status sociale
La posizione che si occupa nella società
Il termine latino status è usato per indicare la posizione di un individuo, di un gruppo o di una categoria di persone in una società, nonché il grado di potere, ricchezza e prestigio associato a tale posizione. Lo status quindi è una delle espressioni della stratificazione sociale, cioè della divisione della società in classi o ceti. Lo status può essere ascritto – cioè posseduto per nascita e quindi legato a caratteristiche indipendenti dalla volontà o dalle azioni dell’individuo (età, famiglia d’origine, gruppo etnico e così via) – oppure acquisito – cioè ottenuto attraverso gli sforzi e le capacità personali
Nel diritto romano il termine status era usato per indicare la condizione giuridica di una persona, cioè la sua capacità di godere di un determinato diritto civile, politico o patrimoniale. Esistevano tre tipi di status: lo status di persona libera (status libertatis), cioè la condizione di chi nasceva libero o lo diventava per concessione del padrone; quello di cittadino (status civitatis), cioè la condizione di cittadino romano; infine lo status familiare, ossia la condizione di membro di una famiglia o casato (status familiae).
Il termine ha conservato ancora oggi questa accezione giuridica, ma in sociologia e nel linguaggio comune è usato in un significato più ampio e generico. Da un lato è impiegato per indicare la posizione sociale di un individuo, un gruppo o una categoria di persone; dall’altro è considerato sinonimo di prestigio, cioè onore, rispetto, deferenza, riconoscimento sociale. Collegando i due significati, si può definire lo status come quel complesso di risorse sociali ambite e considerate desiderabili – ricchezza, potere, prestigio – che sono associate a una data posizione sociale o a chi la occupa.
Una distinzione importante è quella tra status ascritto e status acquisito. Lo status è ascritto quando è attribuito per nascita, sulla base di caratteristiche indipendenti dalla volontà, dalle capacità e dalle azioni degli individui: la famiglia di appartenenza, il gruppo etnico, il sesso, l’età e via dicendo. Si dice invece acquisito quando viene ‘conquistato’ o attribuito grazie alle capacità, al talento, agli sforzi e all’intraprendenza degli individui.
Le società tradizionali e premoderne sono caratterizzate in genere da un rigido ordinamento gerarchico in cui le posizioni di status sono sempre ascritte, cioè assegnate per nascita.
L’esempio più tipico di società in cui l’attribuzione di status è basata su criteri ascrittivi è quella indiana, dove vige il sistema delle caste. Le caste sono corpi sociali ordinati secondo una gerarchia di superiore e inferiore. Questo sistema gerarchico ha un fondamento religioso, imperniato sulla distinzione puro/impuro, e si basa sull’ereditarietà dell’appartenenza di casta, sull’ereditarietà della professione, sull’obbligo di contrarre matrimonio esclusivamente con i membri della propria casta e su un intero complesso di norme di condotta immutabili. In India esistono quattro caste – o varna – fondamentali: quella dei sacerdoti, quella dei guerrieri, quella dei contadini e quella dei subordinati. Al gradino più basso della società vi sono gli intoccabili, che non detengono privilegi di sorta e sono invece soggetti a tutta una serie di deprivazioni e umiliazioni.
Anche nella società feudale dell’Europa medievale (Medioevo) dominava un rigido ordinamento gerarchico dei gruppi sociali – i ceti – in base allo status. L’appartenenza a un particolare ceto era determinata dalla nascita; le differenze di ricchezza e di potere, nonché un complesso di privilegi e di svantaggi giuridici, creavano nette divisioni tra la nobiltà e la borghesia, mentre i contadini costituivano un ceto inferiore. La separazione tra i ceti era sancita dall’endogamia (l’obbligo di sposarsi all’interno del gruppo) e dall’esclusività sociale, cioè un complesso di pratiche e meccanismi che impediva l’accesso di altri gruppi ai privilegi riservati a un particolare ceto, e che trovava la sua espressione più generale nei differenti stili di vita connessi alla ricchezza materiale e al potere. Tale separatezza era visibile immediatamente nel diverso abbigliamento e nei differenti modi obbligatori di rivolgersi ai rappresentanti dei ceti superiori, in particolare ai nobili.
