Sistema politico
L'espressione 'sistema politico' designa l'oggetto di studio dei politologi, quello che si può definire il dominio della scienza politica. Nella sua accezione tecnica, la nozione di sistema politico è entrata nell'uso in questo ambito disciplinare solo negli ultimi quarant'anni, a seguito della pubblicazione di The political system (v. Easton, 1953). Prima di allora lo studio della vita politica era identificato con lo studio del governo, della politica, del potere o dello Stato, e sebbene questi concetti conservino la preminenza, si trovano ora a coesistere con quello di sistema politico.La nozione di sistema politico quale definizione del campo d'indagine della scienza politica consta di due elementi: la politica e il sistema. È necessario tenere ben distinti tali concetti, in quanto è possibile, e anzi accade assai di frequente, che la politica non venga concepita come un sistema di azioni, interazioni e istituzioni.
Se si adotta la nozione di sistema politico, occorre dunque specificare innanzitutto cosa viene connotato come 'politico', cosa distingue un sistema politico da altri tipi di sistema e, in secondo luogo, in che senso la politica può essere considerata come un 'sistema'.
Le opinioni degli studiosi in merito alla natura della politica sono tutt'altro che concordi. Storicamente, la politica come campo di studio è stata definita in molti modi diversi. Secondo la definizione più comune e più semplice, lo studio della politica si identificherebbe con lo studio del governo. Tale definizione peraltro si è dimostrata insoddisfacente per due ragioni. In primo luogo, in molte comunità preletterate e in alcune società storiche non si riscontrano ruoli assimilabili a quelli di governo. In secondo luogo, nel campo delle relazioni internazionali, nonostante la palese e intensa attività politica esplicata, gli attori internazionali possono essere considerati solo in senso molto lato come parte di un complesso di istituzioni governative, perlomeno a livello internazionale.
Lo studio della politica è stato identificato altrettanto spesso con lo studio del potere. La principale difficoltà in questo caso è data dal fatto che le definizioni del potere sono altrettanto varie e differenziate quanto le definizioni della politica. Adottando quella che può essere considerata la più appropriata tra le definizioni proposte, il potere può essere considerato come una relazione tra due o più attori, A e B, tale che B avrebbe agito diversamente se non fosse stato per la relazione con A, e si può quindi affermare che A ha esercitato un potere su B. Di un'influenza esercitata da A si può parlare anche nel caso in cui B si sia astenuto dall'agire a causa della relazione con A.
Il potere così concepito è una realtà innegabile che si ritrova in tutte le istituzioni umane, ma si tratta di un fenomeno pervasivo anche in un altro senso. Per la sua stessa natura, ogni relazione deve limitare o reindirizzare in qualche misura le azioni possibili o effettivamente compiute dai partners. In questo senso ogni relazione implica l'esistenza di un'influenza tra i partecipanti; il potere diventa un elemento imprescindibile in ogni rapporto interpersonale.
Se è vero che il potere è implicato in ogni interazione tra due o più persone o entità sociali, allora il concetto di potere copre un ambito di attività assai più vasto di quello della politica nell'accezione comune del termine. Lo studio della politica di solito ha per oggetto una classe specifica di relazioni, quelle politiche appunto, distinte da altri tipi di relazioni - economiche, educative, fraterne, ecc. Naturalmente nulla vieta di adottare una concezione della politica estremamente ampia, tale da includere qualunque tipo di influenza, per definire l'ambito di indagine della scienza politica (v. Easton, 1953, pp. 115 ss.). Tuttavia ciò si scontra col fatto che la maggior parte degli studiosi ha scelto di limitare in modo più rigido il proprio campo di interessi, circoscrivendolo alle attività strettamente politiche. Da questo punto di vista, oggetto della scienza politica sarebbero le attività politiche in senso stretto, ossia quei tipi di attività che attengono alla sfera collettiva o pubblica di una società. Di conseguenza il potere sarebbe un ambito eccessivamente vasto per costituire il principale oggetto di studio della politica.
In un altro senso tuttavia definire la scienza politica come studio del potere - sia pure inteso nell'accezione ampia menzionata sopra - significa restringere eccessivamente l'ambito d'indagine. La scienza politica difatti non si occupa solo dei soggetti coinvolti nelle relazioni di influenza, ma anche della direzione verso cui questa è orientata - in altre parole, è interessata agli scopi o agli obiettivi per i quali il potere è o potrebbe essere usato, e non solo ai soggetti che hanno il potere di prendere e attuare una decisione, o agli effetti che ne possono derivare. Tuttavia gli obiettivi o gli scopi che si celano dietro l'acquisizione e l'uso del potere non sono automaticamente inclusi nella concezione della politica come potere, né sono posti in primo piano come un elemento centrale delle relazioni di potere. Per questo motivo porre il potere quale oggetto preminente dello studio della politica significa restringerne eccessivamente il campo di interessi.
