TEATRO (XXXIII, p. 353; App. II, 11, p. 948)
Il teatro di prosa. - Mai come nell'ultimo decennio, in tutto il mondo, alla disamina, agli scritti, alle polemiche di cui è oggetto l'attività del t. di prosa si è accompagnata la parola crisi. Essa è apparsa con una frequenza che ha suggerito l'idea non tanto paradossale d'esser sinonimo di vitalità. La cosiddetta crisi altro non sarebbe che il travaglio destinato a ricondurre il t. alla sua essenza vera e insostituibile. In questo senso l'avvento prima della cinematografia, poi del film parlato e finalmente della radio e della televisione, forme spettacolari all'enorme diffusione delle quali è fatta colpa di sottrarre al t. un pubblico che gli spetterebbe di diritto, lungi dall'intaccare il fenomeno teatrale nella sua essenza, servirebbe di rimando a sottolineare i caratteri che lo differenziano e che appaiono con evidenza anche maggiore allorché un dramma diventa pretesto di uno spettacolo cinematografico o televisivo. A parte le considerazioni sugli influssi che la televisione in generale eserciterà nei confronti delle generazioni future (e si tratta di fenomeno vastissimo, che al t. tutto sommato concede un piccolo spazio), da più parti si osserva in proposito che mentre il teatro televisivo non ha la possibilità di sottrarre al t. normale gli spettatori che lo intendono e perciò gli sono proprî, il telespettatore che fino a quel momento abbia ignorato il dramma può da quel primo contatto essere indotto a entrare in un t. e avvertire la presenza di un mezzo espressivo totalmente diverso.
La crisi non riguarderebbe dunque il t. in quanto mezzo di espressione, e nemmeno l'arte dello spettacolo che, a cominciare dall'Italia, è negli ultimi tempi pervenuta a risultati di rara eccellenza, ma piuttosto il t. nel suo assetto effettivo, dagli edifici in gran parte anacronistici, non rispondenti nelle loro strutture alle esigenze della società odierna, agli orarî difficilmente conciliabili con quelli di lavoro, ai prezzi non accessibili a categorie di spettatori dalla cui somma potrebbe derivare un pubblico numeroso, consapevole e costante. Problemi la cui soluzione comporta oneri che difficilmente, nell'economia attuale, potrebbero essere assunti da privati cittadini, dai quali comunque discende l'impegno di ridare al t. la popolarità ch'esso ebbe nei momenti della sua maggiore grandezza. Da ciò l'inevitabilità dell'intervento dello stato, al quale un po' dovunque vengono richiesti aiuti e partecipazioni che, se da un lato condizionano la vita del t., dall'altro implicitamente o esplicitamente riconoscono all'attività teatrale (magari soltanto a una parte di tale attività) importanza nazionale.
Lasciando da parte i paesi nei quali l'intervento dello stato è totale e il t., considerato oggi uno strumento politico, era però stato coltivato anche in passato con particolare intelligenza e fervore (il riferimento non riguarda soltanto l'URSS, ma anche paesi di minore entità quale, ad es., la Repubblica Popolare Romena che dal 1938 al 1959 ha visto quadruplicare il numero dei suoi spettatori e oggi annovera, oltre ai t. regolari, quindicimila gruppi filodrammatici), nella stessa Inghilterra, dove lo stato non aveva finora mostrato di volersi interessare a questioni siffatte, l'istituzione di un t. nazionale è praticamente deliberata e attende di essere tradotta in atto. Tipici, poi, sono i provvedimenti adottati in Francia, la cui capitale fu nella prima metà del secolo considerata la Mecca del