Toscana
Geografia umana ed economica
di Giandomenico Patrizi
Quinta tra le regioni italiane per le dimensioni territoriali, ma soltanto al nono posto per quelle demografiche e addirittura all'undicesimo posto per il valore della densità della popolazione (che risulta inferiore a quello medio italiano), la T. mantiene il suo carattere originale di regione bifronte, che in alcune sue aree appare come un'appendice dell'Italia settentrionale (e soprattutto di Nord-Est), modernizzata, industrializzata e terziarizzata, e in alcune disvela ritardi e arcaismi che l'avvicinano ad altre zone dell'Italia centro-meridionale.
Negli anni Ottanta del 20° sec. la compagine demografica toscana aveva accusato una sensibile diminuzione di effettivi (l'1% circa, 44.000 unità in termini assoluti) che aveva interessato tutto il territorio regionale con l'eccezione di un'area settentrionale ricadente nella neocostituita (1992) provincia di Prato e in parte di quelle di Firenze e Arezzo. Oltre a tale diminuzione, pressoché generalizzata, e coerente con il quadro complessivo di una transizione demografica avanzata, risultava evidente il mutamento di distribuzione territoriale della popolazione legato a un nuovo processo di urbanizzazione, con il decongestionamento dei centri urbani maggiori (in particolare delle loro parti centrali) e la crescita dei loro sobborghi e delle città più piccole (di norma, quelle con popolazione comunale non superiore ai 20.000 ab.). Significativa, al riguardo, era la flessione demografica di tutti i capoluoghi di provincia, con le eccezioni di Prato e di Grosseto, città, quest'ultima, che conserva (e allora conservava ancor meglio) caratteri meno tipicamente toscani. I 3.498.000 ab. rilevati dal censimento del 2001 sono il risultato di una flessione analoga, anche se più contenuta, dello 0,9%, che ha interessato il successivo decennio Novanta. Con il nuovo secolo, invece, si è manifestata un'inversione di tendenza, nel senso che la popolazione ha ripreso a salire, e nel 2005, secondo le stime anagrafiche, ha raggiunto i 3.620.000 abitanti.
La dinamica demografica negativa degli ultimi due decenni del Novecento è riconducibile a un nettissimo calo del tasso di natalità, che nel 1981 era sceso all'8,2‰ e nel 1991 addirittura al 7,2, valori inferiori alla media italiana, che in quegli anni era, rispettivamente, dell'11,1 e del 9,6‰. Rispetto alla media regionale, alcune province avevano toccato punte notevolmente più basse: emblematico è il caso della provincia di Siena, con un tasso di natalità del 6,3‰ nel 1991. All'inizio del nuovo secolo il tasso di natalità regionale ha ripreso a crescere e nel 2004 ha raggiunto l'8,7‰, che tuttavia lascia la T. al tredicesimo posto tra le regioni italiane e rimane inferiore alla media nazionale e al tasso di mortalità. L'aumento demografico dei primi anni del Duemila non è dovuto a una nuova vitalità demografica della popolazione propriamente toscana, ma, evidentemente, all'arrivo di immigrati come pure al ringiovanimento della popolazione che esso ha comportato. Gli immigrati più numerosi sono, come nel resto d'Italia, marocchini, romeni e albanesi; una comunità cinese non trascurabile, perché concentrata in una stessa area e di conseguenza in grado di conservare meglio la propria identità, vive nel bacino di Firenze-Prato-Pistoia, ed è occupata soprattutto negli stabilimenti tessili pratesi. Il tasso di mortalità nel 2004 raggiungeva l'11,3‰, valore tra i più elevati d'Italia; quello della mortalità infantile (misurata come mortalità perinatale, cioè considerando i bambini morti entro i primi dodici mesi di vita) è del 2‰, il più basso tra tutte le regioni italiane, e testimonia delle più che soddisfacenti condizioni di vita mediamente raggiunte in T., almeno dal punto di vista socio-sanitario.
Uno degli aspetti originali della T., che la differenziano nettamente dalle altre regioni dell'Italia centrale (e ne rendono plausibile il suo inserimento nella cosiddetta Italia di mezzo), è il suo modello di organizzazione dell'insediamento urbano. Da questo punto di vista la regione si può grossolanamente dividere in due parti, una settentrionale e una meridionale, la prima molto più urbanizzata della seconda, e in particolare caratterizzata da un'urbanizzazione assai più diffusa. Tutto il Valdarno, quello superiore, quello intermedio, fiorentino, e quello inferiore (il secondo con una consistente appendice costituita dal bacino di Firenze-Prato-Pistoia), nonché il litorale da Livorno a Piombino, la Versilia, l'estremità nord-occidentale della regione e addirittura l'area ligure spezzina confinante, appaiono come una vastissima zona pressoché totalmente urbanizzata, tanto da essere stata denominata da alcuni studiosi conurbazione toscana. Tale conurbazione non è solo (come nella corrente accezione del termine) un insieme di città vicine spesso senza soluzione di continuità edilizia, ma un complesso di rilevanti aggregati urbani di cui almeno due sono già delle vere agglomerazioni (o delle aree metropolitane in fieri): quella impostata nel suddetto bacino Firenze-Prato-Pistoia, che include in uno spazio modesto ben tre capoluoghi di provincia, due dei quali, Firenze e Prato, sono le più popolose città della regione; e quella, in prossimità dello sbocco del Valdarno nel litorale tirrenico, che è incentrata sulla terna urbana Pisa-Livorno-Pontedera.
