TIVOLI
(lat. Tibur)
Cittadina del Lazio in prov. di Roma, posta sulle pendici settentrionali dei monti Tiburtini, nel punto in cui il corso dell'Aniene scende, formando delle cascate, nell'Agro Romano.Oscure rimangono le origini di T.; la posizione strategica lungo la via consolare Tiburtina-Valeria, che collegava Roma alla Marsica e agli Abruzzi, ne promosse lo sviluppo in età repubblicana e imperiale, cosicché la città divenne uno dei più importanti poli religiosi del Latium vetus (tempio di Ercole e oracolo della Sibilla Tiburtina). L'amenità del clima, la ricchezza d'acqua e, dal sec. 1° a.C., l'organizzazione del contado in grandi aziende agricole resero il territorio di T. luogo di numerose residenze dell'aristocrazia romana (per es. la villa dell'imperatore Adriano).
La presenza di un vescovo locale è documentata soltanto a partire dal 366 e nel 468 Simplicio, originario di T. (m. nel 483), fu elevato al soglio pontificio. Dopo la caduta dell'Impero romano, T. fu dominata dagli Ostrogoti di Teodorico (v.) e quindi fu coinvolta nella guerra greco-gotica (535-553); in questo frangente fu saccheggiata da Totila nel 544; nel 547 i Goti si asserragliarono nell'abitato e rinsaldarono le mura della cittadina, che cadde nel 553 in mano bizantina per poi rientrare nel Ducato di Roma. T. fece parte nel sec. 7° e ancora al principio dell'8° del Patrimonium Tiburtinum dipendente dalla curia pontificia, ma assai poco si conosce della sua storia per il 9° e il 10° secolo.Nel corso del sec. 11° la città manifestò una considerevole crescita demografica e un rafforzamento dell'autonomia politica e militare che contribuirono a innescare il conflitto con Roma, in contrapposizione con la quale al tempo di Enrico IV (1082) il centro si elevò a roccaforte ghibellina nella lotta tra papato e impero. Nella prima metà del sec. 12°, con la piena affermazione dell'istituto comunale, T. intraprese una politica di espansione territoriale nella valle dell'Aniene a discapito della decaduta famiglia romana dei Crescenzi e a danno soprattutto dell'abbazia benedettina di Subiaco; al contempo si fecero sempre più critici i rapporti con Roma e il papato, che mal sopportavano la presenza di un centro indipendente e militarmente potente quasi alle porte dell'Urbe. Nel 1143 la città fu sconfitta dalle milizie di Roma e dovette assoggettarsi a Innocenzo II, cedendo un'ampia porzione del suo territorio. Tuttavia l'ostilità di T. alle pretese di controllo da parte dei Romani si manifestò nel suo schierarsi a sostegno della causa imperiale: qui trovò rifugio Federico I Barbarossa nel 1155 e protezione suo figlio Enrico VI (1190-1197), così come è documentato l'appoggio offerto dai Tiburtini a Federico II tra il 1240 e 1242 (Pacifici, 1925-1926).Con la crisi della dinastia sveva all'indomani della morte di Federico II (1250) ripresero con veemenza i contrasti tra T. e il Comune di Roma, da cui formalmente il centro dipendeva. Dopo l'assedio portato alla città nel 1254 da Brancaleone degli Andalò, i Tiburtini addivenirono a nuovi patti e nel 1259 furono costretti ad accettare la definitiva sottomissione al Senato capitolino, che da allora ebbe il diritto di nominare il rettore o podestà cittadino, e l'inclusione di T. nel Districtus Urbis. Sebbene nel periodo della 'cattività avignonese' (1305-1377) T. avesse tentato di riacquisire parte dell'autonomia perduta, la città non riuscì comunque a risollevarsi politicamente né ebbe più la forza di egemonizzare il territorio circostante: l'area sublacense confluì nei domini degli Orsini e dei Colonna di Palestrina, mentre il settore dell'Agro Romano stretto tra le vie Tiburtina e Nomentana nelle proprietà dei Capocci (Carocci, 1988).
