Vivement dimanche!
(Francia 1983, Finalmente domenica!, bianco e nero, 111m); regia: François Truffaut; produzione: Films A2, Les Films du Carrosse, Soprofilms; soggetto: dal romanzo The long Saturday night di Charles Williams; sceneggiatura: François Truffaut, Suzanne Schiffman, Jean Aurel; fotografia: Nestor Almendros con la collaborazione di Florent Bazin, Tessa Racine; montaggio: Martine Barraqué, Marie-Aimée Debril, Colette Achouche; scenografia: Hilton McConnico; musica: Georges Delerue.
Nel corso di una battuta di caccia nei pressi di Hyères, in Provenza, Claude Massoulier viene assassinato. Il primo sospettato è Julien Vercel, proprietario di un’agenzia immobiliare e marito di Marie-Christine, che aveva una relazione con la vittima. Julien, che quella mattina si trovava a caccia nella stessa zona, viene prelevato dalla polizia e rilasciato soltanto grazie all’intervento dell’avvocato Clément, ma – tornato a casa dopo l’interrogatorio – trova il cadavere di sua moglie e decide di darsi alla clandestinità. Chiede così aiuto alla sua intraprendente segretaria Barbara, subito convinta della sua innocenza, nonostante la mattina stessa l’uomo, spinto dalla gelosia della moglie, avesse deciso di licenziarla. La donna, attrice dilettante, interrompe le prove a teatro per seguire Julien e, contro la volontà dell’uomo, si reca a Nizza, dove Marie-Christine aveva passato le sue ultime notti, per cercare di capire cosa è realmente accaduto. Qui scopre che un’agenzia privata sta facendo un’indagine sulla donna e che questa prima del matrimonio non lavorava come estetista, ma in un equivoco night club, L’ange rouge. Al ritorno da Nizza Barbara, pur scontrandosi con Julien, furioso per la sua imprudenza e desideroso di agire in prima persona, è decisa a continuare le indagini: seguendo le tracce di alcune telefonate anonime, individua anche a Hyères un locale dallo stesso nome, L’ange rouge. Travestita da prostituta, la donna riesce a intrufolarsi nel night, dove assiste casualmente all’omicidio del proprietario Louison, senza però riuscire a scorgere l’assassino. Quando torna all’agenzia dove Julien si nasconde, i due si dichiarano il loro amore. L’uomo, rassegnato, vorrebbe costituirsi sebbene innocente, ma è la stessa Barbara che mette la polizia sulle sue tracce, poiché ha scoperto la verità e ideato uno stratagemma. Durante la deposizione al commissariato, Clément, convocato in qualità di avvocato di Julien, comincia a dare segni di nervosismo di fronte alla notizia – inventata a bella posta da Barbara – che presso l’agenzia di investigazioni Lablanche di Nizza è stata ritrovata la lettera d’incarico per indagare su Marie-Christine. La richiesta infatti era proprio di Clément, il quale, ancora innamorato della donna con cui aveva avuto una relazione, dopo aver assassinato per gelosia il suo nuovo amante, aveva ucciso sia Marie-Christine sia Louison che, scoperta la verità, lo stava ricattando. Clément, accerchiato dalla polizia, dichiara di aver fatto tutto nella sua vita solo per amore delle donne, «perché mi è sempre piaciuto guardarle, toccarle, respirarle, godere di loro e farle godere». Nella scena finale, Julien e Barbara, in attesa di un figlio, si sposano.
Ultimo film di Truffaut, Vivement dimanche!, ispirato al romanzo The long Saturday night (1962) dello statunitense Charles Williams, appartiene alla serie noir del regista, insieme a Tirez sur le pianiste (1960; Tirate sul pianista), La mariée était en noir (1967; La sposa in nero) e La sirène du Mississippi (1969; La mia droga si chiama Julie). Truffaut dichiarò di aver avuto l’idea di un thriller con Fanny Ardant come protagonista durante le proiezioni dei giornalieri di La femme d’à côté (1981; La signora della porta accanto), nei quali l’attrice, indossando un trench chiaro, si aggirava di notte in una casa vuota.