Una terza concezione, che ha avuto storicamente un posto importante, se non dominante, nello studio della politica, ne identifica il principale oggetto d'indagine non già nel governo o nel potere, bensì nello Stato.
Il concetto di Stato ha una storia complessa, troppo lunga e intricata per poter essere affrontata in questa sede. Già solo in ragione di questo fatto, comunque, esso ha assunto una tale varietà e ambiguità di significati da risultare, a parere di molti, del tutto inadatto quale concetto cardine dello studio della vita politica. Negli anni trenta Charles H. Titus (v., 1931) individuò ben 140 differenti definizioni del termine, e da allora senza dubbio il loro numero è ulteriormente aumentato. Identificare lo studio della politica con lo studio dello Stato equivarrebbe a definire l'ignoto con l'ignoto.
Oltre a ciò, l'idea di Stato è stata strettamente associata al fenomeno storico dello sviluppo dello Stato sovrano nazionale nel XVII secolo, e ha assunto di conseguenza inevitabili connotazioni ideologiche. L'indagine sulla natura dello Stato si carica così di una forte valenza normativa, in quanto si tende a definirlo nei termini dei suoi fini presunti o auspicati. Queste connotazioni valutative hanno interferito in misura significativa con gli obiettivi di quanti hanno cercato di fondare una scienza della politica su basi empiriche.
Per queste e altre ragioni, a partire dagli anni cinquanta la nozione di Stato perse progressivamente il suo ruolo di elemento chiave per lo studio della politica. Negli ultimi decenni, tuttavia, gli studiosi hanno dimostrato un rinnovato interesse per l'indagine sulle origini, sulla natura e sugli obiettivi che guidano l'azione politica collettiva (v. Easton, 1981; v. Skocpol, 1985), e ciò ha segnato una significativa rinascita del concetto di Stato, che ha assunto ancora una volta un ruolo chiave nello studio della politica.
Oltre alle teorie illustrate sinora, sono state avanzate altre interpretazioni della politica, ad esempio quella in termini di decisioni o di azione collettiva. Tra queste teorie alternative ha acquistato particolare rilevanza quella che identifica l'elemento distintivo del processo politico nell'allocazione autoritativa di valori per la società (v. Easton, 1953). Secondo tale concezione, ciò che distingue il sistema politico da altri tipi di sistema è il fatto che attraverso le sue operazioni esso porta a decisioni accettate il più delle volte come vincolanti dalla maggioranza dei membri di una società o di una collettività.
Questa concezione ha incontrato ampi consensi tra gli studiosi, e appare quindi opportuno esaminarla con maggiore attenzione. Il presupposto di partenza è che in ogni collettività è dato trovare determinati strumenti sociali per prendere decisioni attinenti alle attività in cui è coinvolta la collettività in questione. Nelle società tribali la responsabilità di tali decisioni è demandata al consiglio degli anziani, nelle dittature a un singolo individuo, in un sistema aristocratico ai nobili, nelle democrazie, infine, a una complessa mescolanza di istituzioni rappresentative, amministrative e governative. Ma qualunque sia il tipo di ordinamento o di istituzioni, è per il loro tramite che le decisioni e le azioni che ne conseguono vengono intraprese in nome della collettività e sono da questa accettate - volontariamente, o in base alla tradizione, o per coercizione.
Per la loro stessa natura, le decisioni rappresentano allocazioni di beni o valori - che possono essere materiali, come ad esempio la ricchezza, oppure psicologici, come ad esempio lo status e la considerazione sociale, oppure ancora simbolici, come la reputazione. Attraverso ordinamenti istituzionali che variano in misura notevole da società a società, vengono prese decisioni in merito alla distribuzione qualitativa e quantitativa dei beni sulla base dei quali si sono definite le differenze sociali. In questo senso ogni decisione politica rappresenta per una collettività un'allocazione di valori.
Tuttavia non tutte le allocazioni in una società sono sempre direttamente politiche. La decisione di una industria di ridurre il numero di automobili prodotte può avere significative conseguenze politiche in virtù dei suoi effetti sull'economia, e dunque costituire un'azione politicamente rilevante, nel senso di Max Weber. Ma a meno che non si tratti di un'economia dirigista, i membri di una società di solito non considerano tali decisioni come legittime o autoritative, perlomeno nel senso di sentirsi obbligati moralmente o in altro modo a conformarsi a esse. I cittadini possono semplicemente rifiutarsi di pagare il prezzo richiesto, negoziarne uno differente o ignorare la questione. Ciò che distingue le allocazioni politiche dalle decisioni prese nel contesto di altre istituzioni o organizzazioni sociali è il fatto che, se vengono seguite le procedure opportune - spesso definite processi costituzionali, ad esempio nello Stato di diritto -, tali decisioni vengono accettate il più delle volte come vincolanti o autoritative dalla maggioranza dei membri della collettività. È questo che conferisce alle allocazioni politiche il loro carattere speciale.
