sperimentazione animale
L’uso degli animali nella scienza
Gli animali vengono attualmente utilizzati per scopi scientifici diversi. Nella maggior parte dei casi essi vengono impiegati dall’industria farmaceutica per provare l’efficacia e la sicurezza di nuovi farmaci. La sperimentazione animale di tipo biomedico, invece, ha lo scopo di migliorare la conoscenza di malattie e disturbi che affliggono gli esseri umani e approntarne una cura. Questo uso degli animali contribuisce al miglioramento delle condizioni di salute dell’essere umano, ma solleva anche una serie di importanti quesiti morali
Per sperimentazione animale si intende l’utilizzazione di animali a scopi scientifici. Tale sperimentazione può essere sia applicativa sia di base. La sperimentazione di base mira alla conoscenza generale di un particolare aspetto della vita dell’animale che si sta studiando. Per esempio, può interessare capire come un uccello impara a cantare: quindi in laboratorio vengono eseguiti esperimenti per verificare se può imparare, per esempio, un motivo registrato.
Nella ricerca applicativa, invece, l’animale viene impiegato come modello, cioè come mezzo per comprendere meglio qualche caratteristica biologica di un’altra specie, generalmente quella umana. Di solito, ai giorni nostri, quando si parla di sperimentazione animale ci si riferisce a questo secondo aspetto. Spesso gli animali vengono utilizzati per comprendere l’origine, e quindi prevenire e curare in modo più efficace una serie di malattie e disturbi che colpiscono gli esseri umani. Questo tipo di sperimentazione animale è importante, per i vari aspetti che lo contraddistinguono non solamente dal punto di vista scientifico, ma anche da quello morale, sociale e culturale.
Già nell’antichità diversi medicamenti erano testati sugli animali prima di venire somministrati agli esseri umani. Il medico più famoso dell’antichità, Claudio Galeno (vissuto nel 2° secolo d.C.), utilizzava gli animali per le proprie ricerche di anatomia.
Dopo un periodo di decadenza della scienza medica nel Medioevo, e la sua successiva rinascita durante il Rinascimento, dal 18° secolo in poi fu sempre più condivisa l’idea che gli studi sugli animali potessero realmente contribuire allo sviluppo della biologia e della medicina. Gli esperimenti condotti sugli animali si diffusero sempre più, soprattutto a partire dalla fine del 19° secolo. A ciò contribuì molto l’opera del fisiologo francese Claude Bernard, che era un grande sostenitore dell’uso degli animali nello studio della fisiologia. Nel giro di alcuni decenni aumentò anche il numero delle specie utilizzate: infatti, oltre a quelle domestiche, gli sperimentatori iniziarono a usare in grandi quantità topi e ratti e, più tardi, uccelli, anfibi, rettili e pesci, nonché scimmie, animali geneticamente molto vicini a noi e per tali motivi scelti soprattutto nella sperimentazione sui vaccini (vaccinazione). Nel 1940 in Gran Bretagna furono usati in laboratorio 1 milione di animali, nel 1960 3,5 milioni, dei quali più del 90% era costituito da topi e ratti.
Il numero degli animali usati nella sperimentazione biomedica si è stabilizzato alla fine degli anni Settanta, ed è diminuito dall’inizio degli anni Ottanta del Novecento, grazie alla messa a punto di metodi di ricerca alternativi.
Secondo la teoria dell’evoluzione di Darwin, gli esseri umani condividono con altri animali una serie di caratteristiche morfologiche e fisiologiche. A partire da questa idea si possono studiare gli animali come modello, sia per capire come funziona l’organismo umano in condizioni normali e in condizioni di malattia (modelli animali di malattia), sia per saggiare l’efficacia e la tossicità delle soluzioni curative (farmaci, trapianti di cellule o di organi) che vengono via via sviluppate per le malattie. È importante sottolineare che la scelta di una specie animale come modello dipende dal particolare problema che si vuole affrontare. Per esempio, un semplice mollusco chiamato Aplysia è un ottimo modello per studiare cosa succede nelle cellule nervose nei processi di memorizzazione. Se invece lo scopo della ricerca è capire meglio come funziona il cervello quando afferriamo un oggetto, allora la scelta cadrà su un animale in grado di afferrare oggetti con la mano, e cioè su una scimmia.
