Sicurezza industriale
(App. IV, iii, p. 325; V, iv, p. 749)
Attività a rischio di incidenti rilevanti
Il termine sicurezza è generalmente associato ai termini pericolo e rischio. Il pericolo (o pericolo potenziale) è la proprietà intrinseca di un sistema, di un processo o di una sostanza di provocare danni per la salute umana e/o per le cose o l'ambiente. La direttiva 96/82/CE, sul "controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose", intende per rischio "la probabilità che un determinato evento si verifichi in un dato periodo o in circostanze specifiche". L'espressione comune azienda a grande rischio è riconducibile, a partire dalla definizione di indice di rischio o semplicemente di rischio, al prodotto della frequenza stimata del verificarsi di un incidente per l'entità delle conseguenze, o magnitudo (per es. il numero probabile di vittime).
Il conseguimento della sicurezza, intesa come riduzione del rischio a valori accettabili, e la caratterizzazione delle installazioni industriali dal punto di vista della sicurezza implicano, in primo luogo, la conoscenza dei pericoli potenziali suscettibili di dar luogo a un incidente rilevante, come definito dalla direttiva 96/82/CE, ossia a un evento "quale un'emissione, un incendio o un'esplosione di grande entità, dovuto a sviluppi incontrollati che si verifichino durante l'attività di uno stabilimento industriale che dia luogo a un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana e/o per l'ambiente, all'interno o all'esterno dello stabilimento, e in cui intervengano una o più sostanze pericolose".
Incidenti rilevanti possono essere causati dal rilascio di quantitativi relativamente elevati di sostanze tossiche che per loro natura (gas e vapori) si diffondono facilmente, quali cloro, ammoniaca, isocianato di metile (che a Bhopal, in India, il 3 dicembre 1984, causò la morte di circa 3000 persone e l'intossicazione grave di altre 14.000), acido cianidrico, acido fluoridrico, biossido di zolfo, fosgene. Altri incidenti possono accadere per il rilascio, a seguito dell'esplosione di apparecchiature, di quantità anche modeste di sostanze altamente tossiche e scarsamente volatili, quali la diossina (per es. nell'incidente di Seveso del 10 luglio 1976). Conseguenze molto gravi può avere il rilascio di vapori (per es. di GPL, cioè di gas di petrolio liquefatto) che, incendiandosi, creano una sfera di fuoco (fire-ball), oppure il rilascio di gas e vapori che, miscelandosi con l'aria, danno luogo a 'nubi non confinate' in grado di esplodere se innescate da una scintilla o altro (UVCE, Unconfined Vapour Cloud Explosion).
I fenomeni esplosivi che si possono verificare in relazione ad attività industriali, e che sono tra le principali cause all'origine di incidenti rilevanti, sono da distinguere in: esplosioni di miscele costituite da una o più sostanze combustibili (sotto forma di gas, vapori, nebbie o polveri, di sostanze organiche o di metalli) e da un agente ossidante gassoso-comburente (aria, ossigeno, cloro ecc.), miscele la cui esplosione può essere innescata da fiamme libere, scintille di varia natura, scariche elettriche, elettrostatiche o atmosferiche, superfici calde; esplosioni dovute a reazioni esotermiche violente, note o ignote, incontrollate (reazioni fuggitive o runaway reactions); esplosioni termiche provocate dalla decomposizione, anche lenta in particolari condizioni, di sistemi chimici termodinamicamente instabili, contenuti in recipienti non adeguatamente raffreddati; esplosioni di apparecchiature dovute a sovrapressioni, o a depressioni, o al cedimento di materiali o di strutture; esplosioni fisiche che si verificano quando quantità rilevanti di liquido vaporizzano istantaneamente, per ebollizione, con brusco e rilevante aumento di volume e conseguente generazione di un'onda di pressione: il fenomeno, noto come BLEVE (Boiling Liquid Expanding Vapour Explosion), può manifestarsi in concomitanza con il rilascio istantaneo di un gas liquefatto compresso o liquefatto a bassa temperatura, con l'ebollizione istantanea, a seguito di fuoriuscita, di un liquido sotto pressione, con la vaporizzazione di un'elevata quantità di liquido (acqua o altro) per contatto istantaneo con una notevole massa di materiale caldo; fenomeni simili si hanno quando il contatto tra due fluidi a temperatura diversa (per es. olio caldo e acqua) provoca l'ebollizione istantanea di uno dei due.
