turismo
Viaggiare per piacere
Se la pratica della villeggiatura e della vacanza ha radici antiche, il turismo nel senso moderno del termine – ossia lo spostamento da una località all’altra come piacere in sé – è un fenomeno relativamente recente, che nasce con lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni, l’aumento del tempo libero disponibile e il miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie. Oggi il turismo è un’importante risorsa economica per molti paesi che dispongono di attrazioni naturali o artistico-culturali, ma da quando è divenuto un fenomeno di massa costituisce anche una minaccia per l’ambiente e per il patrimonio artistico
Il termine turismo deriva dal francese tour, che significa «giro», «viaggio», e indica in generale lo spostamento dal luogo abituale di residenza ad altre località per finalità di svago. Le radici di questo fenomeno sono molto antiche: basti pensare alla pratica della villeggiatura degli antichi Romani e, nei secoli successivi, alla diffusione delle residenze estive e invernali presso l’aristocrazia di quasi tutti i paesi europei. Tuttavia nei secoli passati questa pratica era strettamente limitata alle classi nobiliari e, inizialmente, soltanto alle dinastie regnanti.
Il turismo nel senso moderno del termine nasce nel Settecento, quando presso l’aristocrazia e l’alta borghesia europea si diffonde l’uso del viaggio nei paesi mediterranei. Si trattava di un viaggio generalmente molto lungo, intrapreso da intellettuali e giovani rampolli delle ricche famiglie inglesi, francesi e tedesche per conoscere la cultura mediterranea, specie il vasto patrimonio storico-artistico della classicità. Questo lungo viaggio, questo tour o grand tour – da cui appunto, il termine turismo – aveva quindi finalità culturali e pedagogiche. Da allora, innumerevoli artisti e intellettuali, da Goethe a Flaubert, da Byron a Stendhal, si recarono in pellegrinaggio culturale in Italia per apprezzarne il glorioso passato, scrivendo diari di viaggio nei quali indicavano ai lettori gli itinerari da seguire. Il viaggio turistico aveva anche finalità educative, in quanto era inteso come strumento essenziale per comprendere meglio i popoli visitati e le loro culture, per diventare, quindi, adulti e maturi. In realtà, molti giovani dissipavano le loro risorse economiche in giochi d’azzardo, in abiti alla moda, in corteggiamenti amorosi, soprattutto in Francia e in Italia.
Sono, dunque, questi ricchi viaggiatori europei del Settecento i primi turisti nel senso attuale del termine. Alle soglie del Novecento nuovi strati sociali iniziano ad avere accesso a questa particolare forma di impiego del tempo libero. Quando anche i ceti medi e le classi lavoratrici hanno a disposizione più tempo libero e un reddito più alto, il turismo di élite si trasforma in turismo di massa.
Lo svago e il riposo, l’arricchimento culturale, la curiosità nei confronti di terre e civiltà diverse sono rimasti le motivazioni fondamentali del turismo. Ma, con la trasformazione da fenomeno tipicamente aristocratico, di élite, in fenomeno di massa, esteso a tutti gli strati sociali e di dimensioni industriali, sono profondamente mutate le forme e le modalità del turismo.
A partire dal secondo dopoguerra, quando il viaggio e la vacanza diventano un bene di consumo di massa come gli altri, anche l’esperienza turistica subisce un processo di standardizzazione: le cose da vedere – sia le bellezze naturali, sia il patrimonio artistico e culturale di una data località – fanno parte di un itinerario preconfezionato che il turista odierno può ‘consumare’ nel tempo relativamente limitato della vacanza e a prezzi contenuti. È questa la caratteristica dei viaggi organizzati, una delle forme di turismo dominanti a partire dalla seconda metà del Novecento. Per queste strade si arriva a viaggi nei quali tutto è artificiale, ricostruito, simulato: dai ‘luoghi tipici’ alle architetture di maniera, ai falsi ‘cibi autentici’, all’offerta organizzata di riti religiosi. E c’è un eccesso di attrezzature per lo svago, una sovrabbondanza organizzativa che rende questi luoghi molto simili ai parchi di divertimento, un po’ uguali dappertutto.
