richiede metodi ampiamente convenzionali, come quello di considerare gli inputs produttivi (occupazione) oppure quello di deflazionare il valore aggiunto con l'indice generale dei prezzi. Gli errori che ne sono derivati per molti anni hanno rischiato di occultare i fenomeni di crescita economica nei paesi sviluppati. Le dinamiche della produzione reale e della produttività, infatti, quasi sempre sfuggono ai metodi specifici di stima utilizzati sul piano empirico.I sistemi di contabilità nazionale, creati per il mondo della produzione materiale e addirittura per una produzione standardizzata di tipo fordista, si sono dunque rivelati fortemente inadeguati per misurare la crescita della società immateriale e terziaria. Questo inconveniente è particolarmente grave, vista la dimensione assunta dai servizi nei processi di sviluppo e nel commercio internazionale. Per questo motivo, le caratteristiche dei dati e dei metodi di stima vanno tenute ben presenti prima di avviare ogni analisi empirica (su questi punti v. Gershuny e Miles, 1983).
L'interesse per il settore terziario deriva dalla crescente importanza dei servizi nei processi di sviluppo economico. Negli ultimi cinquant'anni, infatti, lo sviluppo dei paesi avanzati è stato caratterizzato da una riduzione progressiva del peso dell'agricoltura e dell'industria, quanto meno in termini di addetti, e da una crescita continua del settore dei servizi, misurata in termini di valore aggiunto e occupazione.
L'indice di terziarizzazione dell'economia, misurato dal rapporto tra occupati nel settore terziario e occupazione totale, ha così superato il 70% nei paesi più avanzati, come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna, e si è collocato tra il 60 e il 70% in Italia e negli altri paesi europei.
Tra i servizi, i settori più tradizionali, come il commercio, gli alberghi e i pubblici esercizi, hanno mantenuto un peso rilevante: tra il 30 e il 35% nei diversi paesi industriali. Una percentuale poco inferiore al 30% è rappresentata dai servizi non destinabili alla vendita. La parte restante, tra il 30 e il 40%, è rappresentata dai servizi più avanzati e ad elevato valore aggiunto: credito e assicurazioni; comunicazioni; insegnamento e ricerca; servizi alle imprese.
Classificazioni diverse, di natura funzionale, sono state proposte da Browning e Singelmann (v., 1978) e Momigliano e Siniscalco (v., 1980) e dividono il terziario in servizi distributivi, servizi alle imprese, servizi ai consumatori, e servizi sociali.
Adottando queste classificazioni si osserva che nel dopoguerra la crescita più dinamica è stata registrata dai servizi alle imprese, utilizzati come prodotti intermedi in altre produzioni, seguiti da quelli sociali, mentre i servizi distributivi e al consumo hanno registrato un aumento molto contenuto. La crescita dei servizi alle imprese, a sua volta, è stata spiegata con la maggiore complessità e globalizzazione del sistema produttivo, con la finanziarizzazione e con lo sviluppo di moderne tecnologie di comunicazione. Si osserva ancora che il peso dei servizi intermedi ai produttori è sensibilmente più elevato nei paesi e nelle regioni a più alto reddito pro capite.
Una tendenza più marcata all'aumento è stata infine registrata dai servizi come occupazione (job). Nelle società moderne, gli addetti direttamente impiegati nella trasformazione materiale sono diventati un'esigua minoranza, sia per l'effettiva dematerializzazione della produzione, sia per il decentramento delle produzioni materiali verso i paesi emergenti e in via di sviluppo.
All'aumento dei servizi come settore e come occupazione (la categoria dei cosiddetti colletti bianchi), ha fatto riscontro a sua volta un aumento sostanziale nel numero dei lavoratori autonomi non agricoli (v. Sylos Labini, 1974). Un'analisi di tutti i dati quantitativi disponibili sembra dunque confermare ancora oggi un processo progressivo di terziarizzazione, secondo l'evoluzione per stadi già prevista e studiata da autori come Fisher (v., 1935), Clark (v., 1940), Kindleberger (v., 1977³), Hoselitz (v., 1960) e Rostow (v., 1960). Le spiegazioni e le implicazioni di queste tendenze, tuttavia, sono diverse da quelle illustrate negli studi pionieristici sulla teoria degli stadi di sviluppo, in quanto le principali regolarità individuate sin dagli anni trenta vanno spiegate in modo più articolato e complesso.
