HELBIG, Wolfgang
Nacque a Dresda (Germania) il 2 febbr. 1839 da Gustav, storico, e da Emma von Müller.
Già in giovane età mostrò vivo interesse per l'arte antica, frequentando nella sua città natale la Antikensammlung e la collezione di gessi formata dal pittore A.R. Mengs. Nel 1856 intraprese lo studio della filologia classica e dell'archeologia all'Università di Gottinga, avendo come insegnanti E. Curtius, H. Sauppe e F. Wieseler; nel 1857 si trasferì a Bonn, attirato dalle lezioni di F. Ritschl, F.G. Welcker e soprattutto di O. Jahn, con cui nel 1861 si laureò con una tesi intitolata Quaestiones scenicae. Quindi, titolare della borsa di studio all'estero ("Reisestipendium") che la Prussia concedeva ogni anno a due giovani archeologi, nell'ottobre del 1862 entrò nell'Instituto di corrispondenza archeologica di Roma.
Fondato nel 1829 sul Campidoglio come centro d'incontro e di comunicazione tra tutti gli eruditi e i cultori delle antichità classiche con lo scopo di raccogliere dati su scavi e scoperte archeologiche e di divulgarle tempestivamente attraverso i propri periodici (Annali dell'Instituto di corrispondenza archeologica; Bullettino dell'Instituto di corrispondenza archeologica; Monumenti inediti), l'Instituto divenne ben presto il più importante organo della cultura archeologica in Europa. Sebbene i principali promotori della fondazione e i dirigenti fossero tedeschi e sebbene i finanziamenti provenissero dalla Prussia, l'Instituto costituì un'associazione privata e internazionale con l'attiva partecipazione di studiosi provenienti da tutta Europa e soprattutto dall'Italia. Quando vi entrò l'H., era diretto da W. Henzen nel ruolo di primo segretario e da H. Brunn in quello di vicesegretario, mentre la direzione centrale preposta al controllo delle attività aveva sede a Berlino.
Dopo la scoperta nel 1863 a Tarquinia della "Tomba del Citaredo", l'H. fu mandato sul posto insieme con un disegnatore per assicurare all'Instituto la pubblicazione dell'importante monumento, cosa che egli fece in modo lodevole (in Bullettino…, XXXVI [1863], pp. 107-111; Annali…, XXXV [1863], pp. 344-360; Monumenti inediti, VII [1863], tav. LXXXIX) e per di più riuscendo a tessere rapporti con influenti personaggi di Tarquinia. Così ottenne continue informazioni su nuove scoperte, comprese anche altre tombe dipinte, su cui riferì regolarmente nei periodici dell'Instituto.
Nel 1863 l'H. fu inviato a Napoli per raccogliere informazioni sulla situazione del museo e delle attività archeologiche a Pompei, di cui da anni a Roma non si avevano notizie; e lì, anche per la consapevolezza della mancanza di una trattazione generale, il suo maggior interesse si appuntò sulla pittura pompeiana. Grazie al rapporto d'amicizia con G. Fiorelli, responsabile degli scavi di Pompei e direttore del Museo nazionale di Napoli, riuscì a far eseguire per conto dell'Instituto un gran numero di disegni di pitture, che usò come base per il catalogo tematico Wandgemälde der vom Vesuv verschütteten Städte Campaniens (Leipzig 1868), cui tennero dietro le Untersuchungen über die campanische Wandmalerei (ibid. 1873), che avevano come assunto l'idea che le pitture figurative pompeiane fossero per la maggior parte copie di originali dell'arte ellenistica.
Intanto, però, la sua situazione finanziaria si era fatta precaria malgrado la proroga di un anno della borsa di studio. La svolta avvenne nel marzo 1865, quando, dopo la chiamata di Brunn all'Università di Monaco, l'H., appena ventiseienne, fu nominato vicesegretario dell'Instituto, rinunziando alla contemporanea chiamata come professore di archeologia all'Università di Napoli in cui aveva sperato per tre anni. L'impegno negli studi epigrafici e la coscienza di una limitata vocazione per le opere d'arte indussero l'Henzen a lasciare al nuovo vicesegretario il compito di occuparsi dei monumenti figurati. Nell'ottobre 1866 l'H. sposò a Mosca la principessa russa Nadejda Schahowskoy (1847-1922), conosciuta a Roma durante una delle visite guidate affidategli dall'Instituto. Il matrimonio gli garantì una condizione finanziaria agiata e, soprattutto, lo mise a contatto con l'aristocrazia europea e con l'alta società italiana, cosa che gli facilitò l'accesso a numerose collezioni private d'arte antica.
