TERZO MONDO
. Sotto questa denominazione, entrata nella terminologia internazionale poco prima della conferenza afroasiatica di Bandung del 1955, vennero classificati i paesi asiatici, africani e latino-americani, per la maggior parte appena usciti o in via di uscire dalla soggezione coloniale, detti inizialmente "paesi sottosviluppati" e poi, per sottolineare l'aspetto positivo della loro evoluzione, "paesi in via di sviluppo" o "paesi emergenti". Come in tutti i raggruppamenti troppo vasti - vi rientravano due terzi circa del genere umano e più di un centinaio di paesi - l'omogeneità delle componenti appariva piuttosto vaga e talvolta problematica, mentre risultava stridente l'accostamento di situazioni come quelle di un Brasile, di una Cina, di un Venezuela o di un Libano, effettivamente in via di sviluppo, con quelle di aree prive di possibilità immediate, com'erano invece l'Africa centrale e il sub-continente indiano; si preferì, dunque, distinguere vari settori geografici, ciascuno con proprie caratteristiche ed esigenze, cioè la Cina, il sub-continente indiano, l'Asia sud-orientale, l'America latina, l'Africa nera e il Medio Oriente arabo. Comunque, pur con diverse gradazioni interne, il T. M. presentava alcuni dati comuni specifici: estrema miseria della maggioranza delle popolazioni, analfabetismo, enorme crescita demografica, economia a prevalente struttura agricola, denutrizione, deboli infrastrutture. Il problema del T. M., il più vasto e complesso sull'arena internazionale dopo la seconda guerra mondiale, venne in primo piano sulla spinta, da una parte, della nuova coscienza dei paesi che lo componevano e della loro volontà organizzata d'imporre alla comunità internazionale la propria presenza rivendicativa, e dall'altra del sempre più netto convincimento degli stati economicamente prosperi che la garanzia di un mondo pacifico dipendeva dalla loro fattiva comprensione degli sforzi dei paesi emergenti per liberarsi dei condizionamenti economici e psicologici e per acquistare una piena dignità internazionale.
Il primo ministro indiano Nehru fece da battistrada nell'individuazione del terreno politico dal quale i governi del T. M. dovevano partire per tutelare i loro interessi: rifiuto dello schema dei rapporti internazionali basato sulla contrapposizione dei blocchi e sulla guerra fredda e assunzione d'un ruolo di neutralismo attivo, capace di premere con azione mediatrice a carattere, insieme, diplomatico e morale sulla logica di condotta degli schieramenti rigidi. Egli rivendicò in sostanza l'autonomia di politica estera dei paesi del T. M. in funzione conciliatrice fra mondo capitalista e mondo socialista e a servizio delle proprie esigenze di assestamento politico e di ristrutturazione economico-sociale, che il giuoco di concorrenza fra i blocchi minacciava di compromettere. A tale impostazione s'ispirarono i ventinove paesi asiatici e africani che dal 18 al 24 aprile 1955 si riunirono a Bandung (Giava) approvando i "cinque princìpi" di guida ai rapporti internazionali: non-aggressione, reciproco rispetto della sovranità, non-interferenza negli affari interni, reciproco vantaggio nei rapporti economici, coesistenza pacifica. Oltre che per questa presa di posizione d'ordine generale, rivelatasi nei decenni successivi un valido punto di riferimento nei rapporti Est-Ovest e nel dialogo dei governi del T. M. con le potenze, Bandung trasse la sua importanza come punto di partenza della ricerca entro l'area del T. M. di una solidarietà d'interessi e di una conseguente azione coordinata per la loro difesa. In campo politico, com'era naturale, ebbe la priorità per un impegno comune il tema della lotta ai regimi coloniali e dell'appoggio ai movimenti di liberazione nazionale; in campo economico, cui il comunicato finale del 24 aprile dedicò la prima sezione in dodici punti, particolare accento venne dato agli obiettivi della stabilità del commercio, dell'industrializzazione, della multilateralità degli aiuti, del controllo delle operazioni della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRD).