Il sistema dei ceti era dunque per molti aspetti simile a quello delle caste; in particolare, sia l’appartenenza di casta che quella di ceto erano segnalate in modo visibile attraverso differenti stili di vita.
A partire dalla Rivoluzione francese del 1789 viene formalmente rigettata la struttura basata sulla gerarchia di gruppi di status e proclamata l’eguaglianza dei diritti civili e politici di tutti i cittadini. Naturalmente le differenze di status non scompaiono, in quanto continua a sussistere una stratificazione sociale basata sull’ineguale distribuzione di ricchezza, potere e prestigio. Tale stratificazione sociale però non è più espressa da una gerarchia rigida e immutabile fondata su norme religiose o giuridiche.
Le distinzioni tra gruppi sociali diventano più fluide e aperte, nel senso che non vi sono barriere istituzionalizzate alla mobilità sociale, cioè all’acquisizione di uno status superiore o comunque diverso da quello d’origine. Come osservava nell’Ottocento lo storico e uomo politico francese Alexis de Tocqueville, il fondamento delle democrazie moderne è l’eguaglianza di opportunità garantita a tutti i cittadini; lo status diventa allora qualcosa di acquisito, che si ottiene cioè esclusivamente in base alle proprie capacità. Il diritto all’istruzione, per esempio, dà a tutti in via di principio la possibilità di conseguire una posizione sociale, uno status corrispondente ai propri meriti. Questo, ovviamente, è un modello ideale da cui la realtà può discostarsi notevolmente.
Anche nelle democrazie moderne una serie di fattori ascrittivi, indipendenti cioè dalla volontà dell’individuo – principalmente la famiglia d’origine, ma anche l’appartenenza etnica e razziale, il sesso e via dicendo – possono ostacolare l’ascesa sociale e costituire barriere di fatto al cambiamento di status, anche in assenza di leggi o prescrizioni religiose che lo vietino. Inoltre, gruppi sociali che hanno analoghi interessi da tutelare e sono accomunati da affinità culturali e stili di vita possono coalizzarsi per difendere le posizioni di privilegio e vantaggio sociale già acquisite, mettendo in atto pratiche di esclusione per evitare l’accesso di altri gruppi al sistema di privilegi di cui godono.
In tutte le società esistono vari sistemi di segnali che hanno la funzione di rendere visibili le differenze di status: dall’abbigliamento, alle norme di comportamento, allo stile di vita in generale. Naturalmente, sono le posizioni superiori o privilegiate quelle che più si cerca di sottolineare o esibire attraverso i cosiddetti status symbols: tutto ciò che ha la funzione di segnalare e rendere manifesti ricchezza, potere e prestigio. Per essere uno status symbol qualcosa deve avere il carattere dell’esclusività, deve cioè essere riservato a pochi privilegiati.
Così, per esempio, da quando sono diventati beni di consumo di massa, accessibili alla maggioranza della popolazione, l’automobile o la vacanza in luoghi esotici hanno perso la loro natura di status symbols, o la hanno in misura molto minore che in passato. I mutamenti di costume e di stili di vita contribuiscono a cambiare la natura dei beni e delle risorse che assolvono la funzione di status symbol. In genere sono tali gli oggetti o i beni di lusso – rari, preziosi e molti costosi – ma a volte la ricchezza può non essere una chiave d’accesso sufficiente per certe categorie di oggetti o beni prestigiosi ambiti come status symbols: per esempio, per essere ammessi a certi circoli esclusivi non basta pagare una quota di iscrizione, per quanto elevata, ma occorre avere particolari requisiti che non dipendono dal censo, come per esempio l’appartenenza a una data cerchia sociale o anche l’appartenenza di genere: ancora oggi in alcuni club le donne non sono ammesse!