SICILIA (XXXI, p. 654; App. II, 11, p. 821; III, 11, p. 730)
La popolazione residente dell'isola è passata dai 4.721.001 del 1961 (183 ab./km2) ai 4.679.014 (182 ab./km2) del 1971; la diminuzione è dovuta all'ingente flusso migratorio, pari a 570.437 persone nel decennio intercensuale, compensato solo in parte dall'incremento naturale. Quest'ultimo, pur calato progressivamente dal 13,3‰ del 1961 all'8,9‰ del 1973 e pur continuando a mantenersi al di sotto di quello di altre regioni meridionali, rimane superiore alla media nazionale. Ciò si deve alla diminuzione dell'indice di natalità (1963 = 21,1‰; 1973 = 18,3‰), dato che la mortalità è stazionaria (dal 1963 al 1973 oscilla tra l'8‰ e il 9‰), permanendo elevata quella infantile. Al 31 dicembre 1977 la popolazione dell'isola ammontava a 4.936.176 abitanti.
Alla tradizionale emigrazione transoceanica, mantenutasi cospicua sino alla fine degli anni Sessanta (nel 1968 emigrarono 7978 persone nelle Americhe e 4276 in Australia), si è aggiunto l'esodo verso l'Europa (Rep. Fed. di Germania e Svizzera, specialmente), verso le agglomerazioni industriali dell'Italia settentrionale e le principali città del nostro paese (impieghi nella pubblica amministrazione). Negli anni più recenti il flusso migratorio transoceanico si è ridotto a meno di un terzo, mentre è rimasto sostenuto quello diretto verso le grandi aree industriali italiane ed europee. Inoltre, l'emigrazione siciliana è caratterizzata da un fenomeno peculiare, cioè dal rimpatrio dall'Africa del Nord di migliaia di persone nell'ultimo quindicennio, soprattutto dalla Tunisia e dalla Libia, ove esistevano folte colonie etniche di Siciliani. Le regioni italiane predilette dalla migrazione dell'ultimo quindicennio sono state, ovviamente, Lombardia e Piemonte, seguite, a grande distanza, dal Lazio.
Sono proseguiti con notevole vivacità gli spostamenti della popolazione dall'interno dell'isola verso le coste e soprattutto verso le due città principali, Palermo e Catania. Il carico demografico è lievemente aumentato dal 1961 al 1971 solo nelle province di Siracusa (5,6%), Catania (5,0%), e Palermo (1,1%), mentre è diminuito o è rimasto immutato nelle altre; decrementi seguitano ad accusare soprattutto le province centrali di Enna e Caltanissetta, mentre recenti sono le tendenze al calo del Messinese e dell'Agrigentino. L'urbanesimo ha interessato tre città durante gli anni Sessanta: Palermo, Catania e Siracusa. Il capoluogo regionale è passato dai 587.063 ab. del 1961 ai 650.645 del 1971, per effetto dell'attrazione che esercita grazie alle funzioni amministrative, oltre che per l'incremento naturale; Catania è passata da 361.466 ab. a 397.939 ab. (funzione commerciale, favorita dalla posizione rispetto al continente e alla S. stessa); Siracusa ha registrato l'incremento percentuale maggiore (da 90.333 ab. a 108.658 ab.), determinato dallo sviluppo industriale del litorale megarese. Messina, invece, ha conosciuto un incremento assai modesto (da 251.423 ab. a 257.623 ab.), essendo in decadenza le sue tradizionali funzioni di porta della S. e di avamposto commerciale. Decrementi notevoli accusano altre città (per es. Trapani, scesa da 75.537 ab. a 69.771 ab.). Tuttavia nell'ultimo quinquennio l'immigrazione a Palermo e Catania ha subìto un forte rallentamento, sino a far intravedere l'inizio di un'inversione di tendenza. Al 31 dicembre 1977 la popolazione di Palermo ammontava a 679.493 ab., quella degli altri capoluoghi di provincia era di 400.193 ab. (Catania), 267.416 ab. (Messina), 122.534 ab. (siracusa), 69.885 ab. (Trapani), 65.481 ab. (Ragusa), 60.933 ab. (Caltanissetta), 50.534 ab. (Agrigento) e 29.400 ab. (Enna).
Condizioni economiche. - La popolazione attiva, calcolata sugli abitanti di età superiore ai 14 anni, ammontava nel 1971 a 1.324.410 persone: il rapporto fra attivi e inattivi risulta ancora leggermente accresciuto in un ventennio, corrispondendo in media a ogni occupato tre o quattro persone inattive (assai di più che nel resto d'Italia). Rispetto al 1961 si nota una flessione di 132.094 attivi, pari al 9%. Nel 1971 gli occupati risultavano così ripartiti: 28,7% nel settore primario, 33,6% nell'industria, 37,7% nel settore terziario. A confronto del 1961, appare la forte flessione del settore primario, il debole incremento del secondario e la notevole lievitazione del terziario (variazioni percentuali di −36,2, +2,4 e +17,1). Va ricordato che le norme ISTAT includono nel secondario qualsiasi forma di artigianato; d'altronde il ramo terziario seguita a ricevere una potente spinta in avanti dagl'impieghi nella pubblica amministrazione (organismi regionali).