È verosimile che nei secoli dell'Alto Medioevo T. continuasse a mantenere l'assetto viario ed edilizio ereditato dall'età romana, costituito da due nuclei fortificati pressoché autonomi e divisi da un fossato: il Castrovetere a N-E, raccolto all'interno dell'acropoli, e l'area urbana a S-O, dove si innalzava nel settore più elevato - oggi occupato dal seminario diocesano - la chiesa di S. Paolo. Il maggiore asse stradale, la via Tiburtina-Valeria (detta via Marsicana nei docc. medievali), tagliava con un percorso ascensionale il nucleo abitato, entrando dalla porta Maggiore (fine del sec. 3°-inizi 4°; Giuliani, 1970) e uscendo dalla porta Variana, per superare poi le cascate dell'Aniene e dirigersi verso il territorio appenninico. Relativamente all'ubicazione delle principali fondazioni religiose (nel sec. 10° si contavano sedici tra chiese e oratori entro le mura; Belli Barsali, 1979), è accertata dal periodo carolingio l'esistenza del duomo di S. Lorenzo nell'attuale sito, corrispondente all'area del foro della città romana, e si conosce la presenza della chiesa di S. Pietro, innalzata sopra il podio di un tempio (Vendittelli, 1984), ma che la tradizione locale vuole fondata da papa Simplicio insieme ai complessi extraurbani di S. Maria Maggiore e di S. Silvestro. La scomparsa o la mancata individuazione di strutture altomedievali limitano, comunque, la documentazione alla sopravvivenza di numerosi frammenti di plutei e pilastrini appartenenti a recinzioni liturgiche, databili soprattutto al sec. 9°, il più delle volte murati sulle cortine di edifici di culto romanici e di alcune abitazioni (per es. campanili della cattedrale e di S. Pietro, facciata di S. Alessandro, casa in piazza Tani), e all'affresco con il Cristo in mandorla tra due angeli conservatosi nell'abside meridionale del c.d. tempio della Tosse (Brenk, 1971; Aggiornamento scientifico, 1987-1988, I, p. 295), monumento tardoimperiale situato fuori dell'abitato murato presso la via Tiburtina e consacrato al culto nel 956.Negli anni successivi al devastante terremoto del 1044 si avvertirono i primi segnali di una forte crescita dello spazio urbano di T., documentata alla metà del secolo dall'ampliamento delle difese cittadine che inclusero i sobborghi prossimi alla cinta romana. L'intervento fortificatorio era costituito in particolare da due lunghe muraglie quasi rettilinee e munite di torri rettangolari aperte a gola sul lato verso l'abitato. Queste partivano rispettivamente dall'argine di sinistra del bacino superiore dell'Aniene e dallo scosceso dirupo della collina prospettante sull'Agro Romano e si congiungevano nel punto pianeggiante in cui sorge la quattrocentesca rocca di Pio II; inoltre, con lo spostamento a valle della porta Romana (o porta del Colle) in sostituzione della porta Maggiore, la cittadina acquisì un ulteriore tratto della via Tiburtina e l'area dove si trova la chiesa di S. Silvestro. Del circuito difensivo, il cui percorso era ancora in buona parte leggibile prima dei bombardamenti del 1944, si conserva in alzato soltanto una breve porzione che costeggia a S-O il giardino di villa d'Este, innalzata con un apparecchio murario molto rudimentale composto da frammenti lapidei e tufacei allettati con abbondante impiego di malta (Vendittelli, 1979).Meno circostanziate appaiono invece le cronologie degli altri monumenti medievali, religiosi e civili, edificati a partire dall'ultimo quarto del Mille e soprattutto nel corso del secolo seguente. Se si eccettua il caso della chiesa dei Ss. Andrea e Saba, consacrata dal vescovo cardinale Guido nel 1138 assieme alla scomparsa chiesa di S. Valerio (Pacifici, 1925-1926, p. 327), la datazione delle altre fabbriche tiburtine è stata ancorata alle tipologie murarie ivi adoperate. Queste mostrano forti analogie con quelle in uso nell'edilizia romana nel periodo successivo al sacco normanno del 1084 e una diffusione a esse contemporanea, che di fatto è confermata anche dall'adozione di un comune lessico costruttivo e decorativo (per es. ghiere a doppio risalto, finestre architravate e portici trabeati dotati di archi di scarico a sesto ribassato, cornici a dentelli e mensoline; Vendittelli, 1982). Gli apparecchi in opus testaceum dai letti di malta accuratamente stilati dominano il panorama architettonico tiburtino per tutto il sec. 12° accanto alla variante più povera che prevede l'inserimento nella cortina in mattoni di reimpiego di filari in blocchetti di tufo. Entrambi i tipi di paramento sono presenti indistintamente sia nell'edilizia ecclesiastica sia in quella abitativa e in alcuni casi convivono nel medesimo contesto costruttivo (per es. S. Silvestro). Nel complesso la qualità delle costruzioni appare elevata e abbondante è il riutilizzo di materiale antico, come capitelli, colonne e architravi, spesso destinati a costruire i piani terreni porticati di numerose residenze civili situate lungo il segmento urbano della via Tiburtina, nella piazza Palatina, dove si affacciava la sede del Comune (Mosti, 1985, p. 201), e nella platea Sanctii Laurentii (od. piazza Duomo).
