Socializzazione
Per 'socializzazione' si intende il complesso processo attraverso il quale l'individuo diventa un essere sociale, integrandosi in un gruppo sociale o in una comunità. Tale concetto sottolinea come lo sviluppo della personalità non sia determinato univocamente né da fattori genetici né da fattori ambientali, bensì dall'interscambio dinamico e contingente tra individuo e ambiente. Attualmente, la socializzazione costituisce una delle principali tematiche delle scienze sociali, in particolare della sociologia, della psicologia e della scienza dell'educazione, che analizzano lo sviluppo dell'individuo e l'apprendimento focalizzando l'attenzione sulle dimensioni sociali e individuali dei processi di formazione della persona e di partecipazione ai vari aspetti della vita sociale.
La socializzazione riflette il contesto sociale dello sviluppo dell'individuo e il rapporto dinamico tra individuo e società. In termini generali, essa può essere definita come trasformazione dell'essere biologico in un essere sociale caratterizzato da uno specifico modello culturale di percezione della realtà. La socializzazione comporta l'integrazione o l'adattamento degli individui in varie strutture e relazioni sociali, rappresentate dalla classe, dalla famiglia, dai reticoli, dalla scuola e dall'ambiente di lavoro. In sociologia il concetto di socializzazione viene usato per indicare il trasferimento intergenerazionale di valori culturali, sistemi simbolici e norme sociali. Questa prospettiva mette in risalto la continuità dei sistemi sociali che dovrebbe essere garantita dalla socializzazione del bambino e dell'adolescente in conformità alle norme e ai valori dominanti. In psicologia, lo stesso concetto viene usato per indicare i processi di sviluppo della personalità in diversi contesti storici e sociali, e in particolare nell'interazione con la famiglia. Nella scienza dell'educazione, la socializzazione è connessa ai problemi dell'insegnamento e all'apprendimento, con particolare riguardo alle attività di socializzazione organizzate e intenzionali degli educatori nell'ambito della scuola.
Il concetto di socializzazione si basa su un assunto ambivalente: da un lato infatti esso fa riferimento all'acquisizione nel corso dell'infanzia e dell'adolescenza di modelli comportamentali rappresentati dalla generazione dei genitori; dall'altra presuppone lo sviluppo dell'individuo come attore indipendente e socialmente competente di un complesso di relazioni sociali. Questa ambivalenza ha un carattere fondamentale: la "costruzione sociale della realtà" (v. Berger e Luckmann, 1966) richiede la costante acquisizione pratica e teorica della realtà sociale nel processo di sviluppo dell'individuo, e nello stesso tempo l'adattamento ad un mondo preesistente di simboli, mezzi di comunicazione, istituzioni e strutture di potere e di produzione.
Poiché il concetto di socializzazione non si basa né sul determinismo biologico (programma genetico) né sul determinismo ambientale (programma sociale), esso introduce una prospettiva teorica più ampia, in cui sia lo sviluppo dell'individuo, sia la continuità dei sistemi sociali vengono ricondotti all'articolazione tra bisogni, capacità e fini individuali da un lato, e condizioni di vita e norme sociali dall'altro. Questa interrelazione non implica necessariamente né un conflitto tra individuo e società, né un ciclo stabilizzante di riproduzione ideologica e sociale della società. Se la socializzazione è intesa in questi termini, come realizzazione attiva del potenziale umano nel contesto di strutture sociali di produzione e riproduzione, lo sviluppo dell'individuo include anche le potenzialità per il mutamento sociale.
Le definizioni sociologiche tradizionali del processo di socializzazione (v. Goslin, 1969) tendono ad assimilarlo all'integrazione funzionale degli individui in relazioni sociali, modelli comportamentali e strutture di interazione preesistenti. Questa concezione, tuttavia, riflette un'idea della società come essenzialmente aproblematica - una società, cioè, che in via di principio favorisce anziché limitare lo sviluppo dell'individuo. Nell'ambito della psicologia dominano d'altro canto concezioni psicogenetiche o psicanalitiche dell'essere umano che non sono in grado di spiegare adeguatamente l'interrelazione tra lo sviluppo della personalità e le condizioni della vita sociale e lavorativa (v. Geulen, 1977). Così le definizioni tradizionali della socializzazione mettono l'accento sui processi di interazione tra genitori, educatori e bambini che portano all'acquisizione di competenze e norme sociali.
Si tratta di definizioni che da un lato riducono l'individuo a un insieme di tratti e capacità, dall'altro insistono sulla sua dipendenza dall'ambiente sociale. Focalizzando l'attenzione sulla riuscita o mancata integrazione dei giovani nella società corrente, questi approcci trascurano di mettere in relazione in modo sistematico le variazioni dello sviluppo individuale con le differenze culturali e intraculturali nelle opportunità di apprendimento. Alcuni orientamenti più recenti (v. Hurrelmann, 1988; v. Tillmann, 1989) considerano la socializzazione come un processo di sviluppo e di formazione della personalità umana che dipende sia dal patrimonio genetico sia dall'interazione dell'individuo con le condizioni di vita sociali ed ecologiche. Tale approccio riflette la convergenza di psicologia e sociologia che si è andata verificando a partire dagli anni settanta (v. Clausen, 1968; v. Hurrelmann e Ulich, 1991). Gli sviluppi teorici di queste discipline hanno portato all'affermarsi di una concezione della socializzazione come un processo di 'autosviluppo' individuale di carattere attivo ed esteso a tutto il corso dell'esistenza. Tale processo si basa sulla capacità di agire dell'individuo, sulle sue strutture e norme di interazione in specifici contesti storico-sociali, e contribuisce a formare il soggetto sia come membro della società che come personalità unica.