Ogni società dispone di particolari rituali o procedure attraverso cui tali allocazioni vengono realizzate e riconosciute. Nelle società moderne queste decisioni assumono la forma di norme o leggi vincolanti. Di solito, la maggioranza dei membri della società accetterà le decisioni o scelte politiche di questo tipo come obbligazioni legittime. Nei sistemi politici democratici i cittadini possono partecipare in vari modi e in diversa misura alla formazione e all'attuazione di queste decisioni o scelte politiche. In altri sistemi, per contro, solo un numero limitato di persone ha il potere di prendere tali decisioni e di far sì che vengano accettate come vincolanti, volontariamente o per coercizione.
Nel corso del processo di specializzazione e di divisione del lavoro all'interno delle scienze sociali, lo studio delle decisioni attraverso cui avviene l'allocazione dei valori in nome della società complessiva è diventato di fatto il campo specifico di una particolare disciplina, la cosiddetta scienza politica. Questa può essere definita dunque come la disciplina che studia l'allocazione autoritativa di valori per una società - o, in termini più altisonanti, come lo studio della formazione e dell'attuazione di decisioni o scelte politiche che nella maggior parte dei casi vengono considerate vincolanti (legittime) dalla maggioranza dei membri di una società.
Esistono dunque vari modi per descrivere ciò che distingue un sistema politico da altri tipi di sistema, a seconda che si consideri quale elemento centrale il governo, il potere, lo Stato o l'allocazione autoritativa di valori. Ma definire la politica come un sistema, se quest'ultimo termine viene usato nella sua accezione tecnica e non in modo puramente casuale, significa optare per un particolare orientamento teorico, basato sul presupposto che per comprendere la vita politica occorre considerarla come un sistema di comportamenti, interazioni e istituzioni sociali.
L'analisi e l'interpretazione delle modalità di funzionamento della vita politica in termini sistemici richiedono una serie di presupposti teorici di cui non sempre sono pienamente consapevoli coloro che usano l'espressione 'sistema politico' in senso generico e non nella sua accezione tecnica. Per comprendere i principî teorici su cui si basa quello che potremmo definire il paradigma sistemico, occorre innanzitutto analizzare i vari significati della nozione di sistema (v. Lazlo, 1972).
Il termine in sé non è affatto nuovo, ma è stato usato da tempi immemorabili in forma generica e non sistematica in riferimento non solo alla politica, ma a ogni altro ambito della vita. Per citare solo alcuni esempi il cap. 22 del Libro II del Leviatano di Hobbes è intitolato Dei sistemi subordinati, pubblici e privati (a segnalarci questa occorrenza del termine è stato il prof. James Farrow, dell'Università del Minnesota). Nell'Ottocento Auguste Comte fu uno dei primi ad attribuire alla nozione di sistema il ruolo esplicito di strumento concettuale per l'analisi della società (v. Manicas, 1987). J. S. Mill seguì l'esempio di Comte applicando il termine a un corpus coerentemente organizzato di conoscenze, come indica il titolo di una delle sue opere principali, Sistema di logica.In questi casi tuttavia l'uso del concetto di sistema riflette semplicemente l'idea che l'oggetto d'indagine costituisca un insieme organico di parti interrelate. Un'interpretazione del tutto nuova, se non radicalmente diversa, del concetto si è sviluppata a seguito della cosiddetta 'rivoluzione' del pensiero sistemico, verificatasi nella prima metà del XX secolo (v. Emery, 1969), che ha cambiato in modo radicale il nostro modo di concepire pressoché tutti gli aspetti della vita - sociale, organica e fisica - nonché le nostre teorie.
Secondo una tradizione di pensiero che ha le sue origini in Descartes, per comprendere un'entità occorre semplificarla scomponendola nelle sue varie parti, per poi reiterare il processo sugli elementi di volta in volta ottenuti sino ad arrivare ai costituenti più elementari. In ultimo, mettendo insieme le conoscenze acquisite su tali costituenti elementari, dovremmo essere in grado di ricostruire e di comprendere la totalità in tutta la sua complessità originaria. Questa forma di riduzionismo, che si appella alle scienze fisiche come fonte di legittimazione, venne accettata come verità inoppugnabile anche nelle scienze sociali, perlomeno in quelle che adottavano la metodologia delle scienze naturali.