Vivement dimanche! in effetti, oltre all’andamento della trama, con il primo omicidio nella scena iniziale e la scoperta dell’assassino solo alla fine, ha tutte le parvenze stilistiche di un B-movie degli anni Quaranta. In primo luogo, è girato in bianco e nero – decisione coraggiosa che il regista aveva dovuto difendere con la casa di produzione –, è ambientato prevalentemente di notte e sotto la pioggia, in locali notturni in cui si aggirano prostitute e malviventi e appaiono pistole e pareti girevoli, e possiede l’immediatezza di un film a basso costo, le cui riprese durarono solo sette settimane, tra novembre e dicembre del 1982. Tuttavia, nello stesso tempo, le regole del genere vengono sottilmente sovvertite, a causa di una scansione temporale non del tutto verosimile e all’inserzione di alcuni elementi tipici della commedia romantica, ma anche grottesca (per es. quando, alla stazione di polizia, l’assassino nervoso, mentre sta per essere scoperto, fuma due sigarette contemporaneamente). Soprattutto, qui a indossare l’impermeabile à la Bogart è una donna, una splendida Fanny Ardant a suo agio nell’interpretare un personaggio affascinante e moderno, dai mille volti: impertinente segretaria; coraggiosa e intuitiva detective; provocante prostituta durante l’incursione nel locale notturno; paggio rinascimentale nel costume di scena che indosserà sotto il trench, mostrando le lunghe gambe scoperte, durante il suo viaggio a Nizza; donna innamorata ribelle e insieme protettiva nei confronti del suo uomo. Anche Jean-Louis Trintignant si cala felicemente nella parte del protagonista maschile che, dopo essersi descritto all’inizio del film come un uomo «che non si arrabbia mai», viene trascinato dalla segretaria-detective in battibecchi continui che, nella migliore tradizione della screwball comedy hollywoodiana, condurranno i due all’amore. Altro rovesciamento originale rispetto agli stereotipi del noir, il fatto che la vera femme fatale del film non è l’amante del protagonista, ma la moglie (interpretata dalla bionda e tenebrosa Caroline Sihol), donna dal losco passato e in grado di scatenare forti passioni, al punto da innescare la catena di omicidi.
Nel ritmo incalzante della trama, si inseriscono poi varie digressioni: le scene a teatro, in cui Barbara recita con la compagnia amatoriale di cui fa parte anche l’ex marito, ancora geloso e innamorato di lei; la sequenza in cui, per distogliere Julien, nascosto nei locali dell’agenzia, dal guardare le gambe delle altre attraverso l’unica finestra del locale, posta all’altezza della strada, Barbara passa intenzionalmente più e più volte davanti al vetro, camminando lentamente; ma anche l’apparizione al commissariato di alcuni profughi albanesi o l’insistenza sul movente dell’assassino, che dichiara platealmente la sua ossessione per le donne. Possiede la leggerezza e insieme la significatività della divagazione anche la scena finale in cui, durante il matrimonio tra i due protagonisti, i bambini del coro giocano passandosi con i piedi, di nascosto ma non troppo, il coperchio dell’obiettivo fotografico, quasi un rinvio del regista al suo primo lungometraggio, Les 400 coups (1959; I quattrocento colpi), e al tema amato dell’infanzia. Il vestito da sposa lascia trasparire la gravidanza dell’attrice in attesa della terza figlia di Truffaut, che poco dopo l’uscita del film scoprirà la malattia che avrebbe reso Vivement dimanche! la sua ultima opera.
Interpreti e personaggi: Jean-Louis Trintignant (Julien Vercel); Fanny Ardant (Barbara Becker); Caroline Sihol (Marie-Christine Vercel); Philippe Laudenbach (Clément); Jean-Pierre Kalfon (Claude Massoulier); Philippe Morier-Genoud (sovrintendente Santinelli); Jean-Louis Richard (Louison).