Ma il coordinamento dell'azione dei governi del T. M. nelle questioni politiche rimase quasi sempre vago e frammentario, bloccato dalle polemiche fra "stati moderati" e "stati rivoluzionari", salvo in quelle impegnanti il loro anti-colonialismo e il loro antirazzismo, come nel caso del Sudafrica e della Rhodesia; così, dopo parziali riunioni a Belgrado nel 1961 e al Cairo nel 1962 (l'anno in cui le due colonne portanti del T. M., Cina e India, si scontrarono in armi al confine himalayano), fallì in partenza nel 1965 la progettata "seconda Bandung" ad Algeri. Continui passi in avanti, invece, registrò la collaborazione intesa a far prevalere le rivendicazioni economico-commerciali di fronte ai paesi ricchi industrializzati. Innumerevoli conferenze a carattere generale o regionale discussero e misero a punto via via i temi della lotta rivendicativa, fissando una comune linea di condotta: nel 1964 i paesi del T. M. istituzionalizzarono la loro volontà di procedere d'intesa, presentandosi come "gruppo dei 77" (che continuò a essere conosciuto con questa denominazione anche quando il numero dei suoi componenti salì prima a 86, poi a 104 e, nel 1977, a 114). Tra queste conferenze fecero spicco quelle svoltesi ad Algeri nell'ottobre 1967, nel settembre 1973 e nel febbraio 1975. La prima di esse si concluse con l'approvazione di una "Carta economica programmatica" che riassumeva in modo organico tutti i motivi di lagnanza del T. M. verso i paesi sviluppati, dal problema della stabilità dei prezzi dei prodotti di base all'esiguità degli aiuti finanziari agl'investimenti, dagl'intralci alle esportazioni all'integrazione economica. Alla conferenza del 1973 fu precisato il programma d'azione comune per lo sviluppo del T. M. e furono ribaditi in una "Dichiarazione economica" i punti fondamentali delle doléances: in particolare, scarsa utilizzazione delle risorse naturali, difficoltà nella pianificazione e nella realizzazione di progetti industriali, aumento dei costi dei materiali industriali e dei trasporti, squilibrio fra i prezzi dei prodotti esportati e quelli dei prodotti importati, insufficienza dell'assistenza tecnica. A breve distanza, l'offensiva dei paesi produttori di petrolio, con le negative ripercussioni sulla bilancia dei pagamenti e sui costi di produzione delle industrie occidentali, indusse il "gruppo dei 77" ad accentuare la sua pressione rivendicativa: la terza conferenza di Algeri del febbraio 1975 rispecchiò, nella perentorietà della presentazione delle proprie esigenze, la posizione di forza da cui il T. M. sentiva di poter condurre ora la sua battaglia per un "nuovo ordine economico internazionale", alle cui fondamenta poneva "il diritto inalienabile per ogni paese in via di sviluppo di esercitare in piena libertà la sua sovranità e un permanente controllo sulle proprie risorse naturali, sia terrestri che marine, e su tutte le attività economiche dirette a sfruttare tali risorse". Con la proclamazione di tale diritto, che era esplicitamente identificato in primo luogo con la politica di nazionalizzazioni, la conferenza del resto non fece che ripetere la sostanza della "Carta dei diritti e doveri economici", proposta nel 1972 dal presidente messicano Echeverria, che l'Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva approvata due mesi prima, il 12 dicembre 1974.
Il biennio 1973-74 rappresentò una svolta non soltanto nella presa di coscienza da parte del T. M. della propria capacità di giungere a una radicale emancipazione politico-economica dai paesi sviluppati (il dato nuovo della terza conferenza di Algeri fu di aver individuato tutte le possibilità, interne ed esterne al "gruppo dei 77", aperte dall'improvvisa disponibilità di immense risorse finanziarie dei membri del gruppo ricchi di giacimenti petroliferi), ma anche in una nuova valutazione del problema del T. M. da parte dei paesi sviluppati.
