tradizione
Conoscenze e valori trasmessi di generazione in generazione
Le tradizioni sono quegli aspetti della nostra cultura che ci vengono tramandati dalle generazioni precedenti e che a nostra volta trasmettiamo a quelle future. Le tradizioni presentano molti punti di continuità con il passato. Tuttavia nel passaggio da una generazione all’altra e, soprattutto, nel contatto tra società differenti, le tradizioni si modificano. In particolari epoche storiche si è assistito a fenomeni di ‘invenzione’ della tradizione
Un insieme di simboli, riti e credenze religiose; particolari abitudini alimentari, per esempio cuocere o mangiare un cibo in un certo modo; indossare un velo o togliersi il cappello in segno di rispetto; un corpus di miti e leggende; un modo di vita caratteristico di una certa società: tutte queste cose sono tradizioni se vengono trasmesse da una generazione a quelle successive. Il termine tradizione in effetti deriva dal verbo latino tradere, che ha tra i suoi significati quelli di «consegnare, trasmettere, tramandare».
Tradizioni sono quegli aspetti della cultura – intesa in senso antropologico come un insieme di capacità, saperi, norme e valori che gli esseri umani apprendono in quanto fanno parte di una certa società – che non si esauriscono nel corso di una generazione, ma vengono trasmessi alle generazioni successive.
Quando parliamo di tradizione ci riferiamo ad aspetti della cultura che hanno un certo grado di continuità, di persistenza, di immutabilità nel tempo. Sia le tradizioni orali sia quelle scritte mostrano una certa resistenza al mutamento. Allo stesso tempo, il termine tradizione indica consuetudini e comportamenti caratteristici, tipici di un certo gruppo di persone. Le tradizioni sono spesso connesse all’identità di un gruppo e verso di esse si mostra in genere un certo attaccamento.
Proprio perché furono a lungo considerate come immutabili, immerse da sempre nei loro costumi ancestrali, molte società non occidentali studiate dagli antropologi (antropologia culturale) vennero definite come società tradizionali. Etnie che abitavano le praterie dell’America Settentrionale, società dell’Amazzonia, della foresta equatoriale africana – per limitarci ad alcuni esempi – vennero accomunate dalla definizione di società tradizionali perché si riteneva che gran parte della loro cultura fosse un retaggio – una ‘eredità’, insomma – di un lontano passato, trasmessa inalterata tra le generazioni. Oggi l’opposizione tra società occidentali moderne (caratterizzate da mutamento e innovazione) e società tradizionali si è molto indebolita. Ogni società in realtà è chiamata a trovare un difficile equilibrio tra la tradizione e la trasformazione.
In effetti, nel trasmettersi da una generazione all’altra, le tradizioni vengono continuamente trasformate, in modo più o meno consapevole. I Luo, una popolazione del Kenya, utilizzano oggi come bevanda rituale nei matrimoni la Coca-Cola®; durante le feste, alcuni Polinesiani offrono alla divinità carne in scatola invece dei tradizionali maiali. Le tradizioni mutano per il contatto e gli scambi tra culture. La diffusione dei media – televisioni, radio, Internet – in molte parti del mondo sta portando a rapidi mutamenti nelle tradizioni locali.
Ci si può chiedere in proposito se, per il fatto di aver incorporato aspetti esterni, per essere divenute meticce – cioè mescolate, ibride – queste tradizioni siano forse meno autentiche e ricche di significati. Gli antropologi culturali ritengono di no: le tradizioni non vanno intese in modo rigido, come se si trattasse di costumi impermeabili al mondo esterno. Esse risentono dei fenomeni di globalizzazione, di diffusione dell’informazione; possono indebolirsi o, al contrario, rafforzarsi: sappiamo per esempio che molti migranti diventano più rispettosi delle loro tradizioni – seguendo i culti religiosi, evitando alcuni cibi e così via – quando vivono fuori dal proprio paese. Allo stesso modo, noi tendiamo a sentirci più italiani quando siamo all’estero.
