VITERBO
Durante la prima metà del XIII sec. tra Viterbo e Federico II si stabilì un legame asimmetrico. Per l'imperatore la città rappresentava un punto strategico da controllare in un disegno più vasto, esteso a tutta l'Italia centrosettentrionale. Viterbo era importante innanzitutto per la sua posizione geografica: dalla città si dominava il tratto della Via Cassia che collegava l'Italia centrale al Nord. Quindi per il suo peso politico: Viterbo era la più importante città del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, regione chiave di quello che i papi consideravano il loro stato. Infine, la città era vicina a Roma e poteva essere un'efficace base di appoggio per minacciare militarmente sia il comune romano che i pontefici. L'orizzonte politico dei viterbesi invece era assai più limitato. Per loro era essenziale garantirsi l'autonomia della città dagli aggressivi vicini, i romani, e dalle ambizioni di dominio dei loro formali sovrani, i papi. La presenza intermittente dell'imperatore nella regione rappresentava per i viterbesi una variabile in più, da utilizzare contro i nemici se possibile, da cui difendersi se necessario.
Quando Federico II assurse all'Impero, Viterbo era da tempo una città in piena espansione. Già dalla fine dell'XI sec. i viterbesi diedero segni di voler rivendicare la propria autonomia nella regione. Nei primi decenni del secolo successivo la popolazione cittadina aumentò notevolmente, nuovi spazi oltre la prima cinta muraria furono urbanizzati. A partire dalla metà del XII sec. i viterbesi si sentirono sufficientemente forti da iniziare un'aggressiva espansione sul territorio circostante. In poco tempo riuscirono a controllare una vasta area, che si estendeva ben oltre i limiti originari della loro diocesi (creata tardivamente, nel 1193, dall'accorpamento delle diocesi di Toscanella, Bieda e Centocelle). I confini del territorio dominato dalla città erano segnati a sud-ovest da Vetralla, a nord da Montefiascone, a est dalla valle del Tevere. Infine, i viterbesi si garantirono un accesso indiretto al mare attraverso Montalto. Durante il regno del padre di Federico II l'espansione territoriale del comune così come la sua progressiva organizzazione interna non trovarono ostacolo in vincoli di subordinazione all'autorità imperiale. Sotto Enrico VI (1167-1197) la Tuscia era stata governata nominalmente dal fratello del sovrano, Filippo di Svevia duca di Toscana. A quei tempi la dominazione sveva consisteva soprattutto nella nomina di alcuni ufficiali e nella richiesta di aiuti militari durante le campagne militari contro avversari locali o i riottosi comuni del Settentrione. In cambio i viterbesi si garantivano la tutela dalle eccessive intromissioni del loro naturale signore, il papa, e la protezione dalle mire espansionistiche del comune romano. Alla morte dell'imperatore comunque i cittadini ritennero più vantaggioso svincolarsi dal legame con l'Impero, assai indebolito dalla minore età dell'erede Federico di Svevia. Si ribellarono dunque al duca di Toscana. Ben presto però sperimentarono il peso dell'alternativa rappresentata dalla tutela pontificia. La tradizione ghibellina della città infatti aveva favorito la diffusione di idee religiose in contrasto con la dottrina di Roma. Approfittando del riavvicinamento della città al papato, Innocenzo III (1198-1216) avviò una campagna di lotta all'eresia che condusse personalmente durante i quattro mesi del suo soggiorno viterbese nel 1207. Il pontefice cercò di blandire la cittadinanza assegnando alla ricostruzione delle mura un terzo dei beni confiscati agli eretici. Di fatto però, dopo aver invalidato l'elezione dei consoli (1205), limitò l'autonomia comunale favorendo la presenza di una serie di podestà provenienti dalla rivale Roma. Anche il successore Onorio III (1216-1227) favorì l'Urbe a danno dei viterbesi. Nel 1223, a seguito di una sconfitta militare della città, il papa appoggiò la pretesa dei romani d'imporre sempre dei loro concittadini come podestà locali.
