Sollevamento
Il sollevamento pesi è una specialità sportiva che afferisce all'atletica pesante. Consiste nel sollevare una sbarra di acciaio con lunghezza di 2,20 m e massa di 20 kg alle cui estremità due morsetti di 2,5 kg ciascuno bloccano dischi metallici di vario peso e colore: rosso = 25 kg; blu = 20 kg; giallo = 15 kg; verde = 10 kg; bianco = 5 kg; cromo = 1,5, 0,5 e 0,25 kg. La disciplina ebbe origine in Francia all'inizio del 19° secolo e successivamente si diffuse in Germania e in Italia dove, nel 1897, venne disputato a Milano il primo campionato nazionale. Dal 1920 è ufficialmente ammessa alle Olimpiadi.
1. Tecniche di sollevamento
Il sollevamento pesi è una disciplina che prevede la suddivisione degli atleti in differenti categorie in funzione del peso corporeo. La prestazione consiste infatti nella capacità di esercitare forze elevate ed è proporzionale all'entità delle masse muscolari. Gli esercizi sono eseguiti su una pedana di legno di 4 m di lato. Le tecniche con le quali attualmente si esegue il sollevamento sono lo strappo e lo slancio. Lo strappo prevede una prima fase durante la quale l'atleta afferra la sbarra dell'attrezzo con le mani, poste relativamente vicino alle estremità, con il dorso rivolto in avanti e, con un solo movimento continuo, compie il sollevamento dell'attrezzo portandolo da terra fino alla completa estensione delle braccia sopra la testa, aiutandosi con un'accosciata completa delle gambe; in una seconda fase, di risalita, il sollevatore estende le gambe assumendo una postura completamente eretta mantenendo le braccia estese sopra la testa. Tale tecnica è anche nota come sollevamento a singolo movimento. Lo slancio è invece un sollevamento compiuto con due movimenti: nel primo (girata), l'attrezzo, impugnato come nella modalità precedente ma con minore distanza tra le mani, viene portato da terra fino alle spalle, con un movimento continuo e con l'aiuto di una flessione delle gambe; nel movimento successivo (spinta), dopo aver riguadagnato la stazione eretta, le gambe vengono dapprima flesse e poi progressivamente estese simultaneamente alle braccia, che assumono una posizione completamente distesa sopra la testa; conclude l'esercizio la fase di risalita, in cui l'atleta estende completamente le gambe, assumendo, come nella tecnica di strappo, la posizione finale eretta. I sollevamenti vengono compiuti molto rapidamente e il tempo impiegato durante la fase propulsiva è, per le due tecniche, inferiore a 1 s. Data la forza esplosiva richiesta in termini di potenza muscolare, spesso questi sollevamenti sono impiegati per l'allenamento di atleti di altre discipline sportive, le quali richiedono azioni esplosive, come lanciare (lancio del peso e del martello) oppure saltare (pallavolo e salto in alto). I dati relativi alla traiettoria della sbarra, specie se congiunti a quelli riguardanti la sua velocità, forniscono importanti informazioni sulla tecnica impiegata dall'atleta nell'esecuzione dell'esercizio. La traiettoria ottimale durante la salita dell'attrezzo nel sollevamento con tecnica di strappo consiste in un iniziale movimento della sbarra (di 4-6 cm) verso il sollevatore, seguito da un altro di relativo allontanamento dopo che l'attrezzo ha attraversato la linea di riferimento verticale rispetto alla posizione a terra prima dell'inizio della prova. Nella parte finale della spinta il movimento è sostanzialmente rettilineo verso l'alto, fintanto che la sbarra non ritorna indietro verso l'atleta (riattraversando la linea verticale di riferimento) e ridiscende mentre il sollevatore si porta sotto il bilancere per afferrarlo. La fig. 3 esemplifica graficamente, da un punto di vista laterale, tale traiettoria ottimale, mostrando la relazione tra lo spostamento orizzontale e quello verticale della sbarra. È stato riscontrato che in numerosi sollevamenti da record mondiale la traiettoria del bilancere mostra questo andamento; in altri casi di sollevamenti record, tuttavia, si sono evidenziati sensibili scostamenti, suggerendo che il conseguimento di una prestazione di alto livello non è necessariamente legato alla realizzazione di una traiettoria ottimale.
