MARTINI, Simone
Pittore, morto in Avignone nel luglio del 1344. S'ignora in quale anno sia nato a Siena. Il Vasari indica il 1284, data non certa, ma verosimile, se si considera che quando nel 1315 Simone dipinse per la Sala del mappamondo nel Palazzo Pubblico senese la Vergine in trono circondata da angeli e da santi doveva essere già ben noto come artista per ricevere, vivente ancora Duccio, un incarico di tanta importanza. Un documento del 23 giugno 1317 lo mostra a Napoli, salariato con cinquanta once d'oro annuali dal re Roberto d'Angiò, di cui dipinse l'Incoronazione. Nel 1320 terminava per l'altar maggiore della chiesa di S. Caterina in Pisa un polittico. Nel 1324 sposò Giovanna, figlia di Memmo di Filippuccio, pittore, e l'anno seguente ricevette pagamenti per l'esecuzione di una pittura destinata al Palazzo del Capitano del popolo. Nel 1326, per incarico del comune di Siena, si recò a ispezionare alcune case nei dintorni della città. Piccoli lavori liquidatigli nel 1328 provano che nella sua bottega si eseguivano anche particolari di decorazione. La stessa data 1328 si legge sotto un affresco del Palazzo Pubblico rappresentante Guidoriccio da Fogliano. L'anno appresso gli pagano due Angeli destinati alla cappella del Consiglio dei Nove nello stesso palazzo e la decorazione di alcune case appartenenti al comune ad Ansidonia. Nel 1330 dipinge nel Concistoro dei Nove una figura di Marco Regolo. Nel 1331 lavora ad Arcidosso e a Castel del Piano ed esegue il piedestallo di una croce per la cappella dei Nove; tutte codeste opere sono perdute. È firmata e datata 1333 la superba Annunciazione fatta per l'altare di S. Ansano nel duomo di Siena, oggi agli Uffizî. Nel febbraio del 1339, insieme con la moglie e col fratello Donato, anche anche lui pittore, partì per Avignone, dove morì.
Del M. non si conoscono opere giovanili, e il tentativo di farne uno scolaro del suocero Memmo di Filippuccio, che nel 1317 dipinse nella sala del Palazzo pubblico di S. Gimignano insieme col figlio Lippo, non è controllabile perché di Memmo di Filippuccio non ci rimane alcun'opera certa.
L'affresco del 1315 mostra già nella loro piena maturità tutti gli elementi dell. ane del M. Essa rielabora abilmente il modello offerto dalla Maestà di Duccio terminata quattro anni prima, ma segna poi su di essa un grande progresso. Là dove Duccio aveva disposto sul fondo d'oro le sue figure in un rigido e solenne addensamento, Simone crea uno spazio al quale la disposizione obliqua degli angeli e dei santi collocati su tre gradini, la parziale coincisione delle figure e la prospettiva del baldacchino, guardando dal basso, dànno una notevole profondità. Certo in quest'opera mancano la grandiosità ieratica, la profondità morale del grande caposcuola senese, ma l'aspirazione alla bellezza vi si esprime già con ritmi di eleganza fastosa, con la seduzione d'una linea mobile, raffinata, musicale, la quale dimostra che il movimento gotico europeo ha conquistato l'artista e l'ha trascinato nella sua corrente. Il primo versetto del libro della Sapienza: "Diligite iustitiam, qui iudicatis terram", le parole della Madonna espresse sul secondo gradino del trono in ingenui endecasillabi dànno un valore simbolico all'affresco. Collocata sull'alto trono gotico, asolata nella sua grandezza dalle gerarchie celesti che l'attorniano la Vergine è la vera signora e regina, la sublime consigliatrice che partecipa a ogni deliberazione dei reggitori della città posta sotto il suo patronato (Weigelt).