L'agricoltura contribuisce ancora sostanzialmente alla formazione del reddito. Nel 1963 essa forniva il 23,1% del reddito lordo complessivo, contro il 23,9% dell'industria, il 36,7% delle attività terziarie e il 16,3% della pubblica amministrazione; nel 1971 l'aliquota prodotta dall'agricoltura era scesa al 17,2% contro il 25,8% e il 39,9% degli altri due rami di attività. Il confronto con i dati di tutta l'Italia (rispettivamente 9,8%, 38,7% e 39,6%) chiarisce il peso notevole del settore primario, ma pure l'espansione patologica dei servizi rispetto ai rami produttivi; si consideri inoltre che ben il 17,1% del reddito è prodotto dalla pubblica amministrazione contro l'11,9% in Italia; in complesso, il ramo terziario in S. produceva nel 1971 il 57% del reddito. È un chiaro indice di sovraffollamento nel settore, e di sottosviluppo economico dell'isola.
L'agricoltura siciliana ha conosciuto nell'ultimo quindicennio un processo di relativa modernizzazione e di risveglio in aree circoscritte, soprattutto pianure e cimose litoranee; aree, tuttavia, che hanno esercitato una funzione traente per tutta l'economia agricola. L'espansione di nuove colture, le moderne tecniche talora adottate per le coltivazioni tradizionali e l'aumento dell'irrigazione sono tra i fatti di maggiore portata. La Piana di Catania, alcuni tratti del litorale tirrenico prospicienti i golfi di Termini Imerese, Palermo e Castellammare, il litorale selinuntino fra Mazara e Sciacca, la Piana di Gela, alcune valli più interne, costituenti il prolungamento delle aree suddette; queste le zone di recente valorizzazione. Le superfici irrigate con sistemi vari, antichi o moderni, ammontano a quasi 200.000 ha (1971); di questi, oltre 60.000 ricevono acqua dai 16 maggiori laghi artificiali dell'isola, invasi per lo più creati nell'ultimo quindicennio. Ai vecchi laghi idroelettrici (e poi irrigui) di Piana degli Albanesi (1923), di Gammauta e di Prizzi (1938-42) si sono aggiunti il Pozzillo (140 milioni di m3) che, assieme ai laghi Áncipa e Ogliastro, irriga la Piana di Catania, il Poma che irriga la Piana di Partinico, il Trinità e l'Arancio per il litorale selinuntino, il Comunelli per la Piana di Gela. I laghi artificiali Fànaco ed Eleutero riforniscono prevalentemente le reti idriche urbane, e quote delle acque degli altri invasi sono riservate per tale uso; ciò nonostante, il problema delle carenze idriche urbane e rurali permane gravissimo. Oltre 120 laghetti collinari, specie nelle province di Enna, Agrigento e Catania, forniscono acqua alle aziende agricole più avanzate. Notevole è stata l'espansione delle serre, sia per gli ortaggi che per la floricoltura (ragusano, Piana di Gela).
La superficie a frumento si è contratta: 336.449 ha nel 1977, contro i 669.000 ha nel 1958; la produttività per ha è però cresciuta e il grano duro per le paste alimentari seguita ad avere un peso notevolissimo. La superficie a vigneto specializzato è stazionaria anche se la produzione di vino è aumentata (1958 = 7.787.000 hl; 1976 = 8.079.500 hl); varie iniziative tendenti a commercializzare vini tipici in bottiglia, anziché da taglio, hanno avuto un discreto successo. La coltura dell'olivo specializzata occupa superfici notevoli e stazionarie (111.787 ha nel 1976), ed è in aumento quella promiscua, mentre un forte balzo innanzi ha avuto la produzione di olio (da quasi 400.000 q del 1958 a 639.200 q del 1976). In accentuata decadenza sono alcune colture minori tipicamente siciliane, quali il carrubo e il sommacco; il pistacchio resiste per la richiesta industriale; la produzione di mandorle (S. sud-orientale) diminuisce lentamente, pur occupando di gran lunga il primo posto in Italia (quasi 800.000 q di media nel 1971-72).
Agrumicoltura e orticoltura hanno conosciuto la maggiore espansione. La produzione agrumaria è pressoché raddoppiata, dal 1958 al 1977, passando da circa 10 milioni di q complessivi a quasi 20 milioni di q, per la metà arance, cui seguono i limoni, con oltre 7 milioni di q (94% della produzione italiana), e i mandarini con 1,3 milioni di quintali. Gl'impianti più recenti hanno occupato quasi tutta la Piana di Catania e le basse valli del Simeto e del Gornalunga. Notevole l'espansione anche in provincia di Siracusa e Ragusa. L'intensificarsi della coltura sulle cimose costiere dei golfi di Castellammare e di Termini Imerese compensa la perdita dei suoli della Conca d'Oro, invasa dal cemento per la progressiva espansione di Palermo. La massima zona d'espansione orticola recente è la fascia costiera ragusana, ma forti incrementi hanno registrato pure tutto il Catanese, il Siracusano e ristrette aree nella S. occidentale. Negli anni più recenti le produzioni agricole siciliane di pregio incontrano notevoli difficoltà d'esportazione, data la forte concorrenza di altre regioni mediterranee e la sfavorevole normativa del Mercato comune europeo.