Questi, fino allora, in certo modo erano rimasti fermi allo schema coloniale: assistenza economica, tecnica e finanziaria ai paesi in via di sviluppo in corrispettivo della libera disponibilità delle loro risorse di materie prime e di privilegiati vincoli commerciali reciproci. Lo schema si era attuato su base bilaterale, o su base multilaterale diretta, o su base multilaterale mediata da organizzazioni internazionali. Il sistema degli accordi bilaterali di aiuto aveva trovato la più larga applicazione tra ex-madrepatria ed ex-territorio dipendente, affiancati talvolta, al momento della rottura del rapporto coloniale, da un impegno di protezione politico-militare della prima verso i governi locali minacciati di essere travolti da forze centrifughe di natura etnico-tribale o da tenaci oppositori politici; e inoltre per iniziativa dei maggiori paesi industrializzati, Stati Uniti e Unione Sovietica in primo piano, anche dietro la spinta di preoccupazioni di rafforzamento della loro influenza politica. Circa l'assistenza multilaterale diretta, il sottofondo politico dell'aiuto economico-finanziario era stato presente non soltanto nei patti di più immediato contenuto politico (CENTO, OAS, SEATO, ecc.) ma anche negli accordi a più specifico obiettivo economico, quali il piano di Colombo per il Sud-est asiatico (1951) e l'Organizzazione comune africana e malgascia (1966). Sebbene assai meno irretite da sottintesi di ordine politico, anche le iniziative multilaterali di aiuto e assistenza facenti capo alle Nazioni Unite e alle Agenzie specializzate collegate con esse (FAO, BIRD, UNESCO) non erano sfuggite alla tendenza dei paesi sviluppati a inserire le misure a favore del T. M. nel quadro del proprio modello di sviluppo.
L'insistenza dei paesi industrializzati a far sopravvivere quella specie di suddivisione internazionale dei compiti economici che era eredità della "carta coloniale" si scontrò sempre più, a misura che si consolidava la presa di coscienza sopra ricordata dei paesi in via di sviluppo, con l'opposta volontà di spezzare la spirale del sottosviluppo e delle sue conseguenze umane, sociali, culturali, oltre che politiche, rendendo aspro e teso il negoziato fra le parti e bloccando su scarsi risultati le varie conferenze generali e i numerosi dibattiti in seno alle organizzazioni internazionali. I più impegnativi di tali dibattiti ebbero luogo nelle sessioni della Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), a partire dal 1964, nelle conferenze della Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale (UNIDO), a partire dal 1971, e nelle tre grandi conferenze mondiali del 1974 sull'alimentazione (Roma), sulla demografia (Bucarest) e sul diritto del mare (Caracas). Un vincolo unitario, di dimensioni effettivamente tricontinentali, è stato fornito al T. M. dal crescente problema energetico, quando i paesi dell'OPEC (Organisation of Petroleum Exporting Countries: Abu Dhabi, Algeria, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Venezuela, Ecuador, cui più tardi si è aggiunto il Gabon) hanno reclamato, nella seconda metà del 1973, un aggiornamento dei prezzi che tenesse conto dell'inflazione mondiale e hanno introdotto, in seguito alla guerra arabo-israeliana del Kippur, sostanziali aumenti del greggio sul mercato mondiale (la stessa OPEC nel 1977, ha assunto una funzione di tutela dei paesi in via di sviluppo, proponendo nuove forme di sostegno finanziario in collaborazione con l'ONU). Nel 1979 la rivoluzione iraniana e il risveglio islamico hanno aggiunto ancora un elemento d'instabilità nel campo della produzione e della fornitura del petrolio medio-orientale, ormai divenuto chiaramente un'arma politica d'importanza decisiva. Ma se da una parte emergono la volontà e la possibilità concreta di una politica autonoma, dall'altra il principio del non-allineamento, che ha ispirato fin dal 1955 molti paesi del T. M., viene ora diversamente interpretato: alla conferenza dell'Avana del 1979 la tradizionale equidistanza del presidente Tito è stata combattuta dalla linea di F. Castro, che vede invece nei paesi emergenti i naturali alleati del blocco sovietico.
Bibl.: P. Jalée, Il Terzo Mondo nell'economia mondiale, Milano 1968; Economic Cooperation in Latin America, Africa and Asia, a cura di M. Wionczek, Cambridge 1969; H. Perrou, L'Europe devant le Tiers Monde, Parigi 1971.