Recentemente, però, sia nella fisica che in altri campi si è affermata l'idea che la totalità nella sua complessità ha una serie di proprietà che è difficile se non impossibile dedurre dalla conoscenza dei suoi singoli componenti. Il tutto non si riduce alla somma delle sue parti - qualunque cosa ciò possa significare - e non è nemmeno qualcosa di più rispetto a esse, in qualche senso mistico o ineffabile, ma è piuttosto qualcosa di diverso. È impossibile comprendere la totalità basandosi esclusivamente sulla conoscenza delle sue parti.
Questo principio fondamentale ha guidato e continua a guidare la cosiddetta rivoluzione sistemica del nostro tempo, che si propone di studiare e di comprendere i sistemi complessi.Ogni epoca può essere identificata attraverso alcune idee dominanti: se il Seicento fu l'età del meccanicismo (Newton) e l'Ottocento l'età della biologia (Darwin), il XX secolo può essere definito l'età dei sistemi.
La trasformazione concettuale che ha portato all'adozione del concetto di sistema ha molteplici origini: nella biologia, nella teoria dell'informazione e della comunicazione, nella fisica e nella sociologia. Nel campo della biologia, ad esempio, già negli anni venti Ludwig von Bertalanffy aveva concepito il corpo umano come un sistema di elementi, ciascuno dei quali può avere un diverso grado di autonomia, ma che sono tutti reciprocamente interrelati formando un insieme di parti interdipendenti - un sistema in cui nessuna componente fondamentale può essere compresa senza considerare le sue relazioni con il funzionamento del tutto (v. Bertalanffy, 1951). Nel 1939 apparve l'opera di Cannon The wisdom of the body, in cui il corpo umano viene concepito come un sistema autoregolato o omeostatico, dotato di meccanismi complessi attraverso cui cerca di reagire alle sollecitazioni cui è sottoposta una qualunque delle sue componenti.
Questo approccio venne via via adottato anche in altri ambiti scientifici. Ad esempio, la scoperta dell'autoregolamentazione quale principio che governa i sistemi meccanici sotto forma di dispositivi di guida portò alla nascita della cibernetica, che venne sviluppata e perfezionata da studiosi come Norbert Wiener e Claude Shannon. Secondo alcuni l'interesse per lo studio dei sistemi interdipendenti e la consapevolezza della loro importanza si svilupparono durante la seconda guerra mondiale. Fu in quegli anni infatti che Weaver introdusse il concetto di sistema per organizzare il trasporto di materiale bellico e beni di consumo dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna. L'obiettivo era quello di assicurare che i rifornimenti necessari, ad esempio le materie prime provenienti dalle miniere statunitensi, fossero preparati e consegnati nei modi e nei tempi opportuni alle loro destinazioni, ossia l'esercito e la popolazione civile della Gran Bretagna. Concettualizzando tale processo come un sistema complesso integrato, Weaver pose le basi per lo sviluppo della programmazione lineare e della ricerca operativa, in cui una sequenza di eventi viene assimilata a un sistema coerente, integrato e interdipendente. Cosa ancora più importante, l'approccio in questione presupponeva un'interpretazione teleologica del sistema, in quanto questo veniva considerato come predisposto sin dall'inizio al conseguimento dell'obiettivo specifico di far giungere determinati rifornimenti in tempi e luoghi prestabiliti. Al programma potevano essere apportate correzioni là dove le informazioni di ritorno indicavano che gli obiettivi prefissati non erano stati ottenuti.
Questa interpretazione delle interrelazioni tra fenomeni venne in seguito adottata anche per lo studio di altri fenomeni sociali, inclusi quelli che definiamo politici. L'idea dell'interdipendenza di tutti gli aspetti della vita sociale è ormai universalmente accettata; lo stesso vale per il concetto di sistema politico, che oggi si incontra frequentemente anche al di fuori del contesto accademico ed è diventato quasi una nozione comune.
L'interpretazione della politica in termini di sistema, però, implica determinati assunti teorici e solleva una serie di questioni collaterali.La prima questione che si pone è di ordine ontologico: le azioni, le interazioni e le istituzioni politiche costituiscono realmente un sistema, o questo è solo una finzione dell'osservatore, un semplice costrutto mentale? A ciò si potrebbe rispondere che il linguaggio ha sempre la funzione di costituire la realtà. Come osservava lo psicologo americano William James, il mondo è un perfetto caos cui l'uomo deve conferire un senso ordinandolo attraverso i concetti della sua mente. Da questo punto di vista non ha importanza se il mondo esterno sia o meno 'realmente' costituito da entità chiamate 'sistemi'; ciò che conta è se per noi questo sia o meno un modo utile per ordinare il caos di cui parla James. Come osservatori che cercano di comprendere il mondo, in certe circostanze potrebbe risultare utile considerarlo composto di insiemi definibili di interazioni, comportamenti e istituzioni che sono di fatto sufficientemente interrelati da permetterci di considerarli come un sistema.