Dagli anni trenta alla fine degli anni ottanta, le principali analisi dei processi di terziarizzazione si sono concentrate sulla struttura dell'occupazione per grandi settori produttivi.Il fenomeno da spiegare è evidente e universalmente individuato: l'aumento, sia assoluto che relativo, del settore terziario in termini di occupazione. Tuttavia le spiegazioni di questo fenomeno, definito terziarizzazione, sono state diverse e hanno posto l'accento su fattori di volta in volta differenti.Con una buona dose di semplificazione, le spiegazioni del processo di terziarizzazione possono essere ricondotte ad alcuni grandi filoni di pensiero (per una discussione al riguardo v. Momigliano e Siniscalco, 1982 e 1986).
Un primo insieme di studi si fonda sulla teoria dello sviluppo economico per stadi e ha posto l'accento sulla dinamica della domanda da parte dei consumatori (per l'Italia, v. De Meo, 1967). I servizi, secondo questa teoria, sono un bene superiore la cui elasticità rispetto al reddito è maggiore (spesso di molto) dell'unità. Di conseguenza la quota della domanda finale di servizi (a prezzi costanti) cresce più che proporzionalmente rispetto al reddito. Di qui il sempre maggior peso della produzione e dell'occupazione del settore dei servizi con il procedere dello sviluppo economico.
Visioni più recenti della teoria degli stadi pongono l'accento sull'avvento della società postindustriale (v. Touraine, 1969; v. Bell, 1974), nella quale la domanda dei consumatori si rivolge progressivamente a prodotti immateriali e servizi superiori, mentre il lavoro viene riorganizzato in modo da consentire spazi sempre più ampi di tempo libero nella giornata e nelle diverse fasi della vita. Questa tendenza ha conseguenze di rilievo sulle classi sociali, sull'organizzazione delle imprese, sugli stili di vita, sulla politica, sull'ambiente.
Un secondo filone di studi, di varia derivazione teorica, spiega il fenomeno della terziarizzazione facendo riferimento alla lenta dinamica della produttività del settore dei servizi rispetto all'industria, e dunque al lato dell'offerta. Sul piano empirico, spesso non valutando adeguatamente i problemi di misura, si è sostenuto che la produttività dei servizi cresce molto meno di quella dell'industria e che questa differente dinamica può spiegare la quota crescente dell'occupazione in tale settore (v. Kendrick, 1961; v. Fuchs, 1964 e 1968; v. Kuznets, 1966). Partendo da questo assunto, si sono costruiti modelli ove la minor produttività dei servizi ne spiega la dinamica e i prezzi relativi (v. Stigler, 1956; v. Baumol, 1967).
Sulla stessa linea, un famoso contributo di Nicholas Kaldor (v., 1966) ha analizzato gli effetti della terziarizzazione sulla crescita dell'economia inglese come prototipo di economia matura. Se il peso dei servizi aumenta, la bassa dinamica della loro produttività trascinerà verso il basso la dinamica dell'intera economia, con conseguenze indesiderabili. Di qui la proposta di imposte sul reddito selettive, che scoraggino l'occupazione nel settore dei servizi e favoriscano il mantenimento di una forte industria manifatturiera.
Un terzo filone di studi raggruppa infine le analisi che spiegano il processo di terziarizzazione considerando il settore dei servizi come serbatoio di manodopera strutturalmente in eccesso. In questo caso la terziarizzazione non è causata da un aumento di domanda di servizi, combinata eventualmente con la minor produttività rispetto all'industria. Essa è piuttosto il risultato della 'deindustrializzazione' generata da vari fattori: innovazione tecnologica, globalizzazione, eccesso di vincoli e di pressione fiscale (v. Bacon ed Eltis, 1976; v. Blackaby, 1978; v. Carli, 1977).