t. europeo. A un piano di decentralizzazione inteso a diffondere il t. nell'intero territorio nazionale (a tale scopo sono state istituite cinque compagnie stabili residenti in cinque città di provincia con l'obbligo di compiere ognuna un giro annuale nel proprio dipartimento: il "Centre dramatique de l'Est" con sede a Strasburgo, il "Centre dramatique de l'Ouest" con sede a Rennes, la "Comédie de Saint-Étienne" con sede a Grenoble, la "Comédie du Sud-ouest" detta anche "Grenier de Toulouse" e il "Centre dramatique du Sud-est" con sede a Aix-en-Provence), si deve aggiungere nei t. sovvenzionati, per iniziativa di André Malraux, una riforma di struttura in seguito alla quale la direzione artistica della "Comédie" si è scissa in due: da una parte la Salle Richelieu, affidata a Michel Saint-Denis, e dall'altra la Salle Luxembourg, detta Théâtre de France, affidata a Jean-Louis Barrault. La riforma, oltre a prevedere due t. sperimentali, ha poi assicurato al Théâtre National Populaire, che dal 1951 è diretto da Jean Vilar, l'uso gratuito (in aggiunta a sovvenzioni dirette) del Palais de Chaillot, del quale il T. N. P. nei periodi in cui recita fuori sede percepisce anche i proventi di affitto, e del teatro Récamier. Jean Vilar rappresenta in Francia l'evento teatrale più cospicuo dell'ultimo decennio, non soltanto in quanto attore e regista ma per l'opera animatrice da lui svolta prima al Festival di Avignone e successivamente al T. N. P., il cui rilancio (il Théâtre National Populaire era stato fondato nel 1920 per iniziativa di Paul Boncour ed aveva iniziato la propria attività nello stesso anno sotto la direzione di Firmin Gémier) è partito dal duplice presupposto, per ridare al t. la dimensione che gli è propria, di fornire allo spettatore un repertorio di alta qualità (capolavori di ogni epoca e nazionalità) e di praticare su larga scala la politica del basso prezzo. Fondamentale, a questo proposito, lo scritto dello stesso Vilar: Théâtre, service publique.
Quando l'Inghilterra istituì il teatro di stato, l'Italia resterà il solo paese europeo mancante di questa istituzione. Tale problema più volte affacciato sul piano teorico, non ha finora incontrato la decisione e la volontà necessarie per essere avviato a soluzioni concrete movendo da un approfondito esame delle difficoltà che la fondazione del Teatro di Stato comporta in un paese dalla cui struttura geografica, sociale ed economica, derivano interrogativi sconosciuti altrove: il binomio Roma-Milano, per non fare altri esempî, s'impone ogni volta che di un grande istituto, organismo o ente nazionale si debba stabilire la sede.
Ciò non vuol dire che lo stato italiano si disinteressi del teatro. Al contrario: premî di avvio, rimborsi sul totale degli incassi (con particolari aliquote intese a favorire il repertorio nazionale), e premî al termine della gestione annuale fanno dello spettacolo di prosa un'attività sovvenzionata nonostante tale meccanismo non sia ancora divenuto oggetto di legge vera e propria. Di fatto lo stato assicura il suo appoggio sia alle amministrazioni pubbliche, che nel loro ambito promuovono l'istituzione di t. stabili, sia a organismi privati che si propongano di dar vita a compagnie di giro. Dall'attività di queste ultime è derivata una nuova forma d'impresariato in cui il cosiddetto impresario si identifica con una o più persone le quali, anticipando le somme necessarie a dar vita a una compagnia, fanno opera di mediazione fra la compagnia stessa e lo stato.
