sterilizzazione e pastorizzazione
Distruggere i microrganismi nocivi negli alimenti
La presenza di microrganismi patogeni nell’ambiente impone metodi di difesa dal rapido deterioramento di acqua e cibo o dalle infezioni, anche mortali, dovute a scarsa igiene. La sterilizzazione è costituita da una serie di tecniche – tra le quali notevole importanza ha la pastorizzazione – volte a inibire le cause di alterazione
I microrganismi sono nell’aria, nell’acqua, nel terreno, sul nostro corpo e su quello degli animali, sugli oggetti che ci circondano. Alcuni sono portatori di malattie, altri innocui, altri molto utili. Appartengono alle più svariate categorie sistematiche: virus, batteri, alghe e funghi unicellulari, protozoi, spore vegetali. Fu solo nella seconda metà dell’Ottocento che, grazie al medico francese Louis Pasteur, si capì come i germi patogeni siano alla base di molte malattie.
Prima di allora gli scienziati avevano comunque sospettato che nell’ambiente dovesse esistere qualcosa che poteva produrre contagio, rovinare i cibi, far putrefare i corpi. Cercando una spiegazione, già nel 18° secolo Lazzaro Spallanzani aveva scoperto che il brodo di carne, bollito e poi sigillato in un recipiente, si manteneva senza «animaletti delle infusioni» ovvero sterile e senza microbi, come diremmo oggi.
La microbiologia è la scienza biologica che studia i microrganismi e i metodi per difendersi dai loro attacchi. È nata nell’Ottocento sulla base degli studi di Pasteur, di Robert Koch, di Joseph Lister, di Ignaz Semmelweis e di altri scienziati ancora. In chirurgia, per esempio, si diffuse la pratica di operare in condizioni di asepsi (dal greco a «senza», e sèpsis «putrefazione») tramite una serie di tecniche di sterilizzazione degli strumenti chirurgici (come la bollitura dei ferri). Vennero adottati anche pratiche di antisepsi – accurata disinfezione delle ferite – e l’uso dei primi guanti di gomma da parte dei chirurghi, precauzioni che permisero alle scienze mediche di fare passi da gigante. Fino alla scoperta dei microbi patogeni (il vibrione del colera fu scoperto nel 19° secolo e le salmonelle del tifo e paratifo agli inizi del 20° secolo) non si pensava inoltre che l’acqua potesse veicolare malattie. Quando si scoprì quali e quante infezioni può provocare l’acqua non potabile, si cominciò a correre ai ripari. Oggi, la potabilizzazione dell’acqua avviene mediante l’aggiunta di sostanze chimiche (come alcuni prodotti a base di cloro che distruggono i microrganismi), con l’uso di filtri i cui pori sono così piccoli da trattenere i microbi, con l’impiego di raggi ultravioletti o di calore.
Fra le tecniche di sterilizzazione spicca l’uso del calore; tuttavia, se applicato alla conservazione degli alimenti, va usato con criterio per evitare che ne risentano le proprietà nutritive (perdita di vitamine e proteine) e organolettiche (sapore, odore, aspetto) del cibo. Nella sterilizzazione termica propriamente detta, la temperatura da raggiungere e la durata dell’esposizione variano in base al tipo di microrganismo da eliminare e alla sostanza da sterilizzare. Per esempio, se si tratta di omogeneizzati di carne o di frutta o di verdura per l’infanzia il prodotto viene riscaldato tra 120 °C ÷ 140 °C per tempi brevissimi – frazioni di secondo – e poi inscatolato. In tal modo si abbassa la carica batterica senza alterare le proteine o le vitamine che sono molto sensibili all’azione prolungata del calore.
La pastorizzazione è un metodo di sterilizzazione usato per gli alimenti, le cui modalità cambiano sulla base del cibo da trattare. Per il latte si preferisce la pastorizzazione rapida col sistema HTST (High temperature short time «temperatura elevata per un tempo breve») che deriva dalla stassanizzazione (dal nome del suo inventore Enrico Stassano), in cui il prodotto viene fatto passare in strati sottili su piastre riscaldate a circa 75 °C per 15÷20 secondi e poi subito raffreddato; in tal modo si mantengono inalterate le caratteristiche del latte. Temperature più elevate (140 °C ÷ 150 °C) usate solo per alcuni secondi sono impiegate invece nel trattamento UHT (Ultra-high temperature, «temperatura ultra elevata), per il latte a lunga conservazione. Se si deve invece pastorizzare il succo di pomodoro da bere, prima si toglie l’aria e si sala l’alimento; poi si fa passare il prodotto per tempi brevi su scambiatori di calore a piastre.