Le radici teoriche di questa interpretazione sono diverse, e vanno dalle critiche di stampo liberale al Welfare State, alle teorie di impronta neoricardiana e marxiana, che considerano i servizi come settore improduttivo e di rendita. Secondo le teorie del Welfare State - molto diffuse negli anni settanta con i lavori di O'Connor (v., 1973) e di Bacon ed Eltis (v., 1976) - la crescita dei servizi, e in particolare di quelli non destinabili alla vendita, è generata dal circolo vizioso tra espulsione della manodopera industriale, crescita degli occupati assorbiti nella pubblica amministrazione con scopi assistenziali, ulteriore espulsione di manodopera industriale per la minor competitività dovuta all'accresciuta pressione fiscale. Nelle teorie marxiane, invece, i servizi sono semplicemente il serbatoio di occupazione necessario per ammortizzare le ristrutturazioni del capitale e mantenere un esercito di manodopera di riserva (v. Eller Vainicher, 1977). Entrambe le teorie, come peraltro le spiegazioni che si rifanno a Baumol e Kaldor, fondate sulla produttività, sono accomunate da una scarsa considerazione per il settore terziario e per i suoi occupati, insieme a una preoccupazione per gli effetti inflazionistici e recessivi causati dalla scarsa esposizione alla concorrenza interna e internazionale (v. Lanciotti, 1971).
Secondo tali orientamenti teorici l'unico settore in grado di trainare lo sviluppo è l'industria manifatturiera, e tutte le analisi utilizzano categorie concettuali costruite per studiare la dinamica di quel settore.In reazione a questa concezione un ampio gruppo di studi, all'inizio degli anni ottanta, sposta nuovamente l'attenzione sul settore dei servizi e si concentra sulle sue caratteristiche intrinseche, considerate in modo positivo (v. Petit, 1985; v. Stanback, 1979; v. Gershuny e Miles, 1983; v. De Bandt, 1985).
Alla fine degli anni ottanta, la teoria degli stadi e le spiegazioni fondate sulla diversa dinamica della produttività vengono fuse all'interno di un modello unificato, i cui fondamenti microeconomici possono cogliere i diversi effetti posti in evidenza da contributi solo apparentemente alternativi.In questo schema, gli effetti di domanda vengono integrati con gli effetti di produttività, considerando gli impatti sui prezzi e le retroazioni da essi generati su domanda e occupazione.Il problema di questa sintesi è la natura statica del modello impiegato, che impedisce di tener conto delle relazioni con la crescita economica, con il progresso tecnico e con la dinamica strutturale.
A questo inconveniente si aggiunge la persistente difficoltà di misurare correttamente la produttività dei servizi sul piano empirico. Quest'ultimo problema ha impedito sino ad ora di fornire un'analisi convincente dell'importanza relativa dei fattori di domanda e di offerta nella crescita del settore.
Sviluppi teorici recenti hanno consentito di superare alcune delle difficoltà sopra ricordate e hanno portato a modificare alcune delle conclusioni raggiunte dalla letteratura precedente.
Sul piano teorico, il modello di crescita endogena e specializzazione, proposto da Robert Lucas (v., 1988), permette di considerare esplicitamente lo sviluppo e di confutare alcune conclusioni pessimistiche di Kaldor e Baumol sulla terziarizzazione.
Il modello di Lucas prende in considerazione un mondo in cui sono presenti molti paesi e molti settori: tra i settori ve n'è uno (l'industria) la cui produttività cresce continuamente con un meccanismo endogeno di learning by doing; ve n'è poi un altro (i servizi) la cui produttività è costante. Ciascun paese può specializzarsi nell'industria o nei servizi. Se si considera solo questo aspetto, la specializzazione nel settore a minore produttività appare in ogni caso perdente. Ma nell'analisi relativa alla specializzazione dinamica possiamo considerare, a fianco degli incrementi di produttività fisica, anche quelli che riguardano il prezzo relativo. Infatti se la dinamica positiva del prezzo relativo più che compensa le differenze negative in termini di produttività, la specializzazione nel settore meno dinamico (i servizi) può risultare nel lungo periodo conveniente.