Nemmeno si può parlare di reale antagonismo fra t. stabili e compagnie di giro, in quanto l'attività dei primi non è necessariamente legata alla sede di origine (sempre più si verifica la tendenza a promuovere fra t. e t. uno scambio di spettacoli), né la composizione delle compagnie obbedisce necessariamente a criterî di occasionalità (alcune fra le più apprezzate formazioni italiane, la Morelli-Stoppa, la De Lullo-Falk-Guarnieri-Valli, la Albertazzi-Proclemer, per la continuità, la scelta dei repertorî, la dignità e la coerenza dei loro allestimenti, possono a giusto titolo essere considerate sotto il segno di una loro particolare stabilità). Ma è vero che al teatro italiano una nuova configurazione è derivata dai t. stabili istituiti con il concorso dei comuni e dello stato nelle città la cui popolazione superi i seicentomila abitanti. Nella scia del Piccolo Teatro della Città di Milano, fondato da Paolo Grassi e Giorgio Strehler nel 1947, che in dieci anni ha rinnovato due volte la propria sede, e dal 1960, in riconoscimento dei risultati conseguiti in Italia e del prestigio acquistato recitando in numerosissimi teatri stranieri (il P. T. ha visitato quasi tutti i paesi europei, i principali stati dell'America del Sud, l'America del Nord e l'URSS incontrando ovunque incondizionato successo), è stato eretto in Ente Autonomo Comunale -, sono stati creati i Teatri Stabili delle Città di Genova, di Torino e di Napoli (tutti di origine municipale) oltre al Teatro Stabile della Città di Bolzano e al Teatro Stabile della Città di Trieste, istituiti in considerazione dell'utilità e convenienza di avere organismi teatrali nostrani in zone di frontiera. Roma non ha un suo Teatro Stabile (il Piccolo Teatro di Roma, retto dal 1947 al 1954 da Orazio Costa, non poté mai far calcolo su appoggi comunali) e vita breve ebbero iniziative analoghe promosse dalle città di Firenze (1950) e di Bari (1957), così come scarsa fortuna arrise a tentativi di Teatro Regionale in Emilia, in Puglia e in Sicilia.
Un posto a parte, fra varie iniziative, spetta al T. P. I. (Teatro Popolare Italiano) fondato da Vittorio Gassman sul finire del 1959 con il proposito di assicurare lo spettacolo di prosa al maggior numero possibile di spettatori (circa tremila a sera), sia negli agglomerati urbani particolarmente popolosi, sia nelle zone in cui il teatro appare sporadicamente anche a cagione della mancanza di edifici adatti. Gassman partì dal presupposto di poter disporre di un suo t. mobile di grande capienza (praticamente una tenda per circo composta di tre parti distinte, palcoscenico, platea e cupola di copertura) per il quale era necessaria ogni volta un'area variabile dai tremila ai tremilacinquecento metri quadrati. La tenda di Gassman, la quale misurava circa settanta metri di profondità ed era larga cinquanta, all'atto pratico mancò della mobilità prevista: le operazioni inerenti alla composizione e ricomposizione della cupola richiesero un tempo assai maggiore del preventivato e ne limitarono quindi la trasportabilità. Praticamente il T. P. I. nella sua prima stagione usufruì della tenda soltanto nel corso di una prolungata permanenza a Roma e a Milano e, dei quattro spettacoli allestiti nel periodo iniziale, sotto la tenda fu recitato soltanto l'Adelchi di Alessandro Manzoni (la Orestiade di Eschilo fu recitata nel Teatro Greco di Siracusa, e per rappresentare Un marziano a Roma di Ennio Flajano e Edipo Re di Sofocle la compagnia ritornò ai teatri usuali); ma l'esperimento (che potrà essere continuato con un edificio mobile più maneggevole o ripreso sotto altra forma), pur non rispondendo in tutto alle previsioni, ha dato risultati positivi indicando, fra l'altro, una vivissima sete di t. proprio nelle regioni che il t. solitamente trascura.