Il rilascio di gas o vapori tossici può verificarsi a seguito del contatto accidentale tra due sostanze, per es. un acido forte e un solfuro (con rilascio di idrogeno solforato), o un cianuro (con rilascio di acido cianidrico), o un solfito (con rilascio di biossido di zolfo). Idrogeno solforato può essere originato anche dal contatto tra acqua e alcuni solfuri (per es. solfuro di fosforo) e si può sviluppare, in particolari condizioni, da acque reflue contenenti solfuri, solfati o solfiti, a seguito di fenomeni microbiologici. In caso di combustione incompleta, anche gli incendi sono fonte di sostanze tossiche: la combustione non completa di composti organici azotati può dare luogo, oltre a monossido di carbonio, a ossidi di azoto e ad acido cianidrico; la combustione di prodotti clorurati dà luogo ad acido cloridrico.
I rischi per l'ambiente causati da attività industriali sono connessi al rilascio di quantitativi elevati di sostanze, non necessariamente tossiche (per es. gasolio), che possono verificarsi a seguito di eventi accidentali. Danni all'ambiente, a più lungo termine, possono essere causati da rilasci continui legati alle attività produttive (per es. rilascio di gas acidi o di acque contenenti sostanze organiche non biodegradabili o composti metallici), o allo smaltimento sul suolo di rifiuti in condizioni non controllate (discariche abusive).
Normative sulle attività industriali a rischio di incidenti rilevanti
A sei anni dall'incidente di Seveso il Consiglio della Comunità Europea approvò la cosiddetta direttiva Seveso 1 (82/501/CEE), successivamente emendata con le direttive 87/216/CEE e 88/610/CEE. Tale direttiva si fonda sui seguenti principi di base: controllo del progresso tecnico, che non può prescindere dalla necessità di proteggere l'incolumità delle persone e dell'ambiente; attenzione ad attività e sostanze pericolose; sicurezza e prevenzione, con interventi mirati soprattutto a prevenire e impedire che si verifichino incidenti, da attuare in fase di progettazione, costruzione ed esercizio; limitazione delle conseguenze, con la messa in atto di tutte le misure possibili per rendere minimi gli effetti di un incidente; informazioni ai lavoratori e alla popolazione sui pericoli potenziali, sulle misure di sicurezza e sui comportamenti da tenere in caso di incidente; uniformità delle leggi e responsabilità al fine di rendere uguali le condizioni di concorrenza e avere un'incidenza diretta sul mercato comune.
L'intero corpo delle normative esistenti a livello comunitario, nazionale e regionale sul rischio industriale discende da questa direttiva, sostituita nel dicembre 1996 dalla direttiva Seveso 2 (96/82/CE); alla stessa è stata data attuazione in Italia con il d. legisl. 17 ag. 1999 nr. 334.
La direttiva 82/501/CEE avrebbe dovuto essere recepita nei paesi membri entro l'8 gennaio 1984, ma in Italia, per es., è stata recepita solo il 17 maggio 1988 con il d.p.r. 175/88, senza che peraltro si tenesse conto dei successivi emendamenti della direttiva stessa; modifiche e integrazioni sono state apportate successivamente con il d.m. 20 maggio 1991. Dall'emanazione del d.p.r. 175/88 si sono susseguiti diversi decreti legge applicativi e integrativi, poi decaduti, apportando modifiche. La l. 19 maggio 1997 nr. 137 ha previsto una sanatoria dei provvedimenti adottati sulla base dei decreti legge non convertiti, modificando il sistema dei controlli in materia di rischio di incidente rilevante e dettando una disciplina transitoria in attesa della definizione di un assetto complessivo della materia. Il d.p.r. 175/88 pone a carico dei responsabili delle attività industriali, per le quali i rischi di incidenti rilevanti sono consistenti, una serie di obblighi di informazione che si attuano attraverso due differenti strumenti: la notifica e la dichiarazione. La prima riguarda le attività soggette ai maggiori rischi di incidenti rilevanti per la natura e la quantità di sostanze o preparati pericolosi utilizzati, ovvero immagazzinati (è di uso corrente parlare al riguardo di impianti di tipo A). La dichiarazione riguarda invece le attività con un grado di rischio inferiore a quello di attività per le quali è prescritto l'obbligo di notifica (è di uso corrente parlare, al riguardo, di impianti di tipo B).