Tecnicamente ciò accade se la dinamica della domanda di servizi è particolarmente elevata, data l'elasticità di sostituzione, che deve essere inferiore ad uno. In questo caso, la specializzazione nei servizi genera una crescita superiore alla media nonostante la bassa (o nulla) dinamica della produttività.
Sul piano empirico questo sembra essere il caso per molti servizi finali, come il turismo e le attività ad esso connesse (v. Lanza e Pigliaru, 1994), le telecomunicazioni, i servizi connessi allo sviluppo moderno delle città e quelli legati all'invecchiamento della popolazione. Nonostante la bassa produttività e gli alti prezzi, la domanda di questi prodotti, infatti, cresce con dinamiche di molto superiori alla media grazie a un'elevata elasticità rispetto al reddito e a una bassa elasticità rispetto ai prezzi.
Lo stesso vale, in misura ancora maggiore, per i servizi intermedi, la cui domanda cresce in modo particolarmente rapido. Le analisi di Momigliano e Siniscalco (v., 1980, 1982 e 1986), svolte con l'aiuto di tavole input-output, mostrano che nei paesi europei la crescita dei servizi è principalmente dovuta allo sviluppo dei servizi intermedi venduti ai produttori di beni finali.
Tra questi servizi spiccano: quelli legati alla complessità della produzione, come i servizi alle imprese (dalla pubblicità, ai servizi legali, alla consulenza, alla ricerca, alla formazione, all'engineering, ai servizi ambientali); i servizi legati alla frammentazione e all'articolazione del sistema produttivo, come le telecomunicazioni e i trasporti; i servizi legati alla finanziarizzazione, come il credito e le assicurazioni.
La maggior parte di questi servizi risulta direttamente o indirettamente utilizzata nella produzione di beni materiali intesi come 'settore verticalmente integrato'. In questo modo si vede che la terziarizzazione rappresenta un cambiamento organizzativo più che strutturale o tecnologico. L'analisi del terziario fondata sull'integrazione verticale ha ulteriori pregi. Da un punto di vista quantitativo annulla le distorsioni statistiche che derivano dai fenomeni di internalizzazione/esternalizzazione di funzioni aziendali. Così, se un gruppo di ingegneri che lavorano alla progettazione in una grande impresa industriale esce dall'azienda e si mette in proprio, l'integrazione verticale permette di osservare il fenomeno e comprenderne la natura puramente organizzativa.
Da un punto di vista teorico, il modello di sviluppo e di dinamica strutturale proposto da Pasinetti (v., 1981) consente di incorporare queste tendenze strutturali in un modello di crescita valutandone le retroazioni e le implicazioni. Grazie al metodo dei "settori verticalmente integrati", ideato dallo stesso Pasinetti (v., 1973), la maggior domanda intermedia di servizi, che il semplice modello di Lucas non era in grado di cogliere, può essere incorporata in uno schema teorico coerente e legata alla crescita dell'intero sistema.Lucas (v., 1988) e Pasinetti (v., 1981), dunque, pur su versanti teorici diversi, offrono strumenti analitici per studiare la crescita del terziario nelle economie e valutarne le implicazioni. In ciascuno dei due modelli le differenze di produttività possono essere compensate dalla dinamica della domanda (finale in Lucas, finale e intermedia in Pasinetti). In ciascuno dei due schemi è possibile costruire esempi dove la terziarizzazione crescente si associa a un maggior sviluppo, anche se la dinamica della produttività dei servizi è nulla o molto bassa.
Come vedremo nel prossimo capitolo, tuttavia, questa ipotesi 'tradizionale' sulla produttività del terziario non è più così certa, e merita un approfondimento, pur nelle perduranti difficoltà di misurazione.