È quasi certo che la tavola passata dalla chiesa di S. Chiara a quella di S. Lorenzo e da questa al Museo Nazionale dì Napoli, rappresentante S. Luigi di Tolosa che incorona re Roberto d'Angiò suo fratello, fu eseguita nello stesso anno della canonizzazione di Luigi (1317), per sanzionare con un così alto intervento la legittimità della successione, rivendicata dai ghibellini a Canroberto d'Ungheria, nipote del santo che vi aveva rinunciato. Satura di spirito gotico, la composizione è intesa in una verticalità assoluta che bene fu paragonata allo slancio verticale di una cattedrale. L'immagine della santità vi appare espressa con un sentimento che trascende i limiti terreni. Lo sfarzoso piviale rosso, fermato sul petto di S. Luigi da un gioiello smaltato con lo stemma degli Angiò, si drappeggia in sinuosi ondeggiamenti, in ampî ritmi, sotto i quali il corpo sembra sparire. Tutta l'intensità della vita interiore è concentrata nel volto pallidissimo, nello sguardo che si perde lontano, nella esiguità delle lunghe dita esangui. E, come lo splendore principesco del piviale prezioso, dei rilievi d'oro, della larga orlatura, adorna dei colori e del giglio araldico angioino, contrastano all'umiltà del saio francescano che San Luigi indossa sotto il sontuoso manto, così il ritratto realistico del re, dalla bocca dura e crudele, opponendosi alla trascendentalità di quella maschera metafisica, ne esalta il valore spirituale.
La tavola di Napoli e l'immagine di Guidoriccio, magnifica espressione di forza e di dominio giganteggiante sull'orizzonte di un astratto paesaggio di prospettiva spirituale, di concezione spaziale pura, ci dànno la misura delle possibilità di Simone ritrattista e giustificano l'ammirazione del Petrarca per quel perduto ritratto di Laura, che il pittore senese aveva eseguito dopo l'incontro col poeta in Avignone.
Tutta la raffinata squisitezza dell'arte del M., tutta la purità immacolata della sua pittura, si rivelano nel polittico del 1320, ora diviso fra il Museo civico di Pisa e la chiesa di S. Caterina di quella città, e nel più famoso dei suoi quadri, l'Annunciazione della Galleria degli Uffizî, che egli sottoscrisse insieme con Lippo Memmi. Sul fondo d'oro le due immagini appaiono come una visione estatica, fuori del tempo e dello spazio, e pur tuttavia circondata di un prodigioso fasto mondano. Le curve delicate delle vesti si armonizzano con i gesti. La linea immediata, rapida, che suggerisce il movimento senza quasi il bisogno della forma, si svolge in cadenze sostenute, per esaurirsi fino in fondo alle sue possibilità. Essa crea un moto leggiero e continuo, come una vibrazione che trasforma la superficie, rarefacendo le figure in un clima di magia, delimitando in sagome squisite larghe zone di colore puro: toni che a mano a mano s'imbevono di luce, si trasformano insensibilmente in luce pura. Cose quasi indicibili, per le quali il Berenson pensò al primo chiarore del sole sulla neve.
Non è noto quando Simone dipinse per la cappella del cardinale Gentile da Montefiore in Assisi le storie di S. Martino e di altri santi (I, tav. CX; VI, tav. CCVI). Tutte le date, fra il 1318 e il 1339, sono state proposte per quel ciclo, al quale probabilmente egli attese intorno al 1320. Nelle varie scene la composizione è semplice; sostituita al fondo d'oro delle tavole una campitura d'un irreale azzurro notturno, le immagini si delineano come variazioni coloristiche di quel fondo. Pur senza proporsi di creare piani plastici e volumi, la linea qui non si espande nell'arabesco, ma suggerisce la forma, non si contenta di stagliare su un piano, ma dispone in prospettive meditate le figure ricche di senso epico e cavalleresco.