Con la trasformazione dell'Instituto di corrispondenza archeologica in un'istituzione statale prussiana prima (1871) e, quindi, in Istituto archeologico dell'Impero tedesco (1874), l'H. seppe tessere amichevoli rapporti con i nuovi esponenti della cultura archeologica italiana, fra cui L. Pigorini ed E. Brizio. Alla discussione apertasi con quest'ultimo intorno ai villaggi protostorici delle terramare scoperti di recente nella pianura padana l'H. contribuì con la monografia Die Italiker in der Po-Ebene (Leipzig 1879), ove sostenne la tesi che la popolazione di questi insediamenti fosse l'ethnos degli Italici indoeuropei, provenienti dall'Europa centrale, spinti più tardi dagli Etruschi, immigrati anch'essi dal Nord, verso il centro e il Sud dell'Italia a formare le popolazioni storiche come i Latini, gli Osci, i Sabelli. Ancora nel 1930 P. Orsi vide nel suo saggio "la consacrazione ufficiale al connubio fra la preistoria e la protostoria italica coll'archeologia classica" (Rendiconti dell'Accademia nazionale dei Lincei, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, s. 6, VI [1930], p. 97). E fu a partire da qui che, suggestionato dalle scoperte fatte da H. Schliemann (con cui era in corrispondenza) a Troia, Micene e Tirinto, l'H. pubblicò Das homerische Epos aus den Denkmälern erläutert (Leipzig 1884; 2ª ed. 1887; trad. francese: L'épopée homérique expliquée par les monuments, Paris 1894), un lavoro pionieristico che metteva in relazione monumenti e oggetti dell'età del bronzo e della prima età del ferro con i poemi omerici.
Col saggio Sopra la provenienza degli Etruschi, in Annali dell'Instituto di corrispondenza archeologica, LVI (1884), pp. 108-188, l'H. prese parte alla discussione, vivace in quegli anni, sui rapporti fra la cultura protostorica villanoviana e quella storica degli Etruschi, evidenziandone il rapporto di continuità. In passato aveva dimostrato interesse, con una serie di articoli, per questioni inerenti a monumenti della scultura antica (Testa di Alcibiade, ibid., XXXVIII [1866], pp. 228-240; Sopra una testa d'Ercole posseduta dal sig. Steinhäuser, ibid., XL [1868], pp. 336-350; Testa di Giunone in possesso del sig. Alessandro Castellani, ibid., XLI [1869], pp. 144-156).
Introdotto già da Brunn nella cerchia degli antiquari e collezionisti di Roma, l'H. seppe ben presto allargare e intensificare tali rapporti finalizzandoli alla ricerca di oggetti da pubblicare o da presentare nelle adunanze settimanali dell'Instituto: da vero archeologo "moderno" egli, lungi dal considerare il reperto come opera d'arte isolata, fu sempre interessato a raccogliere la maggiore messe di informazioni sulle circostanze e sui contesti in cui esso era stato trovato.
I disegni che fece eseguire (fra gli autori figurano i fratelli Alessandro e Augusto Castellani, F. Martinetti, L. Depoletti, L. Saulini, E. de Meester de Ravenstein, J. de Witte) sono conservati, a centinaia, nell'archivio dell'Istituto archeologico germanico di Roma, e a centinaia ammonta anche il numero delle sue notizie e comunicazioni, prevalentemente su oggetti etruschi, nei volumi del Bullettino. Facilitato dai rapporti con antiquari e collezionisti, l'H. si prestò occasionalmente già in questi anni come mediatore per musei europei sul mercato dei reperti antichi, per esempio seguendo l'acquisizione, da parte del Museo di Berlino, di un gruppo di terrecotte architettoniche provenienti da Cerveteri.