In aumento è il patrimonio zootecnico, per quanto riguarda bovini e suini, i primi passati da 138.000 capi nel 1963 a 295.500 nel 1977, i secondi da 186.000 capi a 265.900 capi; stazionari gli ovini, in forte contrazione caprini ed equini. Tra i bovini prevalgono ormai le razze da carne su quelle da lavoro.
La pesca siciliana conserva il primo posto tra le regioni italiane, ma l'inquinamento progressivo delle coste spinge i pescatori verso la piattaforma continentale africana, con aumento di costi e l'insorgere di vertenze internazionali, specie con la Tunisia. Ridotte ormai le tonnare.
Alla tradizionale industria estrattiva dello zolfo, quasi estinta, pareva sostituirsi negli anni Cinquanta l'estrazione d'idrocarburi liquidi, ma i campi del Ragusano e di Gela si sono rivelati non eccezionali, per qualità e quantità, e la produzione va diminuendo (da punte di quasi 2 milioni di t all'inizio degli anni Sessanta a meno di 1 milione nel 1973-74); più recente è la scoperta e l'utilizzo del metano (Catania, Trapanese, Ennese). Le saline di Trapani e di Augusta sono assai decadute, sia per l'inquinamento marino che per l'obsolescenza degl'impianti. A ciò si contrappongono le ingenti riserve di salgemma (1.300.000 t nel 1972-73) nel retroterra agrigentino e in aree interne, e di sali potassici (San Cataldo, Santa Caterina Villarmosa, Racalmuto, ecc.), la cui estrazione è in progresso.
L'industrializzazione, soprattutto quella imperniata sugli stabilimenti chimici e petrolchimici, non ha sortito gli effetti sperati. Gli enormi complessi industriali verticalizzati e autosufficienti non hanno stimolato una crescita economica equilibrata, ma hanno determinato fratture profonde e non pochi squilibri, occupando d'altronde una limitata mano d'opera; tuttavia hanno contribuito a scrollare la tradizionale rassegnazione verso condizioni di vita ancestrali e precarie. È il caso del grande complesso megarese (Augusta - penisola Magnisi), dei nuclei di Ragusa e di Gela, della Piana di Milazzo, e anche di Porto Empedocle. Meglio diversificate appaiono le zone industriali di Catania e di Palermo; quest'ultima, assieme a quella di Messina, concentra tuttavia piccole e medie industrie al servizio del vicino mercato urbano. Più recente è l'agglomerato industriale di Termini Imerese, in via di sviluppo.
Connesso allo sviluppo industriale è stato lo sviluppo dei porti di Augusta, Milazzo e Gela. Il loro traffico, quantitativamente ingente (Augusta è il secondo porto italiano per traffico merci), si basa però quasi esclusivamente sugl'idrocarburi grezzi, sui derivati della raffinazione e quindi sulle materie prime e i prodotti elaborati dell'industria chimica. Funzioni diversificate, ma specialmente di traffico passeggeri, ha il porto di Palermo, mentre più limitato è il movimento del porto catanese. Lo scalo di Messina vive quasi esclusivamente del traffico di traghetti per il continente. Importanza locale hanno Trapani e Siracusa; legato all'agglomerato industriale è Porto Empedocle.
Le vie di comunicazione terrestri sono migliorate ma in modo non decisivo. La rete ferroviaria è antiquata e i tracciati consentono basse velocità effettive, anche fra le principali città. I percorsi migliori sono rappresentati dai due tronchi-cardine: Messina-Catania-Siracusa e MessinaPalermo. La rete stradale ha beneficiato del recente completamento dell'autostrada Messina-Catania, asse prolungato fino a siracusa da un'ottima strada statale, e soprattutto dell'autostrada interna Palermo-Catania (che tocca Enna e Caltanissetta); molto migliorati, di recente, sono pure i collegamenti stradali Palermo-Trapani e Palermo-Agrigento. Per i due terzi completata è pure l'autostrada Messina-Palermo, mentre una breve autostrada congiunge Palermo all'aeroporto di Punta Raisi, il maggiore dell'isola, che ha sostituito il vecchio scalo di Boccadifalco. P. Raisi ospita un discreto traffico internazionale, ed è il quarto scalo italiano per movimento passeggeri. Importante è anche l'aeroporto di Catania. Trapani funge da scalo aereo sussidiario.
I problemi della S. restano imponenti; gli sforzi tesi a risolverli non sono stati pochi, ma spesso tardivi e non inseriti in un contesto equilibrato di pianificazione. Il litorale orientale, da Messina a Siracusa, è la sub-regione col maggior peso economico, cui si contrappone a occidente l'isolato ma grosso polo palermitano. Le aree interne, alcune plaghe del litorale volto verso l'Africa e della cuspide occidentale denotano un acuto sottosviluppo economico (particolarmente grave nei comuni della valle del Belice, dopo il terremoto del 1968) e talora sociale: un indice è l'analfabetismo, che regredisce ma non scompare (16% nel 1961 e 10,7% nel 1971).