La ricerca sulla socializzazione nell'ambito della psicologia focalizza l'attenzione sui processi psichici interni, quali lo sviluppo motivazionale, cognitivo e linguistico in un determinato contesto sociale, e sulla trasformazione delle esperienze e degli stimoli all'apprendimento in competenze, abilità e tratti della personalità. La sociologia dal canto suo studia i contesti sociali e le condizioni strutturali che favoriscono o limitano lo sviluppo individuale. L'azione, la comunicazione e l'apprendimento sociali sono considerati fattori cruciali per l'acquisizione di una visione del mondo materiale, sociale e culturale. Le condizioni storiche e sociali si riferiscono alle relazioni generali e specifiche che promuovono o ostacolano lo sviluppo dell'identità. Tali relazioni sono a loro volta strettamente intrecciate allo sviluppo delle forze produttive quali la tecnologia, la scienza, l'educazione, le relazioni economiche e la struttura delle classi sociali. Lo sviluppo dell'identità si riferisce al carattere olistico dei processi di socializzazione. Ruoli, norme, conoscenze e abilità sociali non sono appresi in isolamento, ma contribuiscono piuttosto alla continuità e al cambiamento dell'identità sociale e personale dell'individuo.
Esiste una lunga tradizione di pensiero nella filosofia e nella teoria sociale secondo la quale lo sviluppo dell'individuo è condizionato dalle situazioni materiali e sociali. Thomas Hobbes, il quale metteva l'accento sul controllo sociale dell'egoismo e dei bisogni umani, e Jean-Jacques Rousseau, che propugnava invece lo sviluppo autonomo dell'individuo, esemplificano le due posizioni contrapposte. Karl Marx dal canto suo mise in luce l'interrelazione tra le condizioni storiche e sociali da un lato e la struttura della personalità dall'altro, definendo l'individuo come "un insieme di relazioni sociali".
Un primo, importante, contributo alla teoria della socializzazione fu fornito dal sociologo francese Émile Durkheim (1858-1917), secondo il quale né il controllo sociale né i bisogni individuali possono spiegare l'integrazione degli individui in una comunità caratterizzata da un elevato livello di divisione sociale del lavoro. I membri di una collettività devono interiorizzare l'agenzia di controllo sociale per poter creare i presupposti della solidarietà sociale. Durkheim conia a questo proposito il concetto di "coscienza collettiva", riferendosi ai valori e alle norme condivise e alle attitudini generali di un gruppo o di una collettività che vengono interiorizzati dai singoli membri. Il compito primario dell'educazione, che Durkheim definisce come "socialisation méthodique", è quello di inculcare nella coscienza dei singoli individui le norme e i valori che sono alla base di un sistema sociale (v. Durkheim, 1922).
Il concetto di socializzazione venne introdotto per la prima volta nella sociologia statunitense da E.A. Ross (1896) e da F.H. Giddings (1897) per indicare il processo di integrazione sociale degli individui. Affermatosi negli Stati Uniti a partire dagli anni quaranta, il concetto moderno di socializzazione venne ripreso e adattato dalla sociologia europea nell'ambito degli studi sulla famiglia, sui giovani e sull'educazione, nonché in quello della psicologia evolutiva. L'attenzione si focalizzava principalmente sul rapporto tra classe sociale, linguaggio e rendimento scolastico. Negli anni ottanta si è verificata una tendenza alla convergenza teorica tra i vari indirizzi, esemplificata dal Neues Handbuch der Sozialisationsforschung (v. Hurrelmann e Ulich, 1991), sebbene continuino a sussistere tipiche differenze tra le tematiche privilegiate dalle varie scuole nazionali: classe sociale, etnicità e ineguaglianza in quella americana, esclusione sociale, barriere linguistiche ed educazione in quella anglosassone, ineguaglianza educazionale e coscienza di classe in quella francese, ineguaglianza sociale ed educativa, percorso di vita individualizzato in quella tedesca. La ricerca sulla socializzazione in Germania si caratterizza inoltre per il tentativo di integrare l'approccio storico e quello sistematico in un quadro concettuale unitario (v. Geulen, 1977; v. Hurrelmann, 1988).
Ovviamente il tema della socializzazione copre un ambito assai vasto, e si fonda su una varietà di tradizioni teoriche e di problematiche sociali legate ai cambiamenti economici, politici e culturali che hanno caratterizzato la nascita del capitalismo industriale nel XX secolo (v. Hobsbawm, 1994). All'interno di questa evoluzione si possono isolare i seguenti orientamenti e nuclei problematici.
Il determinismo culturale. - Nella sua ricerca sulla diffusione dei modelli di vita occidentali, l'antropologia culturale focalizzò l'attenzione sulla imposizione/assimilazione di valori e di modelli culturali propri delle potenze coloniali nelle società indigene, sviluppando teorie contrastanti sul processo di adattamento culturale. La definizione della socializzazione in termini di imposizione di modelli comportamentali e di accettazione di immagini culturali dominanti ha le sue radici in questa tradizione. In questa prospettiva, il concetto di socializzazione non si riferisce tanto allo sviluppo psicosociale del bambino, quanto piuttosto all'integrazione degli individui nel sistema di valori e nella struttura normativa di un gruppo sociale.
L'ideologia del melting pot. - Nei primi decenni del XX secolo i crescenti flussi di immigrazione dall'Europa meridionale ed orientale negli Stati Uniti hanno reso il processo di integrazione sociale e di acculturazione un urgente problema sociale. L'adattamento degli immigrati provenienti dalle aree rurali al modello di vita americano divenne un tema di rilevanza politica ed economica, e costituì il principale oggetto delle prime ricerche sulla socializzazione, incentrate sul controllo sociale e sul controllo del comportamento deviante (criminalità, alcolismo, vagabondaggio). La ricerca condotta nell'ambito della Scuola di Chicago (v. Faris, 1970) ha prodotto studi fondamentali sulle attitudini sociali, sulle sottoculture e sul problema dell'integrazione, mettendo in luce le conseguenze individuali e sociali dei conflitti tra le minoranze etniche e razziali e la cultura dominante. In uno studio che ebbe grande influenza W.I. Thomas e F. Znaniecki (v., 1927) analizzarono i processi di adattamento culturale dei contadini polacchi in America, basandosi soprattutto su documenti e biografie personali.
Cultura e personalità. - Allorché negli anni trenta l'antropologia culturale si orientò verso l'analisi comparata delle strutture della personalità nelle diverse culture, la problematica dell'influenza dei modelli di educazione e di socializzazione sulla formazione della personalità divenne uno dei temi privilegiati della ricerca. Sulla base di assunti prevalentemente derivati dalla psicanalisi, vennero studiati gli effetti delle differenze relative alla socializzazione nella prima infanzia e delle relazioni familiari sulla struttura della personalità di bambini, adolescenti e adulti. Un importante contributo in questo campo è rappresentato dalla ricerca di E.H. Erikson (v., 1950) sulle pratiche di socializzazione degli Indiani del Nordamerica. L'approccio di cultura e personalità fu criticato per le sue argomentazioni circolari e i problemi legati alla trasposizione dei dati etnologici alle società complesse. Il lavoro di Erikson ad ogni modo rappresenta il primo tentativo di collegare la dimensione psichica e quella culturale nella ricerca sulla socializzazione.
