Vedi Yemen dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Lo Yemen costituisce un’entità statale unitaria dal 1990, anno della riunificazione della Repubblica Araba dello Yemen, nota anche come Yemen del Nord, con la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen, di stampo socialista e corrispondente all’attuale parte centro-meridionale del paese. La posizione geografica dello Yemen lo rende un importante crocevia e punto di collegamento per le rotte tra l’Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo, grazie al passaggio attraverso il Golfo di Aden verso il Canale di Suez.
Le spinte secessionistiche e antigovernative al suo interno, la difficoltà di estendere un controllo efficace in regioni impervie sotto il profilo ambientale e le divisioni riscontrabili nel suo complesso quadro etnico fanno sì che il paese sia uno dei più instabili sulla scena non soltanto mediorientale ma anche mondiale. Proprio tale condizione di precarietà interna, unita alla rilevanza strategica e geopolitica dello Yemen (che ne fanno terreno di contesa per diversi attori esterni), lo rendono una realtà importante ai fini degli equilibri regionali. Data la sua posizione, il paese si inserisce infatti anche nelle dinamiche relative a un’altra regione fortemente instabile come il cosiddetto Corno d’Africa, sull’altra sponda del Golfo di Aden, una delle maggiori aree di crisi del panorama geopolitico internazionale. Le relazioni internazionali e la politica estera yemenite sono condizionate da questa doppia fragilità, che impone al governo di Sana’a di cercare – sia nella regione che attraverso direttrici più ampie – interlocutori in grado di sostenere la solidità del regime. Da questa prospettiva, l’Arabia Saudita, paese confinante dello Yemen, rappresenta il maggiore alleato. Nonostante permangano dispute territoriali tra i due paesi, la monarchia saudita è il principale garante della sicurezza yemenita, soprattutto alla luce della continuità territoriale che vede Riyad direttamente coinvolta nelle questioni di sicurezza yemenite. Gli Stati Uniti, d’altro canto, costituiscono un altro importante partner di Sana’a, cui destinano annualmente rilevanti aiuti economici e militari, con l’obiettivo di contrastare l’instabilità regionale.
Lo Yemen è l’unico paese della Penisola Arabica a non far parte del Consiglio per la cooperazione del Golfo, ma intrattiene buone relazioni con tutti i paesi arabi dell’area. Più tese sono invece le relazioni con l’Iran, accusato di sostenere la guerriglia sciita antigovernativa e di sfruttare i dissidi interni al paese in chiave antisaudita. Sana’a intrattiene infine importanti relazioni politiche e diplomatiche anche con la Somalia, di cui accoglie migliaia di profughi in fuga dai frequenti conflitti interni al paese.
La struttura statale yemenita, dall’unificazione, è organizzata secondo il modello di una repubblica presidenziale ed è unica nel suo genere in tutta la Penisola Arabica, composta per il resto da monarchie ed emirati. Accanto alla figura del presidente, di fatto vero capo del potere esecutivo ed eletto direttamente dal popolo per un mandato di sette anni, vi è anche quella del primo ministro, carica di nomina presidenziale. Il potere legislativo è formalmente affidato a un Parlamento a struttura bicamerale. L’attuale presidente yemenita Ali Abdullah Saleh, del Congresso generale del popolo, è uno dei capi di stato al potere da più tempo in tutto il mondo arabo: Saleh infatti, già presidente dello Yemen del Nord dal 1978 a seguito di un colpo di stato, ha continuato a mantenere la stessa carica anche nel nuovo Yemen riunificato. La gestione del potere su base clientelare, l’assenza dello stato nelle aree periferiche del paese e il dilagante fenomeno della corruzione nei rami dell’amministrazione sono stati tra i principali motivi che hanno indotto la popolazione yemenita a manifestare – sull’onda della cosiddetta ‘Primavera araba’ dei primi mesi del 2011 – per chiedere le dimissioni del presidente. Quest’ultimo, infatti, solo dopo mesi di proteste e violenze, che hanno concretamente rischiato di trasformarsi in conflitto civile, ha firmato un accordo – mediato dall’Arabia Saudita – che ha previsto il passaggio dei poteri al vice presidente Abd Rabbuh Mansur al-Hadi, il quale servirà come presidente in carica per soli due anni, durante i quali supervisionerà la stesura della nuova Costituzione yemenita.