Una volta operata questa determinazione concettuale, possiamo considerare alcune importanti conseguenze teoriche dell'applicazione della nozione di sistema all'analisi della vita politica. In primo luogo, il sistema politico non va considerato isolatamente, ma nel contesto di altri sistemi fisici e sociali, di cui subisce l'influenza contribuendo a sua volta a definirli o a ridefinirli. In altri termini, la nozione stessa di sistema implica la costruzione di un quadro concettuale che consente di studiare la politica non in isolamento, ma in relazione al contesto globale in cui opera.
L'approccio sistemico, inoltre, presuppone una interpretazione del sistema in termini dinamici, come un insieme di attività finalizzate al conseguimento di un obiettivo o di una meta. Questa costituisce la caratteristica centrale del sistema politico: esso ha la capacità di porre e di perseguire obiettivi e di conseguenza di determinare una serie di cambiamenti. Come vedremo meglio in seguito, questo processo può essere concettualizzato interpretando il sistema politico come dotato della capacità di trasformare determinati tipi di inputs (rivendicazioni e sostegno) in outputs (determinate politiche incorporate in leggi, decisioni e simili). Questi ultimi sono i prodotti del sistema, e costituiscono il risultato di un processo incessante in cui, attraverso il loro impatto sull'ambiente del sistema, retroagiscono su esso e trasformano i prodotti successivi.
Come abbiamo scritto altrove, "non si tratta di un processo passivo, assimilabile a quello subito da un liquido che scorre attraverso un condotto e ne fuoriesce con caratteristiche diverse per l'immissione di additivi chimici, o alla trasformazione dell'acqua in energia attraverso un impianto idroelettrico. Un sistema politico è un sistema che tende a una meta, capace di autotrasformarsi e di adattarsi in modo creativo. Esso è formato da esseri umani in grado di anticipare, valutare e agire costruttivamente. [Il lavoro implicato da questo processo] può essere adattato agli scopi e ai desideri dei membri del sistema nei limiti consentiti dalle conoscenze, dalle risorse e dalle inclinazioni esistenti" (v. Easton, A system analysis..., 1965, pp. 133-134).
L'applicazione della teoria dei sistemi alla sfera politica pone una serie di interrogativi. In primo luogo, in che modo si può distinguere un sistema politico dal suo ambiente, stabilendone i confini? Nel caso di entità materiali l'identificazione dei confini sembra data in natura. Se si considerano una roccia, un fiume o anche un'automobile come sistemi fisici, essi sembrano avere contorni ben definiti che segnano il confine tra il sistema e l'ambiente circostante. I sistemi sociali per contro, incluso il sistema politico, sembrano avere una natura differente. Ma i confini, anche quelli degli oggetti materiali, non sono altro che criteri di inclusione/esclusione mediante i quali stabiliamo cosa intendiamo comprendere nell'ambito del fenomeno considerato (v. Easton, A framework..., 1965, cap. 5). Per alcuni oggetti che si incontrano nella vita quotidiana tali criteri sono ovvi e in pratica prestabiliti, mentre per altri, come i sistemi sociali, è necessario fissarli in base agli scopi per i quali intendiamo utilizzarli. Per quanto riguarda il sistema politico, ad esempio, il modo in cui viene definito ne stabilirà automaticamente i confini. Sia che il sistema politico venga identificato con un insieme di relazioni di potere, o con le attività governative, o con il complesso di interazioni più o meno direttamente legate alla formulazione e all'attuazione di decisioni vincolanti per la società, tutte le relazioni o le attività o le interazioni che non vi possono essere incluse cadono al di fuori del sistema e vanno considerate parte del suo ambiente (ibid.).
Il modello più semplice di sistema politico è quello della cosiddetta 'scatola nera', da noi proposto per la prima volta nel 1957 (v. Easton, 1957, e A framework..., 1965, p. 11), in cui lo spazio politico risulta separato dal suo ambiente ma a esso collegato attraverso una serie di inputs e outputs (v. figura).
Semplificando enormemente la complessità dei sistemi politici, il loro ambiente e la varietà di relazioni con ogni ambiente specifico, tale modello consentiva di rappresentarne graficamente le principali caratteristiche. Divenne allora compito dell'elaborazione teorica rendere via via più complesso tale modello ipersemplificato, in modo da approssimarlo gradualmente alla realtà senza complicare eccessivamente l'analisi.