Classe sociale e carattere sociale. - Prendendo le mosse dalla critica della famiglia borghese che tende a reprimere i bisogni e l'indipendenza dei figli, gli esponenti della Scuola di Francoforte associarono la critica sociale ad alcune tematiche della psicanalisi (v. Horkheimer e altri, 1936). Secondo questo approccio, nella società di classe gli individui sono soggetti a pratiche educative autoritarie, e sviluppano quindi strutture della personalità che li rendono adatti alla struttura sociale. Il classico studio di Adorno e dei suoi collaboratori (v. Adorno e altri, 1950) illustra la relazione tra socializzazione repressiva nella famiglia, conservatorismo sociale ed economico, pregiudizio etnico e antisemitismo - elementi distintivi della cosiddetta 'personalità autoritaria'. Nonostante le critiche, soprattutto di ordine metodologico, di cui è stato oggetto, questo studio costituisce nondimeno un importante esempio di ricerca interdisciplinare sulla socializzazione.
Controllo sociale e apprendimento. - Negli anni quaranta l'applicazione dei risultati della ricerca sperimentale sull'apprendimento individuale e sulle dinamiche di gruppo ai problemi dell'apprendimento sociale fu alla base dello sviluppo di una teoria comportamentista sulla socializzazione che ha tuttora un certo numero di seguaci nel campo della psicologia sociale dell'istruzione. In epoca più recente, i modelli cognitivi di apprendimento e le dinamiche di gruppo sono stati utilizzati per spiegare gli effetti del rinforzo sociale sull'acquisizione di modelli comportamentali socialmente accettati. Albert Bandura (v., 1962) ha sviluppato una teoria sociocognitiva dell'apprendimento che ha contribuito all'analisi dell'imitazione come un aspetto della socializzazione.
Ineguaglianza sociale e compensazione educativa. - A partire dagli anni sessanta, e in particolare nel periodo della contestazione studentesca, il problema del rapporto tra sviluppo della personalità, apprendimento e società uscì dai confini della discussione accademica e divenne in misura crescente un tema di pubblico dibattito. Il concetto di socializzazione venne utilizzato per spiegare le differenze di rendimento scolastico tra i bambini provenienti da famiglie del ceto medio e i figli di genitori proletari, e divenne con ciò un concetto chiave per la ricerca e per la riforma delle strutture educative. L'analisi dell'impatto dell'appartenenza di classe sulla socializzazione e sui comportamenti nell'ambito della famiglia, della scuola e del vicinato assunse un ruolo centrale nella ricerca statunitense e inglese, nonché parecchi anni più tardi in Germania, e influenzò in misura significativa i progetti di riforma mirati a ridurre le barriere linguistiche (compensazione educativa, sistemi scolastici globali).
Rinascita della teoria. - La ricerca sul rapporto tra classe sociale e socializzazione ha documentato gli effetti di condizioni di vita ineguali e di differenti sistemi di valori sullo sviluppo delle capacità cognitive-comunicative del bambino. È nata così l'esigenza di elaborare teorie più generali in grado di spiegare l'impatto delle strutture del mutamento sociale (macrolivello) sulle agenzie di socializzazione (mesolivello) e l'influenza di queste ultime sullo sviluppo della personalità e sui processi di integrazione sociale (microlivello). Gli studi storiografici sull'infanzia e sull'adolescenza e l'analisi di biografie sociali nel contesto del mutamento delle condizioni di vita e di lavoro riflettono questo nuovo orientamento della teoria della socializzazione. Nel corso di questa evoluzione, i contenuti e gli orizzonti della ricerca si sono andati precisando ed estendendo nello stesso tempo (v. Goslin, 1969; v. Hurrelmann e Ulich, 1991). Si è avuta così una differenziazione dei campi di indagine, che ha prodotto studi sulla socializzazione in rapporto al genere e alla classe sociale, allo sviluppo cognitivo-comunicativo, alla sfera politica e a quella professionale, nonché sul ruolo delle agenzie di socializzazione - famiglia, scuola, università, media e ambienti di lavoro.
Modernizzazione del ciclo di vita. - Se in un primo tempo la ricerca sulla socializzazione e le relative teorie avevano focalizzato l'attenzione sullo sviluppo del bambino nel contesto della classe sociale, della vita familiare e della scuola ('socializzazione primaria'), in anni più recenti si è andata affermando una concezione della socializzazione come processo che si estende lungo tutto l'arco della vita (v. Elder e O'Rand, 1995; v. Heinz, 1991). In questa prospettiva acquista particolare rilievo l'interazione tra gli eventi e le transizioni del ciclo di vita e gli adattamenti individuali al mutare delle aspettative di ruolo - ad esempio, la transizione dalla scuola al mondo del lavoro, o dall'attività lavorativa al pensionamento (v. Brim e Wheeler, 1974; v. Baltes, 1983).
Le concezioni tradizionali della socializzazione tendevano ad assumere che l'ambiente sociale influenzi lo sviluppo individuale in modo unidirezionale. Tuttavia nell'ambito della psicologia evolutiva la problematica dell'interazione individuo/ambiente è stata impostata in termini in parte nuovi da Urie Bronfenbrenner (v., 1979), il quale ha proposto un approccio ecologico allo sviluppo personale che tiene conto dell'influenza dei fattori sia individuali che ambientali sulla socializzazione nel corso della vita. Associato a una teoria sociologica, questo approccio comporta un ampliamento e un superamento del concetto di interiorizzazione delle norme sociali nell'infanzia, focalizzando l'attenzione sulla continuità e sul mutamento nel corso della socializzazione come processo esteso a tutto l'arco della vita. Considerando le transizioni nei ruoli sociali, nei gruppi di età, nelle relazioni e nelle risorse sociali, questo approccio mette in evidenza il rapporto dinamico che sussiste tra lo sviluppo della personalità e le varie fasi della vita sociale.
