GONZAGA, Vespasiano
Nacque a Fondi, nel Regno di Napoli, il 6 dic. 1531. Suo padre era Luigi (detto Rodomonte per la sua prestanza fisica), figlio di Ludovico, signore di Sabbioneta, Bozzolo, Rivarolo Fuori (oggi Rivarolo Mantovano), Ostiano e della contea di Rodigo. Sua madre era Isabella Colonna, figlia di Vespasiano (duca di Traetto e conte di Fondi), che il 25 luglio 1526 aveva sposato in seconde nozze Giulia Gonzaga, sorella di Rodomonte.
Dopo la morte a Vicovaro di Luigi Rodomonte, la vedova, Isabella decise di trasferirsi nei feudi del marito con il figlio. Il 9 giugno 1533, giunse a Gazzuolo, dove fu accolta da Antonia del Balzo, madre di Ludovico e dunque bisnonna del Gonzaga. Il giorno seguente Isabella fu ospitata dal suocero a Sabbioneta, dove si trattenne alcuni giorni e ricevette la visita del duca di Mantova Federico. A Sabbioneta, Isabella però preferì Rivarolo, forse pensando di avere mano libera, dal momento che quel feudo era già stato ceduto al marito diversi anni prima. Si trasferì quindi là per reggere quelle terre come se fossero del tutto sue e quando vide limitati i suoi poteri dal suocero e dal cognato tentò di accordarsi con il duca di Mantova. Fallito questo tentativo ripartì per il Sud, alla volta di Fondi, che raggiunse nella primavera del 1534.
Nell'inverno del 1536, Isabella si risposò con Filippo di Lannoy, principe di Sulmona. Il nuovo matrimonio le fece perdere la tutela sul G.: Luigi aveva predisposto che, in caso di matrimonio di Isabella, la tutela del figlio dovesse passare al nonno Ludovico e allo zio Cagnino Gonzaga. Comunque il G. rimase ancora insieme con la madre finché rimase in vita il nonno, il quale, vicino alla morte, ordinò che il nipote fosse affidato alle cure di Giulia Gonzaga. La faccenda non mancò di sollevare aspre questioni e veniva a complicare rapporti già delicati.
Giulia, infatti, nel 1528 era stata nominata dal marito erede universale e tutrice di Isabella, la quale protestò immediatamente presso Carlo V, ma la causa si concluse a favore di Giulia. Appena avuto conferma di ciò, Giulia mandò Marcantonio Magno, un suo uomo di fiducia, in corte cesarea affinché l'imperatore confermasse al G. l'investitura sui suoi Stati in Lombardia e ne nominasse amministratori i cugini Ercole Gonzaga, cardinale, e il fratello di questo, Ferrante. La cosa fu ufficialmente suggellata con un diploma imperiale del 6 sett. 1541.
Il giovane G. passò dunque la sua infanzia a Napoli, dove viveva la zia, che si preoccupò della sua educazione. Giulia era diventata uno dei membri più importanti del gruppo di Juan de Valdés, di cui facevano parte anche Pietro Carnesecchi, Pietro Antonio Di Capua, Marcantonio Flaminio, Mario Galeota. È molto probabile che il G. sia venuto a contatto con questo mondo, tanto più che proprio all'inizio degli anni Quaranta Giulia e gli altri membri del gruppo furono attivamente impegnati nella diffusione del pensiero del maestro e Giulia stessa, dopo la morte del Valdés (luglio del 1541), aveva ereditato la sua biblioteca.
Nel 1545, a quattordici anni, il G. fu mandato come paggio d'onore a Valladolid, presso la corte dell'infante Filippo, il futuro re Filippo II. Nel 1548, quando Filippo si trasferì a Bruxelles per ricevere da Carlo V la corona dei Paesi Bassi e delle Fiandre, il G. era con lui ed era già diventato suo uomo di fiducia.
Prima di partire per la Spagna, gli era stata offerta la mano di Vittoria Farnese, figlia di Pierluigi e quindi nipote del papa, Paolo III. Giulia, che non vedeva di buon occhio questa unione, dati i contrasti tra le due famiglie, aveva evitato il matrimonio imponendo una dote spropositata e scoraggiando così il padre della sposa. Al G. fu data in moglie, nel 1549, Diana di Cardona, figlia di Beatrice di Luna e di Antonio, signore del marchesato di Giuliana e della baronia di Borgio (in Sicilia). Inizialmente Diana era stata promessa a Cesare, figlio di Ferrante Gonzaga, ma i rapporti tra loro si guastarono rapidamente e Diana fuggì da Milano (dove era ospitata presso la corte del governatore Ferrante) per tornare dalla madre. Solo allora si pensò al G. e si organizzò il matrimonio, che fu celebrato a Piacenza in gran fretta e segretezza, tanto che la madre di Diana ne fu informata solo a cose fatte. Anche la corte imperiale fu avvertita in ritardo dell'avvenimento e diede il suo assenso solo molti mesi dopo (nell'aprile del 1550), quando vi fu la certezza che non si potessero aprire contese.