Già da qualche anno Viterbo aveva riannodato legami con il nuovo imperatore. Negli anni 1220 il vicario imperiale in Toscana, Gunzelino di Wolfenbüttel, sostenne più volte Viterbo offrendo aiuti militari contro le offensive dei romani e ricevendone in cambio l'adesione della città alla parte imperiale. Il legame tra la città e l'imperatore si strinse ancor più nel momento in cui anche il papa sembrò appoggiarsi a Federico. Quando nel 1235 Gregorio IX (1227-1241) trovò rifugio nella città, allontanandosi prudentemente dai romani ostili al pontefice, i viterbesi sembravano saldamente inseriti nel sistema militare imperiale. In quello stesso anno, sostenuti dalla truppe imperiali, inflissero una severa sconfitta ai romani: nel mese di marzo i cittadini dell'Urbe furono costretti ad accettare accordi di pace che svincolavano Viterbo dai tradizionali legami di vassallaggio con Roma. La vittoria di Federico II sulle città lombarde ribelli a Cortenuova nel 1237 consolidò ulteriormente l'autorità imperiale anche sulla città laziale. Neanche il deteriorarsi delle relazioni tra il papa e l'imperatore, con il rinnovo della scomunica pontificia nel marzo del 1239, scalfì il legame di Federico con i viterbesi. In questi anni l'imperatore esercitò la sua autorità a Viterbo soprattutto tramite podestà da lui scelti. Nel 1231 aveva inviato in città Rinaldo di Acquaviva come capitano militare. L'anno successivo il capitano venne nominato podestà. Nel 1235, svanita l'effimera pace promossa da Gregorio IX (v. San Germano [1230],Pace di), fu nuovamente un capitano imperiale, Guglielmo da Fogliano, a ricoprire la carica podestarile. A partire dal 1239, infine, i podestà di Viterbo furono funzionari scelti dall'imperatore e spesso provenienti dal Regno. La presenza di un podestà imperiale integrò ancora di più Viterbo nella rete politica e militare che Federico II stava tendendo sull'Italia centrale. Significativamente, dal 1240 al 1243 il conte Simone di Chieti ricoprì contemporaneamente la carica di podestà di Viterbo e capitano generale dell'Impero nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia. La presenza imperiale modificò anche gli equilibri tra le istituzioni della città. Durante la signoria di Federico infatti scomparve la magistratura del balivo del comune, espressione delle corporazioni di mestiere. Svaniva così la "reciproca integrazione tra organizzazione corporativa e comune" che si era compiuta nei decenni anteriori al 1237 (Kamp, 1963, p. 47).
Alle soglie del 1240 Viterbo si attestò sempre più saldamente dalla parte imperiale nel conflitto tra il papa e Federico II. L'imperatore esercitò direttamente la signoria durante il suo breve soggiorno in città nel febbraio 1240, reduce dalle vittorie in Lombardia. In quell'occasione concesse ai viterbesi il diritto di indire una fiera annuale ogni mese di settembre e quello di battere moneta. Quest'ultimo privilegio era legato alla costruzione di un palazzo imperiale a spese dell'imperatore. A tal fine nel 1242 i procuratori imperiali acquistarono terreni nella contrade di S. Giovanni in Zoccoli e S. Maria in Poggio, ovvero nella zona ovest della città presso Porta della Verità. L'avvento al soglio pontificio di papa Innocenzo IV (1243-1254) nel giugno del 1243 infine sembrò favorire una soluzione del conflitto, aprendo le trattative per l'annullamento della scomunica. Ma fu proprio l'approssimarsi della pacificazione a provocare una traumatica rottura del legame tra Federico e la città. Per turbare le trattative ed evitare un accordo definitivo tra il papa e l'imperatore, il cardinale viterbese Raniero Capocci (v. Ranieri di