In questo quadro (e il discorso vale non soltanto per l'Italia) convergono due componenti, una delle quali riguarda l'arte dello spettacolo, l'altra la drammaturgia vera e propria. L'arte dello spettacolo, ai cui sviluppi ha grandemente contribuito in Italia l'Accademia nazionale d'arte drammatica fondata nel 1935 da Silvio D'Amico (1887-1955) e da lui diretta per vent'anni, oltre a dare il giusto rilievo ad opere nuove, si è largamente esercitata nel ripristino di grandi testi non pochi dei quali sono stati sottoposti a revisioni critiche illuminanti da parte di una nutrita schiera di registi (Ettore Giannini, Giorgio Strehler, Renato Castellani, Luchino Visconti e Orazio Costa, cui si sono aggiunti in anni più recenti Luigi Squarzina, Franco Zeffirelli, Mario Ferrero, Giorgio De Lullo, Virginio Puecher, Franco Enriquez, per nominare soltanto i più noti), taluni dei quali via via impegnati anche in allestimenti sollecitati da teatri stranieri. Se in qualche occasione la regìa sembrò tendere alla sopraffazione, tutto sommato si trattò di episodî isolati. D'altra parte dal rigore, dall'affinamento e dalle nuove esigenze dello spettacolo, grazie anche al contributo di scenografi e costumisti di grande capacità, e d'interpreti sempre più intimamente addestrati al lavoro collettivo ("teatro di équipe" è l'espressione d'uso corrente insistentemente affiorata anche durante l'ultimo Congresso a Vienna, giugno 1961, dell'Istituto Internazionale del Teatro, I. T. I., sorto per iniziativa dell'UNESCO e interessato ai maggiori problemi del teatro mondiale), hanno tratto vantaggio non pochi commediografi italiani:
Ugo Betti (1892-1953), scomparso nel momento in cui la sua opera era accolta con vivo interesse anche oltre confine, segnatamente in Francia, gli ultimi drammi del quale (Spiritismo nell'antica casa. Delitto all'isola delle capre. La regina e gli insorti, Il giocatore, L'aiuola bruciata e La fuggitiva, tutti apparsi fra il 1950 e il 1953) ribadiscono una tematica conseguente alla crisi che trovò in Luigi Pirandello un vivisezionatore di rara fermezza; Diego Fabbri, che aspira a riallacciare i problemi dell'uomo d'oggi a un più vasto problema religioso (del che fanno fede i componimenti apparsi fra il 1950 e il 1961: Inquisizione, Rancore, Il seduttore, Processo di famiglia, Processo a Gesù, La bugiarda, Veglia d'armi, Delirio, Figli d'arte, I Demoni e Processo Karamazov, Ritratto di ignoto); Federico Zardi, che in La livrea (1951), Emma (1952), I tromboni (1954) Serata di gala (1958) e I marziani (1959) sembra dare la preferenza ora alla critica storica e ora alla satira di costume; Luigi Squarzina, che in drammi di grande impegno (Tre quarti di luna 1953, La sua parte di storia 1958 e La Romagnola 1959) ha considerato senza infingimenti tre periodi del nostro recente passato; e fra i più giovani Giuseppe Patroni Griffi, autore di D'amore si muore (1958) e Anima nera (1960), e Guido Rocca, prematuramente scomparso, del quale fra il 1956 e il 1959 furono rappresentati I coccodrilli, Una montagna di carta, Un blues per Silvia e Mare e whisky, entrambi in diversa misura e con capacità diverse animati dal proposito di esemplificare alla ribalta le inquietudini e i malanni della media società d'oggi. A un t. "presentista" s'ispirarono anche gli ultimi drammi di Cesare Giulio Viola (1887-1958).