2. Aspetti biomeccanici
Per lo studio biomeccanico del sollevamento pesi nei laboratori di ricerca, oppure sul campo, possono essere impiegate tecniche diverse, come l'analisi cinematografica di sequenze ad alta velocità, l'elettromiografia e le misure con piattaforma dinamometrica. Studi condotti mediante ripresa cinematografica veloce e registrazione simultanea delle forze esercitate dal sollevatore sulla piattaforma dinamometrica hanno permesso di descrivere l'andamento delle spinte e di misurare la potenza sviluppata dagli atleti nelle diverse fasi del sollevamento. È stato così possibile determinare che la prima fase consta di due sforzi distinti: con il primo sforzo si porta il peso da terra fino a poco sopra le ginocchia, mentre con il secondo lo si solleva sopra la testa (nello strappo) oppure lo si appoggia sopra le spalle (nello slancio). I dati cinematografici hanno una stretta corrispondenza con i tracciati di forza ottenuti sulla piattaforma dinamometrica, che rivela un andamento bifasico della forza verticale al suolo. Se questo genere di misurazioni viene completato con l'impiego di modelli matematici che prendono in considerazione i singoli segmenti degli arti, è possibile stimare le forze e il momento angolare a livello delle articolazioni interessate dal movimento specifico. Di conseguenza, sulla base dell'andamento del momento angolare a livello di anca e ginocchio, è stato possibile differenziare i due stili di sollevamento, verificando come nella tecnica di slancio l'accelerazione dell'attrezzo durante la fase finale di raddrizzamento dipenda prevalentemente dall'estensione del ginocchio e utilizzi in grande misura la spinta generata dai gruppi muscolari delle gambe e dell'anca. L'analisi biomeccanica ha anche potuto mostrare come nella tecnica di slancio si verifichi una seconda flessione del ginocchio dopo che il peso, sollevato da terra, abbia raggiunto un'altezza di poco superiore al ginocchio in corrispondenza della prima spinta; durante questa seconda flessione il torso assume una posizione più eretta in preparazione della successiva seconda spinta. È stato dimostrato che questa successione cinetica permette di reimpiegare i potenti muscoli estensori del ginocchio proprio in quell'arco di movimento in cui si può sviluppare la maggiore forza. È infatti noto che ogni muscolo sviluppa il massimo della propria forza solamente in un ambito ristretto della propria lunghezza, corrispondente a una posizione ottimale per lo scorrimento delle miofibrille, cioè quando il numero di siti attivi è massimo durante la loro interazione all'interno del muscolo.
Altri aspetti di notevole importanza della tecnica di slancio sono il recupero di energia elastica e la facilitazione neuromuscolare introdotta dal riflesso da stiramento durante l'estensione finale del ginocchio. Un approccio modellistico delle forze che agiscono sul torso ha anche consentito di notare che la tecnica di slancio riduce considerevolmente lo stress sulla colonna vertebrale a livello lombare. L'applicazione di queste metodiche di studio ha permesso di valutare la tensione nel legamento patellare di un atleta di altissimo livello al momento della rottura in un incidente avvenuto in pedana di sollevamento, consentendo di determinare un valore di tensione pari a 17,5 volte il peso corporeo dell'atleta. La registrazione dell'attività elettromiografica durante l'esecuzione del sollevamento ha poi fornito agli studiosi interessanti informazioni, rilevanti anche sul piano pratico. L'analisi elettromiografica, infatti, oltre a evidenziare una differente successione dell'attivazione dei diversi gruppi muscolari durante le due tecniche di sollevamento, come risultato delle differenze del gesto atletico specifico, consente di caratterizzare il livello atletico del singolo sollevatore. Confrontando atleti di alto livello con atleti di livello inferiore, numerosi studi sperimentali hanno riscontrato, nel primo gruppo, una maggiore estensione del corpo a fine esecuzione (rappresentata da una posizione più elevata del centro di gravità corporeo) e un miglior sfruttamento delle leve ossee delle articolazioni dell'anca e lombosacrale. Gli atleti di alto livello hanno mostrato differenti profili di attività elettromiografica in muscoli specifici e una minore attività elettrica assoluta, nonostante il sollevamento di pesi molto superiori. Dunque questi sollevatori sono in grado di utilizzare più efficientemente la propria attività muscolare e le proprie leve ossee. Quando si confrontino i due gruppi, valutando anche l'effetto di carichi di differente entità, è stato tuttavia riscontrato che l'altezza del sollevamento, la velocità del movimento durante l'esecuzione della prima prova e le differenze elettromiografiche diminuiscono al crescere del carico in maniera simile nei due gruppi. Ciò suggerirebbe l'ipotesi secondo la quale l'allenamento darebbe luogo all'apprendimento di un coordinamento muscolare necessario al sollevamento dei carichi più pesanti, non impiegabile con uguale efficienza nel sollevamento di carichi più leggeri. Se quest'ipotesi fosse corretta se ne potrebbe dedurre che allenamenti costituiti per una parte eccessiva da carichi troppo leggeri avrebbero un effetto negativo sulla prestazione massimale. Le misurazioni compiute tramite l'impiego di piattaforme dinamometriche hanno altresì