UCRAINA.
– Demografia e geografia economica. Storia
Demografia e geografia economica di Libera D'Alessandro. – Stato dell’Europa orientale. Al censimento del 2001 il Paese ospitava 48.457.100 ab., per il 67% residenti urbani. Nel 2014 la popolazione è ulteriormente diminuita, registrando – secondo lo State statistics service of Ukraine – 45.426.200 ab. e un dato ancora inferiore (44.941.303 ab.) secondo una stima UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs). Tra gli anni Novanta e oggi, l’U. è stata caratterizzata da una riduzione della popolazione (−12% rispetto al 1990), dovuta in parte alla contrazione della natalità, che ha tuttavia mostrato una ripresa negli ultimi anni (dal 12,6‰ del 1990 al 7,8‰ del 2000, all’11,1‰ del 2013), alla quale si aggiunge un saldo migratorio negativo. Al contrario, la mortalità, dopo essere cresciuta all’inizio degli anni Duemila, è solo lievemente diminuita ed è ancora elevata (dal 12,1‰ del 1990, al 15,4‰ del 2000 sino al 14,6‰ del 2013). La crisi sanitaria in cui versa il Paese è testimoniata da alcune rilevazioni. Considerando il tasso di mortalità grezzo degli adulti, la Banca mondiale segnala che il valore dell’U. (pari a 15‰ nel quadriennio 2010-13) è più elevato di quello dei suoi vicini (Moldavia e Bielorussia) e tra i più alti d’Europa e del mondo. Non meno rilevante è il fatto che, secondo l’UNDP (United Nations Development Programme), oltre il 40% della popolazione adulta tra 18 e 65 anni (comprese le donne in età riproduttiva) ha almeno una malattia cronica. Tra le conseguenze di una situazione sanitaria così compromessa, si segnala la diminuzione della speranza di vita alla nascita, ma il dato è controverso: mentre essa, secondo l’UNDP, è diminuita dal 1980 al 2013 di 0,8 anni (passando da 69,3 a 68,5 anni), secondo il Servizio statistico ucraino nel 2013 è aumentata a 71,37 anni. Dall’UNDP l’U. è tuttavia annoverata tra i Paesi con alto Indice di sviluppo umano (ISU), avendo registrato il valore di 0,734 nel 2013 (in aumento del 4% rispetto al 1980). Risultati considerevoli sono stati raggiunti, inoltre, nella lotta alla povertà. Ancora secondo l’UNDP, se considerata in termini assoluti (sulla base della quota di popolazione il cui consumo giornaliero è inferiore a 5,05 $ a parità di potere d’acquisto), la povertà in U. è diminuita dall’11,9% del 2000 al 2,3% del 2012; anche quella considerata in termini relativi (quota di popolazione al di sotto della soglia di povertà nazionale) si è ridotta, nello stesso intervallo di tempo, dal 26,4% al 25,5%. Ciò nonostante, i livelli di povertà nelle aree rurali sono quasi il doppio di quelli registrati negli spazi urbani. Progressi significativi sono stati raggiunti, infine, nella salute materna, della mortalità infantile e dell’istruzione, in linea con gli obiettivi fissati dai Millennium development goals.
Condizioni economiche. – L’economia dell’U. si è contratta quasi del 15% nel 2009 (a causa della crisi finanziaria globale). La Banca mondiale sottolinea che, in una fase ancora complessa per l’U. (a causa degli sviluppi incerti della zona euro, dello stato dell’economia globale, della crisi politica del Paese), la crescita economica è rimasta debole negli ultimi due anni: dopo il rallentamento registrato nel 2012, il PIL ha tuttavia mostrato una crescita del 3,7%. La Banca mondiale segnala anche che il tasso di disoccupazione – aumentato al 9,5% all’inizio del 2009 (a causa della citata crisi) – nel 2014 è ulteriormente cresciuto, anche se lievemente, arrivando al 10%. Una ricerca di Colin C. Williams e John Round (2008) ha rilevato che solo una piccola minoranza di famiglie del Paese si basa sull’economia di mercato formale per il sostentamento e che la maggioranza dipende invece da una pluralità di pratiche economiche in larga parte informali (di mercato e non di mercato). Le condizioni economiche sono rese ancora più complesse dall’inefficienza energetica di un Paese che dipende fortemente dalle fonti della Russia e dalla mancanza di riforme. Nel 2015 il Fondo monetario internazionale (FMI) ha annunciato di aver raggiunto un accordo con il governo ucraino per lanciare un programma quadriennale di riforme, finalizzato alla stabilizzazione economica del Paese.