Un posto inconfondibile occupa Eduardo De Filippo, commediografo, attore e regista, la cui opera, ormai introdotta sui palcoscenici di tutti i paesi, si è arricchita di La paura numero uno (1950), Mia famiglia (1955) Bene mio core mio (1955), De Pretore Vincenzo (1957), Sabato domenica e lunedì (1960) e Il sindaco del rione Sanità (1961). E prove singolari, anche se non tutte scaturite da un inderogabile impegno, per un verso o per l'altro hanno fornito Vitaliano Brancati (Raffaele, Donna di casa, La governante, Il tenore sconfitto), Dino Buzzati (Un caso clinico, rappresentato anche in Francia nella versione di Albert Camus, e Un verme al Ministero), Alberto Moravia (La mascherata e Beatrice Cenci), Stefano Pirandello (Sacrilegio massimo e La scuola dei padri), Cesare Zavattini (Come si scrive un soggetto cinematografico), Giovanni Testori (La Maria Brasca e L'Arialda), Giorgio Prosperi (La congiura e Il Re), L. Barzini jr. (I disarmati), I. Montanelli (Viva la dinamite, I sogni muoiono all'alba, Kibbut), Valentino Bompiani (Albertina, Paura di me), Dino Terra (Il Faustino, La vedovella, Carambola), Turi Vasile (I cugini stranieri, Le notti dell'anima), Carlo Terron (Giuditta, Processo agli innocenti, Lavinia fra i dannati), Silvio Giovaninetti (L'abisso, Lidia o l'Infinito, L'oro matto, Sangue verde), Franco Brusati e Fabio Mauri (Il benessere), Gian Paolo Callegari (Cristo ha ucciso, Le ragazze bruciate verdi), Achille Campanile (La moglie ingenua e il marito malato, Il povero Piero), Giuseppe Dessì (La giustizia, Qui non c'è guerra), Mario Federici (Marta la madre, ovvero Il commendatore), Massimo Dursi (La giostra, Bertoldo a corte), Paolo Levi (Legittima difesa, Il caso Pinedus), Curzio Malaparte (Du côté de chez Proust, Das Kapital, Anche le donne hanno perso la guerra). Giuseppe Marotta e Belisario Randone (Il Califfo Esposito, Bello di papà, Veronica e gli ospiti), Alberto Perrini (Non si dorme a Kirkwall, Come le ali hanno le scarpe), Fabrizio Sarazani (La grande famiglia), Tullio Pinelli (La leggenda dell'assassino, La scuola dei vedovi), Carlo Marcello Rietmann (La grande speranza), Sergio Pugliese (Rosso di sera), Eligio Possenti (Questi ci vogliono, La nostra fortuna), Carlo Maria Pensa (Il fratello, I falsi), Aldo Nicolaj (Teresina e il cantastorie, La stagione delle albicocche, La ballata del soldato Piccicò).
Nel secondo dopoguerra e negli anni immediatamente successivi sono piuttosto mancati al t. italiano movimenti reattivi degni di rilievo, i quali del resto possono manifestarsi magari sproporzionati, talvolta apertamente assurdi, soltanto laddove esistano tradizioni teatrali, modi o consuetudini capaci di provocarli.
Il t. francese, che dal 1949 ha subito la perdita di non pochi fra i suoi rappresentanti più significativi (nel 1949 morirono Jacques Copeau e Charles Dullin; Louis Jouvet e Ludmilla Pitoëff nel 1951; Gaston Baty nel 1953, Paul Claudel nel 1955. Sacha Guitry nel 1957 e Abert Camus nel 1960), ha in quella direzione fornito esempî che non trovano riscontro negli altri teatri europei. Lo stimolo a nuove ricerche, a un nuovo linguaggio e a un nuovo impegno drammaturgico si è verificato non già all'interno degli organismi costituiti, ma come esigenza di piccoli nuclei non di rado avventurosi, spesso alloggiati alla meglio in locali di modestissima capienza (Il Théâtre des Noctambules. il Babylone. il Théâtre de Poche, la Huchette, il Théâtre du Quartier Latin). Accanto a drammaturghi di fama già assodata (Jean Anouilh, i cui ultimi drammi, Ornifle, Pauvre Bitos, L'Hurluberlu, Becket ou l'Honneur de Dieu, stanno a indicare una crescente involuzione; Jean-Paul Sartre, del quale si segnalano Nekrassov e Les séquestrés d'Altona; il cattolico Julien Green, le cui commedie Sud, 1953, L'ennemi, 1954, e L'ombre, 1956, sembrano aver segnato un tempo di arresto nell'opera del narratore e del saggista; Albert Camus, che nei suoi