Intanto il cardinale Ercole aveva rinunciato alla reggenza dei cinque Stati appartenuti a Ludovico a favore del Gonzaga. La carriera militare del G. iniziò l'anno successivo, quando accompagnò il cugino Ferrante all'assedio di Parma, dove il 12 giugno 1551 fu ferito durante un'azione di guerra. Guarito, partì per Napoli e da lì ritornò nelle sue terre in Lombardia.
L'anno successivo si recò a Innsbruck, dove l'imperatore aveva trasferito la corte per preparare l'esercito con il quale aveva intenzione di cacciare dal Piemonte Enrico II, re di Francia. Offerti i suoi servigi a Carlo V, il G. ottenne il comando di 400 cavalleggeri, sotto le insegne del principe di Sulmona suo patrigno, che aveva il titolo di capitano generale. Il G. si lasciò trascinare dalla foga e rischiò di morire in battaglia nella campagna dell'Astigiano.
La situazione delle finanze imperiali era critica e presto il G. fu costretto a pagare di tasca propria le truppe che comandava, per evitare ammutinamenti. Sciolto allora il suo gruppo, tornò a Sabbioneta, dove nell'estate del 1554 fece iniziare i lavori di ristrutturazione della città, dando avvio alla costruzione della cinta muraria.
Nel 1555 il G. era nuovamente sui campi di battaglia: l'imperatore questa volta gli aveva affidato il comando del contingente dei fanti italiani, mentre capitano generale era Fernando de Toledo, duca d'Alba. Prima meta del G. fu Volpiano.
La roccaforte, ancora in mano agli Spagnoli, era stata cinta d'assedio dai Francesi; da Volpiano, infatti, più volte le truppe imperiali, sotto la guida del napoletano Cesare Mai, avevano tentato di riconquistare Torino, cacciando i Francesi. In soccorso agli assediati fu mandato il G., che riuscì a rompere il blocco, a costo però di molte perdite (dei 400 uomini mandati alla carica, solo 100 riuscirono a entrare in città). Era una vittoria illusoria e il duca d'Alba si convinse a lasciare il campo, nonostante il G. lo spingesse ad attaccare Torino per impegnare i Francesi su più fronti e costringerli ad abbandonare l'assedio di Parma. Il duca d'Alba decise infatti di trasferire il teatro delle azioni militari dal Piemonte verso Sud, per impegnare le truppe pontificie di Paolo IV (allora alleato dei Francesi), che aveva sottratto Paliano a Marcantonio Colonna per darlo a suo nipote Giovanni Carafa. Il G. fu destinato a Bauco (oggi Boville Ernica), che costrinse a capitolare nell'inverno del 1556. Fu poi la volta di Anagni, conquistata senza spargimento di sangue il 16 sett. 1556: Torquato Conti, che la difendeva, fuggì nottetempo rendendosi conto di non poter resistere. Il G. si diresse quindi verso Tivoli, sapendo che là avrebbero trovato rifugio i Romani fuggiti da Anagni. Il 26 settembre la città si arrese alla vista delle truppe imperiali. La meta successiva fu Vicovaro, il castello dove era morto il padre Luigi, che il G. riuscì a conquistare con l'aiuto delle truppe del duca d'Alba. Gli occhi del G. erano ora puntati su Ostia, che proteggeva il porto del papa. La massiccia rocca triangolare che difendeva la città rendeva l'impresa assai rischiosa. Per attaccarla il duca d'Alba aveva fatto costruire un ponte di barche sul Tevere attraverso il quale furono mandati all'assalto i fanti del G., che il 17 nov. 1556 sferrarono l'attacco decisivo e, pur non riuscendo a entrare nella città, lasciarono i nemici così indeboliti da deciderli a trattare la resa. Caduta Ostia, il papa si decise a chiedere una tregua.