«Le tradizioni che ci appaiono – o si pretendono – antiche hanno spesso un’origine piuttosto recente, e talvolta sono inventate di sana pianta»: così scriveva, qualche anno fa, lo storico inglese Eric Hobsbawm nell’introduzione a L’invenzione della tradizione. Vi sono epoche della storia, caratterizzate da rapidi mutamenti, da trasformazioni e conflitti, in cui nascono e si affermano tradizioni, destinate a trasmettersi tra le generazioni. La nascita delle nazioni moderne è un periodo caratterizzato dall’invenzione di molte tradizioni: bandiere, inni, feste, celebrazioni degli eroi nazionali e così via. Oggi, quando pensiamo agli Scozzesi ci vengono in mente il loro kilt, il gonnellino tessuto in tartan che indica con i colori e il disegno il clan di appartenenza, e la cornamusa. Kilt e cornamusa sono ‘tipiche’ tradizioni scozzesi, ma non è stato sempre così. Queste tradizioni nacquero nel tardo Settecento, quando la Scozia era già entrata a far parte del Regno Unito con l’Inghilterra: il bisogno di inventare una tradizione tipicamente scozzese nacque proprio dal desiderio di distinguersi dagli Inglesi, di rivendicare cioè una identità.
La pubblicità è oggi ricca di riferimenti alla tradizione. Formaggi, salumi, vini, prodotti agricoli, e addirittura società di assicurazioni e marche di autoveicoli vengono reclamizzati in quanto prodotti tradizionali. Tradizione diviene qui sinonimo di autenticità, di garanzia, di genuinità: il richiamo alla tradizione – spesso del tutto inventato! – è divenuto un fenomeno economico, di marketing (ossia di promozione di prodotti di consumo), come dicono gli economisti. La tradizione è oggi ‘buona da vendere’!
Allo stesso tempo anche i discorsi dei politici sono ricchi di riferimenti alla tradizione. Radici e tradizioni occidentali vengono spesso contrapposte a radici e tradizioni orientali, islamiche, arabe: come se si trattasse di mondi che si sono sempre contrapposti. In realtà, analizzando attentamente le tradizioni dei paesi europei e di quelli dell’altra sponda del Mediterraneo ci accorgiamo che esistono molti punti in comune, a partire dai testi, dai riti e dalle pratiche religiose. I richiami alla purezza delle tradizioni nascondono spesso la volontà di alcuni politici di creare barriere tra noi e gli altri. La tradizione, insomma, è un aspetto importante della nostra vita, delle nostre culture: siamo affezionati alle nostre tradizioni. Occorre però essere attenti a non trasformarle in uno strumento di discriminazione e di chiusura.
«La tradizione è come un albero, c’è il tronco ma ci sono anche i rami. Un albero senza rami non può dare ombra. È per questo che occorre che le tradizioni stesse sfrondino i rami che muoiono. Io sono contro la conservazione cieca delle tradizioni, come sono contro la loro negazione totale, che significherebbe la negazione, l’abdicazione della personalità africana» (tratto da Amadou Hampâté Bâ, Sur les traces d’Amkoullel, l’enfant peul, 1998). «Il ritorno alla tradizione è un mito. Nessun popolo l’ha mai veramente vissuto. Secondo me l’identità, il modello, è davanti a sé, mai dietro. L’identità è una riformulazione permanente. E direi che la nostra lotta attuale consiste nel cercare di mettere più elementi possibili del nostro passato, della nostra cultura, nella costruzione del modello di uomo e di società che noi vogliamo per la costruzione della nostra polis. La nostra identità è davanti a noi»
(Jean-Marie Tjibaou, leader dei Kanak della Nuova Caledonia)
Lo studio delle tradizioni popolari, o demologia, costituisce un aspetto molto importante dell’antropologia italiana. Tra gli studiosi delle tradizioni popolari italiane spicca la figura di Ernesto De Martino (nato nel 1908 e morto nel 1965), autore di approfondite ricerche in Lucania e nella Penisola Salentina. La magia, le forme della ritualità, i sistemi tradizionali di cura, gli usi funebri sono alcuni dei temi affrontati da De Martino. Tra le sue opere più note si possono ricordare Il mondo magico (1948), Morte e pianto rituale magico nel mondo antico (1958), La terra del rimorso (1961).