Nel 1877, inaugurandosi, sempre sul Campidoglio, la nuova spaziosa sede dell'Instituto, l'H. tenne una conferenza scientifica sul sarcofago chiusino di Larthia Seianti (cf. Bull. dell'Instituto di corrispondenza archeologica, XLVIII [1877], pp. 193-205; 225). Da uomo di mondo più che da studioso fu invece, due anni dopo, il suo intervento ai festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario dell'Instituto, quando, dopo il banchetto ufficiale e in presenza dei reali d'Italia, fece eseguire da borsisti e da dame dell'alta società romana una serie di tableaux vivants su temi presi dalla mitologia e dalla storia classica.
Quando, nel 1885, il governo tedesco adottò una misura - in seguito attenuata - che imponeva per le adunanze e per le pubblicazioni l'uso della lingua tedesca, l'H. e l'Henzen videro compromessi il carattere internazionale e la collaborazione con gli italiani che avevano sempre distinto l'Instituto. Il 1° ottobre l'Henzen presentò le dimissioni e, tuttavia, consigliato dall'H., accettò di rimanere in carica altri due anni: quando poi il 17 genn. 1887 l'Henzen morì, l'H. vide vanificarsi le speranze di succedergli a causa degli atteggiamenti burocratici della direzione centrale di Berlino e il 1° ott. 1887 si dimise, rompendo definitivamente ogni rapporto con l'Instituto.
Se pur da privato cittadino, residente a villa Lante sul Gianicolo, continuò a occuparsi di archeologia in maniera non meno intensa di prima. Amico già dagli anni Settanta di L. Dasti, sindaco di Corneto-Tarquinia, ottenne la cittadinanza onoraria per la consulenza offerta nelle grandi imprese di scavi condotte per conto del Comune. Nel 1887, dopo la morte di Dasti (1886), gli successe in qualità di ispettore onorario agli scavi di Tarquinia. Tenuto l'incarico fino al 1899, l'H. vi investì molte energie, come dimostrano le sue relazioni pubblicate in Notizie degli scavi.
Nel 1887 l'incontro con C. Jacobsen fece dell'H., con un onorario annuale di 5000 franchi, il più importante consulente e mediatore nell'acquisto di sculture e oggetti antichi che questo fabbricante di birra danese stava raccogliendo per formare la gliptoteca di Ny Carlsberg. Giunsero così a Copenaghen oltre 900 oggetti, fra cui l'importante collezione di ritratti romani appartenuta al conte M. Tyskiewicz e materiali etrusco-italici che costituirono il nucleo del reparto intitolato Helbig Museet.
Per dotare il museo di una documentazione di queste opere d'arte tanto importanti quanto deperibili, lo Jacobsen lo incaricò anche di far eseguire una serie completa di copie a grandezza naturale di tutte le pitture tombali etrusche. L'enorme lavoro, iniziato nel 1895, proseguì fino al 1913 con la collaborazione di diversi artisti, fra cui il pittore A. Morani, genero dell'Helbig. Legato d'amicizia al barone G. Barracco, l'H. lo assisté nella formazione della sua squisita collezione di antichità (donata nel 1902 al Comune di Roma), della quale curò, insieme col proprietario, il lussuoso catalogo La Collection Barracco (Roma 1892).
Sulla base degli appunti raccolti per le visite guidate che da vicesegretario aveva riservato a borsisti e ospiti dell'Instituto, l'H. scrisse il Führer durch die öffentlichen Sammlungen klassischer Altertümer in Rom (Leipzig 1891). Questa guida, concepita per un visitatore esigente dei musei, ebbe nel 1895 una seconda edizione dalla quale l'H. escluse volutamente il Museo di Villa Giulia, fondato nel 1889, perché, a suo dire, la presentazione del materiale falisco era stata viziata da una grave alterazione dei contesti archeologici. Per questo motivo si incrinò il suo rapporto con F. Barnabei, direttore del Museo e, dal 1896, direttore generale delle Antichità. Nota a generazioni di studiosi e visitatori semplicemente come "Der Helbig", la guida ebbe una quarta edizione per cura di H. Speier (I-IV, Tübingen 1963-72).
