Gioberti, Vincenzo
Benché il G. non abbia, se non nelle giovanili Chiose alla Commedia (1821-23), trattatto espressamente di D. (disegnò, infatti, ma non scrisse un libro su questo tema), pure l'interesse per il poeta, la cui opera gli apparve sempre il frutto più alto della fantasia umana, la sola per profondità religiosa paragonabile alla Bibbia, fu vivo e continuo nella sua attività di filosofo e d'ideologo: dal trattato Del Bello (1841), al Primato morale e civile degli Italiani (1843), al Gesuita moderno (1848), al Rinnovamento civile d'Italia (1851), per nón citare che le opere più famose, il nome di D. compare come un motivo costante di riflessione e di entusiasmo. I giudizi spesso originali e acuti, anche se viziati da un'enfasi non sempre dominata, non possono unirsi in una silloge fuori delle opere a cui appartengono, senza perdere qualcosa del loro significato e della loro suggestione: in pochi, infatti, come nel G. i predominanti interessi speculativi e politici condizionano fortemente la critica. Del resto il significato complessivo del dantismo giobertiano non è nei risultati generali o particolari acquisiti agli studi, ma è nella nuova passione politica e morale che lo anima, in quello spirito risorgimentale, che per la sua schiettezza diventa forza di penetrazione storica, anche se talora non evita la partigianeria e la sovrapposizione del nuovo all'antico. Tuttavia non si può restringere a una sia pur nobile pubblicistica l'operosità del G. intorno a D.: era, in primo luogo, la vivace reazione di fronte alla Commedia di una personalità ricca di studi e di letture, il lavorio di un ingegno che in quell'alta voce di poesia veniva scoprendo il suo ideale della poesia e in quel complesso mondo di pensiero vedeva come garantite le scelte fondamentali della sua speculazione.
Con grande sicurezza il G. appena ventenne intuisce che la grandezza di D. è nella somma fantasia, che si rivela fin nella topografia fisica dell'oltremondo felicemente corrispondente alla dottrina morale, e nella religiosità che fa del poeta il discepolo non di Virgilio ma delle Scritture. Dal Gozzi deriva l'accostamento fra D. e Omero, esasperandolo nella ricerca di un parallelismo fra l'Iliade e l'Inferno da una parte e l'Odissea e il Paradiso dall'altra, e scorgendo nella seconda coppia di opere i segni di un'eguale stanchezza della genialità creatrice. Ma poi il giudizio si articolerà con una più morbida aderenza al carattere del Purgatorio e del Paradiso, la cui poesia sarà considerata adatta alle quiete riflessioni della maturità e della vecchiaia, mentre l'Inferno resterà la cantica prediletta da ogni fervida giovinezza. Notevole nel clima romantico, meno disponibile alla poesia dell'intelligenza che a quella della passione, l'atteggiamento del G. verso il Paradiso: nella Protologia è così fissata una caratteristica fondamentale della poesia dantesca e in particolare dell'ultima cantica: " Dante afferra sempre il lato ideale delle cose e mentalizza il sensibile... La mentalità del sensibile brilla sovra tutto nel Paradiso. Il moto, il suono o canto e la luce vi sono adoperati come termini anziché come simboli dell'intellegibile ". Le Chiose al poema rappresentano una novità proprio nel loro accantonare ogni questione esegetica e nel puntare verso la poesia nella sua ricchezza espressiva, psicologica e umana. Non si tratta solo di un più o meno felice impressionismo basato su un gusto sicuro e nutrito di vastissime letture di poeti antichi e moderni. Servendosi degli strumenti dell'antica retorica, ma non irrigidendo il discorso nell'astrattezza delle classificazioni, il G. mira a fissare le peculiarità dello stile poetico di D.: dall'efficacia rappresentativa delle comparazioni, alle brachilogie potenti e pittoresche, alla varietà degli attacchi, alla rapidità dei passaggi. Continui sono i riferimenti ad altri poeti e scrittori: Petrarca, Ariosto, Tasso, Parini, Alfieri, Shakespeare, Milton, Klopstock, Bossuet. Non si tratta di una critica dei paralleli o delle fonti; nell'esuberanza di una giovinezza aperta a varie esperienze culturali si avverte che il G. veniva chiarendo a sé stesso le ragioni delle sue preferenze, che impegnavano il suo gusto e insieme il suo mondo intellettuale e umano: si pensi, per esempio, all'intiepidirsi del suo culto per l'Alfieri, pur sinceramente ammirato, perché nel confronto con D. gli si svela povero di quell'afflato etico e religioso e di quella scienza che costituiscono la grandezza di ogni poesia; o si pensi alla contrapposizione D.