Dall'inizio degli anni novanta, il settore terziario si trova esposto a pressioni del tutto nuove e destinate ad influire profondamente sulla sua dinamica. Una prima importante pressione deriva dal forte aumento di efficienza dovuto alla microelettronica. L'eccezionale diffusione del personal computer e soprattutto delle comunicazioni in rete (Internet e Intranet) ha impresso uno sviluppo senza precedenti alla produttività e alla riorganizzazione proprio nel terziario. A livello mondiale molti comparti tradizionali, come il commercio, il turismo o il credito subiscono shocks epocali. Comparti moderni, come il software, la ricerca, le telecomunicazioni, entrano in una fase di sviluppo esponenziale.
Numerosi studi empirici sostengono che in moltissimi settori terziari l'efficienza cresce a ritmi ormai sconosciuti all'industria e che questi guadagni di produttività, difficilmente catturati dalle statistiche nazionali, sono alla base del nuovo paradigma di crescita americano, caratterizzato da bassa inflazione e sostanziale assenza di ciclo. Pur depurando queste affermazioni dai toni enfatici che le caratterizzano, resta il fatto che le imprese terziarie registrano prestazioni eccellenti sul piano degli utili e della borsa, pur in un contesto di più accentuata competizione.
Una seconda pressione sul terziario deriva dall'apertura di mercati globali dei servizi, anch'essa in parte dovuta alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. La microelettronica e lo sviluppo delle reti hanno infatti consentito un'espansione senza precedenti dei servizi a lunga distanza, in cui fasi diverse di lavorazione e persino i contatti tra produttore e consumatore possono aver luogo tra aree geografiche molto distanti tra loro.
Questa tendenza ha portato a un forte aumento della domanda intermedia e finale di servizi, ha agevolato le tendenze alla riorganizzazione dell'industria e degli stessi servizi (outsourcing e downsizing), ha impresso un'accelerazione alla tendenza verso la concorrenza e all'internazionalizzazione del settore.I negoziati internazionali sulla liberalizzazione dei servizi (GATT e WTO), inizialmente limitati alle telecomunicazioni, si sono rapidamente estesi a tutti i comparti del terziario. E nelle aree economicamente integrate come l'Europa, la liberalizzazione in atto sta già modificando l'assetto di mercati come l'elettricità, il gas, le comunicazioni, il credito, le assicurazioni, con effetti spesso rilevanti su prezzi ed efficienza.Una terza e altrettanto rilevante pressione sul terziario deriva dai processi di privatizzazione, che impongono a loro volta maggiore efficienza e maggiore liberalizzazione. Le privatizzazioni nel mondo interessano più di cento paesi in tutti i continenti. I comparti delle telecomunicazioni, del credito, del gas, dell'elettricità, ma anche dei trasporti aerei o locali, storicamente in mano al settore pubblico, sono stati investiti da un'ondata di vendite e da una crescente concorrenza sul mercato dei prodotti e dei capitali.
Una quarta pressione, infine, è derivata dagli aspetti demografici e dal mutamento delle preferenze, connessi allo sviluppo. Una popolazione mediamente più vecchia e più ricca, con orari e periodi di lavoro più brevi e maggior tempo libero, manifesta una domanda crescente per i servizi come il turismo o la sanità. Anche in questi comparti si registra ormai una domanda crescente e una più forte concorrenza globale.
Grazie a queste pressioni i servizi hanno dunque assunto sempre più una funzione di infrastruttura dell'economia globale. Per questo motivo la domanda e i prezzi sono molto sostenuti, con conseguenze ovviamente benefiche sui paesi e sulle imprese più forti e specializzati proprio nel terziario.
A fianco di questi fattori di pressione, è da segnalare da ultimo lo sviluppo di attività non profit, come area intermedia tra Stato e mercato. Queste attività, che rappresentano una quota piccola ma crescente dell'occupazione, si trovano nel settore dei servizi sociali, della tutela del patrimonio artistico e ambientale, della sanità e della ricerca. La loro caratteristica è quella di convogliare numerose energie di tipo etico e imprenditoriale presenti nelle società moderne.Tutte le tendenze che abbiamo brevemente richiamato stanno generando aumenti di efficienza che contribuiscono alla crescita, al benessere e alla disinflazione. Seguendo lo schema di Lucas menzionato nel capitolo precedente, una forte specializzazione terziaria può anche diventare il motore della crescita. Per conseguire questi risultati, tuttavia, occorre rispettare alcune condizioni di fondo. Non si tratta naturalmente di disegnare una politica dei servizi analoga alle politiche settoriali o industriali del passato. Si tratta piuttosto di disegnare una politica economica generale che tenga conto delle caratteristiche dello sviluppo del terziario nella competizione globale.