Bibliografia: C.C. Williams, J. Round, The illusion of capitalism in post-soviet Ukraine, «Debatte: journal of contemporary central and eastern Europe», 2008, 16, 3, pp. 331-45; United nations development programme (UNDP), Millennium development goals Ukraine. Annual monitoring report, Kiev 2014, http://www.ua.undp.org/content/dam/ukraine/docs/2014%20MDGs %20Ukraine%20Report%20engl.pdf (27 ott. 2015).
Storia di Silvio Pons. – Oltre un ventennio dopo la sua indipendenza, seguita al crollo dell’Unione Sovietica, l’U. conobbe un’instabilità politica che si aggravò notevolmente tra il 2013 e il 2014, rischiando di sboccare in una guerra civile. Sin dalla sua nascita come Stato indipendente, il Paese aveva mostrato una seria conflittualità interna, derivante dalla divisione culturale tra le tendenze filo-occidentali, che guardano all’Unione Europea e alla Polonia, e le tendenze filorusse, volte a preservare quanto più possibile un rapporto con la Federazione Russa.
Dopo il 1991, l’U. conobbe una tormentata transizione seguendo un modello di democrazia autoritaria non molto diverso da quello russo, anche se con modalità più pacifiche, prima sotto la presidenza di Leonid M. Kravčuk (1991-94) e poi sotto quella di Leonid Kučma (1994-2004). Le relazioni con la Russia vennero regolate tramite la denuclearizzazione del Paese e gli accordi che consentivano a Mosca di ereditare in gran parte la flotta sovietica, assegnando a Sebastopoli uno statuto speciale. La dipendenza energetica dalla Russia costituì una fonte di condizionamento non soltanto economico ma anche politico, dal momento che Mosca considerava il Paese come parte di una propria sfera d’influenza nello spazio postsovietico.
Nel dicembre 2004 la transizione ucraina conobbe un importante punto di svolta, quando la vittoria elettorale del successore designato di Kučma, Viktor Janukovič, venne contestata da un movimento di protesta popolare spontanea. Dopo che l’esito elettorale fu invalidato a causa dei brogli, una nuova elezione portò alla presidenza l’oppositore Victor Juščenko, protagonista di una lunga battaglia contro la corruzione insieme a Julia Tymoščenko. La cosiddetta rivoluzione arancione rappresentò il punto di arrivo di un’onda lunga del crollo del comunismo, rivelando una genuina spinta democratica e riformatrice dal basso. Tuttavia manifestò anche seri limiti: non produsse un’autentica stabilizzazione politica, non ricompose le fratture esistenti nel Paese e anzi le alimentò producendo una crescente polarizzazione politica, anche a causa dell’emergere di forti tendenze nazionaliste. Le componenti stesse della ‘rivoluzione’ entrarono in conflitto tra loro, mentre l’ostilità di Mosca si manifestò tramite il ricatto di forniture energetiche a costi elevati. Il risultato di una lunga stagione di instabilità fu il ritorno al potere di Janukovič nelle elezioni del 2010. Questi si rivolse a liquidare l’eredità della ‘rivoluzione arancione’ perseguitando gli oppositori anche con l’uso spregiudicato dello strumento giudiziario e restaurando un regime neoautoritario.