Dalle direttive CE e dalla normativa italiana che le ha recepite discende una serie di obblighi a carico della pubblica amministrazione, anche in termini di giudizio a posteriori sull'adeguatezza delle misure di prevenzione e di limitazione delle conseguenze, controlli e informazioni da fornire alla popolazione esposta. Ma la complessità dell'iter burocratico previsto dalla normativa italiana e l'elevato numero di autorità competenti (Ministeri dell'Ambiente, della Sanità, Regioni, prefetti, sindaci), di organi tecnici (ISS, Istituto Superiore di Sanità, ISPESL, Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro, CNR, Vigili del fuoco) e di organi consultivi (Commissione di cui al d.m. 23 genn. 1985, Comitato di coordinamento di cui al d.p.c.m. 18 dic. 1985) chiamati a intervenire si sono rivelati praticamente paralizzanti, tanto che a distanza di oltre 15 anni dalla sua emanazione la direttiva 82/501/CEE non ha trovato sostanzialmente applicazione.
Le situazioni nei diversi paesi della Comunità Europea non sono peraltro tra loro omogenee. Per es., in Germania si attribuisce un valore dominante al giudizio e agli interventi tecnico-ingegneristici, dando scarsa fiducia ai metodi di valutazione quantitativa del rischio; in Francia, le autorità manifestano un'evidente riluttanza, pienamente condivisa dalle industrie, ad adottare misure di controllo basate su strumenti di giudizio di tipo probabilistico. Gran Bretagna, Paesi Bassi (e Svizzera) adottano invece, esplicitamente, per il giudizio di tollerabilità del rischio e di approvazione delle installazioni, strumenti di quantificazione del rischio. Tali paesi non sono però concordi né sulla scelta del tipo di rischio (rischio di accadimento, rischio sociale, rischio individuale), né sui valori di soglia. Anche per queste diverse ragioni la precedente direttiva Seveso 1 è stata sostituita, come già detto, con la direttiva Seveso 2.
Tale direttiva si applica agli stabilimenti definiti aree sottoposte al controllo di un gestore, nelle quali sono presenti, in quantità uguali o superiori a dati valori, sostanze pericolose (incluse quelle che si potrebbero formare a seguito di reazioni incontrollate) all'interno di uno o più impianti, comprese le infrastrutture o le attività comuni o connesse, a prescindere dalla tipologia dei processi nei quali vengono utilizzate; inoltre non viene più fatta distinzione tra impianti di produzione e depositi. La direttiva contiene due tipi di elenchi di sostanze pericolose: il primo menziona sostanze nominativamente indicate con i relativi limiti quantitativi, dovunque esse si trovino e non più con riferimento a un raggio di 500 m; il secondo individua le sostanze pericolose sulla base di determinate caratteristiche: tossicità, esplosività, infiammabilità, comburenza, pericolosità per l'ambiente e possibilità di dar luogo a una reazione violenta a contatto con l'acqua o di liberare gas tossici. La direttiva introduce un sistema che prevede una stretta correlazione tra pianificazione territoriale e gestione dei rischi di incidenti rilevanti. Alla figura del fabbricante è sostituita quella del gestore, ovvero la persona fisica o giuridica che gestisce o detiene lo stabilimento o l'impianto, o la persona cui è stato delegato un potere economico determinante in relazione al funzionamento tecnico dello stabilimento o dell'impianto. Il gestore deve redigere un documento che definisca la propria politica di prevenzione degli incidenti rilevanti, e farsi carico della sua corretta applicazione; ciò implica l'organizzazione di un sistema di gestione della sicurezza avente un'esplicita dimensione organizzativa, orientata alla formazione del personale, all'identificazione e valutazione dei rischi di incidenti rilevanti, a procedure operative, alla gestione delle modifiche, alla pianificazione delle emergenze, al controllo delle prestazioni, alla valutazione e revisione dei sistemi di gestione. Il gestore è tenuto a trasmettere