Sionismo
Il termine 'sionismo', coniato da Nathan Birnbaum, si ricollega con Sion, uno dei nomi biblici di Gerusalemme. Dal punto di vista religioso e letterario esso indica l'attrazione - politica e ideale - esercitata dalla 'Terra Promessa' tanto sugli Ebrei quanto sui non Ebrei. Per questo si può parlare anche di sionismo cristiano o africano per indicare alcuni movimenti messianici e chiese sincretiste, intendendolo come volontà di ritorno alle origini, siano esse geografiche, storiche o immaginarie.
Per gli Ebrei la vocazione al ritorno alla Terra dei Padri è una costante religiosa, poetica, mistica e messianica. Fa parte della liturgia quotidiana e ha ispirato la cultura della diaspora sino all'epoca moderna. È considerata elemento legittimante della creazione dello Stato d'Israele e, come tale, è stata inserita nel testo della sua Dichiarazione d'indipendenza nel 1948. Anche dopo la fondazione dello Stato d'Israele il sionismo rimane un'aspirazione spirituale permanente dell'ebraismo.In senso stretto il termine si riferisce alla moderna rinascita nazionale e politica ebraica. Nato come reazione all'antisemitismo, il sionismo si è identificato con il movimento fondato nel 1897 da Theodor Herzl (1860-1904), mirante alla costituzione di uno Stato sovrano in Palestina. La realizzazione dello Stato d'Israele, nel 1948, ha suscitato grandi emozioni e risvegliato l'interesse ebraico per il sionismo, ma il movimento è rimasto ancora una tendenza minoritaria e contestata all'interno e all'esterno dell'ebraismo. Contrariamente all'opinione corrente, la diaspora ebraica non aveva accolto l'appello di Herzl nemmeno nei paesi dove gli Ebrei erano vittime dell'antisemitismo. D'altra parte, lo sterminio degli Ebrei d'Europa non è stato un fattore determinante nella creazione dello Stato d'Israele, e lo ha privato delle sue maggiori riserve demografiche e intellettuali.
La rinascita politica ebraica ha le sue radici nell'illuminismo, nel romanticismo, nel nazionalismo europeo, nel marxismo, nel moralismo tolstojano. Sotto l'etichetta del sionismo sono coesistiti e continuano a coesistere correnti di pensiero e interessi molto diversi fra loro, che ne spiegano la vitalità e le contraddizioni. Le sue tre principali caratteristiche sono: la natura colonial-nazionale e al tempo stesso rivoluzionaria del movimento herzliano; la struttura socioeconomica, condizionata dai molteplici luoghi geografici e dalle diverse culture in cui il sionismo si è sviluppato; la dimensione religiosa.
Il termine 'coloniale' è qui usato per indicare quella condizione di dipendenza individuale e collettiva che comporta un meccanismo di obbligata coesistenza e collaborazione fra gruppi di disuguale capacità giuridica, economica, militare e politica. In un contesto così definito emergono notevoli somiglianze fra la situazione delle masse ebraiche dell'Europa centrale e orientale all'inizio del XX secolo e quella di molte popolazioni delle colonie degli Stati europei. Somiglianze spesso nascoste dalle persecuzioni religiose e razziali di cui gli Ebrei sono stati oggetto, nonché dalla pelle bianca della maggioranza di essi.