Bibl.: P. Sylos Labini e altri, Problemi dell'economia siciliana, Milano 1966; A. Pecora, Sicilia, Torino 19742; C. Formica, Il commercio agrumario della Sicilia, Napoli 1968; D. Ruocco, A. Telleschi, V. Ruggiero, Considerazioni geografiche sulla occupazione agricola ed industriale in Sicilia, in Annali del Mezzogiorno, 1969, pp. 205-94; V. Ruggiero, I porti petroliferi della Sicilia e le loro aree di sviluppo industriale, ibid., 1971-72; C. Formica, Bonifica e agricoltura nella Sicilia orientale, Napoli 1972; id., Aspetti geografici della recente evoluzione economica della Sicilia, Catania 1973; E. Manzi, V. Ruggiero, I laghi artificiali della Sicilia, in Memorie di geografia economica e antropica, Napoli 1973; V. Ruggiero, Un asse di sviluppo per il riequilibrio territoriale della Sicilia centro-meridionale, in Annali del Mezzogiorno, 1974, pp. 149-77.
Archeologia. - In questi ultimi decenni le ricerche relative alla presenza e all'attività dell'uomo in S. nell'epoca paleolitica si sono arricchite di dati nuovi e, in qualche caso, di rilevante interesse.
I fatti che hanno segnato un sostanziale progresso scientifico riguardano, in primo luogo, le scoperte che, per la prima volta, spingono concretamente l'arco delle conoscenze nel Paleolitico inferiore indiziato in passato già da qualche sporadica segnalazione. È del 1961 la segnalazione della scoperta a Termini Imerese di strumenti in quarzite a scheggiatura bifacciale, nella cui lavorazione si riconosce la tecnica abbevilliana. Successivamente (1967) è segnalata (E. De Miro) una serie di strumenti tipici del Paleolitico inferiore a Capo Bianco, presso Eraclea Minoa. Così da un riparo sotto roccia da Rocca del Vruaro, in provincia di Agrigento, proviene un'amigdala acheuleana. In seguito, tra il 1968 e il 1971, vengono segnalate (G. Bianchini), in provincia di Agrigento, diverse località come Pergole, Faro Rossello, Chianetta, Casa Biondi, Monte Grande, ecc., nelle quali si rinvengono industrie litiche del gruppo della Pebble Culture, del Clactoniano, della Small Pebble Culture, dell'Acheuleano. Sembra ora che i manufatti su ciottoli del Paleolitico inferiore siano presenti anche sui terrazzi fluviali del Simeto.
Per ciò che concerne il Paleolitico si devono registrare il notevole approfondimento degli studi su materiali già noti e la continuazione delle esplorazioni, secondo tecniche più aggiornate e rigorose, in giacimenti già noti fin dal secolo scorso, soprattutto nelle province di Trapani, Palermo e Messina.
Si sono così potute rilevare caratterizzazioni e articolazioni degli orizzonti culturali già individuati in precedenza come a Termini Imerese e a San Teodoro. Infatti dopo le ricerche di R. Vaufrey, che realizzò la prima sintesi su base scientifica del Paleolitico italiano, si riprendono le esplorazioni (E. Gabrici) nel riparo del Castello di Termini Imerese e si precisano le fasi e le caratteristiche delle industrie litiche che successivamente sono sottoposte (O. Acanfora) a un attento vaglio tipologico in ordine soprattutto alla tecnica di lavorazione, che rivela aspetti tipici. I manufatti litici sono caratterizzati dalla presenza di grattatoi, punte a dorso, lame e, soprattutto, microliti e geometrici. Allo stesso modo si riprendono gli scavi (P. Leonardi) nella Grotta di San Teodoro dove si raccolgono (Fabiani e Malviglia) i primi resti ossei di uomini paleolitici di tutta la S., dei quali P. Graziosi ha precisato le caratteristiche antropologiche. L'industria litica, su selce e su quarzite, è di aspetto microlitico e geometrizzante e associata al microbulino.
Nella S. sud-orientale, dopo le prime segnalazioni di grotte presso Siracusa, dovute a F. von Andrian, si deve soprattutto agli studi e alle esplorazioni di L. Bernabò Brea se è stato possibile ricondurre al Paleolitico superiore giacimenti come Grotta Corruggi, Palazzolo Acreide, Canicattini Bagni, Marina di Ragusa e Sortino che P. Orsi aveva già individuato ma ritenute di età neolitica. Bernabò Brea esegue scavi nella Grotta Corruggi che gli permettono di precisare che l'industria colà presente, a tendenza microlitica, si avvicina a quella di Termini Imerese e di San Teodoro, avverte l'importanza del Riparo di Fontana Nuova di Marina di Ragusa, segnala il riparo della Sperlinga di San Basilio (presso Novara di Sicilia), il quale rende materiali che permettono di definirne la collocazione in un periodo prossimo al Neolitico.