La conflittualità interna conobbe un’ulteriore escalation con la contrapposizione tra il nazionalismo e i sentimenti filorussi, che in realtà non rispecchiava la complessità della società ucraina e neppure le sue diversità linguistiche e culturali, ma finì per operare come un grave fattore di divisione. Nello stesso tempo, l’influenza delle tensioni internazionali tra Unione Europea (v.) e Russia (v.) agì come catalizzatore di una nuova crisi molto più grave. Alla fine del 2013, la polarizzazione politica si definì infatti nei termini di uno scontro tra i fautori e gli oppositori dell’associazione dell’Ucraina all’Unione Europea. La decisione di Janukovič di rinunciare al trattato di associazione accettando aiuti da Mosca scatenò un’improvvisa protesta di massa, raccolta in piazza Maidan a Kiev, ma presto estesa ad altre zone del Paese. Dopo un lungo braccio di ferro e una repressione violenta contro i manifestanti, Janukovič fu costretto a lasciare il potere nel febbraio 2014, sostituito da un governo provvisorio filo-occidentale.
A quel punto la crisi interna divenne una seria crisi internazionale. Vladimir V. Putin non riconobbe la legittimità del nuovo governo. La Crimea dichiarò la propria indipendenza e, tramite referendum, decise l’annessione alla Federazione Russa. Disordini provocati da forze secessioniste scoppiarono nella parte orientale del Paese, specie nella zona di Donec′k ma anche a Charkiv e persino a Odessa, e si risolsero in conflitti violenti con centinaia di vittime. Mosca e Kiev si accusarono reciprocamente di aver alimentato scontri armati. Gli accordi di Ginevra conclusi il 17 aprile tra Russia, Ucraina, Stati Uniti e Unione Europea rimasero lettera morta. L’Occidente impose sanzioni economiche contro Mosca, che replicò accusando Europa e Stati Uniti di sostenere forze nazionaliste estreme e di minacciare interessi vitali della Russia. L’U. si trovò sull’orlo di una guerra civile e di uno smembramento della propria integrità territoriale, con il rischio di un diretto coinvolgimento della potenza russa.Il 25 maggio 2014 si svolsero nuove elezioni presidenziali, che registrarono l’affermazione di Petro Porošenko, un imprenditore deciso a riportare l’ordine nel Paese, ma anche a scongiurare lo scenario di una guerra civile. Malgrado il persistere per mesi di conflitti violenti, Porošenko riusciva, alla fine del 2014, nell’obiettivo di ripristinare un certo controllo di Kiev sui territori orientali e di allentare le forti tensioni con la Russia. Tuttavia, all’inizio del 2015 si verificava una nuova escalation degli scontri armati in tutte le regioni dell’Est, in violazione del cessate il fuoco stabilito a Minsk nel settembre 2014. Un secondo compromesso, raggiunto a Minsk il 12 febbraio 2015, non impedì ulteriori ondate di violenza, che si prolungarono fino all’estate, tra reciproche accuse di mancato rispetto dell’intesa. Una tregua precaria venne stabilita di comune accordo tra Kiev e Mosca nel settembre 2015. Tuttavia, i punti principali degli accordi di Minsk, che prevedono il ristabilimento del controllo governativo, l’applicazione di misure umanitarie e l’autonomia delle regioni orientali, rimasero in sospeso.
La stabilizzazione dell’U. restava perciò quanto mai incerta. Il Paese appariva diviso e oscillante tra l’attrazione dell’europeizzazione e l’influenza russa, mentre l’idea di esercitare il ruolo di un ‘ponte’ tra Est e Ovest sembrava difficilmente sostenibile, almeno sino a che l’Unione Europea e la Russia non sarebbero state in grado di costruire un’autentica partnership.
Bibliografia: Rebounding identities: the politics of identity in Russia and Ukraine, ed. D. Arel, B.A. Ruble, Washington (D.C.)-Baltimore 2006; P. D’Anieri, Understanding Ukrainian politics: power, politics, and institutional desing, Armonk (N.Y.) 2007; S. Yekelchyk, Ukraine: birth of a modern nation, Oxford-New York 2007; Democracy and authoritarianism in the post-communist world, ed. V. Bunce, M. McFaul, K. Stoner-Weiss, Cambridge-New York 2009; S.A. Bellezza, Ucraina. Insorgere per la democrazia, Milano 2014; A. Wilson, Ukraine crisis: what it means for the West, New Haven 2014.