Per favorire la specializzazione terziaria, occorre che alcune condizioni di fondo siano rispettate.
Un primo insieme di condizioni riguarda il capitale. Tra le diverse forme di capitale, la più importante per uno sviluppo terziario è probabilmente il capitale umano. Individui con un buon grado di istruzione, dotati di competenze informatiche e linguistiche e di capacità innovativa sono il fattore chiave per lo sviluppo dei servizi moderni. Le tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni richiedono infatti abilità particolari, senza le quali si rischia l'esclusione dai moderni modelli di sviluppo. Analoghe competenze sono ormai richieste nei servizi tradizionali, più ancora che nell'industria. Un paese che intende restare nella corrente dello sviluppo deve dunque investire prioritariamente nella scuola, nella formazione e facilitare tutte le altre occasioni di potenziamento del capitale umano. Per realizzare questo sforzo, modelli di organizzazione decentrati sono spesso più efficienti di quelli centralisti.
A fianco del capitale umano, la dotazione infrastrutturale riveste senz'altro un'importanza cruciale. Infrastrutture di telecomunicazione o di energia inadeguate, come linee e infrastrutture di trasporto insufficienti, o contatti transnazionali difficoltosi, possono essere un ostacolo fondamentale allo sviluppo dei servizi (e del paese nel complesso). Anche in questo caso l'investimento non dev'essere necessariamente realizzato dallo Stato o dall'amministrazione pubblica. Occorre piuttosto che quest'ultima assicuri le condizioni per la realizzazione delle opere necessarie.Particolare menzione merita infine il capitale naturale e culturale. Per attrarre il capitale umano, e per attrarre la gran parte delle imprese terziarie, a partire da quelle turistiche, la qualità dell'ambiente urbano ed extraurbano è fondamentale. Occorre dunque avere riguardo alle politiche ambientali come importante condizione 'al contorno'.
A fianco delle diverse forme di capitale, una politica economica che sia attenta ai servizi deve prestare particolare attenzione agli aspetti istituzionali e alle regole.
Della privatizzazione, che è comunque in atto in tutti i paesi del mondo, si è già detto. Oltre a generare efficienza essa è fondamentale per consentire gli accordi internazionali tra imprese. La liberalizzazione dei mercati, timidamente avviata, è fondamentale per l'efficienza, per i prezzi e per l'afflusso di capitali. Storicamente, quasi tutti i comparti del terziario si sono sviluppati in condizioni di monopolio, oligopolio o concorrenza imperfetta. Queste condizioni, originariamente provocate da condizioni economiche di fondo, si sono cristallizzate in forme di regolamentazione pubblica. In quasi tutti i servizi esistono infatti barriere all'entrata di tipo legale che molto raramente si giustificano alla luce delle nuove tecnologie. L'abbattimento di queste barriere è prioritario per lo sviluppo di molti servizi e per l'afflusso di capitali.
Dove la concorrenza è impossibile, essa va simulata con le autorità di regolamentazione (le cosiddette Authorities). Ma i problemi di informazione asimmetrica tra regolatore e regolato, i rischi di pressioni sul regolatore e i costi di transazione spingono a preferire sempre le forme effettive di liberalizzazione, ovunque esse siano possibili.
Un analogo processo di liberalizzazione deve avvenire a livello internazionale, mentre gli stessi governi sono invece spesso impegnati in prima linea nella difesa protezionistica delle proprie posizioni.
