Livio, Tito
Lo storico che ha narrato la grandezza di Roma
Tito Livio fu uno dei più importanti storici latini e, assieme a Orazio e Virgilio, uno dei maggiori rappresentanti dell’età d’oro della letteratura latina. L’opera di Livio è preziosa e insostituibile per la conoscenza delle vicende storiche della fase repubblicana della storia di Roma
Nato a Padova nel 59 a.C. e lì morto nel 17 d.C., Tito Livio è autore di una monumentale Storia di Roma dalla sua fondazione (il titolo latino è Ab Urbe condita libri), composta di ben 142 libri, oggi in gran parte perduti. Si sono conservati solamente i libri 1-10 e 21-45, ma è possibile avere una buona idea della struttura generale dell’opera dai sommari (periochae) che ci sono pervenuti.
I due blocchi di libri che si sono conservati riguardano le origini e la storia più arcaica di Roma: i primi dieci libri, o prima deca, raccontano i fatti che vanno dalla mitica fondazione di Roma a opera di Romolo (753 a.C.) fino all’anno 293 a.C., mentre la terza decade (libri 21-30) è incentrata sugli eventi della seconda guerra punica (Cartagine), dal suo scoppio – con la violazione del trattato di pace da parte di Annibale (218 a.C.) – fino al definitivo trionfo di Scipione l’Africano (202 a.C.). I libri seguenti (libri 31-45, incompleti) si concentrano sulle vicende orientali, in particolare sulla progressiva conquista da parte di Roma della Macedonia, della Grecia e delle altre potenze ellenistiche, fino alla battaglia di Pidna (168 a.C.).
Livio scrisse la storia di Roma secondo una tecnica storiografica che noi oggi chiamiamo annalistica. Tale tecnica, comune nel mondo antico, consisteva nel suddividere il racconto anno per anno in maniera abbastanza rigida. Ciò comportava, nel caso di eventi complessi che si svolgevano in diversi anni e in luoghi diversi (si pensi per esempio proprio alla seconda guerra punica, che si svolse in Spagna, Italia, Sicilia e Africa, dal 218 al 202 a.C.), una noiosa frammentazione del racconto: per seguire le vicende, poniamo, di Siracusa, il lettore sarà costretto a saltare, nell’ambito della terza decade, di libro in libro nei capitoli dedicati alle vicende belliche in Sicilia.
Nei primi dieci libri Livio si preoccupa soprattutto di mettere in evidenza le origini delle leggi, degli usi e dei costumi che resero Roma padrona del mondo. Non sempre il suo racconto è obiettivo e le fonti affidabili, specialmente per epoche più remote. Livio adoperò le fonti più antiche delle quali poteva disporre, in particolare i Fasti e gli Annali dei pontefici, dove venivano riportati i nomi dei magistrati repubblicani e i principali avvenimenti che erano avvenuti durante la magistratura di questo o quel personaggio; purtroppo, però, spesso queste fonti erano già state ‘aggiustate’ quando Livio le utilizzò.
Fonti molto simili, per il periodo più antico, sono anche alla base del racconto dell’altro storico delle origini di Roma, il greco Dionigi di Alicarnasso, vissuto al tempo di Ottaviano Augusto: per questo si dice che Livio e Dionigi rappresentano la visione ‘tradizionale’ della storia arcaica di Roma, che deve essere, dove possibile, vagliata e confrontata con altre fonti.
Livio aveva una forte personalità, che traspare dalla sua opera. Era un conservatore tradizionalista: per lui l’aristocrazia senatoria era sempre nel giusto e tutti i riformatori, anche se appartenenti a quello stesso ceto sociale, erano comunque poco rispettabili. Con la stessa fermezza Livio era assolutamente certo della superiorità di Roma su tutti gli altri popoli, ed era pronto a vedere nel suo dominio ecumenico un elemento provvidenziale.
La fortuna di Livio fu immensa e immediata: la sua opera circolò moltissimo fin da subito e vennero fatti dei riassunti per permetterne una più ampia diffusione. Purtroppo i riassunti, più comodi da copiare, fecero sì che la trasmissione dell’opera integrale venisse progressivamente tralasciata, e così essa venne perduta. Tuttavia Livio continuò a essere letto avidamente, anche se si conoscevano parti sempre più limitate della sua opera. Tra i frutti di queste letture vi sono veri e propri capolavori della letteratura politica di tutti i tempi, quali i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1513-17 circa) di Niccolò Machiavelli.