Fra i numerosi saggi pubblicati negli anni seguenti: Sur la question mycénienne (in Mémoires de l'Académie des inscriptions et belles-lettres, 1896, t. XXXV, 2), in cui l'H. espose il suo concetto di forti influssi fenici sui monumenti micenei, Les vases du Dipylonet les naucraries (ibid., 1898, t. XXXVI, 1), Les hippeis athéniens (ibid., 1903, t. XXXVII, 1), Sur les attributs des Saliens (ibid., 1906, t. XXXVII, 2), Zur Geschichte der hasta donatica (in Abhandlungen der Königl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen, n.s., 1908, t. X, 3).
Nel 1899, in occasione del sessantesimo compleanno, amici e colleghi gli presentarono il volume Strena Helbigiana (Lipsiae 1900); fra gli autori dei contributi figurano numerosi fra i più illustri studiosi europei come W. Amelung, G. Boissier, G. De Petra, A. Furtwängler, F. von Duhn, Th. Mommsen, O. Montelius, A.S. Murray, P. Orsi, M. Rostowzew.
Carattere sanguigno, a dire dell'Henzen, e con gli anni anche presuntuoso, l'H. seguì fin da giovane con attenzione, e senza nascondere il proprio giudizio, gli avvenimenti sociali e politici del tempo, come dimostrano le lettere, tuttora inedite, inviate ai suoi familiari, per esempio da Napoli negli anni Sessanta, da Roma nello scorcio finale del potere temporale e dalla Russia zarista. Grazie anche alle doti di fascino di sua moglie - ottima pianista, allieva di Clara Schumann - l'H. fece della propria casa un punto di riferimento e d'incontro di studiosi (sia che fossero giovani borsisti sia che fossero eminenti scienziati come Th. Mommsen), di artisti e poeti come F. Liszt o G. D'Annunzio, e di personaggi dell'alta società. Le memorie di sua figlia Lili Morani-Helbig ne dipingono un quadro vivace. Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale il re d'Italia gli permise di rimanere a villa Lante, dove egli stesso era stato ospite.
L'H. morì a Roma il 6 ott. 1915 e fu sepolto nel cimitero acattolico alla Piramide di Cestio. Lasciò due figli: Elisabeth (Lili), pittrice (1868-1954) e Dimitri, chimico (1873-1954).
Fu socio dell'Accademia dei Lincei (1875), della Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen (1882), dell'Académie des inscriptions et belles-lettres di Parigi (1887), della Bayerische Akademie der Wissenschaften (1893).
In uno studio sulla celebre fibula prenestina (Roma, Museo Pigorini) Margherita Guarducci sostenne che l'iscrizione in latino arcaico incisa sull'oggetto sarebbe un falso eseguito materialmente dall'H., del quale, per motivare le sue conclusioni, dipinse un profilo morale del tutto negativo. Gli argomenti addotti dalla Guarducci a riprova del falso poterono, però, essere confutati dal punto di vista giuridico (H. Lehmann), mentre sull'autenticità dell'iscrizione la discussione non è ancora conclusa.
Certo, il ruolo di mediatore svolto dall'H. nel commercio antiquario, comportando l'esportazione di molte opere antiche dall'Italia, è oggi motivo di critica, benché paia ingiusto farne l'unico capro espiatorio di quanti, in quel tempo, agirono alla stessa stregua.
Se si tiene presente l'impegno dell'H. nell'archeologia, impressiona l'ampiezza dei suoi interessi e delle sue nozioni, che vanno dalla protostoria italica e dalla cultura micenea al mondo etrusco e romano. Le chiare impostazioni delle problematiche, caratteristiche dei suoi scritti maggiori, suscitarono discussioni che col tempo portarono a risultati spesso in contrasto con le sue affermazioni. Di valore duraturo sono certamente i numerosissimi articoli minori apparsi nei volumi del Bullettino e degli Annali dell'Instituto di corrispondenza archeologica che documentano non soltanto una grande quantità di singoli monumenti, ma anche le circostanze del loro ritrovamento.