L'approccio basato sulla teoria dei sistemi interpreta la politica come un sistema teleologico e dinamico il quale, attraverso un complesso di interrelazioni tra attori e istituzioni, realizza un determinato obiettivo. Si tratta di un'interpretazione in netto contrasto con molti approcci tradizionali, che postulano un qualche punto di equilibrio cui i processi politici si avvicinano o dal quale si discostano. In questo modo però viene ignorata la natura dinamica dei processi politici. La caratteristica cruciale dei sistemi dinamici, come quello politico, non è la ricerca di un punto di equilibrio; piuttosto, i processi di tali sistemi sono teleologici, autoregolati e in grado di autocorreggersi. Attraverso le loro attività i sistemi sono capaci di produrre qualcosa di autenticamente nuovo e creativo, gli outputs del sistema (nel caso dei sistemi politici tali outputs sono costituiti da allocazioni autoritative).
Al centro del sistema politico, visto come un sistema dinamico e non semplicemente tendente all'equilibrio, vi è proprio questo processo produttivo. Gli outputs del sistema politico, che possono assumere varie forme - da semplici decisioni prese dal consiglio del clan, come nelle società primitive, a complessi di leggi, regole e regolamenti, come nelle società moderne -, ovviamente non possono essere creati dal nulla, ma devono essere costruiti a partire da elementi immessi dall'esterno nel sistema, quelli che nella teoria dei sistemi vengono definiti come inputs. Compito del ricercatore è quindi quello di analizzare la natura degli inputs e degli outputs, nonché i processi attraverso cui i primi vengono trasformati nei secondi. Consideriamo in modo più dettagliato questi aspetti dell'approccio sistemico.
Il sistema politico ha un carattere dinamico in quanto converte gli inputs in outputs, ed è la natura specifica di questi processi di conversione che distingue il sistema politico da altri tipi di sistema. Un sistema economico, ad esempio, può essere il risultato delle preferenze espresse dagli individui rispetto a determinate alternative in una situazione di risorse limitate. Attraverso la dinamica che gli è propria, il sistema economico produce beni e servizi, outputs di natura diversa da quelli del sistema politico. Un sistema educativo può cercare di produrre individui in grado di pensare criticamente e di confrontarsi con i modelli comportamentali propri di una determinata cultura. Ma ciò che contraddistingue il sistema politico di qualsiasi società è il fatto di essere formato da insiemi di relazioni o di interazioni attraverso cui i membri di una collettività, siano essi individui, gruppi o istituzioni, riescono a convertire vari tipi di inputs in tipi speciali di outputs, ossia decisioni che il più delle volte la maggioranza dei membri della collettività considera vincolanti.La materia prima (gli inputs) a partire dalla quale vengono prodotti gli outputs è rappresentata da due ordini di elementi: rivendicazioni e sostegno. I membri di una collettività hanno opinioni diverse in merito agli scopi cui destinare le risorse umane e materiali della società. Essi hanno idee - bisogni, desideri, interessi, ecc. - confliggenti in merito a ciò che si dovrebbe fare in nome o in favore della collettività di cui fanno parte. Quando gli individui non sono in grado di risolvere da soli tali conflitti, spesso ricorrono a una mediazione in grado di negoziare e di imporre un 'accordo' in nome della collettività o società intera. Questo processo può essere attuato in modo da comportare la partecipazione formale dei membri della società secondo regole collettivamente concordate - ponendo le basi di quella che possiamo definire una soluzione 'democratica'. In alternativa, alcuni membri della società - un singolo individuo come un monarca o un dittatore, oppure un gruppo come l'aristocrazia - possono acquistare pacificamente o con la forza il potere di stabilire e di imporre l'accordo in questione in nome della società. In altre parole, un individuo o un gruppo avocano a sé, democraticamente o in altro modo, il ruolo di responsabili delle decisioni politiche (ossia di autorità) le cui allocazioni saranno considerate legittime o autoritative dalla maggioranza dei membri della società. Senza questa possibilità di ricomporre conflitti irrisolvibili per via privata nessuna società sarebbe in grado di sopravvivere, ma cadrebbe nella situazione crudele, brutale e miserevole prefigurata da Hobbes.