permesso di analizzare gli spostamenti del centro di pressione relativi all'appoggio di ogni piede durante l'esecuzione dell'esercizio. Tutti gli studi disponibili concordano nell'evidenziare un rapido spostamento in direzione posteriore del centro di pressione che dall'avampiede si porta in direzione del tallone, per poi riportarsi verso la punta in coincidenza del passaggio dalla prima alla seconda spinta. Questo spostamento del centro di pressione rispetto all'appoggio del piede sembra sia da porre in relazione, anche quantitativamente, con il movimento in direzione anteroposteriore dell'attrezzo durante il sollevamento. Lo spostamento posteriore del centro di pressione è infatti correlato, in termini temporali e quantitativi, con l'avvicinamento della sbarra in direzione del sollevatore durante la prima spinta; il movimento del centro di pressione in direzione anteriore, che si verifica durante la transizione alla seconda spinta e nelle fasi iniziali di quest'ultima, precede leggermente lo spostamento in avanti della sbarra e ne è dimensionalmente correlato. L'andamento temporale e dimensionale di queste oscillazioni del centro di pressione sono ripetibili per ogni singolo atleta e per ogni tecnica di sollevamento. È interessante notare che anche nel salto in alto da fermo, come nel sollevamento con tecnica di slancio, si riscontrano una fase di alleggerimento (durante il contromovimento) e una di spinta. L'andamento della forza verticale a terra ha mostrato notevoli analogie in queste attività, soprattutto nei soggetti che le praticano entrambe, ed è per questa ragione che alcuni studiosi raccomandano il sollevamento con slancio per l'allenamento al salto. Sempre mediante l'uso di piattaforme dinamometriche, e con l'ausilio di tecniche che consentono l'analisi del movimento dei segmenti corporei, appare possibile determinare il lavoro meccanico compiuto e la potenza sviluppata durante un sollevamento. Si può così osservare che le potenze maggiori sono erogate durante la seconda parte della prima spinta e durante il raggiungimento della posizione finale. Gli atleti delle categorie di peso corporeo maggiore possono sviluppare potenze di 4200-4800 W, se si considera anche il lavoro compiuto sul centro di massa del corpo, con valori di picco superiori a 6000 W. Queste cifre sono prossime ai massimi valori di potenza muscolare istantanea misurati sugli atleti, anche se la contrazione muscolare avviene in un ambito di velocità di accorciamento del muscolo, presumibilmente non favorevole all'esplicazione della massima potenza. Infatti, dovendo sviluppare la massima forza possibile per il sollevamento del peso, l'atleta contrae i muscoli a una velocità necessariamente più bassa di quella ottimale per l'ottenimento della massima potenza, che è circa 1/3 della massima velocità di accorciamento. È noto che in ogni muscolo la massima forza sviluppabile è inversamente proporzionale alla velocità di accorciamento muscolare nella quale detta forza si sviluppa; la forza è massima nella contrazione isometrica, in cui cioè il muscolo non si accorcia, anche se il lavoro e la potenza in questa condizione sono nulli essendo nullo lo spostamento. Quando i valori di potenza sono espressi per chilogrammo di peso corporeo, gli atleti della categoria di maggior peso sviluppano potenze specifiche inferiori (30-40 W/kg-1) rispetto agli atleti della categoria di minor peso (40-50 W/kg-1). Mentre il rapporto tra il peso corporeo degli atleti della categoria superiore e quelli della categoria inferiore è circa 2,7, il rapporto tra le potenze muscolari specifiche è circa 1,9. Dato che la forza del muscolo dipende dall'area della sua sezione (e quindi dal quadrato dalla sua dimensione lineare), mentre il peso corporeo dipende dal volume (e quindi dal cubo dalla dimensione lineare), per confrontare i valori dei suddetti rapporti è necessario elevare a 2/3 il rapporto tra i pesi corporei. Il valore che così si ottiene (2,72/3= 1,95) coincide con il rapporto tra le potenze muscolari specifiche e conferma come l'aumento di massa corporea sia penalizzante ai fini della potenza specifica, per ragioni di ordine puramente geometrico, anche se le potenze assolute, naturalmente, aumentano progressivamente con la massa totale dei muscoli in gioco. Un ruolo critico sembra avere l'allenamento per quanto riguarda le caratteristiche neuromuscolari e il coordinamento relativo allo specifico gesto atletico. Uno studio comparativo tra sollevatori di pesi, lottatori e culturisti, praticanti da molti anni allenamenti specifici per la propria specialità, ha dato risultati interessanti. I tre gruppi presi in esame hanno dimostrato una composizione di fibre muscolari comparabile come pure un'analoga massima forza isometrica volontaria esercitata dagli estensori delle gambe e riferita all'unità di peso corporeo. Tuttavia, misurando la cinetica temporale dello sviluppo del massimo sforzo isometrico, è stato evidenziato che i lottatori, atleti specificamente allenati a compiere movimenti veloci, oltre a esercitare contrazioni isometriche, raggiungevano il 30% del massimo valore di forza in circa 30 ms, mentre i sollevatori di pesi richiedevano un tempo quasi doppio di circa 55 ms. Questa differenza sembra poter essere spiegata soltanto in termini di diverso coordinamento neuromuscolare indotto dal tipo di allenamento.