La prima legge relativa alla sperimentazione sugli animali è stata emanata in Gran Bretagna nel 1876. Negli Stati Uniti è stata adottata nel 1985 una legge federale che riguarda il trattamento degli animali durante gli esperimenti e il miglioramento delle loro condizioni di vita in laboratorio.
In Europa esistono due importanti documenti che regolano l’utilizzo di animali nella sperimentazione biomedica. Il primo è stato proposto a Strasburgo nel 1985 da 26 paesi membri del Consiglio d’Europa. Questo documento però non è una legge, ma solo un accordo tra i paesi che vi hanno aderito. Il secondo è una direttiva europea adottata nel 1986 dal Consiglio dell’Unione europea. Tutti i paesi membri dell’Unione europea hanno dovuto tradurre questo documento in legge nazionale. L’Italia ha compiuto questo atto nel 1992.
La sperimentazione sugli animali solleva una serie di quesiti di tipo morale: ci si domanda, per esempio, se sia giusto sacrificare gli animali per trovare una cura alle malattie dell’uomo, o addirittura per sperimentare sostanze che non hanno finalità terapeutiche.
Questo tipo di preoccupazione ha già portato a risultati concreti, come il divieto di utilizzare animali per testare i prodotti cosmetici. Grazie all’etologia (scienza che studia il comportamento animale), sappiamo che gli animali con un sistema nervoso complesso provano emozioni e soffrono in un modo che potrebbe essere simile al nostro. Ciò ha fatto maturare nel corso degli anni una sempre maggiore preoccupazione per la loro salvaguardia e protezione.
Le prime associazioni che si opponevano all’utilizzo di animali vivi per esperimenti scientifici nacquero in Inghilterra nel 18° secolo. Oggi esistono nel mondo diverse associazioni di questo tipo, che si autodefiniscono antivivisezioniste, dove per vivisezione si intende la sperimentazione su animali vivi che implica alterazioni funzionali o anatomiche.
Il mondo antivivisezionista, che è stato importante per prendere coscienza del problema etico sulla sperimentazione animale, è però molto vario e comprende anche gruppi oltranzisti sordi al dialogo con gli sperimentatori o, a volte, addirittura violenti.
Se si accetta l’idea che sperimentare sugli animali per migliorare le condizioni di salute dell’uomo sia moralmente accettabile, bisogna assicurarsi che gli animali soffrano il meno possibile. In questo senso è molto utile adottare una regola proposta da due ricercatori inglesi, William Russell e Rex Burch, nel 1959. Questa regola, chiamata delle 3R (dai termini inglesi refinement «raffinamento», reduction «riduzione», replacement «rimpiazzamento»), contiene precisi suggerimenti per ridurre il numero e la sofferenza degli animali usati negli esperimenti. In particolare, si propone di rimpiazzare, ogniqualvolta sia possibile, gli animali ricorrendo a tecniche alternative come, per esempio, simulazioni al computer o utilizzo di colture cellulari (metodo in vitro).
Quando ciò non è possibile, si richiede di ridurre al minimo il numero di animali utilizzati. Inoltre, si devono rifinire al massimo le condizioni sperimentali, in modo che l’animale soffra il meno possibile, migliorando anche la vita dell’animale in gabbia. Per fare questo sono operanti diversi metodi: per esempio, ai topi si può fornire della carta per fabbricare un nido, alle scimmie si possono dare altalene, tronchi o giocattoli e, in particolare, fare in modo che abbiano sempre almeno un compagno o una compagna con cui passare il tempo.
Il problema morale sorto dall’uso degli animali nella sperimentazione scientifica diventa sempre più rilevante. Si può prevedere che in futuro aumenteranno gli sforzi dedicati a trovare efficaci sistemi alternativi. Inoltre, è da notare come la rilevanza etica dell’argomento ha fatto scendere in campo esperti appartenenti ad altri campi di studio (filosofi, studiosi del diritto, teologi) il cui contributo è essenziale per affrontare meglio un problema che può essere analizzato in maniera soddisfacente solamente se ne vengono considerati tutti gli aspetti, non solo quello scientifico.