La conurbazione toscana è il risultato di più processi convergenti: in parte suggeriti, o facilitati, da peculiari condizioni morfologiche e idrografiche (la presenza di aree pianeggianti in una regione che per il resto è caratterizzata soprattutto da rilievi collinari, il lungo asse dell'Arno orientato in senso E-O dall'Appennino al mare); e in parte da una tradizione industriale che ha saputo conservarsi e modernizzarsi al tempo stesso, passando da un insediamento articolato in centri manifatturieri isolati a un'industrializzazione, essa pure diffusa, fondata su una nebulosa di imprese medio-piccole e piccole e, dagli ultimi due decenni del 20° sec., sul modello del 'distretto industriale'.
Il capoluogo della T., nonostante la perdita di popolazione del comune che si protrae da un quarto di secolo (367.000 ab. nel 2005), mantiene saldamente il suo primato demografico e funzionale, assicurato dal fatto di essere la maggiore città della più vasta agglomerazione della regione, la settima città italiana nella graduatoria fondata sulle funzioni centrali che caratterizzano i centri urbani e l'unica città toscana cui viene unanimemente riconosciuto un ruolo di metropoli nazionale. Degli altri nove capoluoghi di provincia, soltanto Prato e Livorno hanno dimensioni ragguardevoli (rispettivamente oltre 180.000 e oltre 160.000 ab.); i rimanenti restano tutti al di sotto della soglia dei 100.000, ultima Siena, già segnalata per la sua dinamica demografica provinciale negativa, che supera di poco i 50.000. Tra i comuni non capoluoghi di provincia ve ne sono sei che contano più di 40.000 ab., il maggiore dei quali è Carrara (65.000; gli altri sono Capannori, Empoli, Viareggio e due comuni dell'agglomerazione fiorentina, Scandicci e Sesto Fiorentino). Dal punto di vista delle funzioni centrali tipicamente urbane hanno un certo peso anche talune città di ampiezza demografica di minor rilievo, come Pontedera e, più modestamente, Piombino, Poggibonsi, Cecina. Alla T. della conurbazione che, semplificando, si può far coincidere con la parte settentrionale della regione (amputata però della zona montana appenninica), si contrappone unT., quella centro-meridionale, grosso modo corrispondente alle province di Siena e di Grosseto e a un consistente lembo di quella di Arezzo: una T. che, all'opposto, non ha mai conosciuto una vera urbanizzazione, tanto meno diffusa, e che, a parte alcune attività estrattive, ormai quasi tutte abbandonate, è tradizionalmente caratterizzata da un'economia agro-pastorale con forme di utilizzazione estensive, cui è venuta affiancandosi una non trascurabile economia turistica.
Il settore primario assorbe il 3,8% della forza lavoro occupata, quota inferiore alla media nazionale, attestata sul 4,2%; quello secondario il 31,1%, un po' più del valore relativo all'intera Italia; i servizi il 65,1%, la stessa quota nazionale. Il calo della popolazione agricola e industriale e il parallelo aumento di quella terziaria sono proseguiti per decenni. Il PIL globale nel 2005 ammontava a 94.848 miliardi di euro e quello pro capite a 26.280 euro. Alla formazione del PIL l'agricoltura contribuiva per il 2,1%, l'industria per il 28,5% e i servizi per il 69,4%; cifre non molto lontane dalla media nazionale e vicine a quelle delle regioni più progredite.
Tutta l'area della conurbazione toscana, come è stato già ricordato, vede una prevalenza nettissima dell'industria e dei servizi da essa indotti. Le attività manifatturiere sono organizzate secondo il modello del distretto industriale, vale a dire con imprese medio-piccole e piccole, orizzontalmente o verticalmente integrate, e con specializzazione spinta. Basti ricordare l'area tessile laniera pratese, per lungo tempo la maggiore d'Italia, il mobilificio di Cascina, il distretto marmifero apuano, il calzaturificio di Fucecchio e Monsummano, l'industria delle pelli e del cuoio di Santa Croce sull'Arno, gli stabilimenti meccanici (in particolare per la fabbrica di motoveicoli) di Pontedera, l'oreficeria aretina. Peraltro il modello del distretto industriale, carta vincente di gran parte della prosperità dell'Italia di mezzo, ha iniziato a incontrare qualche difficoltà, dovuta soprattutto agli ostacoli che si oppongono alla conquista dei grandi mercati da parte di imprese di piccole dimensioni; cosicché negli anni di passaggio al nuovo millennio alcuni degli agglomerati industriali hanno perduto la qualifica ufficiale di distretto: uno dei segni dell'incipiente declino dell'industria toscana, il cui esempio più significativo è il ridimensionamento dell'attività maggiore, quella tessile di Prato.