3. Fonti energetiche e allenamento
Le elevatissime forze sviluppate in tempi estremamente ridotti rendono il sollevamento pesi una disciplina ascrivibile agli sport di potenza, nei quali la prestazione è sostenuta in modo prevalente da fonti energetiche anaerobiche alattacide, a differenza di altri gesti sportivi di media e lunga durata, nei quali la prestazione è sostenuta in modo prevalente da fonti energetiche aerobiche. L'energia chimica necessaria allo scorrimento delle proteine fibrillari costitutive del tessuto muscolare (responsabili dell'accorciamento del muscolo) e/o necessaria alla generazione della forza, anche senza accorciamento muscolare, è fornita direttamente dall'idrolisi dell'adenosintrifosfato (ATP, Adenosine triphosphate) a livello endocellulare. In condizioni aerobiche i livelli endocellulari di ATP sono mantenuti dalla glicolisi (scissione degli zuccheri) utilizzando l'ossigeno di provenienza respiratoria.
Tuttavia, nel corso di una contrazione muscolare esplosiva e massimale, come avviene durante la fase del sollevamento, la potenza erogata dal muscolo supera largamente la capacità energetica dell'ossigeno veicolato alla macchina muscolare dal sistema cardiocircolatorio e si sviluppa in un ambito temporale molto più breve rispetto alla cinetica della glicolisi aerobica. Nelle suddette condizioni, il flusso di ATP è garantito dalla dissociazione anaerobica della fosfocreatina direttamente a livello endomuscolare. Questo processo avviene molto rapidamente e, pur se non può essere sostenuto indefinitamente, entro i primi 4 s di una contrazione muscolare anche massimale consente di mantenere a un valore pressoché costante attorno ai valori massimi la concentrazione di ATP endomuscolare. L'allenamento specifico per il sollevamento pesi è oggetto di attenzione sia da parte degli atleti sia da parte degli studiosi che si interessano dell'analisi biomeccanica del gesto sportivo. Negli ultimi decenni del 20° secolo sono state messe a punto diverse apparecchiature meccaniche che non necessariamente utilizzano pesi, ma che generano una resistenza al movimento tramite stantuffi ad aria compressa, meccanismi idraulici, molle o cavi elastici. Un gran numero di atleti però utilizza dispositivi a peso libero per una parte o per la totalità degli esercizi di allenamento. I vantaggi inerenti all'impiego del peso libero rispetto all'uso delle macchine sono molteplici, ma il più significativo è l'adattamento diretto del corpo al peso e la necessità di controllare il coordinamento tridimensionale del movimento durante l'esecuzione degli esercizi. Va sottolineato, inoltre, che l'esercizio con peso libero non risulta mai un esercizio isotonico (con tensione muscolare costante). Infatti, mentre il peso sollevato è costante, la forza applicata lo è molto raramente, dato che l'azione di sollevamento comporta movimento e accelerazione. Questa condizione offre il vantaggio di costituire un esercizio dinamico in cui la tensione muscolare generata e la corrispondente forza sollevante sono continuamente adeguate con accelerazioni di vario grado. La seconda legge del moto di Newton applicata ai sollevamenti a peso libero rapporta la forza di sollevamento verticale (F) al peso sollevato (w) e al prodotto della massa (m) e dell'accelerazione (a), secondo la seguente equazione F = w + ma. Anche se la forza è per qualche momento costante, la tensione muscolare che la genera varia per il continuo cambiamento del braccio di leva dei differenti segmenti articolari e delle caratteristiche di tensione-lunghezza del muscolo.
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