Questo nuovo quadro di scoperte e di studi in S. ha permesso di recente a G. Laplace, attraverso un ampio esame di manufatti litici, di pervenire all'identificazione di quattro periodi nel Paleolitico siciliano, e cioè: l'aurignaziano evoluto (Fontana Nuova di Marina di Ragusa); tardi-gravettiano antico (Canicattini Bagni e Niscemi); tardi-gravettiano evoluto (Cala dei Genovesi e San Corrado); tardi-gravettiano evoluto finale (San Teodoro, Corruggi, Termini Imerese, Mangiapane, Mazzamuto). Sempre nell'ambito del Paleolitico si segnala per importanza la recente scoperta di incisioni che rappresentano manifestazioni artistiche di notevole livello.
La Grotta di Cala dei Genovesi nell'isola di Levanzo e quelle dell'Addaura e di Niscemi, sul Monte Pellegrino (Palermo), sono i siti in cui si verificano tra il 1950 e il 1954 le più rilevanti scoperte; a queste vanno aggiunte altre grotte fra Trapani e Palermo nelle quali sono state scoperte altre incisioni rupestri. A Levanzo sono state rinvenute un gruppo di tre figure umane forse in atteggiamento di danza e un gruppo di animali (cervi, buoi, equidi e forse un felino) resi di profilo, con incisioni eseguite con perizia e sicurezza che esprimono un efficacissimo e raffinato stile naturalistico. È stato notato come queste incisioni abbiano indubbi punti di riferimento e "rapporti di genesi" con le espressioni di arte franco-cantabrica, ma come esse palesino una più stretta affinità con diversi centri (Papasidero, Parpallò, Pileta, Ebbou) di quella che è stata definita "provincia d'arte mediterranea". Nella Grotta di Levanzo furono scoperte delle figure dipinte in nero tranne una che è in rosso, rappresentanti uomini, quadrupedi, "idoli", pesci, rese in stile schematico anche se è presente qualche espressione di rozzo naturalismo. Queste rappresentazioni pittoriche sono ritenute attribuibili al periodo neo-eneolitico. I graffiti parietali nell'Addaura presentano figure di animali, e 17 figure umane rese o singolarmente o in gruppi. Notissima ormai è la scena che presenta 10 figure, incise con segno marcato, che sono disposte in cerchio, in atteggiamento forse di danza intorno a due figure giacenti, impegnate in una scena rituale di non chiaro e dibattutto significato. Colpisce in queste incisioni il vigoroso naturalismo dei corpi, l'essenzialità e la decisione dei segni con l'effetto di un particolare dinamismo.
Anche nel campo dell'arte mobiliare paleolitica in S. si è avuto di recente un rinvenimento di rilievo. Infatti nel 1967 nella Grotta Giovanna presso Siracusa, in un deposito archeologico relativo al tardo gravettiano finale, è stato rinvenuto un frammento di calcare con la figura incisa di un bovide privo della testa. Si tratta probabilmente della rappresentazione di una femmina gravida dal dorso fortemente arcuato. Il manufatto rappresenta oggi il primo documento d'arte paleolitica della S. orientale.
L'avvento del Neolitico in S. è da considerare un fatto completamente nuovo rispetto all'evolversi delle culture paleolitiche e mesolitiche che, peraltro, non assumono nell'isola una precisa caratterizzazione. I dati archeologici fanno ritenere che il Neolitico siciliano sia da connettere con l'arrivo di nuove genti dall'Oriente.
Le sistematiche ricerche eseguite in questi ultimi decenni, soprattutto nelle isole Eolie (L. Bernabò Brea e M. Cavalier) hanno reso possibile un inquadramento delle culture preistoriche siciliane secondo una successione e un'articolazione che hanno ampliato di molto l'orizzonte delle conoscenze e che anche per il Neolitico fanno registrare un nuovo assetto.
La più antica e ben nota cultura neolitica siciliana, che va sotto il nome di "civiltà di Stentinello", documentata specialmente sulle coste orientali siciliane, s'inquadra nella vasta panoramica delle culture a ceramiche impresse che dalle coste dell'Anatolia e della Siria si diffusero in tutto il Mediterraneo fino alle coste catalane e provenzali. Tale diffusione dovette effettuarsi per via marittima secondo un tipo di navigazione che molto verosimilmente toccò la S. non provenendo direttamente da est, ma da nord-est là dove l'Adriatico offriva, attraverso un ponte di isole, la possibilità di una più sicura navigazione. Questo sarebbe il motivo del ritardo, rispetto alle aree più orientali del continente italiano, dell'avvento del Neolitico, ritardo dimostrato dal fatto che le ceramiche proprie della civiltà di Stentinello sono talvolta accompagnate da ceramiche dipinte che caratterizzano la seconda fase del Neolitico, effetto di una seconda ondata di apporti culturali dall'Oriente.
Le culture neolitiche a ceramiche dipinte si dividono in tre fasi: la prima con ceramiche decorate a bande rosse su fondo chiaro, associate ancora con ceramiche stentinelliane; la seconda con ceramiche presentanti decorazione tricromica, a bande rosse, cioè, marginate di nero (stile di Capri); la terza con ceramiche esibenti decorazione a motivi meandro-spiralici (stile di Serra d'Alto). Indubbie sono le connessioni che legano lo "stile di Capri" con la cultura greca di Sesklo e lo "stile di Serra d'Alto" con la cultura di Dimini della Grecia continentale.