Giunto il M. in Avignone, la limpidità della sua grafica s'intorbida e il suo linearismo che s'infletteva in un'armoniosa vicenda di cadenze irregolari ma non capricciose, molli ma senza agitazione, tendendo sempre più all'astrazione, eccedendo talvolta nella ricerca della preziosità, stremato per tormento di raffinatezza, lascia presentire la sua prossima consunzione. Invece le opere del periodo avignonese sono contrassegnate da un crescente desiderio degli effetti drammatici e da un'intensa preoccupazione di rendere l'espressione dell'anima. Ancora non irrigidite dal progressivo prevalere degli schemi gotico-nordici, queste tendenze appaiono nella piccola pala, firmata ma non datata, divisa tra il Louvre e i musei di Anversa e di Berlino, nella quale la Passione del Signore è narrata ciclicamente, in una realtà di vita vissuta, sostituendo la commozione patetica alla severa compostezza e alla grandiosità morale di Duccio. Ma nella tavoletta del museo di Liverpool, rappresentante il ritorno di Gesù dal Tempio (1342), mirabile per espressione di ansioso amore materno, i panneggiamenti si aggrovigliano, la fermezza delle figure, sottolineata dalla nitidezza dei contorni, non compensa l'incanto della grazia perduta, la foga lineare si accentua con un arresto di qualità.
Secondo la testimonianza del Ghiberti, dal 1324, quando Simone sposò la sorella di Lippo Memmi, questi lavorò con lui. La collaborazione comincia ad apparire nel polittico emigrato da Orvieto nella collezione Gardner a Boston, che il Berenson datò intomo al 1325. Anche negli affreschi di Assisi appare l'intervento di un aiuto che, senza argomenti fondati, si è identificato col fratello Donato.
La linea che determina la presentazione delle immagini a guisa di arabesco sopra superficie perfettamente proporzionate è l'elemento essenziale, ma non esclusivo di M. Essa regge sempre le graduazioni del colore che ricerca effetti raffinati in modo sottilissimo, con infinitesime modulazioni intonate così da assumere valori decisivi con le inflessioni più esigue. In tal modo, obbedendo a una legge di ritmo, il senso del colore nella pittura del M. acquista non solo qualità di suggestione lirica, ma anche carattere e valori trascendentali, come è il senso della pietra e del bronzo nella scultura.
Altre opere oltre quelle ricordate: Assisi, transetto destro della chiesa inferiore, S. Ludovico da Tolosa, S. Francesco, S. Chiara, S. Elisabetta d'Ungheria; Avignone, avanzi di affreschi nel portico della cattedrale; Bruxelles, collezione Stoclet, l'Annunziata; Cambridge, Fitzwilliam Museum, I Ss. Michele, Agostino e Ambrogio (opera di collaborazione); Cambridge (Mass.), Fogg Museum, Crocifisso; Firenze, collezione Berenson, S. Lucia; ivi, La Maddalena; Leningrado, ex-collezione Stroganoff, l'Annunziata; Milano, Ambrosiana, miniatura su frontespizio di un codice di Virgilio; Napoli, Museo nazionale, Il Redentore; New York, collezione Maitland Griggs, S. Giovanni Evangelista; Orvieto, Opera del Duomo, Madonna; ivi, polittico (1320); Parigi, collezione Berghoff, S. Giovanni Evangelista; Roma, Pinacoteca Vaticana, Cristobenedicente; museo di palazzo Venezia, Madonna (?); S. Casciano in Val di Pesa, Misericordia, Crocifisso dipinto; Siena, sagrestia della chiesa di S. Agostino, trittico con storie del Beato Agostino Novello (?); Vienna, Galleria Liechtenstein, Santa Martire.
V. tavv. XCI-XCIV.
Bibl.: A. Gosche, S. M., Lipsia 1899; R. van Marle, S. M. et les peinters de son école, Strasburgo 1920; E. Cecchi, Trecentisti senesi, Roma 1928; L. Gielly, Les primitifs siennois, Parigi 1929; C. H. Weigelt, La pittura senese del Trecento, Bologna 1930; M. Micheli, S. M., Torino 1931; G. H. Edgell, A history of Sienese painting, New York 1932.