TIRANNI
. Col nome tiranno (τύραννος, lat. tyrannus), d'origine probabilmente anatolica, d'etimologia incerta, i Greci designano, contrapponendoli all'antica monarchia legittima, quei capi di stato, il cui potere assoluto era sorto in modo rivoluzionario. La parola (o qualche suo derivato), che non si trova nell'epopea omerica, ricorre già in Archiloco e in Semonide di Amorgo ed ha già netto il senso qui sopra accennato in Solone, in Alceo, in Teognide. A questo significato comincia a sovrapporsi già in taluni dei testi citati l'altro, che diverrà poi predominante, di usurpatore ingiusto e crudele. Quest'ultimo è dovuto in parte alla violenza della reazione che sommerse la tirannide, in parte ai giudizî moralistici di storici e filosofi vissuti in tempi assai diversi da quelli in cui la tirannide ebbe le sue origini e trovò le sue ragioni (v. tirannia e tirannicidio).
Tiranni a ogni modo si ebbero in Grecia dal sec. VII a. C. fino alla conquista romana, sicché può dirsi che la loro apparizione saltuaria fosse quasi una necessità inerente alla vita della polis greca. Del resto le singole tirannidi sono diversissime nelle loro cause, nella loro azione, nella durevolezza o meno dell'opera loro; sicché esse ebbero poco più di comune dell'origine rivoluzionaria e della instabilità che a questa si accompagnò. Ma nella storia della tirannide in Grecia si sogliono distinguere due periodi dei quali almeno il primo ha caratteristiche sue abbastanza spiccate. In questo periodo la tirannide sorge in mezzo alle lotte politico-sociali che accompagnano o seguono la caduta delle aristocrazie succedute alle antiche monarchie legittime, e, attraverso i governi timocratici, cioè fondati sul consenso delle classi più abbienti, preparano i posteriori governi più o meno democratici. Qui i tiranni sono in generale nobili che si mettono a capo delle classi più umili oppresse dai nobili o dai più ricchi e col loro appoggio rovesciano le oligarchie. Circondati nei primi tempi dal favore dei più, essi o i loro discendenti lo vanno perdendo a mano a mano che le classi popolari da essi capeggiate, divenute politicamente più mature, scuotono quella tutela che ormai credono inutile. Sorti mentre fra le lotte delle fazioni, fra le rivalità delle genti nobili mancava allo stato un forte potere centrale, essi gli hanno ridato quell'unità di governo che era venuta meno col declinare della monarchia. Ciò era tanto più necessario, in quanto appunto in questo periodo lo stato era venuto acquistando nuovi poteri, specie nel campo giudiziario, ciò che aveva dato origine all'istituzione di nuove magistrature speciali; ma tra queste mancava una gerarchia, sicché, per strano contrasto, con l'assunzione di nuovi compiti per parte dello stato era andato di pari passo lo scompaginamento dell'autorità statale. Le tirannidi ebbero origine su queste basi in modi assai diversi; ma in generale furono favorite dal diffondersi della nuova tattica che adoperava in schiere serrate tutti quelli che erano in grado di fornirsi d'armi proprie. I generali che seppero primi disciplinare le falangi degli opliti trovarono poi sovente in questi il rincalzo necessario per assumere con un colpo di stato la suprema autorità. Così, ad es., Pisistrato. Le tirannidi sorsero più anticamente, forse fin dalla prima metà del sec. VII a. C., nelle regioni civilmente ed economicamente più progredite della Grecia, cioè nelle colonie dell'Asia Minore o delle isole vicine. Più tardi, dopo la metà del sec. VII, nell'Eubea e nelle regioni intorno all'istmo di Corinto, come in Megara, Corinto, Sicione. Da ultimo nelle colonie occidentali, dove i più antichi tiranni spettano alla prima metà del sec. VI; il primo si dice fosse Panezio di Leontini; ma il massimo fiore della tirannide vi si ebbe dopo il 500, quando ormai i tiranni nella penisola greca erano stati dappertutto abbattuti.