Letteratura di Oxana Pachlovska. – La letteratura ucraina dell’ultimo decennio rispecchia i profondi cambiamenti vissuti dal Paese. Tra il 2004, anno della ‘rivoluzione arancione’, e il momento attuale, dalla ‘rivoluzione della dignità’ nel 2013-14 ai successivi scenari di guerra, lo sconvolgimento geopolitico ha riattualizzato la questione identitaria di una nazione tradizionalmente divisa tra l’Est e l’Ovest europeo, ma ormai orientata decisamente verso l’Occidente. Una delle caratteristiche importanti della letteratura ucraina di questo periodo è la coesistenza e il dialogo (e a volte il conflitto) tra varie generazioni, ognuna delle quali esprime un’esperienza storica diversa. In questo senso, da un lato la generazione degli anni Sessanta, forte voce del dissenso nell’Unione Sovietica, che apportò una nuova visione del la storia e una decisa modernizzazione estetica (Valerij Ševčuk, Lina Kostenko, Vasyl′ Stus, Mykola Vinhranovs′kyj, Ivan Drač,Jurij Ščerbak, Ivan Dzjuba, Jevhen Sverstjuk), e dall’altro quella degli anni Ottanta e Novanta (Jurij Andruchovyč, Serhij Žadan, Ivan Malkovyč, Vasyl′ Herasym′juk, Ihor Rymaruk, Mykola Rjabčuk), che articolò in modo sistemico il discorso della liberazione dall’eredità postcoloniale e introdusse una radicale sperimentazione formale, rappresentano un macrofenomeno culturale particolarmente incisivo.
Oggi la poesia continua a essere influente nella ricerca di nuovi linguaggi. Tra le sue tematiche principali troviamo l’incrocio tra la filosofia del tempo storico e quella del tempo lirico (Kostenko, Malkovyč, Rymaruk e, in chiave ebraica, Mojsej Fišbejn), motivi urbanistici e disagio esistenziale (Andruchovyč, Žadan), panteismo modernizzato con vena mitologica (Vinhranovs′kyj, Herasym′juk) e surreale (Oleh Lyšeha), intimismo, spesso con accenti spiritualistici (Iryna Žylenko, Sofija Majdans′ka, Mar′jana Savka, Marianna Kijanovs′ka, Bohdana Matjaš), malinconia dell’eremitaggio creativo (Kostjantyn Moskalec′, poeti della ‘scuola kieviana’ Vasyl′ Holoborod′ko, Mykola Vorob′jov), gioco delle maschere nella satira politica (Andruchovyč, Oleksandr Irvanec′).
Nella prosa, se fino all’inizio del nuovo millennio a dominare era la cifra postmodernistica, in chiave di uno scanzonato addio al passato, più tardi, quando il retaggio del totalitarismo si rivelò più duro da combattere, sia le tematiche sia i registri stilistici furono diversificati e affinati. Il difficile cammino dell’U. verso l’Europa, lo smarrimento dell’uomo moderno, le insidiose ombre del regime, il peso di una storia ancora da decifrare (compresi i drammi novecenteschi del Holodomor e di Černobyl′) appaiono nell’ironica prosa dalle immagini grottesche di Andruchovyč (con venature bohémien) e Žadan (più incline alla critica sociale), nella tagliente scrittura aforistica di anamnesi storica di Kostenko e di Maria Matios, nelle ricostruzioni della ‘storia dimenticata’ (Vasyl′ Škljar, Matios, Volodymyr Lys), nel senso apocalittico del postsovietismo della città lumpenizzata (Oles′ Ul’jančenko) e della campagna depressa (V′jačeslav Medvid′), nella densa e insieme sconnessa narrativa psicoanalitica (Jevhen Paškovs′kyj, Taras Prochas′ko). Tra i nuovi temi ritroviamo la solitaria opposizione morale dell’individuo di fronte al caos dell’informazione globalizzata (Kostenko), il ‘disorientamento’ di un intellettuale dell’Europa dell’Est in Occidente (Andruchovyč), la distopia del post-totalitarismo (Ščerbak), il coraggio e l’ironia degli ucraini, novelli ‘cosacchi’, in una guerra del putinismo contro la modernità (Bohdan Žoldak), con il tema trasversale della difesa da parte dell’U. dell’ultimo confine europeo a Est. Tra le tradizioni ripristinate spicca il ‘realismo magico’ (Ševčuk, storico della letteratura barocca, l’ermetica Halyna Pahutjak). È molto presente anche il tema femminista (Tanja Maljarčuk, Irena Karpa, Oksana Zabužko), con un accento particolare rivolto all’esperienza delle donne emigrate (Natalka Snjadanko). Gode infine di grande popolarità la dimensione intimistica del quotidiano (Iren Rozdobud′ko, Larysa Denysenko, Nadija Herbiš).