Lo Yemen, con i suoi quasi 24 milioni di abitanti, rappresenta il paese più popoloso dell’intera Penisola Arabica, dietro soltanto all’Arabia Saudita. La popolazione yemenita risulta omogenea dal punto di vista etnico ed è composta per la quasi totalità da arabi, tra cui alcune esigue minoranze di origine africana, soprattutto eritrea e somala. Di contro, il paese è pressoché spaccato in due dal punto di vista religioso, tra gli appartenenti all’islam sunnita e gli sciiti di fede zaidita – corrente minoritaria dello sciismo presente quasi esclusivamente in Yemen, in particolare nelle regioni settentrionali.
Negli ultimi anni il paese è stato testimone di una notevole crescita demografica, generata tanto dall’afflusso di profughi provenienti dall’area del Corno d’Africa – e in particolar modo dalla Somalia – quanto da un elevato tasso di fecondità. La popolazione, inoltre, si attesta come la più giovane di tutto il mondo arabo: un dato che dovrebbe confermare l’incremento della popolazione nazionale anche in prospettiva futura.
Di fronte a tale crescita, le risposte governative non sembrano essere ancora adeguate, dal momento che gli indicatori sociali del paese sono i più bassi di tutta l’area mediorientale, come dimostrato, tra gli altri, dall’indice di sviluppo umano. Dati come la bassissima percentuale di urbanizzazione (poco più del 30% della popolazione totale), lo scarso tasso di alfabetizzazione e di scolarizzazione (fermi, rispettivamente, al 61% e 73%) sono, infine, sintomatici delle croniche difficoltà che lo Yemen deve affrontare in ambito sociale.
All’arretratezza della società e del sistema educativo del paese si aggiunge una gestione del potere di tipo autoritario, in cui la corruzione è uno dei problemi più sentiti dalla popolazione. La libertà di espressione nella società e nel sistema dei media sono limitate e non sono rari tanto i casi di arresti di oppositori al regime, quanto quelli di chiusure di organi di stampa e informazione che abbiano mosso critiche agli apparati governativi e alla figura del presidente. Come retaggio di una cultura tradizionalista e in cui la legge islamica è una delle basi del diritto, vi è inoltre un’ulteriore discrepanza tra la condizione degli uomini e delle donne, quest’ultime discriminate nei loro diritti in vari ambiti sociali.
Oltre a essere un paese poco sviluppato dal punto di vista sociale e con un sistema politico fino ad oggi rigidamente chiuso, lo Yemen è anche il paese più povero di tutta l’area mediorientale: circa un terzo della popolazione totale vive al di sotto della soglia di povertà e il paese non sembra avere le risorse sufficienti per poter far fronte a tale situazione.
Il sistema economico dello Yemen è composto da un settore terziario che produce circa il 45% del pil totale, cui segue quello industriale, che invece ne genera il 40%, e quello agricolo, che copre il restante 15%. Quest’ultimo rimane una delle principali fonti di occupazione per la popolazione, che per quasi il 70% vive ancora in zone rurali. Le produzioni di caffè e di cotone rappresentano importanti settori dell’agricoltura yemenita, che tuttavia soffre delle difficoltà ambientali legate a un territorio prevalentemente montagnoso o desertico.
Una delle maggiori criticità della struttura economica del paese risulta essere la sua forte dipendenza dalla produzione ed esportazione di petrolio, specie in considerazione del fatto che questo è in via di esaurimento. Se infatti, ancora attualmente, il petrolio costituisce circa il 90% di tutte le esportazioni totali dello Yemen e più del 70% degli introiti governativi, la sua produzione appare in netto declino negli ultimi anni e si stima che proprio il suo esaurimento, nel giro di pochi anni, potrebbe portare il paese verso una grave situazione deficitaria.