La chiesa di S. Maria Maggiore, in origine dedicata alle ss. Adriana e Natalia e donata nel 1003 ai monaci benedettini di Farfa, fu forse ricostruita sul finire del sec. 11° (Vendittelli, 1979) e si configura nelle sue forme basilicali a tre navate come un possibile modello per le di poco successive fabbriche di S. Pietro e di S. Silvestro. Tuttavia soltanto la fronte del complesso conserva ancora la sua veste romanica, anticipata dal monumentale avancorpo che inizialmente si apriva all'esterno con tre ampi fornici sorretti da possenti pilastri in mattoni e caratterizzati da archivolti dall'andamento sghembo. Il disegno dell'atrio porticato, che non ha diretti referenti né a Roma né in area laziale, fu profondamente alterato dopo il 1393, allorché si occlusero le due arcate laterali e si dotò quella centrale di un portico ogivale di attardate forme cistercensi, sovrastato da un'edicola pensile, scolpito da Angelo da Tivoli. In precedenza la chiesa, passata ai Francescani fin dal 1256, aveva subìto l'inserimento del rosone nel timpano della facciata e il totale rifacimento del coro, così come la costruzione degli ambienti conventuali, inglobati nella seconda metà del sec. 16° nelle strutture di villa d'Este. I frati minori prolungarono infatti il presbiterio dell'edificio di culto negli anni a ridosso del 1300 e addizionarono al corpo basilicale un ambiente rettilineo ritmato da archi-diaframma su capitelli-mensola e decorato da un programma di affreschi. Di queste pitture murali sono pervenute una frammentaria Madonna con il Bambino e la fascia che corre nel sottotetto, elaborata in padiglioni entro finte architetture prospettiche (Pomarici, 1983; Romano, 1992, pp. 154-157), secondo un'impaginazione e una resa che sono in piena sintonia con la produzione romana tra la fine del Duecento e gli inizi del secolo seguente. È stata invece ultimamente espunta dal catalogo di Jacopo Torriti (v.) la tavola della Madonna advocata (Tomei, 1990, p. 138).Il linguaggio dell'architettura romanica tiburtina si osserva con maggiore compiutezza nella chiesa di S. Pietro (o della Carità) e nel S. Silvestro, seppure quest'ultima fondazione sia stata privata al principio del Settecento delle due navate laterali (Crocchiante, 1726, p. 125). La basilica di S. Pietro, riportata alla sua struttura della prima metà del sec. 12° dopo le devastazioni dell'ultima guerra (De Vita, 1951), mantiene ancora l'impianto a tre navate, divise da colonne in cipollino e capitelli ionici di reimpiego, e la conclusione monoabsidata del coro preceduta dal presbiterio rialzato a contenimento della cripta semipogea. La particolare organizzazione della cripta, costituita da un vano semicircolare provvisto di un monolite centrale a sostegno della volta e servito da un corridoio rettilineo parallelo alla parete di fondo della chiesa (Kraft, 1978, pp. 122-124), documenta invece una totale indipendenza dai contemporanei modelli romani, ricollegandosi a esperienze protoromaniche maturate in ambiente umbro-marchigiano (v. Cripta). A dispetto dell'organismo architettonico ecclesiastico, riconducibile alla prima metà del sec. 12°, il campanile del S. Pietro si dimostra un elemento costruito nel corso del Duecento per il vasto impiego di opera saracinesca, pur ripetendo lo schema compositivo - anch'esso di ascendenza romana - fissato nei primi decenni del secolo precedente dalla torre campanaria del duomo di S. Lorenzo (Serafini, 1927). Il possente campanile del duomo è la sola struttura medievale a essere sopravvissuta alla ricostruzione barocca avviata dal cardinale Roma nel 1635, benché descrizioni tardocinquecentesche informino sulle forme basilicali del complesso e sulla ricchezza del pavimento e dell'arredo liturgico elaborato durante il sec. 12° da maestranze cosmatesche (Vendittelli, 