Tuttavia le autorità, chiunque esse siano, non prendono decisioni in astratto. Persino in una dittatura vi deve essere qualcuno, sia pure il dittatore stesso, che dà avvio al processo attraverso il quale le autorità sono chiamate a effettuare un'allocazione. Di conseguenza il processo di allocazione ha origine negli espliciti desideri, interessi, bisogni o idee di alcuni membri della società. Nella teoria dei sistemi, allorché sono espressi come volontà di un intervento delle autorità in merito a una questione, questi desideri, interessi, ecc. vengono definiti rivendicazioni. Una volta espresse o imposte alle autorità, si dice che tali rivendicazioni sono immesse nel sistema.Le rivendicazioni avanzate sono numerose, ma solo poche di esse giungono a destinazione. Se non viene intrapresa alcuna azione, tali rivendicazioni appassiscono per così dire sull'albero. Altre vengono riunite o aggregate (v. Almond e Powell, 1978²) da vari gruppi e vengono adottate nella loro forma originaria, oppure rielaborate sotto forma di rivendicazioni più ampie. Nelle società moderne spesso le rivendicazioni passano attraverso una serie di processi complessi prima di poter anche solo giungere alle autorità politiche. Spesso sono vari sottosistemi all'interno del sistema politico - come i partiti, i gruppi d'interesse o di pressione, l'opinione pubblica, giurisdizioni politiche subordinate - ad assumersi il compito di accettare, rifiutare, riformulare e aggregare le rivendicazioni prima che vengano presentate alle autorità politiche. Ma comunque e da chiunque vengano formulate, tali rivendicazioni costituiscono la materia prima che, per così dire, fornisce alle autorità politiche l'energia per affrontare determinate questioni e cercare di arrivare a una decisione che venga accettata come vincolante dalla maggioranza dei membri della società. Ovviamente, il fatto che tali decisioni vengano prese attraverso un processo democratico oppure autocratico ha la sua importanza. Ed è altrettanto ovvio che, storicamente, nella maggioranza dei sistemi la partecipazione popolare nel processo di formulazione delle rivendicazioni ha costituito l'eccezione piuttosto che la regola.
Le decisioni prese dalle autorità, ossia, nei termini del modello sistemico, gli outputs politici di norma possono influenzare non solo il sistema, ma anche l'ambiente in cui questo opera. L'ambiente non è rappresentato solo dal contesto fisico, ma anche da quello sociale - sia dai sistemi naturali della flora, della fauna e dello spazio geografico, sia da sistemi sociali quali l'economia, la struttura sociale e la cultura. Uno dei principali legami tra il sistema politico e l'ambiente, comunque quest'ultimo venga concettualizzato, è rappresentato dalle decisioni, ovvero dagli outputs politici. Come abbiamo osservato, queste sono influenzate dall'ambiente: ciò significa che la natura delle rivendicazioni in risposta alle quali vengono formulati gli outputs politici è in parte determinata da ciò che accade nell'ambiente. Le crisi economiche - disoccupazione, bassi livelli salariali, ecc. -, i conflitti culturali relativi alla lingua da adottare nelle scuole, o le preferenze religiose rispetto a certe tematiche sociali fanno sorgere particolari rivendicazioni e ne determinano la natura. Sono esse a guidare la produzione degli outputs politici e quindi ne influenzano in misura significativa la configurazione.
In questo approccio teorico quindi le rivendicazioni sono condizionate dall'ambiente fisico e sociale in cui sorgono, e a loro volta, dopo che sono state convertite in allocazioni autoritative o outputs, retroagiscono sulle forze sociali dell'ambiente da cui provengono. Trasformando l'ambiente, esse possono deliberatamente o involontariamente influenzare le successive rivendicazioni indirizzate alle autorità. In altre parole, la formazione delle decisioni politiche comporta incessanti processi di retroazione (feedback) di cui occorre tener conto nell'analisi sistemica.
Gli inputs però non sono costituiti solo da rivendicazioni. Ogni rivendicazione deve avere un qualche sostegno per potersi fare strada sino a quella parte del sistema sulla quale occorre agire. Inoltre, e questo è un fatto di cruciale importanza in questo approccio, il sistema politico stesso è strutturato in modo tale da essere influenzato dai flussi e riflussi del sostegno nei confronti di vari tipi di elementi al suo interno. Da questo punto di vista, l'approccio basato sulla teoria dei sistemi implica una forma speciale di identificazione e di localizzazione dei diversi tipi di mutamento che possono intervenire in un sistema politico.
Nella teoria sistemica quando si parla di mutamento politico, a meno che non si tratti di una semplice descrizione di sequenze di eventi storici, si fa riferimento a trasformazioni fondamentali di vario tipo. Ad esempio ci si può riferire al cambiamento delle autorità politiche, ossia alle modalità con cui coloro che occupano le posizioni cui competono le responsabilità di governo accedono alla carica e la conservano. Nelle società moderne le autorità politiche sono identificate in genere con il governo; nelle società preletterate possono essere rappresentate da un consiglio di anziani o dall'assemblea del clan: comunque sia, in ogni sistema politico esiste un qualche meccanismo attraverso il quale alcuni membri della società partecipano in modo più diretto alle decisioni politiche concernenti la collettività di cui fanno parte. Coloro che occupano tali posizioni di solito hanno bisogno di un livello minimale di inputs sotto forma di sostegno per poter restare in carica. Nei sistemi democratici la perdita del sostegno determina una serie di cambiamenti al livello del governo, dei rappresentanti eletti, e talvolta anche dei funzionari della pubblica amministrazione. Tuttavia, nonostante i cambiamenti che investono i detentori di tali ruoli, il modo in cui il sistema è organizzato e opera resta sostanzialmente inalterato.