Fonti e Bibl.: La documentazione più consistente (fino al 1887), in gran parte inedita, è conservata nell'archivio dell'Istituto archeologico germanico di Roma; altro materiale si trova presso varie istituzioni, fra cui il Deutsches Archäologisches Institut (Berlino), la Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz (Berlino), la Ny Carlsberg Glyptotek (Copenaghen), l'Institutum Romanum Finlandiae (Roma).
W. Helbig, Eine Skizze meines wissenschaftlichen Bildungsganges (1911), in F. Poulsen, Das Helbig Museum der Ny Carlsberg Glyptothek, Kopenhagen 1927, pp. III-XIV; A. Michaelis, Storia dell'Instituto archeol. germanico 1829-1879, Roma 1879; L. Morani-Helbig, Jugend im Abendrot. Römische Erinnerungen, Stuttgart 1953; D. Borghese, Villa Lante e Nadina Helbig, in Capitolium, XXXV (1960), pp. 13-17; L. Wickert, Beiträge zur Geschichte des Deutschen Archäol. Inst. 1879 bis 1929, Mainz 1979; H.G. Kolbe, Wilhelm Henzen und das Institut auf dem Kapitol. Aus Henzens Briefen an Eduard Gerhard, Mainz 1984; M. Moltesen, W. H. Brygger Jacobsens agent in Rom, 1887-1914, Copenhagen 1987; A. Demand, Nihil velare. Heinrich Schliemann und W. H., in Heinrich Schliemann nach hundert Jahren, Frankfurt a.M. 1990, pp. 206-224; Le "Memorie di un archeologo" di Felice Barnabei, a cura di M. Barnabei - F. Delpino, Roma 1991; M. Moltesen - C. Weber-Lehmann, Catalogue of copies of Etruscan tomb paintings in the Ny Carlsberg Glyptotek, Copenhagen 1991; S. Fuscagni, Il profilo culturale di W. H. attraverso "Die Italiker in der Po-Ebene", Fiesole 1992; M. Pearce - E. Gabba, Dalle terremare a Roma. W. H. e la teoria delle origini degli Italici, in Riv. storica italiana, CVII (1995), pp. 119-132; V. Naccarato, Cronaca degli scavi archeologici a Tarquinia dal 1862 al 1880. L'opera di Luigi Dasti, Tarquinia 2000. Necr.: F. D'Ovidio - G. De Petra, in Rendiconti dell'Accademia nazionale dei Lincei, classe di scienze morali, storiche e filologiche, s. 5, XXIV (1915), pp. 633-639; É. Chavannes, in Comptes-rendus de l'Académie des inscriptions et belles-lettres, 1915, pp. 366 s.; L.P. Wolters, in Jahrbuch der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, 1916, pp. 107 s.; Bull. di paletnologia italiana, XLII (1916), pp. 171 s. (con bibl. degli scritti dedicati alla protostoria dal 1874 al 1908).
Per la fibula prenestina: M. Guarducci, La cosiddetta Fibula Praenestina. Antiquari, eruditi e falsari nella Roma dell'Ottocento, in Memorie dell'Acc. nazionale dei Lincei, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, s. 8, XXIV (1980), pp. 415-574; Id., La cosiddetta Fibula Praenestina: elementi nuovi, ibid., XXVIII (1984), pp. 125-177; H. Lehmann, W. H. (1839-1915). An seinem 150. Geburtstag, in Mitteilungen des Deutschen Archäol. Institut, Römische Abteilung, XCVI (1989), pp. 7-86; cfr. anche F. Delpino, Reperti preziosi e battaglie archeologiche: la "Fibula Prenestina" contesa fra due musei, in Strenna dei romanisti, LIX (1998), pp. 95-116 (con altra bibl.).
Tra i repertori: W. H., in Enc. dell'arte antica, III, pp. 1133 s. (W. Fuchs); W. H., in Neue Deutsche Biographie, VIII, pp. 459 s. (H. Speier); W. H., in Archäologenbildnisse, a cura di R. Lullies - W. Schiering, pp. 71 s. (H.G. Kolbe); W. H., in Dict. biogr. d'archéologie 1798-1945, pp. 331 s. (É. Gran-Aymerich).