all'autorità competente una notifica contenente le informazioni richieste dalla direttiva e un rapporto di sicurezza con una serie di informazioni minime. La popolazione deve poter accedere alle relazioni sulla sicurezza redatte dai gestori. Entro un termine ragionevole dal ricevimento del rapporto di sicurezza l'autorità competente comunica al gestore le proprie conclusioni per quanto riguarda l'esame del rapporto stesso e, nel caso di gestori che non ottemperino agli obblighi della direttiva, può vietare l'attività. Vanno individuate e valutate, da parte dell'autorità competente, le possibilità di effetti domino tra stabilimenti contigui o vicini, attraverso lo scambio di appropriate informazioni. Il gestore è chiamato a predisporre un piano di emergenza interno, e all'autorità pubblica, designata al relativo controllo, spetta approntare un piano d'emergenza esterno: entrambi devono essere sperimentati. I piani di emergenza interni vengono elaborati dopo consultazione con il personale che lavora nello stabilimento; la popolazione deve essere consultata sui piani di emergenza esterni. Non appena si verifichi un incidente rilevante il gestore deve provvedere a informare l'autorità competente e a comunicargli le modalità di impatto dell'incidente sull'ambiente e sull'uomo, nonché le conseguenze manifestatesi. Vengono stabilite le disposizioni essenziali cui devono attenersi i sistemi di controllo adottati dagli Stati membri, con l'istituzione di sistemi di ispezione per assicurarsi che il gestore abbia adottato le disposizioni di sicurezza previste e abbia diffuso alla popolazione le informazioni dovute. La Commissione, assistita da un Comitato degli Stati membri, definirà le procedure da adottare in merito ai requisiti che devono possedere gli stabilimenti/impianti affinché le autorità competenti possano dichiarare che non comportano rischi di incidenti rilevanti e provvederà ad aggiornare ed emendare la direttiva.
Normative sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori
In materia di s. i., oltre alle direttive concernenti i rischi di incidenti rilevanti, sono da menzionare: le direttive CEE 89/391, 89/654, 89/655, 89/656, 90/269, 90/270, 90/394 e 90/679, recepite in Italia con il d. legisl. 19 sett. 1994 nr. 626, modificato dal d. legisl. 19 marzo 1996 nr. 242, riguardante il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, le direttive CEE 89/392, 91/368, 93/44 e 93/68 (direttiva macchine), recepite in Italia con il d.p.r. 24 luglio 1996 nr. 459, concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine, e la direttiva 92/57/CEE (direttiva cantieri), recepita in Italia con il d. legisl. 14 ag. 1996 nr. 494, concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili.
Il d. legisl. 626/94, che si applica a tutti i settori di attività, privati o pubblici, prevede, in particolare, l'elaborazione di un documento, da parte del datore di lavoro, contenente una relazione sulla valutazione dei rischi (pericoli potenziali) per la sicurezza e la salute durante il lavoro, l'individuazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate in proposito e il programma di attuazione delle misure in questione. Il datore di lavoro organizza all'interno dell'azienda il servizio di prevenzione e protezione, ne designa il responsabile (che può essere una persona esterna all'azienda) previa consultazione del rappresentante per la sicurezza (eletto direttamente dai lavoratori al loro interno) e nomina il medico competente. Il datore di lavoro provvede affinché ciascun lavoratore riceva un'adeguata informazione sui pericoli potenziali e sulle misure e le attività di protezione e prevenzione, e un'adeguata formazione in materia di sicurezza e di salute. Il d. legisl. 626/94 riprende, per vari aspetti, le norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui al d.p.r. 27 apr. 1955 nr. 547 e le norme generali per l'igiene del lavoro del d.p.r. 19 marzo 1956 nr. 303, con alcune modifiche.