Le più evidenti fra queste somiglianze - ugualmente denunciate dal sionismo e dai movimenti di liberazione coloniale afroasiatici - sono l'alienazione delle rispettive élites, la discriminazione legale, economica e sociale, il divario delle forze politiche e militari. Esse aiutano a comprendere la paradossale situazione del sionismo: accusato dagli Arabi di rappresentare una forma di colonialismo, è stato contemporaneamente preso a modello da movimenti anticolonialisti, specie africani. Ad esempio il braccio destro di Herzl, Max Nordau (1849-1923), psicologo ebreo francese di origine ungherese e famoso scrittore, dichiarava al I Congresso sionista del 1897: "La miseria ebraica ha due forme, materiale e morale. Nell'Europa orientale, nell'Africa settentrionale e nell'Asia occidentale va intesa letteralmente come lotta giornaliera per la sopravvivenza fisica. Nell'Europa occidentale la miseria è invece morale [...] L'ebreo ha perduto la casa del ghetto ma la terra in cui è nato gli è vietata [...] è insicuro nei confronti dei suoi simili, timido verso gli stranieri, sospettoso dei sentimenti segreti dei suoi correligionari [...]. Si è trasformato in un minorato spirituale". Concetti del genere saranno sviluppati cinquant'anni più tardi da Frantz Fanon - francese di origine antillese, lui pure medico, psicologo, teorico dell'anticolonialismo africano. Gli Africani - sosteneva - sono, come gli Ebrei, "uomini oggetto". Hanno abbandonato i valori della propria cultura per la perdita della propria identità e per "la disperazione di chi si annega nella cultura che gli viene imposta".
Il sionismo non combatteva, dunque, soltanto l'oppressione antisemita ma anche l'assimilazione degli Ebrei nella società occidentale, in quanto perdita dell'identità collettiva. Riteneva l'integrazione impossibile perché il 'paese legale' offriva loro un'eguaglianza che il 'paese reale' negava. C'era tuttavia una differenza fondamentale tra la richiesta d'indipendenza politica degli Ebrei e quella dei nazionalisti europei e dei popoli coloniali. In ambedue i casi si trattava di un rifiuto dell'oppressione politica, di un'aspirazione all'uguaglianza e al riconoscimento della propria identità politica, ma Italiani, Ungheresi, Polacchi o Algerini volevano governarsi da soli perché rifiutavano di identificarsi con i popoli che li dominavano, mentre i sionisti chiedevano la sovranità perché avevano perduto la speranza di potersi identificare con i popoli presso cui risiedevano. L'insicurezza che nasceva da questa impossibilità di integrazione era il punto di partenza del programma di Herzl. Egli considerava l'antisemitismo non solo come la causa prima della questione ebraica ma anche come una 'malattia congenita' della civiltà europea. Creando un proprio Stato, gli Ebrei si sarebbero sottratti alla persecuzione e nello stesso tempo avrebbero contribuito a guarire l'Europa dalla sua giudeofobia. Era un aspetto 'positivo' dell'antisemitismo su cui Herzl faceva leva per ottenere l'appoggio dei governi - e in particolare di quello zarista, il più antisemita di tutti - al suo programma. Quanto alla scelta della Palestina, essa era dettata dall'attaccamento emotivo, religioso, storico degli Ebrei alla Terra Promessa che aveva oltre tutto, secondo Herzl, il vantaggio di essere una delle più povere regioni dell'Impero ottomano: il sultano avrebbe potuto essere indotto a cederla agli Ebrei in cambio di vantaggi economici, permettendo così "a un popolo senza terra di far fiorire una terra senza popolo". Idea demograficamente inesatta, che in seguito si sarebbe trasformata in una delle costanti accuse arabe contro il sionismo.
La natura 'rivoluzionaria' del sionismo si ispirava alla Rivoluzione francese e all'illuminismo, che presso gli Ebrei trovò espressione, a partire dal XIX secolo, in una corrente intellettuale chiamata haskālāh. Essa rappresentava la volontà di rinnovamento della cultura ebraica tradizionale e di emancipazione dalla religione, che - nel caso sionista - avrebbe condotto alla creazione di uno Stato laico e democratico. Per i religiosi ciò equivaleva a una rivolta contro la sovranità divina e, in questo senso, rappresentava una trasformazione rivoluzionaria dell'essenza stessa del popolo d'Israele.
