Stendhal (Henri Beyle)
Scrittore francese (Grenoble 1783 - Parigi 1842). Non si occupò sistematicamente di D. né contribuì originalmente alla conoscenza critica del suo capolavoro. Fu partecipe tuttavia, su posizioni laiche, del clima di riscoperta e riattualizzazione della poesia della Commedia determinatosi nell'ambito del rinnovamento culturale e letterario dell'ultimo Settecento e del primo Ottocento, e ammirò fervidamente il poema, non esitando a far propria la prospettiva romantica, che aveva riconosciuto in D. uno dei massimi poeti della civiltà occidentale.
Il nome di D. gli fu noto sin dai primi anni: lo apprese dalla madre, morta nel 1790, " femme d'esprit qui lisait le Dante " e ne possedeva più edizioni; una, illustrata, colpì l'immaginazione di Henri per le sue " gravures... bizarres " (Essais d'autobiographie, ediz. Martineau, Parigi 1955, 1530; Vie de Henri Brulard, I 43, 94, 200). Qualche lezione su D. poté poi ascoltare alla Scuola Centrale della città natale dal Dubois-Fontanelle. La conoscenza diretta del poema, però, non sembra possa essere anteriore al 1802-1803, quando lesse per la prima volta compiutamente l'Inferno nella traduzione del Rivarol (Pensées, I 108). Fu lettura suggerita dallo Chateaubriand del Génie du Christianisme, che media alla sua prima valutazione critica della Commedia gli orientamenti e le scoperte del preromanticismo. Ne accolse infatti la raffigurazione di D. come poeta del ‛ terrible ' e l'indicazione di luoghi esemplari, come l'apertura del canto III dell'Inferno e gli episodi di Francesca e Ugolino (una scelta topica d'altronde nel Settecento, specie negli ultimi decenni). Progettando il poema La Pharsale (1802), si prefiggeva l'utilizzazione di questi passi e l'imitazione del dantesco ‛ terrore ', mentre pensava a una traduzione in versi dell'episodio di Ugolino (Mélanges de littérature, I 332, 343). Quanto all'insieme della cantica, fa sue le riserve del Rivarol sul prevalere del descrittivo, ma il giudizio complessivo sul poeta è entusiastico: " Le Dante m'enchante " (Pensées, I 108, 109).
La più profonda impressione ritrasse dalla lettura dei versi del dramma di Ugolino, che ricorderà svariate volte come luogo esemplare dell'arte dantesca e della poesia di ogni tempo (v. Pensées, I 142; Journal, II 21; Correspondance, II 162; Vies de Haydn, de Mozart et de Métastase, p. 69; Écoles italiennes de peinture, I 60-61; Histoire de la peinture en Italie, I 140-141; II 321, 361). In esso egli vedeva la simbolizzazione tipica di quell'‛ energia ' vitale, come capacità di potenti sentimenti e smisurate azioni, da lui attribuita agl'Italiani, e, assieme, la realizzazione del sublime, che, seguendo Helvetius (v. J. C. Alciatore, S. et Helvetius, Ginevra 1952, 9), riteneva prodotto dal sentimento di terrore.
Convinzioni, giudizi e canoni che, prescindendo ormai completamente dalla polemica antidantesca di Voltaire, si legano al gusto, alla sensibilità e al metodo di lettura del romanticismo orientato nella direzione del sentimentale e dell'irrazionale e non per questo suonano meno autenticamente stendhaliani (anche se così non sembrava al Sainte-Beuve: Causeries du lundi, IX 312), se li si connette alle ragioni della sua attrazione per una mitizzata Italia e del suo contraddittorio impulso verso il passionale e l'emozionale, particolarmente esaltato in quegli anni di fervida eccitazione e dispendioso vitalismo.
D'altra parte, contro gli orientamenti dei romantici tedeschi e dello stesso Chateaubriand, ma in armonia con la forma illuministica della sua mentalità, egli esprimerà, nel 1811, un giudizio negativo sulla presenza della teologia nella Commedia, sia pur riconoscendo che si tratta di un ‛ difetto ' derivante dal sistema di valori dell'epoca (manoscritto R. 289, XII 131-133). La stessa mentalità illuministico-repubblicana lo induceva altresì a collegare (dietro suggerimento delle teorie del Sismondi e fors'anche della Corinne della Staël) originalità e grandezza creativa di D. e libertà repubblicana dell'età comunale (Rome, Naples et Florence en 1817, ediz. Martineau, Parigi 1956, 92, 95, 177, 196).
Nello stesso tempo gli si delineano le immagini, ben romantiche, di un D. pittore del suo secolo e grande poeta in virtù della totale autonomia da regole e convenzioni, della sua eccezionale capacità di esprimersi in modo del tutto personale, di ‛ essere sé stesso ' come nessun altro (Rome, Naples..., pp. 92, 176; L'Italie en 1818, ivi, p. 275). Ormai era maturo il famoso riconoscimento della romanticità della poesia dantesca. Nel 1819, mentre si trovava a Milano nel pieno delle polemiche classico-romantiche, definiva D. (assieme all'Ariosto) poeta ‛ arciromantico ' (prefaz. a Del Romanticismo nelle arti, edito in Racine et Shakespeare, a c. di M. P. Martino, Parigi 1925). Pubblica quindi a Parigi, nel 1823, la prima parte del manifesto romantico Racine et Shakespeare, in cui il poema dantesco viene ricordato come esempio di poesia per eccellenza romantica, per l'aderenza al gusto e alle esigenze del pubblico del tempo. Confluivano in questa prospettiva di giudizio, oltre all'universale riconoscimento che fu proprio dell'epoca della modernità ‛ romantica ' di D., oltre all'indubbia suggestione delle famose osservazioni sull'originalità di D. rispetto allo stesso Virgilio che è nel Corso di letteratura drammatica di A. W. Schlegel, in modo più diretto, la coscienza relativistica dell'ideologo e la concezione dei romantici italiani, del Berchet in particolare, dell'essenza della romanticità come legame dialettico col proprio tempo.
Bibl. - U. Mengin, L'Italie des romantiques, Parigi 1902; A. Counson, D. en France, Erlangen 1906; P. Arbelet, La jeunesse de S., Parigi 1919; G. Maugain, D. en France au XIX siècle, in " Publications de la Faculté des Lettres de l'Université de Strasbourg " (1922); J. C. Alciatore, S. and the Ugolino Episode, in " Italica " XXXI (1954) 199-206; V. Del Litto, La vie intellectuelle de S., Parigi 1962; B. G. Reison, D. e S., traduz. ital. in " Le Ragioni Critiche " IV (1972) 146-166.