La guerra non era però ancora finita e il duca d'Alba, che aveva ordinato di rafforzare le opere di fortificazione nell'Italia meridionale, mandò nel 1557 il G. a Nola per organizzarne le difese. Nel maggio il G. fu chiamato a Pescara, dove riuscì a bloccare il passo ai contingenti francesi in marcia verso Sud. Ormai tra Filippo II e il papa erano cominciate le trattative per la pace (che si concluse il 13 sett. 1557) e così il G. poté tornare a Sabbioneta.
La guerra finiva e si chiudeva un'epoca: Carlo V lasciava al figlio Filippo il Regno di Spagna e contemporaneamente abdicava anche dal titolo imperiale a favore del fratello Ferdinando. Nel gennaio del 1558 il G. lasciò i suoi feudi alla volta delle Fiandre per rendere omaggio a Filippo II da poco incoronato re di Spagna e, contemporaneamente, mandò un suo procuratore, Anello Carafa, presso la corte imperiale per rinnovare il giuramento di fedeltà a Ferdinando, il nuovo imperatore.
Da Filippo II il G. ottenne di entrare nel novero dei grandi di Spagna e la conferma del comando della fanteria italiana con uno stipendio di 1500 ducati d'oro all'anno. L'imperatore a sua volta, con un diploma del 4 ag. 1558, confermò tutte le concessioni del Gonzaga.
Il 9 nov. 1559, dopo il ritorno del G. nella sua città, la moglie morì: sospettata di infedeltà, Diana fu probabilmente uccisa, insieme con il suo presunto amante, Giovanni Annibale Raineri, dallo stesso Gonzaga. La causa ufficiale della morte fu un colpo apoplettico, come scrive il G. alla zia Giulia: "è piaciuto a Dio chiamare a sé mia moglie all'improvviso di apoplesia, secondo la nominano, senza che pur potesse esprimere una parola".
Tra il 1559 e il 1564 il G. si trattenne in Italia continuando i lavori che avrebbero trasformato il piccolo borgo medievale di Sabbioneta nella "piccola Atene dei Gonzaga". Chiamò infatti l'architetto Girolamo Cattaneo di Novara per pianificare i lavori di fortificazione della città improntati sulle opere di Vitruvio. Tra il 1560 e il 1562 fu ultimata la porta Vittoria, il primo dei due ingressi realizzato a Sabbioneta, aperta sulla strada per Cremona. La città fu strutturata in trenta insulae urbane omogenee tra loro, divise secondo un rigido schema ortogonale: due arterie perpendicolari tra loro (il cardo e il decumano delle antiche città romane).
Sabbioneta è indubbiamente il risultato di una progettazione integrale dovuta al G., che volle costruire la sua Roma, della quale egli stesso era il conditor e l'imperator. Terminata la porta Vittoria, il G. impose ai sudditi benestanti di abitare in città, come recita un proclama del 27 sett. 1562. Contemporaneamente, in virtù delle concessioni di cui godeva, aprì una zecca, che affidò alla direzione dell'orafo Andrea Cavalli, e iniziò a battere moneta. Infine chiamò a Sabbioneta Mario Nizzoli (o Nizolio) di Brescello perché tenesse lezione di lingue classiche. Allo stesso tempo vietava agli abitanti dello Stato di "metter fuori di casa alcuno suo figliolo per attendere alle lettere di humanità in altro loco che nel studio nostro di Sabbioneta in pena di scudi duecento d'oro d'Italia". Agli studenti, invece, era riconosciuta l'esenzione da ogni tipo di dazio e gabella.
In quegli anni era stata affidata al G. la tutela di Pirro e Scipione Gonzaga, figli di Carlo (suo cugino e appartenente al ramo di San Martino). Era loro proprietà parte del terreno di Commessaggio, che occupava una posizione strategica di non secondaria importanza.
Il G. aprì immediatamente un contenzioso cercando di spodestare i cugini, che si rivolsero prima al cardinale Ercole e, dopo la sua morte, all'imperatore in persona. Il G. portò avanti per anni la disputa, finché, nel 1567, non ottenne quello che desiderava. È del 1583 il torrione - ancora esistente - fatto costruire dal G. per controllare il ponte sul Navarolo.
Nel 1564 il G. tornò in Spagna, presso la corte di Filippo, e là sposò, l'8 maggio, Anna d'Aragona, pronipote di Arrigo, il fratello di Ferdinando il Cattolico. A differenza del precedente matrimonio, questa unione fu subito feconda e il 13 genn. 1565 nacquero due bambine: Giulia, che morì poco tempo dopo, e Isabella. Il 27 dic. 1566 Anna partoriva il sospirato erede maschio, Luigi. Il 19 aprile di quell'anno il G. aveva perso la zia Giulia, di cui egli fu erede universale.