Al centro della concezione sociologica della socializzazione vi è il processo di interiorizzazione di norme e valori, ossia la trasformazione dei controlli e degli scopi sociali esterni in una struttura interiore di orientamenti e di disposizioni dell'azione. La psicologia sociale, la teoria dell'apprendimento sociale, le teorie dello sviluppo cognitivo e la psicanalisi cercano di spiegare in che modo avvenga tale processo di interiorizzazione. Questa divisione tra le diverse discipline sul piano dell'elaborazione teorica ha reso difficile l'integrazione dei vari risultati della ricerca empirica sulla socializzazione in un quadro concettuale unitario. Una convergenza tra l'approccio sociologico e quello psicologico si è verificata principalmente sul terreno del rapporto tra socializzazione e classe sociale (v. Steinkamp, 1991).
Per spiegare il processo di interiorizzazione, il comportamentismo ha sviluppato la teoria del rinforzo sociale di sequenze di stimolo-risposta e dell'apprendimento basato sull'osservazione di modelli di riferimento per i ruoli sociali. La tradizione psicanalitica dal canto suo mette l'accento sulle relazioni affettive dell'individuo con le persone di riferimento che mediano l'interiorizzazione inconscia dei controlli esterni, postulando un complesso processo di identificazione. Rifacendosi alla psicologia evolutiva di Jean Piaget (1896-1980), un approccio più recente postula l'interiorizzazione delle norme morali, delle aspettative di ruolo e dei simboli culturali in un processo di sviluppo cognitivo articolato in fasi. Secondo questa teoria, l'acquisizione della competenza sociale, del comportamento linguistico e del giudizio morale si compirebbe attraverso una sequenza di trasformazioni qualitative delle strutture cognitive.Illustreremo ora brevemente i principali approcci teorici che sono stati proposti per spiegare differenti aspetti della socializzazione.
In quanto processo di apprendimento sociale, la socializzazione può essere considerata un ambito di pertinenza delle teorie psicologiche dell'apprendimento. Tuttavia, data la complessità dei rapporti tra disposizioni genetiche individuali e condizioni sociostrutturali, il comportamentismo con il suo modello semplicistico di condizionamento comportamentale si rivela del tutto inadeguato ad offrire una spiegazione soddisfacente dei processi di apprendimento interpersonali mediati simbolicamente. La teoria del rinforzo sociale si rivela utile solo per l'analisi di alcuni aspetti della socializzazione, ad esempio il comportamento orientato alla prestazione, il comportamento conforme, o il controllo del comportamento aggressivo. Pertanto, a partire dagli anni settanta il paradigma comportamentista è stato abbandonato in favore di approcci cognitivisti (v. Stevenson, 1983). Tra i fattori che hanno determinato questo mutamento di orientamento teorico vi è stato anche il crescente interesse per i processi di elaborazione dell'informazione e dell'acquisizione e dell'applicazione della conoscenza. Tuttavia gli approcci di questo tipo trascurano il fatto che il bambino interpreta un'influenza sociale, e che il significato culturale delle situazioni di apprendimento come contesti sociali determina variazioni individuali sia nei processi che nei risultati dell'apprendimento.
La teoria dell'apprendimento basato sull'osservazione di modelli consente di rispondere a questioni più complesse. Essa spiega l'acquisizione di modelli comportamentali e di conoscenze sociali attraverso l'osservazione del comportamento di determinate persone di riferimento. Si tratta quindi di una forma di apprendimento per imitazione. Bandura (v., 1977 e 1986) concepisce la socializzazione come un processo attivo, in cui entrano in gioco la motivazione dell'osservatore, le caratteristiche del modello di riferimento, il rapporto tra tale modello e il soggetto che apprende, nonché le dimensioni soggettivamente rilevanti della situazione di apprendimento. L'accento viene posto sui processi cognitivi nel contesto di relazioni interattive. A differenza delle teorie dell'apprendimento semplici, l'approccio di Bandura si basa sull'assunto che l'osservazione del comportamento del modello esplichi una funzione informativa per il soggetto che apprende, il quale codifica gli eventi osservati attraverso rappresentazioni di tipo simbolico-linguistico. Così, ad esempio, osservando i modelli di ruolo adulti il bambino desume regole implicite e schemi comportamentali. L'apprendimento sociale viene analizzato da Bandura (v., 1977) come un processo cognitivo attivo legato a motivazioni, sentimenti e strutture dell'azione. Alla base della scelta di una determinata persona di riferimento come modello di comportamento vi sarebbe secondo Bandura un processo di identificazione. Egli si serve di questo concetto, derivato dalla teoria psicanalitica, per interpretare l'apprendimento sociale nei termini di un processo interpersonale. I genitori assumono, il più delle volte in modo inconsapevole, la funzione di modelli, fornendo al bambino gli elementi attraverso cui egli sviluppa i propri schemi di comportamento sociale adeguato. Questi schemi vengono sperimentati attivamente attraverso l'interpretazione di ruoli, e diventano così una versione dei vari ruoli specifica del bambino. Nel costruire il proprio ruolo di genere, i bambini e le bambine non si rifanno solo al modello paterno e materno, ma combinano anche osservazioni 'inter-genere' (cross-gender).
Sebbene per certi versi postuli un soggetto attivo, la teoria dell'apprendimento sociale non concepisce l'individuo come un agente autoriflessivo del proprio sviluppo. Ancorata alla psicologia, questa concezione non tiene conto delle strutture sociali e delle circostanze che limitano la gamma dei modelli accessibili. Inoltre, lo status teorico del concetto di identificazione nella ricerca sulla socializzazione non può essere chiarito attraverso un confronto di risultati empirici. Gli studi influenzati dalla teoria dell'apprendimento spiegano i propri risultati facendo ricorso alla teoria del rinforzo secondario, quelli di orientamento psicanalitico alla dipendenza affettiva tra osservatore e modello che scaturisce dalla paura di perdere l'affetto delle persone di riferimento.