1984), la cui presenza a T. è documentata negli stessi anni, seppure in modo frammentario, anche in altre fondazioni religiose (per es. S. Maria Maggiore, S. Pietro, S. Silvestro; Glass, 1980). All'interno del duomo sono ancora oggi custodite due pregevoli testimonianze artistiche di carattere schiettamente devozionale: il Trittico del Salvatore, dipinto su tavola eseguito da un artista di formazione romana intorno alla metà del sec. 12° (Aggiornamento scientifico, 1987-1988, II) e oggi parzialmente celato da una più tarda custodia in argento, e il gruppo ligneo della Deposizione dalla croce. Quest'ultimo capolavoro è attribuito a una bottega centroitaliana, attiva tra il secondo e il terzo decennio del Duecento, incline a recepire sia influssi francesi sia modi lombardo-antelamici (Toesca, 1927; de Francovich, 1943; Gaborit, 1979).Il medesimo impianto basilicale di S. Pietro - privo di transetto, con coro monoabsidato e cripta monoastile al di sotto del presbiterio - connotava la chiesa di S. Silvestro prima delle demolizioni settecentesche. Tuttavia, a differenza del S. Pietro, dove è andato perduto il ciclo pittorico che decorava la zona presbiteriale (Parlato, Romano, 1992), qui si conserva quasi integralmente il programma a fresco della parete absidale, articolato su diversi registri. Nella conca campeggia il Salvatore accompagnato dai ss. Pietro e Paolo; nei registri inferiori seguono l'Agnus Dei con i dodici agnelli, quindi la Madonna in trono tra s. Giovanni Battista e s. Giovanni Evangelista e dodici profeti, infine al livello più basso le Storie di s. Silvestro narrate in quattro episodi. Inoltre sull'arco trionfale sono raffigurati il Cristo entro un medaglione fiancheggiato dai simboli degli evangelisti e ai lati i vegliardi dell'Apocalisse; negli spazi sottostanti l'Assunzione del profeta Elia e l'Incontro di Abramo e Melchidesec e figure di santi. Dopo la datazione di Matthiae (1965; Aggiornamento scientifico, 1987-1988, II, p. 93), il quale riteneva il ciclo dipinto negli anni 1157-1170, l'attuale giudizio della critica tende a essere piuttosto discordante, sicché la cronologia delle pitture del S. Silvestro oscilla tra la fine del sec. 12° e il primo quarto del Duecento a seconda che il parametro di lettura sia stilistico o iconologico per la presenza in chiave antimperiale del ciclo di papa Silvestro (Lanz, 1983; Aggiornamento scientifico, 1987-1988, II, pp. 277-279), pur non mancando voci isolate, come quella di Boskovits (1979), che, attribuendoli al Maestro delle Traslazioni, da lui ritenuto attivo nella cripta del duomo di Anagni (v.) al principio del sec. 12°, riconduce anche l'affresco tiburtino a quegli stessi anni. Sempre nella chiesa di S. Silvestro è conservata la statua lignea di S. Valerio, proveniente dall'omonima chiesa consacrata dal vescovo cardinale Guido nel 1138, di cui forse costituiva un elemento dell'arredo primitivo.Tra le molte chiese innalzate a T. durante il sec. 12° un posto a parte occupa la fondazione di S. Stefano, in quanto è caratterizzata da un inedito impianto ad aula allungata preceduto da un atrio architravato sovrastato da un ambiente abitabile che nascondeva il complesso religioso nel tessuto edilizio civile della città medievale. La chiesetta, oggi sconsacrata, conserva ancora al suo interno una serie di affreschi frammentari che offrono un quadro esaustivo della pittura a T. nel sec. 13° (eccezionale per l'iconografia l'episodio dei Cavalieri) e, soprattutto, nel 14° (Petrocchi, 1964), periodo nel quale il centro non ha prodotto testimonianze artistiche e architettoniche degne di particolare interesse, a eccezione dell'insediamento domenicano nel convento di S. Biagio (Villetti, 1987).
Bibl.:
Fonti. - G.C. Crocchiante, L'istoria delle chiese della città di Tivoli, Roma 1726.
