Venezuela
Stato federale dell’America Meridionale.
Abitato dagli indi caribi e aruachi, raggiunto da C. Colombo nel suo terzo viaggio (1498), il V. fu oggetto di un fallito tentativo di colonizzazione da parte dei banchieri Welser di Augusta, cui Carlo V aveva concesso nel 1528 diritti di esplorazione e amministrazione. Revocata la concessione (1546), ebbe inizio la colonizzazione spagnola: lo sviluppo economico fu perseguito sfruttando dapprima manodopera servile indigena, quindi africana; quest’ultima fu utilizzata nelle piantagioni costiere di zucchero, cacao, tabacco e, successivamente, caffè, impiantate a partire dal 17° sec. e principale fonte di ricchezza insieme al bestiame, allevato negli immensi llanos dell’interno. Dapprima dipendente dall’audiencia di Santo Domingo, il V. fu trasformato in Capitanía general nel 1731 e in seguito ricompreso nel vicereame della Nueva Granada. Tra i bianchi, gli spagnoli (1,3%) detenevano il monopolio delle principali cariche civili, ecclesiastiche e militari, nonché del commercio interatlantico, mentre i più ricchi proprietari terrieri e piantatori erano creoli (bianchi nati in America). La crisi della dinastia borbonica seguita all’occupazione francese della Spagna (1808) spinse i creoli alla ribellione: nell’apr. 1810 essi rovesciarono le autorità spagnole di Caracas e costituirono una giunta provvisoria di governo; nel 1811 venne proclamata l’indipendenza e fu redatta una Costituzione, che limitava in base al censo il godimento dei diritti politici e manteneva in vita la schiavitù, ma l’anno successivo la reazione realista ebbe la meglio. Furono necessari quasi dieci anni di lotta senza quartiere perché i creoli del V., guidati da S. Bolívar, riuscissero infine ad affrancarsi dal dominio spagnolo. L’indipendenza sancì la conquista del potere politico da parte dei grandi proprietari terrieri, che mantennero in vigore la schiavitù (solo la tratta era stata abolita nel 1811). Inoltre, la Costituzione del 1821 della Repubblica della Gran Colombia, di cui il V. era entrato a far parte dal 1819, negò nuovamente ai neri liberi e agli indios il diritto di voto. Preannunciata nel 1826 dalla ribellione di J.A. Páez, la separazione dalla Gran Colombia, proclamata nel 1829, fu ufficializzata nel 1830. Primo presidente della Repubblica fu Páez, che governò di fatto il Paese sino al 1847.
L’iniziale predominio del Partito conservatore fu seguito dall’ascesa del Partito liberale, federalista, espressione dei piccoli e medi proprietari, durante le presidenze dei fratelli J.T. Monagas (1847-51; 1855-58) e J.G. Monagas (1851-55) che, nonostante misure quali l’abolizione della schiavitù (1854) governarono con metodi dittatoriali e nel 1858 furono rovesciati da conservatori e liberali. Questi si divisero subito dopo sul tema del federalismo: la sanguinosa guerra civile che seguì (1858-63) fu vinta dai primi, che elessero presidente J.C. Falcón e diedero vita agli Stati Uniti del Venezuela. I conservatori ripresero però il potere con le armi nel 1868, per cederlo nuovamente ai liberali, sollevatisi nel 1870 al comando di A. Guzmán Blanco. Arbitro della politica venezuelana sino al 1888, quest’ultimo modificò più volte l’assetto costituzionale dello Stato, pacificò le fazioni in lotta e riuscì a imporsi sui potenti caudillos locali. Gli anni successivi furono segnati da una ripresa delle lotte intestine. Nell’ott. 1899, C. de Castro conquistò il potere con un’insurrezione armata; il suo governo riuscì a dominare le spinte centrifughe dalle province, ma non seppe evitare difficoltà in politica estera. Nel 1908 J.V. Gómez instaurò un governo dittatoriale durato 27 anni, che portò a termine il processo di rafforzamento dell’autorità centrale. Ancora una volta la stabilità attirò gli investimenti dall’estero, concentrati nel settore estrattivo dopo la scoperta di enormi giacimenti petroliferi (1922). La ricchezza prodotta dal petrolio non fu però equamente distribuita e la maggior parte degli abitanti delle campagne continuò a vivere in condizioni di assoluta povertà. Il successore di Gómez, E. López Contreras (1935-41), ripristinò le libertà civili, salvo sospenderle nuovamente dopo l’affermazione dei partiti di sinistra nelle elezioni del 1937. Proseguita dal nuovo presidente I. Medina Angarita, la tradizionale politica conservatrice e autoritaria fu interrotta nell’ott. 1945 dal golpe di alcuni ufficiali dell’esercito legati alla progressista Acción democrática (AD).