La letteratura ucraina continua a confrontarsi con diversi contesti linguistici e geoculturali, frutto del suo multiculturalismo storico. In varie opere, assieme alla particolare poetica dell’U. occidentale e dei Carpazi, ritroviamo i drammi storici dell’occupazione sovietica (Myroslav Dočynec′, Matios, Pahutjak, Prochas′ko). Esiste una letteratura ucraina anche in russo (si vedano i gialli intellettualistici di Andrej Kurkov, la poesia di Boris Chersonskij); alcuni autori scrivono in ucraino e in altre lingue (il prosatore neosimbolista Jaroslav Mel′nyk in lituano; il poeta e prosatore neoavanguardista Yuri Lech in spagnolo, Katja Petrovskaja, autrice di storie ebraiche in terra ucraina, in tedesco; il poeta Roman Baboval in francese; nella diaspora ucraina ci sono autori che scrivono in ucraino e inglese come Yurij Tarnawsky, Askold Melnyczuk, Aleksander John Motyl, oppure solo in ucraino come Emma Andijevs′ka, Vira Vovk, Bohdan Boychuk).
È importante il ruolo costruttivo svolto dalla critica letteraria (Dzjuba, Sverstjuk, Mychajlyna Kocjubyns’ka, Jurij Barabaš, Dmytro Nalyvajko, Volodymyr Pančenko, Volodymyr Morenec′, Leonid Uškalov) e dalla ricerca culturologica (Myroslav Marynovyč, Myroslav Popovyč, Serhij Kryms′kyj, Vadym Skurativs′kyj, Taras Voznjak, Kostjantyn Sihov, Viktor Malachov). Alcuni autori d’altra parte sono anche eminenti editori (Malkovyč, Savka, Sihov). Non senza fatica, ma con sempre maggior determinazione, viene elaborato il canone europeo della letteratura ucraina, particolarmente traumatizzata dalle manipolazioni ideologiche e censorie del regime sovietico. La nuova espressività dei testi più recenti è comunque in grande misura legata ai sempre maggiori contatti con l’Occidente, grazie a continui scambi e traduzioni, senza che la tradizione letteraria abbia perso però la sua indiscutibile originalità.
Bibliografia: La morte della Terra. La grande ‘carestia’ in Ucraina nel 1932-33, Atti del Convegno internazionale, Vicenza 16-18 ottobre 2003, a cura di G. De Rosa, F. Lomastro, Roma 2004; Ukraine’s re-integration in Europe. A historical, historiographical and politically urgent issue, ed. G. Brogi, G. Lami, Alessandria 2005; K. Boeckh, E. Völkl, Ukraine. Von der Roten zur Orangenen Revolution, Regensburg- München 2007 (trad. it. Trieste 2009); Kiev e Leopoli. Testo culturale, Atti del Convegno internazionale, Milano 1-2 febbraio 2007, a cura di M.G. Bartolini, G. Brogi, Firenze 2007; Storia religiosa dell’Ucraina, Atti del Convegno internazionale, Gazzada-Varese 2-6 settembre 2003, a cura di L. Vaccaro, Milano 2007; G. Lami, Ucraina 1921-1956, Milano 2008; T. Snyder, Bloodlands. Europe between Hitler and Stalin, London-New York 2010 (trad. it. Milano 2011); “Il nome della stella è assenzio”. Ricordando Chernobyl, a cura di F. Lomastro, A. Omelianiuk, O. Pachlovska, Roma 2011; M.G. Bartolini, “Nello stretto triangolo della notte...”. Jurij Tarnavs′kyj, il Gruppo di New York e la poesia della diaspora ucraina negli USA, Roma 2012; S.A. Bellezza, Ucraina. Insorgere per la democrazia, Brescia 2014; G. Brogi, O. Pachlovska, Taras Ševčenko. Dalle carceri zariste al Pantheon ucraino, Firenze 2015; Ukraine. Twenty years after independence. Assessments, perspectives, challenges, ed. G. Brogi, M. Dyczok, O. Pachlovska, G. Siedina, Roma 2015.