Accanto a tali problematiche, lo Yemen registra un tasso di disoccupazione molto elevato, calcolato intorno al 40%, e un’inflazione strutturale molto alta. Il turismo potrebbe rappresentare un’importante arma per combattere la crisi economica yemenita, dal momento che il paese è ricco di bellezze architettoniche e archeologiche e ha sul proprio territorio quattro siti dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco. I bassi standard di sicurezza e i frequenti attentati e rapimenti a danno dei turisti sono tuttavia fattori che inibiscono lo sviluppo del settore e la sua capacità di attrarre investimenti.
Grazie alla produzione petrolifera, seppur in progressiva decrescita, lo Yemen è ancora un paese indipendente dal punto di vista energetico: un’autonomia che tuttavia si limita al solo petrolio, come testimoniato dal mix energetico. Nel 2009 il paese ha inaugurato il suo primo impianto di liquefazione del gas naturale, nell’ambito degli obiettivi di diversificazione economica ed energetica, ma la produzione di gas naturale risulta essere ancora bassa. Le esportazioni di idrocarburi sono dirette quasi esclusivamente in Asia, soprattutto in Cina, Thailandia, India e Giappone.
Altra questione particolarmente problematica è costituita dalla carenza di risorse idriche sul proprio territorio. Lo Yemen, infatti, soffre di un basso accesso all’acqua potabile e di una sua scarsa disponibilità a livello pro capite: una caratteristica che contribuisce a renderlo un paese a rischio, anche sotto il profilo ambientale. Sotto quest’ultimo punto di vista, il paese è anche uno degli ultimi al mondo per ciò che riguarda le aree protette, che costituiscono solo lo 0,7% di tutto il territorio nazionale.
Tanto le pessime condizioni socio-economiche quanto le difficoltà del governo nel controllare efficacemente il territorio nazionale fanno dello Yemen uno dei paesi più insicuri e maggiormente a rischio di destabilizzazione nel panorama mondiale. Le minacce alla stabilità interna sono di vario genere e provengono sia dall’ambiente esterno che da quello interno.
Lo Yemen è stato testimone, all’indomani della riunificazione, di una guerra civile tra le forze governative e le milizie delle regioni meridionali, che si rifanno a un’ideologia di stampo marxista. Tale conflitto ha avuto il suo apice nel 1994, anno in cui l’esercito del presidente Saleh si è imposto sui guerriglieri. Sebbene le tensioni tra Nord e Sud del paese sembravano essere superate, nel 2008 il conflitto ha nuovamente assunto i toni di uno scontro armato, complici le condizioni arretrate dello Yemen meridionale e le conseguenti manifestazioni antiregime che hanno spesso luogo in questa parte del paese.
Allo stesso tempo, Sana’a deve affrontare anche un’altra minaccia proveniente dall’interno: quella costituita dalle forze di guerriglia zaidite, guidate da Abd al-Malik al-Houthi, con roccaforte a Sa’ada, nel nord del paese.
A queste due sfide, e a complicare ulteriormente il quadro della sicurezza nazionale, si aggiunge poi l’infiltrazione nel paese di elementi legati alla nebulosa di al-Qaida. Il terrorismo internazionale di matrice islamica, infatti, può sfruttare le carenze nel controllo territoriale da parte dello stato per stabilire proprie basi logistiche, come dimostrato proprio dall’annuncio nel 2009 della nascita di una nuova cellula dell’organizzazione con base in Yemen, chiamata al-Qaida nella Penisola Arabica (Aqap).
La presenza di al-Qaida in territorio yemenita, del resto, non sembra essere una novità ed è addirittura antecedente all’11 settembre 2001, come testimoniato da uno dei più gravi attacchi terroristici mai portato ai danni di obiettivi statunitensi, cioè quello contro il cacciatorpediniere Uss Cole, avvenuto nel porto di Aden il 12 ottobre 2000 e che costò la vita a 17 marines. Ancora oggi l’organizzazione si rende protagonista di attentati e rapimenti di cittadini stranieri, in prevalenza turisti: l’ennesima conferma della presenza nel paese di basi della rete qaidista è poi arrivata dal profilo dell’attentatore che nel dicembre 2010 ha cercato di far esplodere un volo di linea tra Amsterdam e Detroit, e avrebbe ricevuto un periodo di addestramento proprio in Yemen, in campi gestiti da al-Qaida.