Viterbo) organizzò una rivolta antimperiale in città. Il 9 settembre del 1243, con l'aiuto del conte palatino Guglielmo di Tuscia, dei viterbesi ostili alla dominazione imperiale e di militi provenienti da Orte e Todi il cardinale rovesciò il regime filoimperiale. La guarnigione imperiale e i principali sostenitori di Federico II furono costretti a rifugiarsi nella rocca. Federico reagì immediatamente: organizzò un'armata e dalla Puglia si precipitò ad assediare la città sfuggita al suo controllo; ma l'assedio si rivelò inutile, la città inespugnabile. Allora Federico raggiunse un accordo con il pontefice: avrebbe tolto l'assedio in cambio di un salvacondotto per i suoi partigiani rimasti in città. Il pontefice inviò a Viterbo il cardinale Ottone di S. Nicola, simpatizzante imperiale, per far rispettare l'accordo. Una volta usciti dalla rocca però i filoimperiali furono attaccati e massacrati dai viterbesi istigati da Raniero Capocci. Fu un grave affronto all'imperatore. Secondo la polemica testimonianza del cardinale, Federico II accecato dall'ira avrebbe esclamato: "Se anche avessi già un piede in paradiso, e io lo ritrarrei, pur di potermi vendicare di Viterbo!" (cit. in Kantorowicz, 1994, p. 315).
Falliti gli accordi con il pontefice e fuggito Innocenzo stesso a Lione, nel 1247 Federico II si prese la sua rivincita. Nel maggio di quell'anno le truppe imperiali comandate da Vitale da Aversa assediarono nuovamente Viterbo. Dopo poche resistenze la città si arrese e ancora una volta conferì la signoria all'imperatore. Formalmente i viterbesi riconobbero l'autorità di Federico II fino alla sua morte nel 1250. La seconda dominazione imperiale però fu meno stretta della precedente. I podestà cittadini, per quanto nominati dall'imperatore, non furono più regnicoli ma reclutati nell'Italia centrale e accanto al podestà imperiale riapparvero i balivi del comune, segno che le corporazioni cittadine questa volta ebbero maggiore peso nel governo cittadino. Viterbo dunque si avviava a riacquistare più stabilmente l'autonomia che le alterne vicende della fortuna imperiale avevano a tratti offuscato. Morto Federico II, nel 1252 i viterbesi conclusero una pace con Innocenzo IV. Ne riconobbero la suprema autorità e subito ottennero dal papa di poter scegliere in piena autonomia gli ufficiali del comune. Sulle macerie delle sedici torri distrutte durante la ribellione antimperiale del 1243 i viterbesi iniziarono ad ampliare il palazzo vescovile per trasformarlo in residenza pontificia.
Fonti e Bibl.: C. Pinzi, Storia della città di Viterbo, I, Roma 1887; G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, I, Viterbo 1907; D. Waley, The Papal State in the Thirteenth Century, London 1961, pp. 125 ss.; N. Kamp, Istituzioni comunali in Viterbo nel Medioevo, I, Consoli, Podestà, Balivi e Capitani nel secoli XII e XIII, Viterbo 1963; Atti del Convegno di Studio VII Centenario del I Conclave (1268-1271), ivi 1975; N. Kamp, Capocci, Raniero, in Dizionario Biografico degli Italiani, XVIII, Roma 1975, pp. 608-116; D. Abulafia, Federico II. Un imperatore medievale, Torino 1990, pp. 297 ss.; E. Kantorowicz, Federico II, imperatore, Milano 1994, pp. 314 ss.; G.M. Radke, Viterbo. Profile of a Thirteenth-Century Papal Palace, Cambridge-New York-Melbourne 1996, pp. 17 ss.; S. Menzinger, Viterbo 'città papale': motivazioni e conseguenze della presenza pontificia a Viterbo nel XIII secolo, in Itineranza pontificia. La mobilità della curia papale nel Lazio (secoli XII-XIII), a cura di S. Carocci, Roma 2003, pp. 307 ss.; A. Pagani, Viterbo nei secoli XI-XIII: spazio urbano e aristocrazia cittadina, Manziana 2003.