utilitarismo
L’utile come principio sovrano
L’idea che il bene si identifichi con l’utile si trova già nella filosofia greca, in particolare nella dottrina epicurea; tuttavia l’utilitarismo come indirizzo di pensiero etico, politico ed economico nasce in Inghilterra tra il 18° e il 19° secolo. I suoi principali esponenti furono Jeremy Bentham e John Stuart Mill, che fu il primo a usare la parola utilitarista
Si definisce utilitaria un’opera o un’azione che, pur rinunciando a tutto ciò che appare superfluo, risponde a concreti vantaggi pratici ed economici. Con questo termine, per esempio, le case produttrici di automobili mettono sul mercato modelli detti anche spartani, per indicare un prodotto a basso costo, con consumi contenuti e prestazioni soddisfacenti. Si dicono utilitarie tutte quelle attività che tendono a ottenere il massimo utile con il minimo sforzo, o costringono a dedicare il proprio tempo a lavori utili, economicamente redditizi ma poco gratificanti.
In senso filosofico, l’utilitarismo è qualcosa di più complesso: una teoria o un sistema di valori che non solo si rivolge alla pratica della vita sociale, ma fissa il codice morale delle nostre azioni badando soprattutto alle conseguenze che ne derivano, e le classifica in buone o cattive (bene e male) in base a un giudizio di maggiore o minore utilità personale o sociale.
L’etica utilitarista si fonda su valori quali la felicità, il benessere, la soddisfazione dei bisogni. Le sue massime derivano dal principio del ‘piacere’, sostenuto fin dall’antichità da filosofi come Aristippo di Cirene ed Epicuro (epicureismo), che consideravano come fini supremi della vita la felicità e la fuga dal dolore, ed erano perciò definiti edonisti (dal termine greco edonè «piacere»). La loro morale laica e terrena ignorava i concetti di premio da meritare o di pena da subire nell’aldilà in base alle azioni compiute, e raccomandava la pratica di virtù capaci di procurare il benessere individuale, come la temperanza, la moderazione, la rinuncia alle passioni.
In Età moderna, un ideale edonistico non soltanto individuale ma esteso al bene pubblico fu formulato alla fine del Settecento dal caposcuola dell’utilitarismo, il moralista inglese Jeremy Bentham, che fondò il suo programma di riforme del diritto civile e penale, della morale e delle norme della convivenza sociale sull’obiettivo di ottenere «la massima felicità per il maggior numero». Egli si proponeva, per esempio, di eliminare gli antichi criteri della giustizia criminale, ispirati dall’idea della pena e del premio, e i castighi inflitti ai trasgressori delle leggi con il pretesto di anticipare su questa Terra il giudizio divino.
Bentham era stato influenzato, tra l’altro, dall’illuminista italiano Cesare Beccaria, il quale nello scritto Dei delitti e delle pene, pubblicato nel 1764, svolgendo un ragionamento in senso tipicamente utilitaristico aveva sostenuto l’abolizione della pena di morte in base al principio della «massima felicità divisa nel maggior numero». Secondo Beccaria le pene inflitte ai trasgressori si possono giustificare soltanto in base al principio della difesa del bene comune della società, rigettando le teorie tradizionali che assegnavano allo Stato il diritto di punire in nome di un potere assoluto e privo di limiti, analogo a quello esercitato da Dio.
Tra il 18° e il 19° secolo le teorie dell’etica utilitaristica furono sviluppate da filosofi come Claude-Adrien Helvétius, Pietro Verri, Francis Hutcheson, che discussero a lungo sul cosiddetto «calcolo dei piaceri e dei dolori», gettando le basi di concetti fondamentali dell’economia politica, come la nozione di ‘bisogno’ e l’analisi dei sentimenti che vi si ricollegano.
Utilitaristi, anche se di diverse tendenze, furono Abraham Tucker, William Paley, William Godwin, David Hume, James Mill. A John Stuart Mill, figlio di quest’ultimo, si deve l’importante saggio Utilitarismo, pubblicato nel 1861, che analizzò i problemi della scuola introducendo notevoli distinzioni tra varie forme di edonismo. L’azione individuale, secondo Mill, poteva proporsi non soltanto la ricerca di ciò che risulta più o meno piacevole, ma anche dei più elevati valori conoscitivi, estetici, morali. L’utilitarismo investiva l’intera gamma dei valori morali tradizionali, pur mantenendo fermi i criteri di giudizio fondati sulla pratica, sull’esito dell’agire individuale e sociale, sul bene comune, sulla filantropia; questa linea di pensiero fu ulteriormente sviluppata da Henry Sidgwick e da altri filosofi detti neoutilitaristi.