Nell'ambito della sociologia, l'approccio privilegiato alla problematica della socializzazione è costituito dalla teoria dei ruoli. A differenza della spiegazione comportamentista dell'apprendimento sociale basato sulle leggi del rinforzo, la teoria dei ruoli analizza lo sviluppo della personalità nel contesto dell'interazione sociale e delle relazioni tra individui, persone di riferimento e gruppi. La versione strutturalista di questo approccio mette l'accento sulla conformità alle aspettative di ruolo con cui si confrontano il bambino e l'adulto, ma trascura gli aspetti della socializzazione legati alla dimensione simbolica e all'identità. L'acquisizione e l'adempimento dei ruoli sociali vengono spiegati combinando i due concetti di identificazione e di ruolo sociale. Pur risultando più adeguato a render conto della complessità dei processi di socializzazione, questo approccio considera ruoli, norme e valori come fatti sociali, privilegiando così la dimensione del controllo e dell'ordine sociale. La teoria struttural-funzionalista sviluppata da Talcott Parsons (v., 1951), che combina la teoria dei ruoli con le concezioni psicanalitiche, ha fortemente influenzato la ricerca sulla socializzazione sino agli anni settanta. Secondo Parsons, la socializzazione è funzionale alla stabilità dei sistemi sociali in quanto conduce all'acquisizione di orientamenti e di valori che sono alla base del comportamento di ruolo. I bisogni vengono trasformati in motivazioni ad agire secondo le aspettative di ruolo e le norme sociali nella misura in cui il controllo sociale è interiorizzato nella struttura della personalità sotto forma di Super-Io (v. Parsons, 1964). È evidente qui il richiamo alle teorie psicanalitiche, secondo le quali lo sviluppo psicosessuale dell'individuo è guidato dal conflitto tra pulsioni innate e norme culturali. La personalità si forma attraverso le modalità specifiche di soluzione di tale conflitto, che consistono in un compromesso più o meno precario tra Es, Io e Super-Io. L'Io rappresenta il principio di realtà, il Super-Io i modelli culturali interiorizzati. Entrambi regolerebbero l'Es, che rappresenta il principio di piacere. La principale agenzia di socializzazione è la famiglia, in cui lo sviluppo della personalità avviene attraverso il superamento di una sequenza di crisi psicosessuali.
La competenza sociale si sviluppa attraverso la conformità ai valori generali della società-universalismo, orientamento verso la prestazione, orientamento verso lo scopo, neutralità affettiva. Questi valori caratterizzano le istituzioni formali quali il sistema scolastico e le organizzazioni del lavoro. Ascrizione, affettività e solidarietà sono invece i valori propri della famiglia. Oltre a quest'ultima, quindi, anche la scuola e il gruppo di pari contribuiscono ai processi di socializzazione, in quanto portatori di strutture di ruolo che rappresentano orientamenti di valore differenti. Ad esempio, la scuola rappresenta una struttura di ruolo formalizzata che riflette il valore della capacità di prestazione in base a criteri universali. Adattandosi a questo sistema di ruolo, il bambino sviluppa una comprensione della relazione insegnante-scolaro e dei criteri generali di valutazione.
Rifacendosi alla teoria di Parsons, S.N. Eisenstadt (v., 1956) ha analizzato il ruolo sociale dell'adolescenza come gruppo d'età tra infanzia ed età adulta. Secondo Eisenstadt, l'adolescenza è un'invenzione sociale recente delle società che hanno sperimentato il trapasso da un sistema di valori particolaristico ad uno universalistico. L'adolescenza costituisce un collegamento tra la cultura familiare particolaristica e le istituzioni dell'economia e della società. I giovani, però, possono rifiutare l'integrazione funzionale nella società adulta e creare propri valori, dando vita ad una controcultura e adottando comportamenti non conformi. Nella prospettiva della teoria struttural-funzionalista si tratta di fenomeni di devianza nella misura in cui minacciano la stabilità sociale.La principale debolezza della teoria struttural-funzionalista della socializzazione è quella di ridurre lo sviluppo della personalità all'interiorizzazione di valori e norme, e quindi all'adattamento ai sistemi di ruoli istituzionalizzati, e di trascurare l'influenza della classe sociale e del genere sulla socializzazione.
Un altro approccio che ha avuto una certa risonanza nell'ambito della ricerca sulla socializzazione è quello basato sulla teoria psicanalitica dello sviluppo della personalità proposto da Erik H. Erikson (v., 1982), il quale ha elaborato un modello psicosociale di formazione dell'identità che tiene conto dei fattori ambientali ed estende l'analisi dalla socializzazione primaria all'intero ciclo di vita. Secondo Erikson, lo sviluppo della personalità è il prodotto di una serie di conflitti e di crisi che l'individuo si trova ad affrontare in determinati momenti di svolta della sua esistenza. Il ciclo di vita viene ricostruito come una sequenza di otto crisi psicosociali collegate ai conflitti specifici di una data fase d'età e dei ruoli ad essa associati tra i bisogni individuali e le esigenze socioculturali. L'adolescenza, che costituisce la fase di transizione dalla tarda infanzia alla prima età adulta, è un momento cruciale per la formazione dell'identità. Questa fase della vita richiede infatti al giovane di trasformare le proprie esperienze infantili nell'acquisizione di nuove responsabilità sociali. Secondo Erikson, per compiere il suo processo di maturazione l'adolescente deve disporre del tempo e dello spazio necessari per l'esplorazione sociale e la sperimentazione dei ruoli. Questa sorta di 'moratoria psicosociale' prepara la giovane generazione a formarsi un'autoimmagine stabile e a progettare il proprio futuro. La crisi di sviluppo dell'adolescenza viene risolta quando si raggiunge l'autoidentità e si completa l'integrazione sociale attraverso l'assunzione di ruoli adulti. L'identità tuttavia non è statica, ma viene influenzata dalle successive transizioni del ciclo di vita.
Le attuali teorie della socializzazione sono fortemente influenzate dall'interazionismo simbolico, un approccio sviluppatosi nell'ambito della sociologia e della psicosociologia sulla base della filosofia pragmatica e dell'analisi dell'interazione. Il fondatore di questo approccio fu George H. Mead (1863-1931), uno dei rappresentanti più influenti della Scuola di Chicago. Secondo Mead, l'azione sociale è sempre mediata da simboli sociali significativi che rappresentano il senso che i partecipanti attribuiscono alla situazione. Mente, Sé e Società (v. Mead, 1934) sarebbero collegati dall'azione autoriflessiva, che a sua volta è inserita in un contesto di relazioni sociali e di simboli culturali.