Un ultimo ambito di intervento riguarda infine il mercato del lavoro. Il rapporto di lavoro dipendente, strutturato e spesso sindacalizzato, mal si presta alla gestione del settore dei servizi. Quest'ultimo infatti si è sempre caratterizzato per la quota elevatissima di lavoro autonomo e per le forme anomale di impiego, create per consentire la flessibilità richiesta. In futuro, con lo sviluppo del lavoro a distanza, agevolare e ammettere queste forme di lavoro sarà ancora più importante.
Le legislazioni del lavoro, per contro, tendono a ignorare questa necessità e a trattare tutto l'impiego come l'occupazione operaia dell'impresa fordista. Questa tendenza va invertita se si vuole promuovere lo sviluppo del settore ed evitare uno spreco inutile di risorse. Ciò è del tutto evidente nelle nuove professioni e nel non profit, dove forme di impiego part time e flessibile sono comunque essenziali.
Se riconsideriamo brevemente la letteratura economica degli ultimi settant'anni sul tema del terziario, possiamo osservare tre fasi relativamente distinte.
Gli studi originari, iniziati negli USA tra le due guerre con Colin Clark e A.G.B. Fisher, avevano individuato la tendenza alla terziarizzazione e ne avevano tentato le prime spiegazioni. L'idea di fondo è che, con la crescita del reddito, tutti i paesi seguono necessariamente i medesimi stadi di sviluppo e che la terziarizzazione, trainata dai consumi, è lo stadio più avanzato dello sviluppo. Gli studi sulla società postindustriale rappresentano l'evoluzione moderna di queste analisi che vedono lo sviluppo del terziario come un trend positivo.
Come reazione a questa interpretazione, nel secondo dopoguerra, si è sviluppato un filone 'industrialista' che, pur riconoscendo la rilevanza della crescita del terziario, ne poneva in luce le implicazioni negative per l'economia e la società. La terziarizzazione, in questo caso, veniva vista come deindustrializzazione e fattore di freno allo sviluppo. Gli occupati del terziario, non sindacalizzati e politicamente conservatori, erano una minaccia alla pretesa egemonia della classe operaia. Sottesa a tutte le interpretazioni era l'idea 'classica' dei servizi come lavoro improduttivo.
All'inizio degli anni ottanta, quando il settore terziario inizia la sua espansione tumultuosa e l'industria accentua la sua contrazione in termini di produzione e occupazione, gli economisti (insieme ai sindacalisti) sono i più lenti, e forse i più riluttanti, ad adeguare il proprio punto di vista, a differenza, ad esempio, dei sociologi, dei romanzieri, dei registi cinematografici, o degli stessi politici.
Così, l'apparato analitico dell'economia applicata e della politica economica resta in gran parte concentrato sull'industria, un segmento di occupazione che si contrae sino al 25% dell'occupazione totale, e trascura largamente le caratteristiche dei servizi, che rappresentano un settore destinato a raggiungere, nei paesi più sviluppati, quote di occupazione comprese tra il 60 e il 75% del sistema produttivo.
Alla fine degli anni ottanta, finalmente, la situazione si modifica parzialmente, con l'avvento di schemi teorici che trattano industria e servizi in modo coerente. In questi studi si incorpora la crescita e la dinamica strutturale e si mostra che la specializzazione nei servizi può anche essere benefica per la crescita economica.
Dagli anni novanta, nei diversi paesi, il settore dei servizi viene sottoposto a forti shocks che ne aumentano la produttività, la domanda e il grado di concorrenza. Queste tendenze sono cruciali per comprenderne l'evoluzione. Ma le politiche economiche in molti paesi continuano ad ignorare il terziario e svolgono addirittura un ruolo di freno al suo sviluppo aumentandone il grado di protezione e di rigidità, e trascurandone i fabbisogni in tema di capitale umano, infrastrutturale e naturale.Soltanto abbandonando questo punto di vista, nato e cresciuto in una cultura industrialista ormai superata dal tempo, sarà possibile assecondare la crescita del settore quantitativamente più rilevante nelle nostre economie. (V. anche Dirigenti; Elettronica; Impiegati e funzionari; Industrializzazione; Sottosviluppo; Sviluppo economico; Tecnici).
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