Impersonando lo stato, accentrandone in sé i poteri, oltrepassando i termini posti dalle consuetudini e spesso anche quelli posti dalle leggi, procacciandosi i mezzi con le confische dei beni degli avversarî cacciati in esilio e con un permanente tributo sul reddito che prima d'allora era sconosciuto, i tiranni poterono seguire una coerente e coraggiosa politica estera. Così i Cipselidi e particolarmente Periandro diedero a Corinto una poderosa marina da guerra e fondarono il primo impero coloniale che sia stato in Grecia. Così sul loro esempio Pisistrato fondò la potenza ateniese. Così più tardi Policrate diede ai Samî un periodo di grande floridezza basata sul predominio nell'Egeo. E infine i Dinomenidi Gelone e Gerone non solo fecero di Siracusa la massima città dell'Occidente, ma capeggiarono vittoriosamente le forze della Sicilia greca nella lotta contro i Cartaginesi e gli Etruschi. E da ultimo Gerone, quando ebbe vinto l'inetto Trasideo, figlio del valente tiranno d'Agrigento Terone, unificò sotto il suo diretto dominio o sotto la sua egemonia tutta la Sicilia greca. A questi successi esterni corrispondeva una sagace e vigorosa opera di organizzazione all'interno. Per la prima volta veniva provveduto su larga scala e con organicità di piani ad opere di pubblica utilità, come acquedotti, strade, costruzioni portuarie. Si moltiplicavano i templi, si celebravano con grande splendore feste e gare ginniche o musicali; alle corti di Periandro, dei Pisistratidi, di Policrate, dei Dinomenidi trovavano ospitalità e favore i poeti e musicisti più insigni della nazione, sicché lo stato per la prima volta, e sia pure in forma personalistica, riconosceva il suo compito di promuovere le arti e le lettere.
Già chiarimmo le ragioni per cui queste tirannidi caddero l'una dopo l'altra. Nella Grecia propria ultima a cadere fu quella dei Pisistratidi (510). In Sicilia i Dinomenidi si sostennero fino al 466. In generale poche di queste signorie durarono oltre la seconda generazione, nessuna o quasi sopravvisse alla terza. Affrettò la loro fine il fatto che gli ultimi fra i tiranni, non sorretti più da quel generale consenso che aveva portato al potere i primi di essi, cominciarono per mantenervisi a incrudelire. Di qui il moltiplicarsi delle congiure contro di loro e gli onori poi resi alla memoria dei tirannicidi (esempio tipico: gli ateniesi Armodio e Aristogitone). Come pure le gravi condanne che furono pronunziate contro i tiranni e le loro famiglie. Di qui anche le molte leggende intorno alla loro ferocia e ai loro delitti: tipiche le leggende su Falaride e il suo toro di bronzo. Ma la tradizione non aveva in tutto dimenticato le benemerenze di taluni di questi uomini e la prosperità che s'era goduta sotto il loro governo: così nel caso di Pisistrato e di Gelone. Su Periandro, poi, si avevano tradizioni contraddittorie che da una parte ne esaltavano la saggezza inserendolo tra i Sette Sapienti, dall'altra ne rappresentavano le vicende coi colori più foschi.
Non tutti i benefizî recati dalla tirannide furono conservati dai governi repubblicani che la sostituirono. Ma il colpo da essa dato alle consorterie nobiliari fu tale che esse non riacquistarono mai più in Grecia il predominio di prima. Inoltre le democrazie in generale e particolarmente la democrazia ateniese ne ereditarono la rinnovata unità del potere statale e con questa la volontà di potenza. Invece andò perduta l'unità della Sicilia greca costituita dai Dinomenidi, la quale rappresentava nel mondo greco il primo tentativo, sia pure imperfetto e non bene consapevole, d'uno stato supercittadino, superante cioè l'isolamento e l'egoismo della polis singola.
Del resto in una parte del mondo greco, negli ultimi tempi di questo suo primo periodo, la tirannide aveva cambiato il suo significato: nella Ionia, cioè sotto il governo persiano. Qui gli ultimi tiranni sulla fine del sec. VI e sul principio del V sono gli uomini di fiducia del governo persiano, che esso sostiene contro le fazioni avverse e che in cambio gli sono garanti della fedeltà delle singole poleis. Perciò la ribellione ionica contro la Persia si accompagna con una generale cacciata dei tiranni. Ed è caratteristico che alla testa del movimento si sia messo appunto, deponendo la sua illegale signoria, il più potente dei tiranni ionici, Aristagora di Mileto.