Nella prospettiva dell'interazionismo simbolico, la socializzazione avviene in contesti sociali i quali richiedono all'individuo di anticipare e di assumere la prospettiva degli altri. Ad esempio, i bambini apprendono i propri ruoli di figlio o di figlia, di fratello o di sorella assumendo i ruoli del padre, della madre, del fratello o della sorella. In altri termini, il bambino acquista un concetto del proprio ruolo e della propria identità interpretando le aspettative di Altri significativi coinvolti in interazioni reciproche. Il concetto di interazione simbolica implica uno scambio attivo tra l'individuo e il suo mondo sociale, l'interpretazione di simboli e situazioni e la reciproca interrelazione di prospettive tra i partecipanti nei processi di interazione. Poiché l'apprendimento sociale e lo sviluppo della personalità sono considerati il risultato di una interazione comunicativa, il rapporto tra identità sociale e identità personale è diventato un importante campo di studio della teoria della socializzazione (v. Habermas, 1973 e 1976; v. Garz, 1989). L'identità sarebbe il prodotto di una competenza cognitivo-verbale che si basa sullo scambio cumulativo tra sviluppo cognitivo e partecipazione sociale. Rifacendosi a Mead, secondo il quale l'identità viene costruita attraverso l'assunzione della prospettiva dell'altro nei processi di interazione simbolica, Erving Goffman (1922-1982) opera una distinzione tra identità sociale e identità personale, affermando che esse devono essere equilibrate nell'interazione sociale attraverso l'autoidentità. L'identità sociale è costituita dalle norme sociali e dalle aspettative di ruolo, l'identità personale dalle motivazioni e dalla biografia individuali (v. Goffman, 1963). L'approccio di Goffman si rivela particolarmente valido per spiegare la complessità della socializzazione nella società moderna, in quanto interpreta lo sviluppo della personalità come un processo attraverso il quale si acquisisce lo status di individuo e nello stesso tempo di membro della società. Data la varietà delle condizioni e degli stili di vita, nonché delle situazioni sociali, l'individuo deve riadattare frequentemente la propria autoidentità al fine di rispondere ad una varietà di contesti sociali e di percorsi di vita.L'interazionismo simbolico si dimostra un approccio particolarmente valido al microlivello, grazie alla sua analisi finemente articolata della base comunicativa dello sviluppo della personalità nella prospettiva dei partecipanti. Tuttavia le teorie sociopsicologiche della socializzazione trascurano l'analisi dei contesti storici e sociali che strutturano le circostanze e le dinamiche dello sviluppo della personalità.
Le teorie dello sviluppo sociocognitivo hanno assunto un ruolo importante nella ricerca sulla socializzazione grazie al lavoro di Lawrence Kohlberg (1927-1987), il quale si rifà alle teorie di J. Piaget e di G.H. Mead. Kohlberg amplia la classica indagine di Piaget sui nessi tra sviluppo morale e sviluppo intellettuale proponendo un modello dello sviluppo del pensiero morale articolato in tre fasi (preconvenzionale, convenzionale e postconvenzionale) che integra altresì il concetto di interazione simbolica quale strumento di organizzazione del significato (v. Kohlberg, 1981-1984).
Nell'approccio incentrato sullo sviluppo cognitivo le attività finalizzate del bambino sono poste al centro della formazione della personalità, che è guidata dagli scambi dinamici tra individuo e ambiente. Ad esempio, il superamento della fase del pensiero egocentrico si realizza attraverso l'adattamento ai ruoli sociali cooperativi nei gruppi di pari dei bambini in età prescolare. L'identità di genere si stabilizza allorché l'individuo capisce che le aspettative di ruolo fanno parte della propria autopresentazione. L'autocategorizzazione come 'bambino' o 'bambina' è collegata a interessi, attività e abilità specifici che vengono attribuiti all'immagine maschile o femminile.
Nelle società a dominanza maschile il complesso di ruoli maschili è valutato in modo più positivo rispetto a quello femminile, in quanto tende ad essere associato ad una gamma più ampia di opportunità. Come attestano diversi studi di comparazione interculturale, nulla dimostra l'esistenza di differenze di genere 'naturali', a parte la motivazione all'aggressività e al dominio, che è più forte nei maschi (v. Maccoby e Jacklin, 1974). Il genere è legato a sistemi di ruoli sociali che si basano sulla divisione del lavoro tra uomini e donne. Questa divisione è fondamentale per l'ambiente sociale del bambino, il quale sviluppa la propria immagine di sé all'interno di questo quadro pratico e simbolico. Così la teoria di Kohlberg acquista maggiore plausibilità se viene ricollegata alla divisione del lavoro tra generi all'interno della famiglia. Su questo aspetto ha messo l'accento Carol Gilligan (v., 1982), la quale ha affermato che l'autoidentità e il pensiero morale sono collegati a due dimensioni della moralità. A suo avviso accanto alla nozione maschile di giustizia e di dovere esiste la concezione femminile di felicità e di assistenza agli altri; entrambe possono costituire la base per autoconcetti valutativi e per la soluzione di questioni sociali.
Riallacciandosi alle teorie di Feuerbach e di Marx che definiscono l'individuo come un insieme di relazioni sociali, la teoria critica della società cerca di interpretare la soggettività nella prospettiva dei rapporti di produzione, analizzando il riflesso storico specifico di bisogni e motivazioni (la "natura interna"), struttura di classe e relazioni economiche (v. Sève, 1972). Richiamandosi alla tradizione della Scuola di Francoforte, Lorenzer (v., 1972) ha affermato che il sistema biologico delle pulsioni innate non può essere separato dallo sviluppo della personalità nel contesto storico delle condizioni di vita concrete. Sulla base di questi presupposti, la teoria critica della socializzazione considera quali elementi fondamentali del processo di formazione del soggetto le condizioni di vita e le relazioni di potere che entrano in gioco nell'interscambio tra individuo e società. La socializzazione è concepita come un processo dialettico consistente nel connettere motivazioni e bisogni individuali alle strutture sociali determinate dai rapporti di produzione. Ciò significa interpretare la famiglia non solo come un sistema sociale, ma anche come un agente di socializzazione inserito in uno specifico contesto socioeconomico, e porre alle radici dello sviluppo della personalità determinate forme di interazione genitore/figlio legate ai processi di produzione. Mentre le teorie psicologiche e gli approcci che fanno riferimento alla classe sociale e alla struttura economica tendono ad analizzare la socializzazione in modo unilaterale, Lorenzer (v., 1972) e Oevermann (v., 1979) hanno proposto un'analisi critico-ermeneutica delle strutture sociali e individuali che studia lo sviluppo della personalità in un contesto di rapporti familiari determinato da fattori storici e sociali.