ultimi due saggi teatrali, Les possedés e Requiem pour un nonne, ha cercato una rispondenza alla propria tematica attraverso personaggi di Dostoevskij e di Faulkner; e l'altro drammaturgo cattolico, Henry de Montherlant, il quale, avendo dichiarato dopo la rappresentazione di Port-Royal di rinunziare a scrivere per il t., non ha poi tenuto fede alla parola data e ha via via mandato alla ribalta Brocéliande, 1957, Don Juan, 1958 e Le cardinal d'Espagne, 1960), sono apparsi drammaturghi sui quali si accentrò tempestivamente l'attenzione di critici avveduti, alcuni dei quali pronosticarono alle loro opere l'esito che poi effettivamente incontrarono anche fuori di Francia. Non è senza significato che tali scrittori, pur essendo cittadini francesi, abbiano origini diversissime: nelle vene di Arthur Adamov (La parodie, L'invasion, La grande et la petite manœvre, Tous contre tous, Le professeur Taranne, Le sens de la marche, Le Ping-Pong, Paolo Paoli) scorre sangue caucasico, Georges Schéhadé (La soirée des proverbes, Histoire de Vasco, Le voyage) è di origine araba, Samuel Beckett (En attendant Godot,Fin de partie, La dernière bande) è irlandese, Eugène Jonesco (La cantatrice chauve, La legon, Les chaises, Victimes du devoir, Amédée ou Comment s'en débarasser, Jacques ou la soumission, Le tableau, L'impromptu de l'Alma, Le nouveau locataire, Tueur sans gages, Le Rhinoceros) discende da famiglia romena. Francese è invece l'avventuroso Jean Genêt, scoperto da Cocteau e portato alla ribalta per la prima volta da Jouvet nel 1947 (Les Bonnes), sulla cui opera esiste uno studio di J.-P. Sartre (Saint Genêt, comédien et martyr, Parigi 1952), e del quale sono successivamente apparsi Le balcon, Haute surveillance e Les nègres, opera quest'ultima di aperta ispirazione pirandelliana.
Il più popolare fra questi scrittori è senza dubbio Jonesco. cui gli ammiratori delle sue prime opere anticonformiste rimproverano di essere arrivato alla Comédie-Française; ma la critica sembra preferire, per una più profonda originalità, Samuel Beckett. Nessun fenomeno analogo si è comunque verificato sul restante continente europeo, men che meno in Germania, dove si verificò, già prima del "miracolo economico", una prodigiosa ricostruzione e riorganizzazione degli edifici destinati allo spettacolo (basti dire che nel 1951 sul territorio della sola Repubblica Federale esistevano, quasi tutti edificati ex novo, 168 teatri, di cui 7 regionali e 91 municipali o statali; e che agli inizî del 1961 la Repubblica Democratica Tedesca contava 87 teatri statali con un totale di 56.732 posti a sedere, mentre i dipendenti assorbiti dall'attività teatrale erano 18.250, di cui 9.700 artisti) e dove di conseguenza l'arte dello spettacolo gode del massimo favore senza che tuttavia si sia notato l'avvento di drammaturghi nuovi. Qualora si escludano Carl Zuckmayer (autore del Generale del diavolo) e pochi altri (F. Bruckner, F. Csokor. H. J. Rehfisch, G. Weisenborn, E. Kästner), la drammaturgia tedesca appare dominata da Bertolt Brecht (1898-1956), la cui opera va diffondendosi in tutto il mondo e si sta allineando a fianco di quella dei grandi padri della drammaturgia contemporanea, tre nomi sui quali sono tutti d'accordo: Ibsen, Čechov, Pirandello. Caso mai due drammaturghi di una certa importanza si sono rivelati nella Svizzera tedesca, propriamente nell'ambito dello "Schauspielhaus" di Zurigo: Max Frisch (Nun singen sie wieder, 1945; Santa Cruz, 1946; Die chinesische Mauer, 1946; Judith, 1948; Als der Krieg zu Ende war, 1949; Graf Öderland, 1951; Herr Biedermann und die Brandstifter, 1952; Don Juan oder Die Liebe zur Geometrie (1953); Die grosse Wut des Phillip Hotz, 1957; Lehrsueck ohne Lehre, 1959) e Friedrich Dürrenmatt (Steht geschrieben, 1947; Der Blinde, 1948; Romulus der Grosse, 1949; Die Ehe des Herrn Mississippi, 1952; Ein Engel kommt nach Babylon, 1953; Der Besuchder alten Dame, 1955).