Le democrazie sorte nelle poleis sulle rovine delle tirannidi si dimostrarono quasi sempre inette al grave compito sia di resistere ai nemici esterni sia di mantenere la pace interna conciliando o superando gl'interessi contrastanti. Di qui dalla fine del sec. V in poi il sorgere di nuove tirannidi.
Il primo esempio se n'ebbe in Sicilia. Qui il dissolvimento dell'unione tra le città greche dell'isola stabilita dai Dinomenidi le rese impotenti a resistere senza aiuti stranieri all'invasione ateniese. E quando questa con l'aiuto di Sparta e di Corinto fu respinta, l'invasione cartaginese condusse la Sicilia greca sull'orlo della rovina; dalla quale la salvò, assumendo in modo rivoluzionario il potere, un giovane ufficiale, Dionisio, il quale fondò la più potente e gloriosa tirannide di tutta l'antichità. Egli rinnovò l'unione della Sicilia greca e poi dedicò tutta la sua vita alla difesa dell'ellenismo nell'isola contro i Cartaginesi. Ma sotto il suo più debole e meno capace successore, Dionisio il Giovane, le ideologie repubblicane insorsero contro la nuova monarchia unitaria e la frantumarono, non senza l'efficace concorso di Platone e della sua scuola. La Sicilia cadde in uno stato di anarchia e di impotenza, nel quale, mentre pullulavano nelle singole città nuovi tiranni, pareva imminente che l'ellenismo dovesse essere sopraffatto dagli Italici o dai Fenici. Non fu sopraffatto grazie al nuovo intervento corinzio. Timoleone abbatté tutte le tirannidi e restaurò le repubbliche cittadine. Ma presto queste dimostrarono un'altra volta la loro impotenza contro i pericoli interni ed esterni. Allora sorse un nuovo tiranno di Siracusa, Agatocle, che difese gloriosamente nell'isola l'elemento greco contro il fenicio e portò perfino la guerra in Africa precorrendo Scipione. Alla sua morte (289), dopo un nuovo intervallo di lotte civili ed esterne di tirannidi contrastanti, di anarchia, l'ellenismo ebbe in Sicilia un ultimo periodo di splendore sotto il nuovo tiranno di Siracusa, Gerone II, che al pari di Agatocle assunse sull'esempio dei monarchi ellenistici il titolo di re. Ma la violenta ripresa del moto repubblicano contro il suo successore Geronimo (215-14), nel momento in cui stava per iniziarsi la lotta suprema con Roma, contribuì a preparare la catastrofe di Siracusa e la caduta dell'intera isola sotto il dominio romano.
In Sicilia dunque in questo secondo periodo la tirannide fu una monarchia militare unitaria; e la sua ragione ideale fu essenzialmente la lotta contro lo straniero. Nella Grecia propria invece essa nacque dalle cagioni più svariate e non ebbe nel suo insieme alcuna funzione durevole e benefica nella vita nazionale. Nella Tessaglia, che riguardo allo sviluppo civile ed economico era in ritardo in confronto degli altri cantoni greci, essa ripeté tardivamente le esperienze delle tirannidi del sec. VI. Sorse ivi in Fere con Licofrone sullo scorcio del sec. V e si sforzò di abbattere il prepotere dei nobili chiamando a libertà i servi della gleba (penesti). Raggiunto poi il suo massimo fiore sotto Giasone che dominò come tago su tutta la Tessaglia, essa si sostenne lottando con varia fortuna sotto Alessandro e fu abbattuta da Filippo II che unì la Tessaglia alla Macedonia (353).