Il d.p.r. 459/96 stabilisce i requisiti essenziali ai fini della sicurezza e della salute che devono possedere i vari tipi di macchine utilizzate nei diversi settori di attività. Prima dell'immissione sul mercato o della messa in servizio, il costruttore, o il suo mandatario residente nell'Unione Europea, deve attestare la conformità della macchina ai requisiti della direttiva mediante dichiarazione di conformità e apposizione della marcatura CE. Anche il d.p.r. 459/96 riprende per vari aspetti norme di cui al d.p.r. 547/55. Le macchine per le quali i rischi sono principalmente di origine elettrica devono rispondere in via prioritaria alle disposizioni di cui alla l. 18 ott. 1977 nr. 791, di attuazione della direttiva 73/23/CEE, e alle successive modifiche, nel rispetto delle disposizioni in materia di sicurezza della Commissione internazionale delle regolamentazioni per l'approvazione degli impianti elettrici (CEE-el) e della Commissione elettrotecnica internazionale (IEC).
Il d. legisl. 494/96 (che richiama il d. legisl. 626/94) prevede, in particolare, che il coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell'opera predisponga un piano di sicurezza, contenente l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi (pericoli potenziali) e le conseguenti procedure esecutive, gli apprestamenti e le attrezzature atte a garantire per tutta la durata dei lavori il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori. Compiti simili o integrativi spettano poi al coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell'opera.
I controlli
La direttiva 82/501/CEE (Seveso 1) si limita a stabilire l'obbligo per gli Stati membri di istituire o designare l'autorità o le autorità competenti incaricate di ricevere le notifiche, di esaminarle, di vigilare affinché sia approntato un piano di emergenza esterno e di organizzare, nel quadro delle regolamentazioni nazionali, ispezioni o altre misure di controllo, secondo il tipo di attività considerato. Si è visto in precedenza che le autorità competenti chiamate a intervenire per l'applicazione del d.p.r. 175/88 comprendono due Ministeri, sindaci e prefetti, e svariati organi tecnici dello Stato, e che ciò ha portato, in pratica, a una sostanziale disapplicazione di tale normativa. La l. 19 maggio 1997 nr. 137 modifica il sistema dei controlli, in via transitoria, in attesa di un assetto complessivo della materia, con nuove disposizioni che, almeno in parte, razionalizzano e aggiornano l'assetto delle competenze. La legge prevede che le funzioni ispettive vengano attribuite all'ANPA (Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente) e all'ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente), all'ISPESL e al Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, che possono avvalersi, previa designazione dell'amministrazione di appartenenza, di personale tecnico appartenente ad altre pubbliche amministrazioni.
In diverse Regioni le competenze in materia sono attribuite alla Giunta regionale, che le esercita mediante un apposito Servizio di prevenzione del rischio industriale (SPRI) che, in particolare, provvede alla verifica delle dichiarazioni previste dal d.p.r. 175/88. L'istruttoria delle notifiche spetta ai Comitati tecnici regionali (CTR). Le funzioni ispettive sono esercitate con l'ausilio di vari servizi, in particolare USL, divenute ASL (Aziende Sanitarie Locali) e PMIP (Presidio Multizonale di Igiene e Prevenzione).
Su questa materia la direttiva 96/82/CE prevede che gli Stati membri provvedano affinché le autorità competenti organizzino un sistema di ispezioni, o altre misure di controllo, concepito in modo tale da consentire un esame pianificato dei sistemi tecnici, organizzativi e di gestione applicati nei singoli stabilimenti ai fini della sicurezza. In generale, le ispezioni in loco devono essere effettuate ogni dodici mesi. Ma è necessario che, a livello comunitario, la Commissione predisponga e definisca i cosiddetti criteri armonizzati, ossia una serie di parametri concernenti le sostanze pericolose, affinché le autorità competenti siano in grado di controllare, caso per caso, e in modo omogeneo, la pericolosità delle sostanze all'interno degli stabilimenti.
Il d. legisl. 626/94 prevede che la vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro venga svolta dalle USL (ASL) e, per quanto di specifica competenza, dai Vigili del fuoco, nonché, per il settore minerario, dal Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato. Il procedimento di omologazione delle macchine previsto dal d.p.r. 459/96 è demandato all'ISPESL, mentre la vigilanza dell'applicazione della l. 791/77 concernente le garanzie di sicurezza che deve possedere il materiale elettrico è demandata al Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato, che ha facoltà di disporre accertamenti.