-Ariosto (già limpidamente formulata nel saggio giovanile Ariosto, Dante, Tasso e poi ripresa nel Primato e nella Protologia) che non è la contrapposizione di due stili o di due fantasie, ma la scoperta che i due poeti sono i più compiuti celebratori dei due diversi momenti del reale, quello trascendente e quello mondano. Se il contatto con diverse voci di poesia contribuisce in un intelletto speculativo all'approfondimento del pensiero estetico, da questo approfondimento deriva poi nuova luce alla penetrazione della poesia. Ai G. era apparso difetto fondamentale della Commedia e fonte di ogni altro difetto l'unione di scienza e poesia; ma poi egli si convince che teologia, poesia e filosofia non solo non si escludono a vicenda, anzi possono integrarsi e armonizzarsi: allora la scienza di D. gli si svela non più l'ostacolo bensì il nutrimento di quella robusta fantasia e può concludere nel trattato Del Bello che " Dante non avrebbe potuto essere il massimo poeta e scrittore, se non fosse stato eziandio filosofo e teologo insigne ". Per altre vie, credendo nella metafisica in cui credeva D., anzi scoprendo nella metafisica cristiana la base di una filosofia che poteva opporsi alle aporie del sensismo e dell'idealismo, il G. giungeva a una conclusione non diversa da quella a cui era giunto il laico Foscolo: il poema dantesco non s'intende fuori della " vera e profonda religione " che lo anima. Anche questo era in definitiva un invito a studiare le opere di D. in relazione alla storia e alla spiritualità del Medioevo.
Nella riflessione intorno alla poesia di D. il G. reca inoltre gli stimoli e le suggestioni che gli derivano dalla posizione assunta nelle contemporanee polemiche letterarie e politiche. La volontà di trovare una mediazione dialettica fra le opposte tesi dei classicisti e dei romantici lo porta a individuare nel tessuto storico della civiltà italiana la presenza di tre elementi, quello romano, quello barbarico e quello cristiano. Ora già in D., " l'Omero della letteratura cristiana ", egli scopre una felice sintesi di questi tre elementi e il rispetto più vivo della tradizione greco-romana accompagnato alla profonda ispirazione cristiana: D., dunque, è il poeta che ha superato ante litteram le antinomie delle due scuole moderne e interpretato lo spirito della tradizione nazionale.
Le tesi più note del G. dantista sono quelle legate al suo sogno e alla sua delusione neo-guelfa. A un certo momento D. gli era apparso il celebratore del primato del pontefice e delle garanzie di pace e di civile progresso che possono venire dall'esercizio del potere temporale affidato a chi si trovi al di sopra degli altri principi della terra. Ma, dopo il fallimento della guerra federale, il G. si accosta all'interpretazione laica del pensiero politico di D., il cui centro è proprio nella distinzione chiaramente posta, contro i canonisti teocratici, dei due poteri, quello spirituale e quello temporale.
Opere dantesche del G.: La Divina Commedia... con le chiose di V.G., Napoli 1866 (le Chiose risalgono al 1821-'23); Del Bello, in Enciclopedia italiana diretta da A.F. Falconetti, IV, 1841; Del Primato morale e civile degli Italiani, Bruxelles 1843; Il gesuita moderno, Losanna 1846-47; Del rinnovamento civile d'Italia, Parigi 1851; Della Protologia, a c. di G. Massari, Torino 1857; Pensieri di V.G., Miscellanee, a c. di G. Massari, ibid. 1857; Studi filologici, a c. di D. Fissore, ibid. 1867.
Bibl. - Oltre alle pagine dei noti saggi del De Sanctis, del Gentile, del Croce, dell'Omodeo, dell'Anzilotti, dello Stefanini, Si vedano: A. Faggi, V.G. esteta e letterato, Palermo 1901; V. Piccoli, L'estetica di V.G., Milano-Roma 1917; G.A. Borgese, Storia della critica romantica in Italia, Milano 1920; C. Sgroi, L'estetica e la critica letteraria di V.G., Firenze 1921; C. Calcaterra, Gli studi danteschi di V.G., in D. e il Piemonte, Torino 1922, 39-256; M. Marcazzan, D. nel pensiero del G., in " Humanitas " XIV (1959) 352-367.