Mentre in S. queste due fasi sono poco rappresentate e la relativa documentazione non proviene da contesti stratigrafici, ben rappresentate sono, invece, negli scavi dell'acropoli di Lipari.
Le isole Eolie vivono ora un florido periodo di intensi scambi commerciali in rapporto allo sfruttamento e all'esportazione dell'ossidiana. I riflessi di questo stato di floridezza si colgono nelle progredite tecniche in possesso dei ceramisti, nel livello del gusto artistico raggiunto, nel vivo senso della decorazione che applicano sui vasi.
Nel periodo del Neolitico finale che va sotto il nome di "stile di Diana", la ceramica diventa monocroma, rossa, con forme presentanti anse semplificate, a rocchetto. Si può ben dire che con questo periodo, di cui è stato possibile seguire l'evoluzione a Lipari e che è documentato ampiamente in S. e sul continente italiano, si realizza una vasta koinè culturale che comprende il continente italiano, l'arcipelago eoliano, la S. e Malta.
Il periodo eneolitico registra in S. una grande varietà di culture che hanno alle spalle impulsi provenienti dall'Anatolia e dal mondo egeo, generati in sfere culturali già in possesso della metallotecnica. Si tratta delle culture denominate di San Cono-Piano Notaro, del Conzo, di Serraferlicchio, di Malpasso, di Sant'Ippolito, della Conca d'Oro, le quali denunziano, nella loro varietà, complesse ascendenze, da ricollegare ancora a manifestazioni decorative nel Neolitico finale (cultura del Conzo) o a culture della prima età del Bronzo del mondo egeo anatolico (culture di Malpasso e di Sant'Ippolito).
Le isole Eolie registrano una pausa in questo periodo rispetto al Neolitico che le vide centro propulsore di attività commerciali. Esse sembrano escluse dalle rotte che portano i commercianti orientali verso la Sardegna, la Francia, la Spagna. Vi si susseguono le culture di Piano Conte e Piano Quartara che appaiono il riflesso di due distinti e successivi momenti dell'evoluzione culturale dell'area anatolica ed egea, tra il volgere del 4° e il 3° millennio nel primo, e il corso del 3° millennio nel secondo momento.
Dal mondo così ricco di atteggiamenti culturali della S. orientale, i quali sono stati evidenziati per mezzo di importanti ricerche sistematiche condotte in questi ultimi decenni principalmente in grotte del Siracusano, si distacca l'area occidentale siciliana (province di Palermo e Trapani) ove è diffusa la cultura tipo Conca d'Oro, che pur nelle sue caratterizzazioni palesa rapporti con le culture della S. orientale e con la cultura spagnola del "bicchiere campaniforme".
Con l'età del Bronzo fioriscono le culture dette di Castelluccio in S. e di Capo Graziano nelle isole Eolie. La prima è diffusa in un vasto ambito della S. sud-orientale e meridionale, nota da tempo nelle sue manifestazioni soprattutto attraverso i materiali provenienti da necropoli. Se ne distinguono tre "province", cioè l'etnea, la siracusana e l'agrigentina. La ceramica che caratterizza questa cultura, vicina alla Matt painted ware del Mesoelladico della Grecia continentale, come altri tipi di manufatti tra i quali l'osso a globuli, oggetto di particolare finezza decorativa, da interpretare forse come idoletto e rinvenuto anche nelle Puglie, a Malta, a Lerna nel Peloponneso, a Troia, permettono di vedere la cultura di Castelluccio collegata con diversi ambiti culturali del bacino del Mediterraneo.
Di recente un'altra scoperta, una fortificazione di un villaggio dell'età del Bronzo, costituita da un muro in pietrame a secco cui sono addossate delle torri semicircolari, effettuata a Timpa Dieri presso Villasmundo, ha permesso d'istituire confronti con analoghi tipi di costruzioni presenti nelle isole dell'Egeo, a Malta, in Francia, Spagna e Portogallo.
Nelle isole Eolie contemporaneamente si afferma la cultura di Capo Graziano. I villaggi della seconda fase di questa cultura dislocati in posizioni forti (Castello di Lipari, Montagnola di Capo Graziano) presentano capanne ovali di varia dimensione, che si addensano in spazi piuttosto ridotti. Di vario tipo i riti funerari (a incinerazione entro olle o scodelloni, a inumazione entro anfratti naturali). Le ceramiche, piuttosto grossolane, brune, decorate con incisioni lineari, ondulate con rosette e punti, non trovano riscontro in S. tranne che in manufatti rinvenuti sulla costa nordoccidentale di essa. Rapporti si colgono con materiali rinvenuti nelle tombe e nelle capanne dell'Altis di Olimpia e con la cultura maltese della necropoli di Tarxien. Ceramiche appartenenti a questa cultura sono state recentemente raccolte in un giacimento sito sull'isoletta di Ognina, presso Siracusa, sito questo da considerare come testa di ponte nei rapporti commerciali fra Malta e la Sicilia. Nei giacimenti della cultura di Capo Graziano nelle isole Eolie si sono rinvenute ceramiche micenee importate (Mic. I e II) datate tra la metà del 16° e la fine del 15° secolo a. Cristo. Esse costituiscono uno degli elementi principali per dimostrare il ruolo fondamentale dell'arcipelago eoliano nella fitta rete di rapporti commerciali che ebbero come primi attori i popoli dell'Egeo che ora si spingono fino alle isole britanniche alla ricerca di materie prime in conseguenza degli sviluppi che aveva raggiunto la metallotecnica nel mondo orientale.