La struttura socioeconomica del sionismo ha le sue radici nel contesto culturale e politico d'Europa e della Palestina ottomana e britannica. L'Europa orientale, dove all'epoca di Herzl vivevano grandi masse ebraiche, era una regione agricola, agli albori dell'industrializzazione, con un sottile strato di borghesia nazionalista, antisemita e in fase di emergenza politica. L'ostilità delle classi medie verso gli Ebrei non era soltanto dovuta a una radicata giudeofobia di tradizione religiosa cattolica o protoslava. Era l'odio verso lo straniero che s'infiltrava nelle loro file e che doveva essere espulso per salvaguardare interessi economici, unità nazionale e purezza razziale. Per di più la posizione sociale degli Ebrei in queste regioni era paradossale: poverissimi, privati dei diritti politici e del possesso della terra, vivevano in strutture comunitarie di tipo medievale che lo Stato nazionale stava ovunque assorbendo o cancellando. Invisi alla popolazione per la diversità religiosa - e l'accusa di deicidio -, per la differenza nel vestire, nel mangiare, nel parlare (yiddish), si distinguevano anche per un più alto livello culturale che li faceva ricercare come agenti dei grandi proprietari terrieri, russi o polacchi, di cui generalmente seguivano le alterne sorti politiche. Inoltre, questo popolo, emarginato e pauperizzato, si moltiplicava - grazie alle norme igieniche imposte dalla religione e a una migliore conoscenza della medicina moderna - a un tasso molto superiore a quello dei paesi europei e asiatici. Difficoltà economiche, emancipazione o speranza di emancipazione provocavano un costante movimento migratorio ebraico dalle campagne verso le città, dall'est all'ovest europeo e poi alle Americhe. Vienna, ad esempio, che nel 1850 contava 2.000 Ebrei, ne registrava 200.000 nel 1900. Ciò rendeva il processo di integrazione degli Ebrei ancora più difficile, incrementando l'ostilità antisemita delle classi medie locali.
I sionisti consideravano il fenomeno irreversibile, anche perché erano convinti che la struttura socioeconomica ebraica fosse anormale. Diversamente da quella locale, essa si presentava sotto forma di 'piramide rovesciata', con nessun contadino e pochi operai alla base, e una massa di piccoli commercianti e di intellettuali 'sfaccendati' all'apice. Anche per l'influenza delle teorie tolstojane, i sionisti miravano a 'normalizzare' questa struttura capovolgendola, senza rendersi conto che, ciò facendo, sarebbero andati contro il processo di modernizzazione già in atto nei paesi industrializzati europei e d'oltreoceano. Un errore ottico comprensibile, che si sarebbe dimostrato in seguito un ostacolo allo sviluppo economico di Israele.
La dimensione religiosa è l'aspetto più critico del sionismo. L'identità ebraica non è determinata, come per altri popoli, dal luogo di residenza, dalla lingua o dall'esperienza storica comune. È determinata da una religione nazional-tribale a vocazione universale, teocratica e priva di gerarchia centrale. La tradizione sacra operava - e continua a operare - come elemento legittimante e unitario del popolo ebraico e rifiutava, come già ricordato, il carattere nazionale, laico e democratico del sionismo. Questa non era però la posizione di tutti i rabbini. Quelli italiani, ad esempio, furono accesi sostenitori del sionismo, proprio perché vedevano in esso un rimedio alla perdita di identità e di cultura tradizionale dovuta all'assimilazione. Ma la maggioranza dei rabbini tedeschi osteggiarono il movimento nazionale e ancora di più lo combatterono i rabbini dell'Europa orientale, che vedevano in esso - come continuano a vedere gli ortodossi in Israele - una rivolta contro Dio. Atteggiamento che ha contribuito, unitamente alla fiducia riposta dagli Ebrei nell'emancipazione, a determinare la loro passività di fronte allo sterminio nazista. Da qui la posizione ambigua attuale degli ortodossi che, pur negando la legittimità dello Stato d'Israele, partecipano - salvo qualche piccolo gruppo estremista - alle sue istituzioni e ai suoi governi.