Lo Yemen sembra dunque essere un paese che rischia di divenire un cosiddetto ‘failed state’, uno stato fallito, proprio come la vicina Somalia. Le manifestazioni antiregime di inizio 2011, che hanno provocato molte vittime civili a causa della repressione governativa, e la diffusissima presenza di armi leggere tra la popolazione rendono la situazione yemenita ancora più critica. Proprio le rivolte popolari hanno assunto dimensioni progressivamente più violente lungo tutto il 2011. La capitale è stata interessata da scontri aperti tra rivoltosi e forze governative, che hanno minacciato di degenerare in guerra civile tra i lealisti e la tribù degli Ahmar, comandati dallo sceicco Sadiq al-Ahmar.
Oltre alla triplice minaccia costituita dalle forze secessioniste nel Sud, dalla guerriglia di stampo zaidita nel Nord e dalla presenza di al-Qaida nella Penisola Arabica, lo Yemen è inoltre affetto da un altro fenomeno che mette a repentaglio la sicurezza internazionale, quello della pirateria. Le coste yemenite, insieme a quelle del Corno d’Africa, sono infatti tra le più colpite dal fenomeno della nuova pirateria, per combattere il quale l’Unione Europea ha istituito una propria missione navale, congiuntamente ad altri paesi – come le monarchie del Golfo arabo, la Russia e l’Iran, tutti potenzialmente esposti nei loro interessi commerciali nell’area dalla minaccia della pirateria. Oltre ad avere accordi di cooperazione in ambito militare con questi attori, Sana’a ha strette relazioni di sicurezza soprattutto con l’Arabia Saudita, con cui condivide le preoccupazioni per la guerriglia sciita ai confini con il territorio di Riyad e per la presenza di Aqap. Di particolare rilevanza è infine la partnership militare con gli Stati Uniti: nel quadro della lotta al terrorismo internazionale, infatti, il governo di Saleh si era apertamente schierato con Washington, che a sua volta appoggiava il regime in chiave antiterroristica e con un sostegno finanziario di circa 150 milioni di dollari nel solo 2010.
Lo Yemen è il paese dove si concentra la quasi totalità della comunità sciita appartenente alla branca dello zaidismo, a sua volta minoritaria all’interno dello sciismo stesso. In Yemen gli zaiditi sono circa 10 milioni, cioè la metà della popolazione, e sono concentrati prevalentemente nel nord del paese, presso la zona di Sa’ada. Dal 2004 un movimento armato, guidato da Abd al-Malik al-Houthi, conduce una guerriglia contro le forze governative, che ha portato negli anni non solo alla morte di quasi 1000 soldati yemeniti e a quella di alcune migliaia tra i seguaci di al-Houthi e tra i civili, ma anche e allo spostamento in massa di ingenti numeri di persone. Secondo i dati dell’Unhcr, infatti, gli sfollati interni in Yemen sarebbero 250.000. Se da un lato la presenza della guerriglia sciita costituisce un problema di primaria importanza per la sicurezza del paese, dall’altro questa è stata letta come un’arma dell’Iran nell’ambito del suo scontro a distanza con l’Arabia Saudita. Il regime yemenita, infatti, ha più volte accusato Teheran (e anche la Libia) di sostenere e armare il movimento di al-Houthi, in nome della comune appartenenza allo sciismo e in considerazione del fatto che le attività di tale movimento si concentrano ai confini con l’Arabia Saudita. Sebbene non vi siano prove circa il coinvolgimento iraniano nello scontro tra Sana’a e i guerriglieri zaiditi, l’Iran potrebbe comunque aver trovato nello Yemen una regione di transito per l’espansione della propria influenza in Medio Oriente, sfruttando le difficoltà del governo centrale nel controllo del territorio e la plausibile alleanza con i movimenti sciiti ivi presenti.