Le fasi successive dell'età del Bronzo, rappresentate dalla cultura detta "del Milazzese" nelle isole Eolie e "di Thapsos" in S. dimostrano di avere comuni aspetti di caratterizzazione.
I villaggi riferibili alla cultura del Milazzese sono in località quasi inaccessibili, denuncianti probabilmente esigenze di difesa nei confronti di popolazioni, di cultura "appenninica" del continente italiano. Le capanne sono in genere ovali, subcircolari, di struttura accurata, con banchine interne, spesso con un piccolo vano annesso al corpo centrale delle capanne.
Sui pavimenti si sono rinvenute ceramiche, macine, placche, pithoi. Le forme più diffuse dei vasi sono coppe su alto piede tubolare, bottiglie, orci, pithoi, pissidi e teglie. La decorazione presenta nervature curviformi e motivi incisi ad angoli, linee e punti. Il metallo ora sostituisce i materiali litici nella preparazione di armi e strumenti, come attesta anche il rinvenimento di forme di fusione. I prodotti fittili importati sono rappresentati da ceramiche "appenniniche" provenienti dal continente italiano e da ceramiche del Mic. IIIA e IIIB che fissano la cronologia della cultura tra il 1400 e il 1300 circa a. Cristo.
Numerosi sono i siti sulla fascia orientale della S. da riportare alla cultura di Thapsos - se ne conoscono diversi nel Siracusano (Thapsos, Plemmyrion, Matrensa, Cozzo Pantano, Mulinello di Augusta) - ma testimonianze di essa sono documentate a Naxos, presso Paternò, nei dintorni di Catania, nel Gelese, nel territorio di Agrigento e in provincia di Trapani.
Gl'insediamenti di questo periodo sono dislocati in siti costieri, mentre per l'età castellucciana i villaggi, la cui economia è basata soprattutto sull'agricoltura e sulla pastorizia, risultano arretrati, anche se non disancorati, rispetto alla linea di costa.
Thapsos è oggi il più cospicuo degl'insediamenti di questa età. Oltre alle vaste necropoli se ne conosce oggi l'abitato, esplorato nella zona centrale del suo sviluppo e che presenta tre fasi edilizie ben distinte, la seconda delle quali propone complessi abitativi che rilevano indubbie connessioni con tipi architettonici, e distribuzione organizzativa aventi ascendenze nel mondo egeo-miceneo.
I rinvenimenti eseguiti a Thapsos dimostrano che l'insediamento rappresentò, dal 14° al 9° secolo a. C., senza soluzioni di continuità, una base emporiàle di prim'ordine alla quale fecero capo le rotte marittime provenienti dagli epicentri commerciali del Mediterraneo orientale e centrale. Infatti documentati in maniera cospicua risultano le ceramiche del Mic. IIIA:1, III A:2 fino al III B, i manufatti di produzione cipriota appartenenti alla White Shaved Ware e alla Base Ring II Ware, il vasellame importato dall'arcipelago maltese e pertinente alla cultura denominata Borg-in-Nadur e Bahriia.
Intorno alla metà circa del 13° secolo a. C. si assiste in S. al fiorire di nuove civiltà. I dati archeologici e le notizie degli storici (Filisto ed Ellanico) inducono a credere che è questa l'epoca delle invasioni dal continente italiano di Siculi, Ausoni, Morgeti, le quali ebbero come conseguenza il sorgere di facies culturali non più unitarie sull'isola.
Nell'arcipelago eoliano le culture denominate Ausonio I (circa 1270-1125 a. C.) e Ausonio II (1100-850 a. C.) risentono dell'influsso della civiltà continentale nota col nome di "subappenninica", come dimostrano soprattutto le forme dei vasi, i tipi di anse, le appendici in forma di ascia, di corna, di volute e la decorazione. I flussi continentali si colgono nettamente anche sulla costa nord-orientale siciliana: la necropoli di tipo "proto villanoviano" rinvenuta a Milazzo li denunzia nel rito funerario e nei materiali fittili e metallici. Così pochi, ma significativi rinvenimenti fanno ritenere che questi influssi raggiunsero aree che comprendono Naxos e Paternò. A Lentini un abitato messo in luce sulla collina della Meta Piccola, precedente la fondazione della colonia greca di Leontinoi, presenta capanne rettangolari in pianta, ricavate nella roccia, di tipo italico.
Diverso è il panorama culturale della S. sud-orientale e meridionale. Dei siti archeologici non si hanno, com'è noto, che le estesissime necropoli con tombe a grotticella artificiale. Poco o nulla si sa degli abitati, della struttura e della distribuzione delle dimore, dell'organizzazione sociale e dell'economia dei gruppi etnici.