Fra i precursori del sionismo politico va annoverato Moshe Hess (1812-1875) che, nel suo libro Rom und Jerusalem, vede il ritorno degli Ebrei in Palestina come una parte del movimento di liberazione nazionale dei popoli europei. Un altro precursore è lo scrittore Perez Smolenski (1842-1885) che, con la fondazione, nel 1865, della rivista "Ha-Shahar" (l'Alba), uno strumento per il risveglio della coscienza nazionale fra gli Ebrei, e la pubblicazione dei suoi libri, dà inizio a un periodo nuovo nelle lettere ebraiche. Una data significativa è quella della pubblicazione, nel 1882, di un libro in lingua tedesca, Autoemanzipation, di un medico ebreo di Odessa, Yehuda Leib Pinsker (1821-1891). Scritto per reazione alle ondate di antisemitismo scatenatesi nell'Impero russo a seguito dell'assassinio dello zar Alessandro II, il libro apparteneva a un nuovo tipo di letteratura politica e sociale in lingua yiddish, ebraica e russa, promossa da un vivace giornalismo ebraico.
Si trattava di un pamphlet, considerato in seguito come il primo 'manifesto' del sionismo, che conteneva un programma d'azione piuttosto vago e una crudele analisi della situazione degli Ebrei in Russia alla fine del XIX secolo. Pinsker lanciava un grido di rabbia e di orgoglio contro la timidezza delle dirigenze ebraiche e i tentativi di un'assimilazione diventata, secondo lui, ormai impossibile in Russia. "Quando siamo sfruttati, derubati, disonorati, non abbiamo il coraggio di difenderci e, peggio, accettiamo questa situazione come naturale [...]. Siamo caduti così in basso da gioire quando, in Occidente, una piccola frazione del nostro popolo è equiparata ai non Ebrei".
Pinsker auspicava una soluzione territoriale della questione ebraica, ma non pensava alla Palestina come sola possibile sede per uno Stato ebraico. Cercava una terra che fosse un rifugio contro la persecuzione e con il suo libro diede impulso al movimento dei Ḥovevei Zion (Amanti di Sion), formato da gruppi di giovani decisi a emigrare in Palestina per darsi al lavoro della terra. Il centesimo compleanno del grande mecenate ebreo inglese, protettore degli Ebrei dei paesi arabi, sir Moses Montefiore, offrì l'occasione di istituzionalizzare il movimento, nel 1894, a Katowice, nella Polonia meridionale. Vi parteciparono una trentina di delegati e Pinsker ne divenne il presidente. I risultati pratici di queste iniziative per il ritorno in Palestina furono modesti - portarono solo alla creazione di una mezza dozzina di villaggi agricoli - ma ebbero un impatto psicologico importante. Nel 1887 esistevano decine di gruppi di sostenitori dei Ḥovevei Zion, con 14.000 iscritti e significative contribuzioni finanziarie. Inoltre dalla critica del movimento fatta da uno dei suoi inviati in Palestina, Asher Zvi Ginzberg (1856-1927), meglio noto con il suo pseudonimo di scrittore, Ạhad ha-Am (Uno del popolo), nasceva un'importante corrente intellettuale, il 'sionismo spirituale'. Essa illustrava le contraddizioni di un movimento nato nella diaspora, che aveva nella religione l'unica base comune di identità, e metteva in guardia contro i pericoli dello scontro fra la cultura tradizionalista teocratica ed elitista e la cultura modernista, laica e populista. Il popolo ebraico - sosteneva Ginzberg - non era preparato a far fronte alle sfide della sovranità. Aveva bisogno, prima di accedervi, di temprarsi in un 'centro spirituale' in Terra d'Israele, con l'aiuto di maestri capaci di far evolvere "il popolo del Libro in popolo dei libri".
Le idee di Ginzberg non si concretizzarono, ma ebbero un impatto diretto sull'insegnamento nelle scuole ebraiche della Palestina e contribuirono alla fondazione, nel 1925, dell'Università ebraica di Gerusalemme, istituzione che è stata a lungo un centro di formazione delle dirigenze ebraiche prima e dopo la costituzione dello Stato. Il punto debole del sionismo spirituale erano i lunghi tempi necessari alla sua realizzazione, e il tempo faceva tragicamente difetto agli Ebrei d'Europa. Tuttavia la convinzione di Ginzberg che il popolo d'Israele dovesse rimanere 'diverso' anche nell'uso della sua sovranità è rimasta una costante dell'immaginario collettivo ebraico e non ebraico.