A questo tipo di turismo, che è stato definito modello luna park, si contrappone un modello più elitario orientato a fruire in modo diverso i luoghi visitati: la mancanza di comfort e di attrezzature di svago, persino i trasporti inadeguati diventano paradossalmente elementi di pregio. Tra questi due estremi vi è una gamma pressoché infinita di formule in grado di soddisfare le più varie esigenze – dall’itinerario enogastronomico al soggiorno in conventi e monasteri. La diversificazione dell’offerta per andare incontro a una domanda sempre più differenziata e al costante mutare delle mode è una delle caratteristiche dominanti dell’industria turistica degli ultimi decenni.
Il turismo ha acquistato a partire dal secondo dopoguerra un peso economico crescente, diventando una delle voci più importanti del settore terziario. Il movimento turistico ha registrato un’impetuosa espansione soprattutto a partire dagli anni Settanta: secondo i dati dell’Organizzazione mondiale del turismo, dal 1970 al 1994 si è passati da 165 milioni di arrivi di turisti internazionali a 528 milioni.
Di pari passo sono aumentati gli investimenti in ‘beni turistici’ come attrezzature di svago, alberghi, trasporti e così via. Non sempre, tuttavia, le località che possiedono la ‘materia prima’ del turismo, soprattutto bellezze naturali, dispongono anche delle risorse economiche, tecnologiche e organizzative per sfruttarla. È questo il caso, in particolare, di molti paesi in via di sviluppo, che spesso si rivolgono ai cosiddetti tour operators, ‘fabbricanti di vacanze’, in genere stranieri che forniscono beni e attrezzature e finiscono per avere la gestione esclusiva delle risorse e gli investimenti alberghieri. I paesi in via di sviluppo, in questo modo, non beneficiano del flusso di ricchezza prodotto dal turismo, mentre subiscono i costi sociali e ambientali che esso comporta.
Uno dei principali problemi comportati dalla trasformazione del turismo in fenomeno di massa e dall’impetuoso sviluppo dell’industria delle vacanze è il loro impatto sull’ambiente. Nei paesi e nelle aree di grande richiamo la creazione di infrastrutture per la ricezione turistica – come case, strade, alberghi e così via – rischia di compromettere i beni naturali, ma anche il patrimonio artistico-monumentale risulta minacciato da un afflusso indiscriminato di turisti.
Il problema della congestione turistica ha fatto emergere l’esigenza di individuare strumenti adeguati di contenimento e regolamentazione dei flussi turistici in modo che i vantaggi economici derivanti dalle attività turistiche non siano annullati da gravi costi ambientali. Si discute quindi l’opportunità di ridurre o programmare l’affluenza turistica nelle città d’arte o in alcune aree di grande interesse naturalistico. Il problema è particolarmente sentito in Italia, un paese che ha un ricchissimo patrimonio di risorse paesaggistiche e artistiche: per fare qualche esempio, alcuni anni fa lo scalatore e ambientalista Reinhold Messner lanciava un grido di allarme per le vette alpine, spesso ridotte a desolate discariche. In Sardegna l’incantevole ‘spiaggia rosa’ di Budelli non è più tale, saccheggiata dalle masse di turisti che negli anni hanno portato via come souvenir manciate della sua particolarissima sabbia fatta di impalpabili particelle formate da frammenti di gusci di Briozoi e da quarzo.
L’ipotesi di istituire un ‘numero chiuso’ di presenze turistiche viene continuamente riproposta dalle associazioni ambientaliste per una città unica e dai delicati equilibri come Venezia, che in alcuni periodi dell’anno presenta punte di congestione turistica elevatissima. Limitazioni dei flussi turistici sono chieste anche per Capri, per il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e per il Parco della Maremma.