Una giunta civico-militare presieduta da R. Betancourt avviò una serie di riforme sociali, promulgò una Costituzione di matrice democratica (1947) e rivide la politica petrolifera nazionale per assicurare allo Stato almeno il 50% degli introiti. I conservatori e l’ala più reazionaria delle forze armate reagirono instaurando una giunta militare che si trasformò dal 1952 nella dittatura personale del colonnello M. Pérez Jiménez, rovesciato nel 1958 dai militari, che un anno dopo restituirono il potere ai civili. Aggiudicatesi le elezioni, Betancourt promulgò una nuova Costituzione (1961) e avviò alcune moderate riforme. Le consultazioni del dic. 1968 furono vinte dal social-cristiano R. Caldera Rodríguez, che non si discostò troppo dai suoi predecessori. AD tornò al potere con C.A. Pérez Rodríguez (1974-79), la cui amministrazione beneficiò dell’aumento del prezzo internazionale del petrolio, consentendo una politica moderatamente progressista, culminata nella nazionalizzazione delle industrie del ferro (1975) e del petrolio (1976). A partire dal 1980 le condizioni economiche peggiorarono; la crisi fu affrontata dal governo del social-cristiano L. Herrera Campins (1979-84) e da quello di J. Lusinchi di AD (1984-89) con impopolari quanto inefficaci misure di austerità, mentre nel Paese riprendevano la protesta sociale e la minaccia del terrorismo di sinistra. Nel 1989 tornò alla presidenza Pérez con un programma economico ispirato al più intransigente liberismo, che causò lo scoppio di violente manifestazioni di protesta, duramente represse da polizia ed esercito. Accusato di appropriazione indebita, nel 1993 Pérez fu sospeso dall’incarico. Le successive elezioni furono vinte dall’ex presidente Caldera Rodríguez, il cui mandato fu caratterizzato da una forte instabilità sociale e da una grave crisi finanziaria. Nel 1998 divenne presidente il leader populista H. Chávez Frías, fondatore del Movimiento V República (MVR). Come prima misura l’Assemblea nazionale, strumento principale per l’attuazione della «rivoluzione pacifica» di Chávez, istituì una commissione con il compito di destituire i giudici corrotti ed emanò un nuovo regolamento del potere legislativo che sospendeva i poteri del Congresso. Un referendum nel 1999 approvò una nuova Costituzione che proclamò la nascita della Repubblica bolivariana del Venezuela. Venne soppresso il Senato e si incrementò il controllo da parte dello Stato delle risorse petrolifere; al presidente fu riconosciuta la possibilità di restare in carica per due mandati successivi di 6 anni ciascuno. Le elezioni presidenziali del 2000 fecero registrare un nuovo successo di Chávez e, mentre nel Paese si moltiplicavano gli scioperi, l’Assemblea nazionale concedeva al presidente nuovi poteri speciali. In un clima di forte scontro politico e sociale, nell’apr. 2002 un effimero colpo di Stato civile-militare rovesciò per poco più di 48 ore il presidente. Tornato al potere, Chávez riconquistò l’appoggio delle classi più povere e nel dic. 2006 fu rieletto con oltre il 60% dei consensi. Poco dopo annunciò un nuovo piano di nazionalizzazioni nel campo dell’energia e delle telecomunicazioni, ottenendo poteri straordinari dal Parlamento. Nel 2009 è stato abrogato per via referendaria il limite posto dalla Costituzione alla rielezione del presidente e di altre cariche istituzionali. Nelle elezioni parlamentari del 2010 il partito di Chávez ha ottenuto la maggioranza, ma non quella qualificata di due terzi necessaria per approvare alcuni tipi di riforme.