Una seconda data, più determinante per l'evoluzione del movimento nazionale ebraico, fu la convocazione a Basilea, il 29 agosto 1897, del I Congresso sionista da parte di Theodor Herzl. Il Congresso fissò gli scopi e la natura del movimento sionista nella formula nota come 'Programma di Basilea': "Il sionismo aspira alla creazione in Palestina di una sede nazionale per il popolo ebraico garantita dal diritto pubblico".
Herzl era un giornalista e scrittore di teatro viennese, di origine ungherese, assimilato al punto da affidare ai suoi diari l'idea che la questione ebraica avrebbe potuto risolversi con la conversione in massa dei rabbini al cristianesimo, in cambio di una 'garanzia' internazionale contro l'antisemitismo.
Personaggio straordinario per determinazione e immaginazione politica, dotato di portamento regale e di incrollabile fiducia nella bontà delle sue idee, fu alternativamente considerato dai suoi contemporanei, Ebrei e non Ebrei, come un invasato, un santo, un profeta e un grande uomo di Stato. La scintilla che accese il fuoco sionista herzliano fu la pubblica degradazione di Dreyfuss, il capitano di Stato Maggiore francese ingiustamente coinvolto in un affare di alto tradimento perché ebreo. Herzl vi assistette come corrispondente a Parigi della "Neue Freie Presse", di Vienna, senza prendere una chiara posizione sull'affaire, ma lo scoppio di antisemitismo che lo accompagnò in Francia - la nazione antesignana dell'emancipazione ebraica e custode dei diritti dell'uomo - lo convinse della necessità di cercare "una soluzione moderna alla questione ebraica" (frase messa a sottotitolo del libretto intitolato Der Judenstaat, in cui espose il suo programma). Herzl non si proponeva di salvare l'ebraismo ma gli Ebrei da una catastrofe che riteneva inevitabile. Mirava a ottenere dalle grandi potenze una 'Carta' che garantisse loro il diritto a uno Stato rifugio da lui immaginato come una versione ebraica della Vienna 'fin de siècle'. La lingua sarebbe stata il tedesco, i rabbini sarebbero rimasti "nelle sinagoghe come i militari nelle caserme", la scienza avrebbe contribuito a risolvere i problemi tecnici ed economici, la neutralità quelli politici. Il suo libro di profetica fantascienza, Altneuland, in cui descrive questo futuro Stato fa pensare a Jules Verne. In ambedue i casi la realtà si sarebbe dimostrata, alla fine, superiore all'immaginazione.