Cinema di Nicola Falcinella. – Il secondo decennio del 21° sec. ha riportato l’U. all’attenzione del mondo cinematografico. L’instabilità politica e quindi sociale acuitasi negli ultimi anni ha prodotto una notevole vivacità dal punto di vista artistico. Il nome più rilevante è quello di Sergej Loznitsa, nato in Bielorussia, cresciuto a Kiev, di nazionalità ucraina. Documentarista affermato, è stato in concorso al Festival di Cannes con i suoi due lungometraggi di finzione: Sčasťje moje (2010, La mia felicità), un viaggio agli inferi di un camionista e una pellicola con più livelli temporali, sull’avidità, la sopraffazione e il caso, e successivamente V tumane (2012; Anime nella nebbia), ambientato nel 1942 durante l’occupazione nazista della Bielorussia, con due soldati sovietici che devono eliminare un uomo accusato di collaborazionismo. Si tratta di un apologo morale dove tutti risultano sconfitti, costruito su lunghi piani-sequenza, carico di umanità pur nello squallore circostante. Loznitsa ha poi realizzato il documentario Maidan (2014) sulle proteste di piazza a Kiev.
Il nome storico del cinema ucraino resta quello di Kira Muratova, che mantiene la capacità di alternare soggetti e toni diversi, tra leggerezza e crudeltà. Nastroišcik (2004; L’accordatore) è una commedia nera su un giovane che deve accordare un pianoforte davanti a due amiche agiate e rumorose, mentre Dva v Odnom (2007; Due in uno) è un continuo incrociarsi tra teatro e vita. Melodiâ dlâ šarmanki (2009; Melodia per organetto) narra invece l’odissea di due bambini che scappano per non finire in orfanotrofio. La ripetizione e le possibili variazioni sono al centro di Večnoe vozvraŝenie (2012; Eterno ritorno).
Folgorante l’esordio di Myroslav Slaboshpytskiy con Plemya (2014, noto con il titolo The tribe), una pellicola molto dura, ambientata in un istituto per sordomuti con l’educazione criminale del nuovo venuto. V Subbotu (2011, Sabato innocente) di Aleksandr Mindadze ricostruisce i giorni successivi al disastro di Černobyl′ nella vicina città di Prypiat. Tra il silenzio e le bugie dei dirigenti comunisti, una storia energica con tre matrimoni che avvengono contemporaneamente. Anche Michale Boganim ha esordito con una storia legata a quella tragedia, La terre outragée (2011): Anya, che il 25 aprile 1986 si era sposata, torna dieci anni dopo come guida dei visitatori.
Noto per essere stato arrestato dai russi per le sue opinioni politiche è Oleg Sentsov, autore di Gámer (2011,Giocatore). È la storia di un ragazzo che diventa un campione nei tornei di videogiochi in cui bisogna sparare, girata con stile iperrealistico nelle vere competizioni. Da ricordare infine il biografico Paradjanov (2013) di Serge Avedikian e Olena Fetisova, Taras Bulba (2009) di Vladimir Bortko da Nikolaj Gogol′, e il dramma bellico sulla deportazione dei tatari di Crimea Qaytarma (2013, Ritorno) di Akhtem Seitablaev.
Bibliografia: S. Trymbač, Vent’anni di solitudine: il cinema ucraino nell’era post-sovietica, in La caccia alle farfalle. Crisi e rinascita delle cinematografie dei Paesi slavi, a cura di C. Diddi, F. Pitassio, Roma 2010. Si veda inoltre: www.dovzhenkocentre.org (28 sett. 2015).