In quanto a produzione drammaturgica, la Gran Bretagna presenta un quadro discretamente equilibrato. Da una parte ha continuato ad aver fortuna la commedia borghese; la quale, sia pure con l'introduzione di varianti che non mancano di qualche suggestione, va dall'anziano Noel Coward, a Terence Rattigan, a Peter Ustinov. Dall'altra un intervento reattivo analogo (almeno in parte) a quello verificatosi in Francia ha messo in luce i cosiddetti "giovani arrabbiati" (angry young men), il nome del cui capintesta John Osborne è legato non soltanto ai drammi Look back in anger e The entertainer, ma anche alla fondazione della English Stage Company promossa da Georges Devine in favore degli scrittori nuovi. Nel mezzo sta T. S. Eliot, del quale nel 1950 uscì un saggio fondamentale (Poetry and drama) e che dopo The family reunion ha scritto The cocktail party (1949), The confidential clerk (1953) e The elder statesman, le ultime due fornite al Festival di Edimburgo. L'esempio di Eliot ha favorito un notevole risveglio del teatro in versi. Al qual proposito vanno ricordati, fra gli scrittori di maggior rinomanza, Christopher Fry, che dal 1948 in poi ha prodotto Thor with angels, The lady's not for burning, Venus observed, A sleep of prisoners. The dark is light enough, e Ronald F. Duncan, noto, oltre che per Stratton, Don Juan, e The death of Satan, per aver procurato al compositore B. Britten il testo di The rape of Lucretia.
Il verso ha tentato anche alcuni drammaturghi americani (notevole la parafrasi del Libro di Giobbe, J. B., pubblicata nel 1958 da Archibald MacLeish, poi rappresentata in Italia), fra i quali, scomparso Eugene O'Neill, emergono tuttavia Arthur Miller (fra gli ultimi suoi drammi: Death of a salesman, 1948; The crucible, 1953; A view from the bridge, 1955; A memorial of two mondays, 1955) e Tennessee Williams, che dal 1948 ha accresciuto la propria opera di non pochi componimenti, fra i quali Summer and smoke, The rose tattoo, Camino Real, Cat on a hot tin roof e Sweet bird of youth. Fra questi due scrittori, il primo dei quali (forse il più tipico rappresentante del Nord) ha il proprio antesignano in Ibsen, mentre il secondo (rappresentante del Sud) si riallaccia piuttosto a Čechov, si sono nell'ultimo decennio inseriti commediografi di diverse tendenze, da William Inge (Come back little Sheba, Picnic, Bus stop, The dark at the top of the stairs, A loss of roses) e Robert Anderson (Tea and sympathy e All summer song), entrambi non insensibili alle scoperte psicanalitiche, a Williams Gibson che dalla freudiana Two far the Seesaw è passato alle intonazioni didascaliche di The miracle worker. Circa le contrastanti correnti interpretative del teatro statunitense, una esemplificazione evidente è stata fornita agli inizî del 1961 dalla Theatre Guild American Repertory Company, impegnata in una lunga "tournée" europea, e dal Living Theatre, organismo fondato nel 1946 da Judith Malina e Julian Beck, venuto in primo piano alla fine del 1960 con l'allestimento di The connection, dramma del giovane Jack Gelber, esso pure ospite d'importanti teatri europei.