Le istituzioni che Herzl aveva immaginato e creato per supplire al rifiuto dei ricchi ebrei di sostenerlo - una Banca (Jewish Colonial Trust) nel 1899, di cui gli Ebrei del mondo sarebbero diventati azionisti; un Fondo Nazionale, nel 1901, per l'acquisto inalienabile di terreni per il popolo ebraico in Palestina; un giornale "Die Welt", per pubblicizzare il movimento; un congresso che servisse da parlamento - sarebbero stati gli strumenti embrionali per la creazione dello Stato d'Israele. Nonostante la sua frenetica attività diplomatica, in cui perse la salute e le notevoli ricchezze della sua famiglia, Herzl non ottenne né la Carta nazionale né una base territoriale per il suo progetto. Riuscì tuttavia a porre all'attenzione dei governi europei e delle masse ebraiche il problema ebraico sotto una luce nuova. Il suo merito fu di aver restituito agli Ebrei una coscienza politica e un senso di orgoglio nazionale che ortodossia, assimilazione e antisemitismo sembravano aver estinto. Il problema che lasciò in eredità ai suoi successori e allo Stato d'Israele era quello del ruolo degli Ebrei nel mondo moderno. Sino alla comparsa del sionismo politico questo ruolo era rimasto quello definito nel 942 da Sa'adyāh al-Fayyūmi (Saadia Gaon), filosofo, traduttore della Bibbia in arabo e capo della comunità ebraica di Babilonia: gli Ebrei esistono come strumento del giudaismo. Con l'emancipazione, il modernismo, il laicismo e il sionismo politico c'era il rischio che essi restassero uniti e caratterizzati solo dal loro comune interesse a sottrarsi alla persecuzione antisemita. Da qui la fioritura di pensatori, scrittori, educatori che cercavano, come Ginzberg, di dare un compito storico nuovo agli Ebrei: il ritorno nella loro terra. C'era tra essi gente dalle opinioni molto differenti: da coloro che, con M.J. Berdyczewski (1865-1921), agognavano di liberare gli Ebrei mediante il sionismo dal 'giogo dei rabbini', a Nahman Syrkin (1867-1924) e Berl Borochov (1881-1917) che affidavano al sionismo un compito esemplare all'interno del socialismo, fino al discepolo di Tolstoj A.D. Gordon (1856-1922), che nel ritorno degli Ebrei al lavoro fisico, nella loro terra, vedeva il mezzo per creare 'l'ebreo dell'avvenire' in sostituzione di quello alienato della diaspora.
La terza data importante nella storia del sionismo è il 2 novembre 1917, giorno in cui il ministro degli Esteri britannico Arthur J. Balfour (1848-1930) inviò a lord Rothschild una lettera con la quale il governo di Londra riconosceva il diritto degli Ebrei alla costituzione di una "sede nazionale" in Palestina. A questa dichiarazione si associarono Francia e Italia nel febbraio del 1918.
La lettera, nota in seguito come 'Dichiarazione Balfour', rappresenta la pietra angolare diplomatica su cui venne eretta la costruzione politica ed economica del sionismo. Fu anche il suo primo concreto successo internazionale, frutto dell'attività diplomatica - ma anche scientifica - di Chaim Weizmann (1874-1952), le cui scoperte in campo chimico erano state un contributo allo sforzo bellico. Presidente dell'Organizzazione Sionista che, a causa della guerra, aveva trasferito la sua sede da Berlino alla Danimarca e poi a Londra, Weizmann, futuro presidente di Israele, era un personaggio molto differente da Herzl. Educato nella cultura tradizionale ebraica nell'Europa orientale - di cui, al contrario di Herzl, conosceva intimamente i problemi economici e sociali -spostò l'asse politico del movimento sionista dal mondo tedesco a quello anglosassone, di cui preconizzava la vittoria nella grande guerra. La Dichiarazione Balfour riconobbe il ruolo politico dell'ebraismo americano a favore dell'entrata in guerra dell'America e quello del sionismo nella ristrutturazione politica dei territori dell'Impero ottomano.