Riassumendo, il quadro normativo presenta ancora varie carenze, in particolare per quanto attiene al controllo delle attività industriali a rischio rilevante, controllo che non può prescindere da precise disposizioni di carattere generale. Sotto un altro aspetto, i soggetti chiamati a controllare gli impianti devono essere in grado di procedere a valutazioni di tipo prettamente tecnico, e ciò richiede una preparazione adeguata. In Italia vi è purtroppo in proposito una notevole carenza di personale. La tempestiva e corretta applicazione di qualsivoglia normativa e i relativi appropriati controlli necessitano non solo di un incremento del personale chiamato a intervenire, ma, soprattutto, di una sua generalizzata e specifica formazione.
La cultura della sicurezza
I gravi incidenti verificatisi nel mondo a partire dal 1974 (Flixborough 1974, Seveso 1976, San Carlos de la Rápita 1978, Bhopal e Città di Messico 1984) hanno acuito la sensibilità dell'opinione pubblica in merito alla sicurezza delle industrie di processo e all'uso delle sostanze pericolose. Si è così sviluppato un orientamento fautore di una cultura della sicurezza, che ritiene che il pericolo ambientale connesso alle attività industriali debba essere oggetto di sensibilizzazione delle varie fasce sociali, prima ancora di essere oggetto di un'accurata disciplina. In tutti i paesi industrializzati il sistema politico e produttivo ha assunto la consapevolezza che l'equilibrio tra esigenze di sviluppo ed esigenze di salvaguardia dell'incolumità delle persone e dell'ambiente può derivare solo da un'affermazione della sicurezza come principio e cultura. Ma prima dei vari coinvolgimenti a livello sociopolitico la cultura della sicurezza deve svilupparsi nelle aziende. Ciò non significa che in passato, presso le aziende, il concetto di sicurezza fosse assente: gli impianti produttivi sono sempre stati progettati e gestiti con l'esigenza di proteggere persone e beni (e, più tardi, anche l'ambiente), ma non sempre con il dovuto rigore.
Solo in tempi relativamente recenti sono state utilizzate tecniche di analisi del rischio e della sicurezza di processo (process safety analysis) che andrebbero applicate in modo sistematico sin dalla progettazione dell'installazione e aggiornate durante il suo esercizio. L'analisi della sicurezza di processo ha infatti tra i suoi obiettivi fondamentali l'individuazione dei pericoli potenziali inerenti alle sostanze in gioco e la definizione dei limiti e degli intervalli delle diverse variabili operative e dei parametri del processo entro i quali è possibile operare in sicurezza. A fronte di eventi non desiderati, nella documentazione di processo degli impianti devono essere descritti gli accorgimenti necessari per la riduzione del rischio, come la strumentazione, i blocchi e i controlli automatici, corredati dall'indicazione di procedure operative adeguate. Va comunque evidenziato che, sul piano della s. i., la gestione degli impianti è enormemente facilitata dall'introduzione sempre più estesa e perfezionata di sistemi di controllo computerizzati. Particolare rilevanza ha assunto anche la messa a punto di apparecchiature di analisi termica per lo studio del comportamento delle sostanze in varie condizioni, indagini che consentono di attuare criteri di sicurezza attiva.
Anche a prescindere dall'esito delle relative pratiche, l'elaborazione dei rapporti di sicurezza per le attività a rischio di incidente rilevante ha consentito a varie aziende di rivedere i propri sistemi di gestione della s. i., di definire meglio i piani di emergenza e di prendere provvedimenti per ridurre il rischio di incidenti, con interventi di natura sia tecnica sia gestionale e di formazione del personale, tenuto conto, in particolare, del fatto che la maggior parte degli incidenti si verifica a causa anche di errori umani. Un apporto decisamente positivo ha avuto anche l'introduzione del Programma Responsible Care, un'iniziativa mondiale dell'industria chimica, lanciata in Italia dalla Federchimica nel 1992. Non ultimo, infine, è il ruolo delle università, che solo tardivamente hanno affrontato, in modo sistematico, il problema della formazione specifica dei tecnici e quello della ricerca in materia di sicurezza.
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