La lunga storia industriale ha finito con l'espellere quasi totalmente da quest'area toscana settentrionale l'agricoltura, un'attività ormai da parecchio tempo residuale, anche se nei primi anni del Duemila si è avvertita una lievissima ripresa grazie alla diffusione del lavoro part-time; fa eccezione l'economia florovivaistica della provincia di Pistoia, concentrata nel comune di Pescia, che assicura circa il 40% della produzione italiana e alimenta una discreta esportazione. Resta invece almeno in parte agricola l'area centro-meridionale della regione, la quale è stata però interessata dal fenomeno dello spopolamento rurale e da quello, conseguente e parallelo, dell'abbandono dei campi. Le zone tuttora interessate dalle attività agricole hanno subito una vistosa riconversione dalla cerealicoltura (grano, mais) all'allevamento ovino (praticato soprattutto da pastori sardi migrati nel continente con le loro greggi) o alla coltura di piante prima sconosciute, quali il girasole. La diminuzione dei cereali, già sensibile dagli ultimi anni del Novecento, si è accelerata nel 2005, con un calo di oltre un quarto rispetto all'anno precedente, tanto in termini di superficie coltivata quanto in termini di produzione. Tra le piante coltivate, la vite da vino continua a occupare un posto rilevante, non tanto per la quantità ma piuttosto per l'eccellenza del prodotto proveniente dai vigneti del Chianti, della Val d'Orcia e di alcune aree della Maremma e del litorale.
Le risorse minerarie non vengono quasi più utilizzate, se non per quanto riguarda i marmi delle Alpi Apuane e l'energia geotermica ricavata dai soffioni di Larderello e del Monte Amiata.
Nell'ambito delle attività terziarie continua a essere rilevante il turismo, sostenuto dalle note attrazioni storico-culturali, naturalistiche e balneari della regione, nonostante un periodo di lieve flessione nei primi anni del 21° sec., che ha riguardato i visitatori stranieri e che è stato dovuto alla crisi del settore conseguente agli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 a New York e a Washington; flessione, peraltro, già superata nel 2005, quando arrivi e presenze hanno ripreso a crescere (per gli stranieri quasi dell'8%). Alcuni beni culturali, dei quali in T. si rileva una straordinaria concentrazione, hanno ricevuto una sorta di consacrazione internazionale essendo stati dichiarati dall'UNESCO patrimonio dell'umanità: tra il 1982 e il 2004, i centri storici di Firenze, Siena, San Gimignano e Pienza, la Piazza dei miracoli di Pisa e l'area della Val d'Orcia (e da questo elenco si evince che, oltre alle grandi mete turistiche internazionali, come Firenze, terzo polo turistico d'Italia, esistono minori città d'arte da valorizzare, quali potrebbero essere Montepulciano, Massa Marittima, Volterra e altri ancora). Altri beni culturali, che possiedono caratteristiche assai diverse, si stanno affermando come attrazioni di forme speciali di turismo interno, soprattutto scolastico: è, per es., il caso dei parchi letterari, cioè luoghi dove conservare e illustrare le memorie di scrittori che vi sono nati o che vi hanno soggiornato e anche lavorato traendone ispirazione (Parco Giosuè Carducci, a Castagneto Carducci; Parco Carlo Cassola, nel territorio di Cecina; Parco Dante Alighieri, nel Casentino).
Per quanto concerne i beni naturali, la T. conta molte aree protette, fra cui tre parchi nazionali: quello dell'arcipelago toscano (mirato alla conservazione di un ambiente mediterraneo di grande valore), quello dell'Appennino tosco-emiliano e quello delle Foreste casentinesi, Monte Falterona e Campigna (condivisi con regioni limitrofe e volti alla tutela di foreste montane e di fauna appenninica). Per il turismo vacanziero italiano, soprattutto balneare, la T. non vanta un primato pari a quello del turismo culturale: le spiagge della Versilia conservano la loro tradizionale clientela, per lo più elitaria, mentre quelle del litorale centro-meridionale (Castiglioncello, Castiglione della Pescaia, Porto Santo Stefano) hanno registrato un aumento già prossimo al limite di saturazione. L'ospitalità può contare, oltre che sugli esercizi alberghieri tradizionali, anche su un grande numero di esercizi agrituristici.