Da quel momento, in trent'anni di alterne e drammatiche vicende, il movimento sionista fu condizionato da quattro principali fattori: antisemitismo, nazionalismo arabo, politica imperiale britannica e apatia delle masse ebraiche nei confronti del ritorno degli Ebrei a Sion, accompagnata spesso dall'ostilità delle loro dirigenze. Il sionismo animato da grandi speranze fra il 1917 e il 1935 e segnato dalla tragedia sino alla proclamazione dello Stato d'Israele nel 1948, riscosse notevoli successi nel primo di questi due periodi: riconoscimento dei diritti nazionali ebraici sulla Palestina alla Conferenza della pace di Parigi nel 1919; creazione dell'Agenzia Ebraica - primo embrione di un governo sionista - all'interno del mandato britannico sulla Palestina (che sino al 1922 comprendeva la Transgiordania); nascita nel 1922 della Histadruth (Federazione dei lavoratori ebrei di Palestina) con il suo dipartimento semilegale per la difesa, la Hagānāh; fondazione, nel 1925, dell'Università ebraica di Gerusalemme; estensione della partecipazione all'Organizzazione Sionista dei gruppi ebraici non sionisti; ufficializzazione dell'ebraico come lingua nazionale; incremento della popolazione ebraica in Palestina fino a oltre 300.000 anime.Il secondo periodo coincide con l'avvento al potere di Hitler in Germania, la crescita dell'antisemitismo in Europa, la politica antiebraica e antisionista nell'URSS, il graduale abbandono dell'appoggio britannico alla sede nazionale ebraica in Palestina, come conseguenza dell'evoluzione politica in Europa e della crescita dell'opposizione araba al sionismo. Il periodo si conclude con la rinuncia inglese al mandato in Palestina, dopo anni di sorda lotta terroristica delle correnti nazionaliste ebraiche più radicali e di scontri diplomatici con l'Agenzia Ebraica. Nel corso di questo trentennio le componenti ideologiche del movimento sionista si sono istituzionalizzate sia in difesa dei propri interessi e delle proprie concezioni politico-sociali, sia in conseguenza degli avvenimenti esterni.
La corrente del sionismo sintetico era guidata da Weizmann, che con il termine 'sintetico' voleva indicare una strategia, priva di una forte carica ideologica, mirante a creare le basi materiali per il ritorno degli Ebrei in Palestina, senza però che essi perdessero i loro valori culturali e spirituali. A tale scopo Weizmann riteneva indispensabile la cooperazione dell'Organizzazione Sionista con l'Inghilterra, posizione che a partire dal 1942 lo mise in aperto contrasto con David Ben Gurion (1886-1973), deciso a creare un commonwealth ebraico con l'appoggio americano ('Programma di Biltmore') contro Londra.
La corrente socialista, guidata da Ben Gurion e frazionata in vari partiti marxisti, si poneva invece come primo scopo lo sviluppo di una società ebraica 'normalizzata', laica, socialista, senza tuttavia insistere, nell'immediato, sulla creazione di uno Stato indipendente. Con il controllo dell'Organizzazione Sionista Mondiale, dell'Agenzia Ebraica, della Federazione dei lavoratori ebrei di Palestina, la Histadruth - vero Stato nello Stato -, delle forze paramilitari della Hagānāh, delle principali istituzioni finanziarie (Bank ha Poalim), industriali, agricole (il kibbutz), questa corrente realizzerà - secondo la definizione di Golda Meir - il "solo Stato menscevico riuscito" dell'epoca moderna. Saranno però il suo stesso successo, la sua lunga permanenza al potere e lo sviluppo tecnologico a far uscire dalle sue file una classe imprenditoriale capitalista e antiburocratica. Con l'appoggio di gran parte degli elettori di origine orientale, questa nuova classe borghese di crescente tendenza nazionalista porterà, a partire dalla guerra del Kippur (1973), all'indebolimento della sinistra israeliana e alla sua sconfitta elettorale nel 1977.