Il matrimonio con Anna d'Aragona fu di breve durata: la sposa morì nella fortezza di Rivarolo nell'agosto del 1567. Anche su questa morte gravano pesanti dubbi sulle responsabilità del G. che, geloso, rinchiuse Anna nel castello e, pare, la fece morire di stenti.
Intanto dopo la morte dell'imperatore Ferdinando I era stato eletto Massimiliano II, al quale il G. chiese di elevare lo stato di Sabbioneta da signoria a marchesato, rendendolo quindi dipendente esclusivamente dal Sacro Romano Impero. L'imperatore accolse la richiesta con un diploma del 5 maggio 1565. I favori di cui il G. godeva presso gli Asburgo fecero sì che, il 18 nov. 1577, il piccolo Stato fosse poi elevato a ducato.
Nel 1567 il G. andò a Casale Monferrato su richiesta del cugino duca Guglielmo, per sedare le rivolte contro i Gonzaga.
All'inizio di settembre del 1568 il G. partì per la Spagna; in ottobre faceva il suo ingresso a Madrid.
Nel gennaio del 1569 si ribellarono i Mori dell'Andalusia, che presero a saccheggiare i borghi e i paesi della Sierra Nevada in attesa che dall'Africa settentrionale giungessero rinforzi. Spaventato dalla situazione, Filippo II mandò in Andalusia il fratellastro don Giovanni d'Austria e Ferrante Gonzaga, con l'ordine di ridurre in schiavitù i Mori ribelli. Nel gennaio del 1570 si trasferì egli stesso a Cordova in modo da coordinare meglio le operazioni. Era con lui il G., al quale erano stati affidati i giovani arciduchi d'Austria, Rodolfo ed Ernesto, figli dell'imperatore. Il G. fu poi mandato a Cartagena, per fortificarne città e porto, dove restò quattro mesi.
Nel 1571 tornò a Madrid da dove ripartì per la Navarra, di cui era stato nominato viceré. La Navarra era una regione di confine, esposta agli attacchi nemici via mare e via terra (dalla costa di Guascogna). Compito del G. era proprio quello di rendere più sicure le sue piazzeforti in terra e sul mare. Cominciò da Pamplona, dove eresse una cittadella e un ospedale per ricoverare i soldati, passò in seguito a Fonterrabía e quindi a San Sebastian. Fu poi Filippo II a ordinargli di recarsi a Orano (Algeria) per munire anche quella piazzaforte in modo da proteggere le coste meridionali della Spagna dagli attacchi dei corsari barbareschi. Finiti gli impegni come viceré di Navarra, il re di Spagna lo nominò viceré di Valenza. Anche in quelle terre si impegnò a rendere più sicure le coste, meta dei corsari musulmani.
Dopo dieci anni di permanenza in Spagna, il G. tornò nella sua Sabbioneta il 12 ag. 1578.
Nel gennaio del 1580, il figlio Luigi morì a causa delle percosse inflittegli dal G., che lo aveva punito per non essersi rivolto a lui con il dovuto rispetto. Rimasto senza erede, il G. si risposò il 6 maggio 1582 con Margherita Gonzaga, figlia di Ferrante (II). Continuando a mancare il figlio maschio, il G. si decise a fare sposare l'unica figlia, Isabella, con Luigi Carafa, principe di Stignano. Il matrimonio fu celebrato a Bozzolo il 29 nov. 1584.
Nel settembre del 1585, il re di Spagna e l'imperatore gli concedettero l'ambito Ordine del Toson d'oro.
Da tempo i reali desideravano dare il Toson d'oro al G.; si opponevano però gli altri membri di casa Gonzaga, come si apprende da una lettera che il cardinale Ercole scrisse a monsignor Gomez: "il signor Cesare in casa nostra è di molto maggior grado et autorità che non il signor Vespasiano et questo Vostra Signoria illustrissima può facilmente vedere perché quando mancassero tre o quattro di questo mio sangue il signor Cesare sarebbe duca di Mantova et per far che riuscisse il signor Vespasiano, bisogneria che ne morissero più di dieci" (Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 1932, 25 maggio 1559).
Il G. morì a Sabbioneta il 26 febbr. 1591, il giorno dopo aver fatto testamento, nel quale aveva nominato la figlia Isabella erede universale. Le sue spoglie furono tumulate nella cappella privata, la chiesa dell'Incoronata, da lui fatta costruire tra il 1586 e il 1588.