Letteratura critica. - S. Viola, Storia di Tivoli dalla sua origine fino al secolo XVII, Roma 1819; F. Bulgarini, Notizie storiche antiquarie statistiche ed agronomiche intorno all'antichissima città di Tivoli, Roma 1848; V. Pacifici, La chiesa di San Silvestro a Tivoli, AC 9, 1921, pp. 67-78; id., Tivoli nel Medioevo, Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e Arte [=AMSTSA] 5-6, 1925-1926, pp. 322-362; A. Serafini, Le torri campanarie di Roma e del Lazio nel Medioevo, Roma 1927, pp. 205-207; Toesca, Medioevo, 1927, pp. 863-866; V. Pacifici, Relazione sulla scoperta di vari affreschi dei secoli XIII-XV, AMSTSA 16, 1936, pp. 51-89; id., Per il restauro di S. Maria Maggiore, ivi 18-19, 1938-1939, pp. 126-134; G. de Francovich, Scultura medioevale in legno, Roma 1943; M. De Vita, Il restauro della chiesa di S. Pietro in Tivoli, BArte, s. IV, 36, 1951, pp. 174-179; M. Petrocchi, Un centro di cultura romanico-gotica a Tivoli. La chiesa di S. Stefano, AMSTSA 37, 1964, pp. 181-186; G. Matthiae, Pittura romana del Medioevo, 2 voll., Roma 1965; C.F. Giuliani, Tibur. Pars prima (Forma Italiae, 7), Roma 1970; R. Mosti, Storia e monumenti di Tivoli, Tivoli 1970; B. Brenk, Die Wandmalereien im Tempio della Tosse bei Tivoli, FS 5, 1971, pp. 401-412; R. Martines, A.M. Racheli, Precisazioni sulle preesistenze dell'abitato medievale di Tivoli, Quaderni dell'Istituto di storia dell'architettura, s. XXIII, 133-138, 1976, pp. 3-14; J. Kraft, Die Kripta in Latium (tesi), München 1978, pp. 122-126; P. Delogu, Territorio e cultura fra Tivoli e Subiaco nel Medio Evo, AMSTSA 52, 1979, pp. 25-54; I. Belli Barsali, Problemi dell'abitato di Tivoli nell'Alto Medioevo, ivi, pp. 127-147; R. Martines, La struttura urbana di Tivoli medievale. I. Note sulla formazione urbanistica di Tivoli, ivi, pp. 149-159; A.M. Racheli, La struttura urbana di Tivoli medievale. II. L'edilizia del Castrovetere, ivi, pp. 161-172; M. Boskovits, Gli affreschi del duomo di Anagni: un capitolo di pittura romana, Paragone 30, 1979, 357, pp. 3-41; M. Vendittelli, La 'civitas vetus' tiburtina. Una proposta di datazione per le seconde mura di Tivoli, Archivio storico romano di storia patria 102, 1979, pp. 157-178; J.R. Gaborit, Un groupe de la Descente de Croix au Musée du Louvre, MonPiot 62, 1979, pp. 149-183; D. Glass, Studies on Cosmatesque Pavements (BAR. International Series, 82), Oxford 1980, pp. 135-137; M. Vendittelli, Tecniche murarie a Tivoli tra XI e XII secolo, AMSTSA 55, 1982, pp. 51-69; H. Lanz, Die romanischen Wandmalereien von San Silvestro in Tivoli. Ein römisches Apsisprogramm der Zeit Innozenz III. Bern-Frankfurt a.M. -New York 1983; F. Pomarici, Gli affreschi di S. Maria Maggiore a Tivoli, in Roma anno 1300, "Atti della IV Settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Università di Roma 'La Sapienza', Roma 1980", a cura di A. M. Romanini, Roma 1983, pp. 413-418; M. Vendittelli, Testimonianze sulla cattedrale di Tivoli nel Medioevo, AMSTSA 57, 1984, pp. 73-114; R. Mosti, Le antiche sedi municipali di Tivoli e il Palazzo S. Bernardino, Lunario romano 14, 1985, pp. 199-227; G. Villetti, L'edilizia mendicante nel Lazio. La chiesa di S. Biagio a Tivoli, Quaderni dell'Istituto di storia dell'architettura, n.s., 1-10, 1987, pp. 145-158; Aggiornamento scientifico dell'opera di G. Matthiae. Pittura romana del Medioevo, I, a cura di M. Andaloro, Roma 1987, p. 295; II, a cura di F. Gandolfo, Roma 1988, pp. 87-93, 269-270, 277-279; Memorie artistiche di Tivoli, Roma 1988; S. Carocci, Tivoli nel Basso Medioevo. Società cittadina ed economia agraria, Roma 1988; A. Tomei, Iacobus Torriti pictor. Una vicenda figurativa del tardo Duecento romano, Roma 1990; G.U. Petrocchi, Emergenze edilizie nella città medievale. Idea del progetto urbanistico della città di Tivoli, AMSTSA 64, 1991, pp. 9-22; G. Villetti, Il complesso medievale di S. Maria Maggiore in Tivoli, Quaderni dell'Istituto di storia dell'architettura, n.s., 15-20, 1990-1992, pp. 153-168; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio (Italia romanica, 13), Milano 1992, pp. 274-298; S. Romano, Eclissi di Roma. Pittura murale a Roma e nel Lazio da Bonifacio VIII a Martino V (1295-1431), Roma 1992; G.U. Petrocchi, La chiesa di S. Stefano nell'impianto urbanistico di Tivoli, AMSTSA 66, 1993, pp. 49-57; F. Marazzi, s.v. Tivoli, in Lex. Mittelalt., VIII, 1997, coll. 818-819.P.F. Pistilli