La corrente statalista si ispirava al programma politico herzliano che aveva come scopo primo la creazione di uno Stato indipendentemente dai suoi contenuti ideologici. La corrente è stata guidata da Vladimir Zeev Jabotinsky (1880-1940), uno dei capi storici del sionismo russo, e dopo la fine della seconda guerra mondiale da Menachem Begin (1913-1988). Jabotinsky, uomo di lettere, traduttore in ebraico di classici italiani, era stato politicamente influenzato durante il suo soggiorno in Italia dalle idee di Labriola. Ufficiale, per quanto cittadino straniero, dell'esercito britannico, operò durante la prima guerra mondiale per la creazione della Legione Ebraica unitamente a Josef Trumpeldor, uno dei pochi ufficiali ebrei della Russia zarista, eroe della guerra russo-giapponese e fondatore del movimento pionieristico sionista he Halutz. Condannato a morte e poi graziato dagli Inglesi per il tentativo di organizzare la difesa armata degli Ebrei in Palestina durante i torbidi arabi del 1920, a partire dal 1925 Jabotinsky guida l'opposizione contro la politica di Weizmann attraverso l'Unione Mondiale dei Sionisti Revisionisti. Nel 1935 essa si trasforma in una organizzazione autonoma - la Nuova Organizzazione Sionista Revisionista - dalla forte connotazione nazionalista, anticomunista e antinglese, da cui nasceranno in seguito le milizie armate Ezel e Leḥi e il partito Ḥerut. Quest'ultimo, unitosi con altri gruppi per dar vita sotto la guida di Begin al movimento di centrodestra Likud, conquisterà il potere nel 1977.La corrente religiosa si è sviluppata nelle due tendenze democratica sionista e teocratica antisionista.La prima, Mizraḥi, fondata nel 1903, mirava a realizzare il programma di Herzl mantenendo vive le tradizioni religiose ebraiche. Sino alla fine degli anni sessanta partecipa nelle nuove vesti di Partito religioso nazionale (Mafdal) a quasi tutte le coalizioni dirette dai socialisti. Dopo la guerra del 1967 e la conquista da parte di Israele della Giudea e della Samaria, si farà principale promotrice della colonizzazione delle zone occupate, spostandosi sempre più verso destra, in concorrenza ideologica tanto con i nazionalisti laici che con gli ortodossi antisionisti.
La seconda corrente, quella ortodossa, frazionata in vari partiti di maggiore o minore tendenza antisionista, si è rafforzata nel corso dell'ultimo ventennio grazie al crollo delle ideologie laiche, all'alta prolificità dei suoi membri e al processo generalizzato di radicalizzazione religioso-politica. I partiti ortodossi (come Agudah, Shas, Deghel haTorah) hanno assunto un peso crescente nella vita politica e sociale di Israele e hanno notevolmente aumentato la loro influenza sul sistema scolastico. La congiunzione delle loro tendenze teocratiche con quelle nazionaliste radicali ha portato alla nascita di frange fondamentaliste antidemocratiche che hanno avuto la loro drammatica espressione nell'assassinio di Izhak Rabin nel novembre 1995.
Alle soglie del 2000 e del cinquantesimo anniversario della fondazione dello Stato d'Israele, il sionismo politico continua a essere attraversato da crisi dovute alla sua complessità e a quella dei problemi da esso creati con l'apparizione di Israele nel cuore del mondo arabo. La realizzazione dello Stato ha tolto il principale scopo politico al sionismo; la sconfitta del nazismo, del comunismo, il processo di crescente assimilazione degli israeliti della diaspora, la diminuzione del pericolo antisemita lo hanno privato di potenti motivazioni all'azione e all'unione. L'ostilità araba, che per decenni ha rappresentato una forza unificatrice esterna per gli Ebrei di Palestina e poi di Israele, ha perduto molto del suo mordente con l'inizio del processo di pace, mentre è aumentato il conflitto fra Stato (teocratico) ebraico e Stato (laico) degli Ebrei. Quanto alla metamorfosi di un certo tipo di antisemitismo in antisraelianismo, non sembra che quest'ultimo debba sostituire, in virulenza, la giudeofobia sviluppatasi in Europa nel corso degli ultimi due secoli, e pertanto non può continuare a rappresentare un movente essenziale del nazionalismo ebraico. Questi sviluppi hanno trasformato i compiti delle istituzioni sioniste, delle quali è stata chiesta da più parti l'abolizione, in quanto ritenute incapaci di mantenere vivi, fuori da un contesto storico irripetibile, il senso di missione e lo spirito rivoluzionario dell'epoca sionista.Epopea che ha permesso a uno dei più mistici e romantici sogni politici di trasformarsi in realtà, e a un popolo disperso da millenni di ripresentarsi sulla scena internazionale non più come oggetto di oppressione ma come soggetto attivo e responsabile del suo - per molti versi - misterioso destino. (V. anche Discriminazione razziale; Giudaismo; Minoranze culturali; Movimenti integralistici; Nazionalismo).
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