Il nome del G. è fortemente legato a Sabbioneta, la "città ideale" che non riuscì a sopravvivere alla morte del suo artefice. Intorno alla piazza ducale il G. fece costruire i palazzi che rappresentavano il potere che egli incarnava: il palazzo ducale (iniziato nel 1554 e portato a termine nel 1590), il palazzo della Ragione e la chiesa parrocchiale dell'Assunta (completata tra il 1580 e il 1582). Il casino del Giacinto (iniziato nel 1577 e terminato nel 1588), la galleria degli Antichi (o Corridor grande, finito nel 1584) erano invece gli spazi privati del principe, i luoghi dello svago e dell'ozio. Nel Corridor grande infatti, il G. aveva raccolto la sua collezione di marmi e di busti antichi di cui andava particolarmente fiero. Altro luogo di svago era il teatro (costruito da Vincenzo Scamozzi in soli due anni, tra il 1588 e il 1590). Voluto dal G. sul modello del teatro Olimpico del Palladio (di cui lo Scamozzi era un allievo), il teatro di Sabbioneta è un vero e proprio unicum per il suo tempo. Studiato appositamente per le funzioni sceniche, fu costruito secondo una rigida organizzazione gerarchica dello spazio: il loggiato era accessibile solo al G. e alla sua corte, che dall'alto dominava i sudditi, seduti nella cavea, e la sua città, rappresentata fedelmente nella scena.
Grazie all'effetto prospettico dell'affresco sulla parete del loggiato, gli spettatori, dal basso, avevano l'impressione che il G. giungesse direttamente dalla Roma dei Cesari.
Due sono le statue più note del G., realizzate mentre egli era ancora in vita: quella bronzea di Leone Leoni, che rappresenta il G. seduto, si trova nella chiesa dell'Incoronata nel suo mausoleo funebre (ma in origine era davanti al palazzo ducale): l'iconografia richiama molto da vicino il Marco Aurelio capitolino, a cui il Leoni si ispirò. L'altra è in legno policromo ed è ospitata nella Sala delle Aquile del palazzo ducale. Fa parte di un complesso scultoreo in legno, di cui si sono conservate solo le statue di Ludovico, marchese di Mantova, Gianfrancesco conte di Rodigo, Luigi, padre del G., e del G. stesso. Si tratta di statue equestri, probabilmente scolpite prima del 1589: quella del G. fu sicuramente eseguita dopo il 1585, dal momento che lo rappresenta con il Toson d'oro al collo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, bb. 1932, ff. 177-193; 1945, libri II-III; Guastalla, Biblioteca comunale, Fondo Davolio-Marani e Fondo Gonzaga: C. D'Arco, Famiglie mantovane…; I. Affò, Vita di Luigi Gonzaga detto Rodomonte, Parma 1780; Id., Vita di V. G., ibid. 1780; Id., Vita di Giulia Gonzaga, Venezia 1781; F. Amadei, Cronaca universale della città di Mantova, a cura di G. Amadei - E. Marani - G. Praticò, II, Mantova 1955, pp. 559-561, 596 s.; III, ibid. 1956, pp. 39-55; G. Faroldi, Vita di V. G. duca di Sabbioneta, in Sabbioneta e V. G., a cura di E. Marani, Sabbioneta 1977; P. Carpeggiani, Sabbioneta, Quistello 1977; A. Gozzi - A. Medici, Città dei Gonzaga, Milano 1993; G. Casalis, Diz. geogr.-stor.-commerciale degli Stati di s.m. il re di Sardegna, III, Torino 1836, pp. 695 ss. (s.v. Casale); XXVI, ibid. 1854, pp. 601 ss. (s.v.Volpiano); G. Gosellini, Compendio storico della guerra di Parma e del Piemonte (1548-1553), in Miscellanea di storia italiana, XVII (1878), 2, pp. 121-256 passim; P. Carpeggiani, Sabbioneta, Quistello 1977, pp. 33-110; Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, IV, 1, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, Roma 1987, p. 148 n. 1; S. Pagano, Il processo di Endimio Calandra e l'Inquisizione a Mantova nel 1567-1568, Città del Vaticano 1991, ad indicem; Accademia nazionale Virgiliana di scienze, lettere ed arti, V. G. e il ducato di Sabbioneta. Atti del Convegno, Sabbioneta - Mantova… 1991, a cura di U. Bazzotti - D. Ferrari - C. Mozzarelli, Mantova 1993; G. Malacarne, Feste, giostre, danze, commedie per il signore di Sabbioneta V. G. Colonna, in Civiltà mantovana, XXXVI (2001), 112, pp. 109-113.