Arriviamo così a un secondo elemento che può essere oggetto del sostegno, i cui flussi e riflussi in questo caso determinano cambiamenti di natura sostanzialmente diversa. Ci riferiamo qui al regime politico, ovvero al modo in cui il potere è distribuito tra i vari ruoli e posizioni all'interno del sistema politico. È questo quello che viene spesso chiamato ordinamento costituzionale, che può essere fissato in un documento scritto oppure essere semplicemente il frutto di una tradizione orale. Identificare un regime significa specificare quegli obiettivi o valori essenziali, nonché quelle relazioni politiche fondamentali di un sistema politico cui si attribuisce un valore duraturo. La perdita di sostegno del regime così concepito di solito preannunzia una trasformazione radicale nel sistema politico, come quando un regime subisce un passaggio rivoluzionario da un ordinamento democratico a uno autocratico, o da un ordinamento totalitario a uno democratico. I cambiamenti di regime di solito sono accompagnati da mutamenti delle autorità politiche, mentre questi ultimi non comportano necessariamente un cambiamento di regime.
Infine, anche se le autorità e il regime risultano radicalmente trasformati e quasi irriconoscibili rispetto al passato, tipicamente la comunità politica, la terza componente fondamentale di ogni sistema politico, può restare inalterata qualora non perda il sostegno di cui gode. Per comunità politica si intende un gruppo di individui che si identificano reciprocamente sul piano politico, ossia, si considerano come un'entità soggetta alle stesse regole fondamentali per effettuare allocazioni autoritative, qualunque sia la natura di tali regole e a prescindere dal giudizio personale che i singoli possano esprimere su di esse. Anderson (v., 1983) ha proposto a questo riguardo il concetto di 'comunità immaginaria', e tuttavia il sostegno per la comunità politica è altrettanto reale quanto il sostegno per qualunque altro gruppo o collettività. Sebbene gli Americani, i Canadesi e i Messicani abbiano regimi molto simili, essi si considereranno nondimeno parte di differenti comunità politiche, e riterranno i loro outputs politici come applicabili legittimamente solo a se stessi, almeno in situazioni normali. In alternativa, anche nel caso in cui, ad esempio, le autorità politiche americane e il loro regime perdessero il sostegno dei cittadini e questi fossero costretti a subire un passaggio da un regime democratico a uno di tipo autoritario, la comunità politica potrebbe nondimeno restare intatta. La guerra civile americana, per contro, minacciò non solo la sopravvivenza delle autorità e del regime del paese, ma la sua stessa comunità politica. Se avesse avuto un esito diverso, la guerra avrebbe probabilmente determinato non solo un cambiamento delle autorità politiche e del regime esistente, ma anche la divisione della comunità politica americana in due entità (comunità politiche) separate.Nella prospettiva di questo modello sistemico, dunque, il mutamento è specifico e identificabile a livelli differenti di un sistema politico. Non si tratta solo di un passaggio da una fase storica a un'altra. I mutamenti centrali per un sistema politico sono determinati dai flussi e riflussi del sostegno per una data combinazione di tre elementi: le autorità, il regime e la comunità politica. Così, ad esempio, una forma storica di cambiamento come una rivoluzione potrebbe indicare una perdita di consenso limitata alle autorità politiche - come nel caso di un putsch politico - oppure un cambiamento di regime, come nel passaggio da una democrazia a una dittatura. Ma potrebbe anche implicare un movimento nazionalista, irredentista o separatista, e in questo caso investirebbe le dimensioni e la composizione della comunità politica. Se non si tengono presenti questi diversi aspetti del mutamento politico, l'idea stessa di cambiamento risulta ambigua e confusa, e si rischia di trascurare aspetti centrali nell'analisi del mutamento politico.In conclusione, la nozione di sistema politico può essere usata in senso generico, come una formula corrente per indicare il complesso di attività che in una società vengono identificate con la politica, oppure in senso tecnico, e in questo caso si carica di implicazioni teoriche. Analizzare la politica come un sistema richiede la chiarificazione sia del concetto di 'politico' che di quello di 'sistema'. Il significato e l'utilità di questi termini, separatamente o in associazione, continuano a essere oggetto di discussione. Tuttavia la nozione di sistema politico si è talmente radicata nell'indagine politologica che ogni modello teorico generale troverebbe difficilmente credito se non identificasse o chiarisse il suo rapporto con questa forma di concettualizzazione. (V. anche Governo, forme di; Partiti politici e sistemi di partito; Politica; Sistemi politici comparati).
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