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TOTALITARISMO

di Gianfranco Pasquino - Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)
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TOTALITARISMO

Gianfranco Pasquino

La definizione più accreditata di t., che tuttavia proprio per la sua diffusione è stata oggetto di maggiori critiche, si deve a C.J. Friedrich e Z.K. Brzezinski (1956; ediz. rivista del solo Friedrich, 1967). Secondo questi autori, i regimi totalitari sono caratterizzati dalla sussistenza dei seguenti elementi: un'ideologia ufficiale, rigida e totalizzante, di natura escatologica; un partito unico, portatore e interprete di quest'ideologia, guidato da un uomo, il dittatore; una polizia segreta notevolmente sviluppata; il monopolio statale dei mezzi di comunicazione; il controllo monopolistico di tutte le organizzazioni, politiche, sociali, culturali e, in particolare, economiche (di qui la creazione di un'economia pianificata dal centro); il controllo ferreo sulle forze armate.

Secondo altri autori, per es. H. Arendt (1951), il t. si caratterizzerebbe anche per un uso esteso e consapevole del ''terrore'', psicologico e concreto, cosicché la polizia segreta sarebbe il vero braccio esecutivo del regime e i campi di concentramento la vera istituzione centrale del potere organizzativo e politico totalitario. Altri, infine, hanno messo in rilievo che il t. si presenta come un grande esperimento d'ingegneria sociale: la creazione dell'''uomo nuovo''.

Combinando insieme queste caratteristiche, la maggior parte dei non molti autori che hanno coerentemente utilizzato il concetto di t. lo hanno applicato a tre casi storici concreti: la Germania nazista, l'Unione Sovietica (per lo più restringendone l'ambito alla fase stalinista), la Cina comunista (per lo più restringendone l'ambito al periodo maoista). Il t. diventerebbe così un fenomeno storicamente delimitato e secondo alcuni autori, come B.R. Barber (Conceptual foundations of totalitarianism, in Friedrich e altri, 1969), sostanzialmente da abbandonare. Prodotto emotivo prima della drammatica esperienza del nazismo (il che spiega il forte interesse di molti studiosi di origine tedesca), poi della guerra fredda, il concetto di t. non avrebbe solide basi scientifiche. Dovrebbe quindi essere sostituito da una versione ampia del concetto di autoritarismo (v. in questa Appendice).

Friedrich e altri difendono invece, puntigliosamente, l'utilità del concetto di t., quand'anche fosse applicabile solo a pochi casi storici concreti. Giudicano le differenze fra autoritarismo e t. non meramente quantitative, ma qualitative. Non ritengono affatto che porre nella stessa categoria la Germania nazista, l'Unione Sovietica stalinista e la Cina maoista finisca per distruggere l'utilità della categoria analitica di t., purché s'individuino le differenze fra loro intercorrenti. Affermano (o meglio affermavano a metà degli anni Sessanta) che nessuna delle caratteristiche fondanti è venuta meno nella fase di consolidamento del sistema politico sovietico (poiché persino il terrore può divenire ''istituzionalizzato''). Sono solo parzialmente disposti ad accettare le revisioni proposte da alcuni studiosi, come J. Linz (1975), che intendono mantenere il concetto, ma che inclinano a pensare che sia più produttivo parlare di ''caratteristiche totalitarie'' (per es. la continuata esistenza di un monopartitismo rigido e repressivo) e di ''tendenze totalitarie'' (per es., l'acquisizione del controllo monopolistico sui mezzi di comunicazione e sui mezzi di produzione da parte dello stato) le quali potrebbero, come avvenne nei casi del fascismo italiano e del franchismo spagnolo, non essere coronate da successo.

Il punto centrale del dibattito ha riguardato e riguarda la relazione esistente fra stato e società nei regimi totalitari e, in special modo, se sia sufficiente sostenere, come è stato fatto, per es. dalla Arendt, che il t. è caratterizzato dall'obliterazione dei confini fra stato e società e dalla penetrazione soffocante del primo nella seconda. Questa obliterazione può, in effetti, avvenire sia perché la società assorbe lo stato (casi di esperienze di comunità spoliticizzate), sia perché lo stato ''scivola'' nella società in maniera quasi involontaria per debolezza di questa, sia infine, ed è questo il solo caso meritevole della qualifica di ''totalitario'', perché lo stato politicizza deliberatamente e forzosamente tutta la sfera sociale, opinione pubblica e rapporti interpersonali compresi. A questo punto vengono a cadere tutti i limiti giuridici all'esercizio del potere politico-statuale.

I vari tentativi di collegare il t. a una specifica fase economica e quindi di vederlo come una sorta di necessità funzionale per i rispettivi sistemi politici non hanno, invece, dato frutti significativi. La Germania nazista come regime totalitario fu creata in un sistema economico di capitalismo avanzato e in un sistema sociale alquanto moderno. Lo stalinismo, in quanto fase totalitaria dell'Unione Sovietica, comparve in un sistema economico spinto a un'intensa e forzata industrializzazione e in un sistema sociale comparativamente arretrato. Nella misura in cui la Cina di Mao costituì un regime totalitario, tutti gli indicatori suggeriscono che sia il suo sistema economico sia il suo sistema sociale erano ancora più arretrati rispetto a quelli dell'Unione Sovietica all'inizio della fase stalinista. Tuttavia, la maggior parte degli studiosi (per es., Huntington 1970) ritiene che i regimi totalitari non possono che essere creati nella fase di modernizzazione politica quando le tecnologie consentono agli apparati di acquisire il controllo monopolistico o quasi sulla società e sull'economia e di esercitare un potere quasi incondizionato.

Pur essendo prodotti della politica moderna, i regimi totalitari mantengono caratteristiche di eccezionalità. Cosicché la prospettiva più fruttuosa dalla quale guardare oggi al t. consiste da un lato nel ricercare le caratteristiche che possano essere definite totalitarie e le tendenze che si situino sulla via del t. e dall'altro nell'analizzare i movimenti che, per ideologia, leadership, obiettivi possano e vogliano qualificarsi come totalitari. Se t. è soprattutto acquisizione e concentrazione di forte potere in una fase di grande mobilitazione, il suo affievolirsi può essere individuato quando l'ideologia diventa rituale, il potere viene decentrato, la mobilitazione svanisce. Queste dinamiche, che appartengono al passato ma possono manifestarsi anche nel futuro, richiedono che la categoria analitica di t., precisata nei suoi limiti e qualificata nei suoi contenuti, non venga abbandonata.

Bibl.: H. Arendt, The origins of totalitarianism, New York 1951 (ed. ampliata, 1958; trad. it., Milano 1967); J.L. Talmon, The origins of totalitarian democracy, Londra 1952 (trad. it., Bologna 1967); C.J. Friedrich, Z.K. Brzezinski, Totalitarian dictatorship and autocracy, New York 1967; C.J. Friedrich, M. Curtis, B.R. Barber, Totalitarianism in perspective: three views, ivi 1969; Authoritarian politics in modern society. The dynamics of established one-party systems, a cura di S.P. Huntington e C.H. Moore, ivi 1970; L. Schapiro, Totalitarianism, Londra 1972; J. Linz, Totalitarian and authoritarian regimes, in Handbook of political science, a cura di F.I. Greenstein e N.W. Polsby, Reading (Mass.) 1975, vol. 3, pp. 175-411; Totalitarismes, a cura di G. Hermet, Parigi 1984; D. Fisichella, Totalitarismo. Un regime del nostro tempo, Roma 1987.

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