L'esempio più importante e documentato degl'insediamenti di questo periodo è Pantalica, accanto alla quale sono da ricordare quelli di Cassibile e di Dessueri, tutti insediamenti interni, in ben muniti luoghi montani. A Pantalica si ebbe il più grosso accentramento di popolazioni che diedero vita a un insediamento del 13° secolo a. C., fino all'epoca della fondazione degl'impianti coloniali greci della costa. I materiali componenti gli oggetti di corredo delle tombe hanno permesso di tracciare l'iter evolutivo delle culture di questo periodo. La prima fase, documentata principalmente dalle necropoli di nord e nord-ovest di Pantalica, alle quali si aggiungono quella della Montagna di Caltagirone e un piccolo complesso di sepolcri del Dessueri, è caratterizzata da vasellame (anfore, pissidi, askoi) in ceramica monocroma rossa. Le forme dei vasi si ricollegano a quelle delle culture precedenti e, inconfondibilmente, a repertori formali del mondo miceneo, cui è legata anche la produzione dei bronzi, specie delle spade. Sono ora diffuse le fibule ad arco di violino e ad arco semplice.
La seconda fase, denominata "di Cassibile" dall'omonima località, sede di una vasta necropoli e nella quale rientra oltre alla necropoli di Pantalica anche la necropoli di Molino della Badia presso Grammichele, è caratterizzata da ceramiche dipinte a motivi "piumati" che ornano pissidi, vasi a secchiello, piattelli con piede tubolare, askoi, e da tipi di fibule con arco a gomito e a occhio. In quest'epoca, da riportare al 10°-9° secolo a. C., si avverte un ritorno ai siti costieri e i manufatti, soprattutto i tipi di fibule, portano a innegabili confronti con materiali rinvenuti in aree del Mediterraneo orientale e occidentale, e cioè dalla Palestina a Cipro, alla Francia, alla Spagna. Queste connessioni sono da mettere in rapporto con le attività commerciali dei Fenici.
Con la terza e la quarta fase, rappresentate dalle necropoli di Pantalica denominate di Filiporto e della Cavetta e del Finocchito, le suppellettili vascolari presentano motivi decorativi da ricondurre prima al tardo geometrico greco, poi al protocorinzio, fino a entrare in pieno nell'orbita del mondo greco che finisce per influenzare profondamente quello indigeno dando luogo a facies culturali frutto di questo fenomeno.
Esplorazioni recentissime condotte sulla costa orientale della S., lungo la valle del fiume Marcellino, hanno permesso il recupero dei corredi tombali di una vasta necropoli di età protostorica. Le ceramiche di questi corredi sono costituite per la massima parte da manufatti di produzione locale, da imitazioni di prototipi del medio e tardo-geometrico greco, ma anche da vasi importati dal mondo greco che costituiscono oggi, con oggetti analoghi rinvenuti in Etruria e in Campania, le più antiche importazioni greche dell'Occidente. Si tratta di una tazza a semicerchi penduli di produzione euboica, di alcune tazze dette "à chevrons", di kotylai protocorinzie denominate Aetos 666 e di coppe dette del tipo di Thapsos, manufatti che dimostrano costanza e continuità di presenza di materiali greci tra la fine del 9° e l'ultimo quarto dell'8° secolo a. Cristo.
Il dato più interessante e nuovo è rappresentato proprio dalla documentata esistenza di rapporti col mondo greco in epoca anteriore alla fondazione delle più antiche colonie non solo di S., ma dell'Occidente greco, fatto che finora ritenevasi documentato e limitato al mondo etrusco-campano.
Queste testimonianze di rapporti precoloniali permettono invece di affermare che sia la costa tirrenica che quella orientale siciliana sono coinvolte in un unico fenomeno culturale, quello della frequentazione greca di tutta quest'area prima del grande momento della fondazione delle più antiche colonie greche d'Occidente.
Nella zona che secondo la tradizione storica sarebbe stata sede dei Sicani e degli Elimi, cioè tutta la parte occidentale della S., le conoscenze relative alle culture protostoriche e alla loro evoluzione sono scarse, anche se numerose e complesse sono le leggende sulla loro formazione.
La cultura di Sant'Angelo Muxaro, così detta dall'omonima località in provincia di Agrigento, ebbe una notevole diffusione e rappresenta il fatto culturale certo più importante della S. centro-occidentale.
È noto che nel centro archeologico in questione si è voluta ravvisare l'antica Camico, costruita, secondo la leggenda, da Dedalo per il re Cocalo e dove Minosse trovò la morte. Le suppellettili funerarie delle tombe di Sant'Angelo Muxaro sono costituite da ceramiche che presentano un particolare tipo di decorazione incisa a motivi geometrici; tipica delle fasi più avanzate una ceramica dipinta che riporta a motivi già del patrimonio decorativo delle ceramiche corinzia e rodia.
Nel territorio degli Elimi ancora più scarsa è la documentazione raccolta principalmente nel territorio di Segesta e, per carattere, non dissimile dalla ceramica della cultura di Sant'Angelo Muxaro. Vedi tav. f. t.
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