Gli studi interculturali condotti per oltre 25 anni da Melvin Kohn e dai suoi collaboratori (v. Kohn, 1969; v. Kohn e Schooler, 1983) hanno cercato di dimostrare che la posizione dell'individuo nel sistema sociale diviso in classi è connessa alla struttura occupazionale, e che l'ambiente di lavoro è la principale forza socializzante nello sviluppo della personalità, in quanto influenza la percezione della realtà sociale da parte del soggetto. Le esperienze nel mondo del lavoro influiscono sui valori e sugli orientamenti dei genitori, i quali tendono a trasmettere le loro concezioni del mondo ai figli. Poiché l'educazione è connessa all'assolvimento di compiti complessi che richiedono e nello stesso tempo permettono la flessibilità intellettuale, i genitori della classe media favoriscono orientamenti più indipendenti e pongono scopi intellettuali di livello più elevato rispetto ai genitori delle classi inferiori. La posizione nella struttura di stratificazione fornisce quindi il contesto socioeconomico della socializzazione - opportunità educative e occupazionali, nonché esperienze di apprendimento e di lavoro di tipo autodiretto oppure restrittive.
La ricerca sui processi di socializzazione cerca di documentare empiricamente l'influenza delle condizioni sociali e culturali sull'apprendimento sociale e sullo sviluppo individuale, che trovano riflesso nelle competenze e nelle capacità di prestazione individuali. La maggior parte degli studi concentra l'attenzione sull'infanzia e sull'adolescenza nel contesto della famiglia e delle istituzioni scolastiche. Restano piuttosto scarsi gli studi longitudinali che seguono lo sviluppo della personalità dall'infanzia all'età adulta (v. Elder, 1974), sebbene soltanto attraverso questo tipo di ricerca sia possibile dimostrare gli effetti durevoli della socializzazione nelle prime fasi del ciclo di vita.
In generale, la ricerca sulla socializzazione si basa su due assunti fondamentali. In primo luogo, si presuppone che le prime influenze sociali agiscano sulla struttura della personalità più profondamente delle esperienze compiute nelle fasi successive della vita (v. Tillmann, 1989). Alle origini di questo assunto vi sono la teoria freudiana dello sviluppo psicosessuale e la psicologia evolutiva di Jean Piaget. In secondo luogo, si assume che l'ambiente sociale ed ecologico contribuisca in modo decisivo allo sviluppo dei tratti della personalità e delle capacità individuali, stimolando e promuovendo potenzialità innate.In anni recenti alcuni autori (v. Herrnstein e Murray, 1994) hanno sostenuto il primato delle influenze genetiche sull'intelligenza, contribuendo così a riaccendere il dibattito sul rapporto natura/cultura. Tuttavia la ricerca sulla socializzazione ha messo in luce ancora una volta che lo sviluppo cognitivo e linguistico e la formazione dell'identità non possono essere compresi indipendentemente dall'influsso del contesto culturale e della classe sociale. È indispensabile considerare entrambi i fattori per formulare ipotesi convincenti sulla tempestività e sul tipo di stimolazione sociale del comportamento verbale che determinano le differenze di rendimento tra i bambini del ceto medio e quelli delle classi inferiori, o sugli effetti dei diversi tipi di strutture parentali sulla motivazione al successo. Pertanto i principali temi della ricerca restano le condizioni che favoriscono lo sviluppo di una competenza sociale (comportamento di ruolo, motivazione al successo, comportamento verbale), dell'identità sociale e delle strutture e dei processi propri delle differenti agenzie di socializzazione (famiglia, asili infantili, scuola, università, ambiente di lavoro).
La riuscita della socializzazione può essere valutata in base all'adattamento tra individuo e ambiente, al grado di conformità del bambino e dell'adolescente alle aspettative della società, e alla capacità delle agenzie di socializzazione di assolvere i propri compiti secondo determinati standard culturali. Richiamandosi all'interazionismo simbolico e alla teoria critica, Habermas (v., 1973) ha proposto quali criteri di una socializzazione riuscita la capacità dell'individuo di interpretare determinati ruoli sociali, di osservare le norme in modo autoriflessivo e di partecipare all'interazione sociale come agente autocosciente. Viene ribadito in questo modo che l'efficacia della socializzazione non può essere giudicata solo dalla prospettiva della conservazione dell'ordine e dell'integrazione sociale, ma deve essere considerata anche in termini di autonomia individuale e di autorealizzazione. Nell'analizzare la struttura e le dinamiche dell'agenzia di socializzazione, in modo particolare la famiglia, non si può prescindere dalle differenti opportunità di vita e dalle limitazioni legate alla posizione di classe e alle reti sociali. Il tipo di socializzazione all'interno della famiglia è determinato in larga misura dai privilegi o dagli svantaggi materiali e culturali, dalla posizione e dai ruoli dei genitori nei sistemi di produzione e riproduzione. Le ineguaglianze di risorse finanziarie, sociali e culturali tra le famiglie che appartengono a diversi strati sociali sono responsabili delle ineguali opportunità sociali che vengono offerte ai figli (v. Bourdieu e Passeron, 1970). All'interno della famiglia, inoltre, si va verificando un lento ma progressivo mutamento della divisione del lavoro tra uomini e donne, che influenza la trasmissione di valori e progetti di vita legati al genere.
Gran parte della ricerca sulla socializzazione è frutto di studi condotti attraverso le tecniche del questionario, dell'intervista e (raramente) dell'osservazione sistematica. Recentemente si è affermata una combinazione di metodi standardizzati e metodi qualitativi - ad esempio negli studi sulla transizione dalla scuola al mondo del lavoro (v. Heinz, 1998) e sulla condizione giovanile - che associano metodi di rilevazione e dati biografici (v. Fischer e Zinnecker, 1992; v. Cavalli e De Lillo, 1988).