L'ultimo quindicennio teatrale è del resto caratterizzato, soprattutto in Europa, da un nutrito scambio di spettacoli originali favorito fra paese e paese dall'istituzione di rassegne periodiche, fra le quali si ricordano il Festival internazionale del teatro promosso dalla Biennale di Venezia (che ha anche il merito di aver favorito, in circa un ventennio di attività, la rinascita del repertorio goldoniano), il Festival nazionale della prosa di Bologna, il Maggio Fiorentino, e gli spettacoli di Siracusa, Ostia Antica, San Miniato, Vicenza, Verona e Urbino; il Festival di Edimburgo, che dal 1947 si svolge annualmente con la collaborazione del municipio della città e dell'Arts Council; l'Ann Arbor Dramatic Festival e l'Antioch Shakespeare Festival, istituiti negli Stati Uniti rispettivamente dal 1930 e dal 1952; i festival di Berlino, di Salisburgo, di Monaco, di Heidelberg, di Bochum e della Ruhr; e numerosissimi festival in territorio francese, a cominciare da Avignone per finire a Parigi, dove nel 1954 fu istituito il Festival International du Théâtre, quattro anni dopo trasformato in Théâtre des Nations con sede al Sarah Bernhardt. Il Théâtre des Nations, che usufruisce di una cospicua sovvenzione alla quale concorrono lo stato, il municipio di Parigi e il dipartimento della Senna, è riuscito a ospitare in un solo anno fino a venti complessi rappresentativi provenienti da ogni parte del mondo.
Di pari passo si è intensificata in ogni paese l'attività editoriale riguardante il t. (testi, saggi critici e storici, memorie, documenti e saggi interpretativi), caratterizzata, oltre che dalla frequenza, da un rigore e da un impegno crescenti. Per quel che riguarda l'Italia, fra le numerosissime pubblicazioni teatrali dell'ultimo decennio si segnalano particolarmente i quattordici volumi delle Opere di Carlo Goldoni portati a compimento da Giuseppe Ortolani, e la fondazione a cura di Silvio D'Amico della Enciclopedia dello spettacolo, prima opera del genere, prevista in dieci volumi, otto dei quali apparsi fra il 1955 e il 1961.
Bibl.: Oltre agli almanacchi, gli annuarî, i periodici teatrali e le cronache degli spettacoli dal 1948 al 1960, si vedano: P.A. Touchard, L'amateur de théâtre, ou La régle du jeu, Parigi 1952; B. Curato, Sessant'anni di teatro in Italia, Milano 1953; S. D'Amico, Palcoscenico del dopoguerra, Torino 1953; R. Brasillach, Animateurs de théâtre, Parigi 1954; E. M. Gagey, Il teatro in America, Roma 1954; L. Jouvet, Le comédien désincarné, Parigi 1954; il volume Cinquanta anni di teatro in Italia, Roma 1954; A. Fiocco, Correnti spiritualiste nel teatro moderno, ivi 1955; A. Veinstein, Du Théâtre Libre au Théâtre Louis Jouvet, Parigi 1955; id., La mise en scène théâtrale et sa condition esthétique, ivi 1955; A. Downer, Le théâtre aux États-Unis, ivi 1957; F. Fergusson, Idea di un teatro, Parma 1957; L. Moussinac, Le théâtre des origines à nos jours, Parigi 1957; il n. speciale del Ponte, ag.-sett. 1957, dedicato a Lo spettacolo oggi in Italia; A. Dabini, Teatro italiano del siglo XX, Buenos Aires 1958; A. Fiocco, Teatro di ieri e di oggi, Bologna 1958; G. Pullini, Il teatro italiano fra due secoli, Milano 1958; Piccolo Teatro (1947-58), ivi 1958; M. Beigbeder, Le théâtre en France depuis la Libération, Parigi 1959; A. Camilleri, I teatri stabili in Italia (1898-1918), Bologna 1959; P. Chiarini, Il teatro tedesco espressionista, ivi 1959; V. Pandolfi, Teatro italiano contemporaneo, Milano 1959; G. Pullini, Cinquant'anni di teatro in Italia, Bologna 1959; Teatro in Israele, a cura di G. Richetti e G. Romano, ivi 1959; R. Lalou, Cinquant'anni di teatro francese, ivi 1960; G. Lunari, Il movimento drammatico irlandese, ivi 1960; G. R. Morteo, Il teatro popolare in Francia, ivi 1960; F. Ghilardi, Storia del teatro, Milano 1961; R. Jacobbi, Teatro in Brasile, Bologna 1961.