In Focide ebbero potere e atteggiamento di tiranni quei comandanti militari che guidarono i Focesi nella guerra sacra combattuta contro Delfi (356-346), in particolare il più prode ed energico tra essi, Onomarco. Ma, anche altrove, la tirannide rialzò sporadicamente il capo. Così in Eubea, dove nel sec. IV il tiranno più noto fu Plutarco d'Eretria, a Corinto, dove si ebbe il tentativo di Timofane terminato col suo assassinio per opera del fratello Timoleone, in Sicione dove assunsero il dominio Eufrone e dopo di lui Adea. Poi le tirannidi caddero, quando le vigenti costituzioni repubblicane furono in Grecia garantite dalla Macedonia, giusta i patti della lega di Corinto (337). Ma nei torbidi che seguirono alla morte di Alessandro cominciarono nella penisola a risorgere, e la Macedonia stessa vi diede impulso cercando spesso, come avevano fatto i Persiani, di mettere in varî stati greci il potere supremo in mano di qualche capoparte locale che ne assicurasse loro la fedeltà. Tale fu, ad es., il potere che, poco importa con quale titolo legale, ebbe in Atene Demetrio di Falero sotto l'alto dominio di Cassandro (317-307). Più tardi un altro tiranno, Lacare, difese Atene da Demetrio Poliorcete (295-94). Erano in genere, fatta eccezione per Demetrio di Falero, governi tanto violenti quanto effimeri, e lo spirito repubblicano per forza propria o con aiuti stranieri riusciva presto ad abbatterli. Ma quello dei re di Macedonia che più di tutti impiantò nelle città greche delle tirannidi, fu Antigono Gonata. L'odio contro i numerosi tiranni da lui appoggiati nel Peloponneso favorì il moto antimacedonico guidato da Arato di Sicione che condusse all'espansione vittoriosa della lega achea. Questo moto spazzò dal Peloponneso i tiranni. La rinunzia al potere dei due più importanti tra essi, Lidiade di Megalopoli ed Aristomaco di Argo, e l'adesione loro alla lega achea è in sostanza il riconoscimento palese per parte dei tiranni della loro impotenza e della necessità in cui essi erano di cercare nuove soluzioni ai problemi che la storia poneva.
Il titolo di tiranni dopo la guerra cleomenica non viene dato se non ai principi spartani che, qualunque fosse il loro diritto a salire al trono, dominarono la città con pienezza di poteri, in modo rivoluzionario, come Nabide. Dopo l'uccisione di Nabide (192) in tutta la penisola, sottoposta ormai all'influenza romana, non si ebbero più che governi repubblicani. Alla tirannide non si tornò se non più tardi, quando si fece l'estremo tentativo di riscossa contro Roma al tempo della guerra mitridatica. Come tiranno viene qualificato quell'Aristione che fu a capo della disperata resistenza di Atene contro le legioni sillane (87-86). Con lui può dirsi che avesse termine la tirannide, almeno per quel che riguarda la Grecia propria. Ma con la tirannide ebbe anche termine la libertà della Grecia. Non è però casuale che nell'unica città della penisola, la quale conservasse ancora fino ai tempi di Cesare e di Augusto una certa vita politica autonoma, a Sparta, sorgesse una famiglia di dinasti (Euricle, Lacone) che potevano paragonarsi con gli antichi tiranni, sebbene abbiano nelle fonti il titolo più civile di egemoni.
Un cenno meritano i tiranni delle colonie greche dell'Asia Minore che si moltiplicarono nel sec. IV e poi di nuovo nel III. Qui, in Eraclea Pontica, Clearco fondò una tirannide che si mantenne per oltre settant'anni (364-63, 289-82) fino ai tempi di Lisimaco e che difese efficacemente in quella remota regione la causa dell'ellenismo. Famoso è anche Ermia, il tiranno di Atarneo e di Asso, che cercò di riformare il suo governo secondo i principî platonici e che, ucciso a tradimento dai Persiani (341), fu celebrato dal filosofo Aristotele cui aveva dato in moglie la figlia. Dei molti altri tiranni di città d'Asia Minore in questo periodo siano qui citati a titolo di curiosità due tiranni letterati, della cui signoria non è ben chiara né la precisa natura né l'esatta cronologia, Idomeneo di Lampsaco, lo scolaro di Epicuro e lo storico Duride di Samo, dei tempi di Lisimaco e Seleuco Nicatore. Questi tiranni però, ad eccezione di quelli d'Eraclea, furono senza alcun rilievo nelle turbolente vicende dell'Asia Minore durante l'età ellenistica. Ivi infatti dominarono sulla scena politica le piccole e grandi monarchie di carattere totalmente diverso dalle tirannidi e contro o sotto quelle monarchie le antiche città greche assetate sempre di libertà e di autonomia.
V. inoltre: trenta tiranni.
Bibl.: H. G. Plass, Die Tyrannis in ihren beiden Perioden bei den alten Griechen, Lipsia 1859; G. Busolt, Griechische Staatskunde, I, Monaco 1920, p. 369 segg.; P. V. Ure, The Origin of Tyranny, Cambridge 1922.