Data la predominanza di progetti di ricerca standardizzati e la frammentazione delle prospettive teoriche sulla socializzazione, l'analisi dei dati e i progressi pratici non possono sopperire alla mancanza di una teoria integrata. Poiché i progetti sperimentali e le ricerche trasversali standardizzati si rivelano inadeguati a cogliere le complesse interrelazioni tra individuo e ambiente sociale, le spiegazioni e l'istituzione di nessi causali tra socializzazione nella prima infanzia e rendimento nelle fasi successive della vita si basano sul metodo del case study - un'indagine approfondita e prolungata nel tempo della singola persona - e sulle ricerche longitudinali. Trattandosi di un metodo di indagine piuttosto dispendioso che richiede la possibilità di seguire un soggetto per un periodo di tempo molto lungo, le ricerche longitudinali sono in larga misura retrospettive, ossia ricostruiscono gli effetti degli eventi biografici, delle transizioni e del contesto sociale sullo sviluppo della personalità. Occorre osservare infine che la ricerca è tuttora focalizzata quasi esclusivamente sull'apprendimento sociale e sullo sviluppo dell'individuo nel contesto della famiglia e della scuola, e quindi non presenta la socializzazione come un processo che si svolge lungo tutto l'arco della vita. Mancano, ad esempio, dati empirici sugli effetti del cambiamento del posto di lavoro e dei modelli familiari sul concetto del Sé e sul comportamento di ruolo degli adulti, e quindi anche sui rapporti di socializzazione intergenerazionali.
Le trasformazioni che investono il mondo del lavoro hanno conseguenze significative sulle agenzie di socializzazione - la famiglia, la scuola, il posto di lavoro. Nasce allora l'esigenza di istituire un collegamento tra la teoria della socializzazione nella famiglia e la sociologia del percorso di vita. I dibattiti attuali sulla disoccupazione giovanile, le pari opportunità per le donne, il lavoro part-time e il lavoro in nero, le riduzioni del personale nelle aziende e i problemi del pensionamento mettono in luce una crescente discontinuità tra i diversi stadi della vita. In che modo la socializzazione nell'ambito della famiglia, della scuola e dei gruppi di pari si connette alla realtà del mercato del lavoro, della carriera, del matrimonio e del divorzio? Quali esperienze di socializzazione sono adatte alle esigenze di cambiamento nel mondo del lavoro e nella sfera privata, e quali invece sono in conflitto con le nuove sfide? In che modo le varie agenzie di socializzazione sono collegate tra loro, e in che misura le esperienze di apprendimento possono essere trasferite da un contesto sociale ad un altro - quali debbono essere 'disimparate', e quali apprese in forma nuova?
L'esigenza di livelli di qualificazione professionale sempre più elevati determina un prolungamento del periodo di apprendimento formale e informale ben oltre la fase dell'infanzia e dell'adolescenza, e ciò porta ad una crescente accademizzazione e professionalizzazione dei processi di socializzazione. Inoltre, l'accesso sempre più ampliato ai sistemi informatici tende ad invadere la vita familiare e le attività dei gruppi di pari - si pensi ai giochi al computer, o alla 'navigazione' su Internet (v. Turkle, 1996). L'esigenza di spiegare gli effetti della socializzazione formale e informale che si svolge lungo tutto l'arco della vita sulla formazione dell'identità, i suoi legami con le trasformazioni del sistema occupazionale e con la tecnologia informatica, e l'impatto di questi processi sulla pianificazione educativa e organizzativa costituisce la principale sfida per l'attuale ricerca sulla socializzazione.
Un altro, importante compito che si pone alla ricerca in questo campo è quello di spiegare in che modo i fattori individuali e sociali fungano da mediatori tra la classe sociale e la modernizzazione culturale. A questo proposito si pone la questione se la classe sociale continui a determinare la struttura e i sistemi di valori delle famiglie, e in che misura le differenziazioni sociali tra uomini e donne e tra gruppi di età all'interno della classe sociale vadano creando nuove forme di vita e nuove configurazioni di ruoli sociali. Per rispondere a questi interrogativi occorrono concezioni innovative in grado di combinare la ricerca al microlivello con l'analisi strutturale delle dinamiche sociali e individuali della modernizzazione al macrolivello nelle loro ripercussioni sulla socializzazione.
La socializzazione non è un processo limitato all'infanzia e all'adolescenza, poiché i cambiamenti che intervengono lungo tutto l'arco della vita determinano l'acquisizione di ruoli sociali e di autoidentità di tipo nuovo o diverso. Inoltre, gli effetti della socializzazione nell'infanzia e nell'adolescenza dipendono dai significati che gli individui attribuiscono alle proprie esperienze e al modo in cui queste vengono connesse alle fasi di vita successive. Nella definizione dell'identità di ruolo professionale delle donne, ad esempio, le esperienze personali e la posizione sociale si sono rivelate più importanti delle attitudini e dei progetti di vita materni (v. Moen e altri, 1995). La personalità e i tratti intellettuali tendono a mostrare una maggiore continuità dall'infanzia all'età senile, mentre l'autoimmagine, gli orientamenti sociopolitici e le attitudini sociali sono assai più soggetti a variare nel tempo.
Per queste ragioni, Baltes e i suoi collaboratori (v. Baltes e Staudinger, 1996) hanno collocato gli approcci socio-interazionisti mirati a spiegare la socializzazione cognitiva in un quadro di sviluppo della personalità che copre l'intero ciclo di vita. Attraverso la nozione di 'menti interattive' essi hanno introdotto una concezione dinamica della costruzione interattiva del pensiero e del linguaggio. Si tratta peraltro di un approccio che resta psicologico, in quanto trascura il contributo fondamentale dell'interazionismo simbolico nella spiegazione delle attività intellettuali in un contesto sociale.
Il ciclo di vita diventerà il principale riferimento per la ricerca e per la teoria nel campo della socializzazione. Esso organizza l'esistenza individuale in termini di carriere, sequenze e ruoli legati all'età, e fornisce un quadro simbolico per i progetti di vita individuali e per la formazione dell'identità (v. Kohli, 1986). (V. anche Apprendimento; Comportamentismo; Famiglia; Funzionalismo: analisi struttural-funzionale; Identità personale e collettiva; Interazionismo simbolico; Psicanalisi; Teoria critica della società).
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