ZARA (A. T., 77-78)
Città e provincia del regno d'Italia. Il territorio provinciale secondo il trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 che lo assegnò all'Italia, è di kmq. 110, e abbraccia, oltre a Lagosta (v.) e isole adiacenti, una ristretta zona costiera che si affaccia sul Canale di Zara, di fronte all'Isola di Ugliano, per una lunghezza di 9 km. e una profondità massima di 8, e si estende sul bassopiano dalmata costituito da calcari cretacei ed eocenici, rilevati in pieghe strette e parallele, che affiorano in bassi dossi rocciosi e nudi, i quali raggiungono appena i 100 m. s. m., ma che comprendono conche allungate colme di terra rossa, fertili e coltivate.
La provincia è formata da due comuni: Zara e Lagosta, ciascuno di 55 kmq.
Il clima di Zara è mite e costante, con temperature medie del gennaio di 6°,4 e di 24°,2 in luglio, con rarissime giornate di gelo e di nebbia, e con calori estivi mitigati dal maestrale assai teso, mentre la bora invernale v'è debole. L'aria ha una trasparenza cristallina; le piogge annuali superano di poco i 500 mm., con un massimo d'autunno (circa 36% del totale) e con siccità estiva (circa il 17%), mentre in primavera e in inverno si hanno quantità di pioggia intermedie. Questi caratteri del clima, nettamente mediterranei, si riflettono sulla flora, la cui formazione tipica è quella xerofila della macchia, favorita anche dalla carsicità del suolo calcareo, con eriche, mirti, ginepri, oleandri, lecci, alternati da pini e cipressi, residuo di boschi già più estesi. Nelle aree a coltura, ormai prevalenti, fruttificano l'olivo, la vite, il pesco, il fico e il mandorlo, che fiorisce già in gennaio.
La popolazione del comune di Zara - che raggiungeva, nel 1931, 18.614 ab. con densità media di quasi 330 ab. per kmq. - è in gran parte italiana; quella fuori della città, per lo più croata, vive di agricoltura. Ma essa è scarsissima nelle campagne, prevalendo l'accentramento nei borghi e nei villaggi e presenta una caratteristica migrazione giornaliera, per ragioni di commercio verso la città, la cui attrazione economica si manifesta anche fuori del confine politico della provincia verso il retroterra del comune, nonché sulla fronteggiante Isola di Ugliano, la quale appartiene al regno di Iugoslavia.
Oltre la città capoluogo vi sono nel comune varie frazioni, delle quali principali sono: Borgo Erizzo (ab. 3830), in continuazione della città, nella parte meridionale della penisola, abitata da Albanesi cattolici qui rifugiatisi nella prima metà del sec. XVIII, e che conservano lingua e costumi, e Boccagnazzo (ab. 1256) nella parte interna del territorio.
La città di Zara (4 m. s. m., ab. 13.229, nel 1931) occupa tutta la parte settentrionale di una breve penisola rettangolare, separata dalla terraferma per mezzo di due opposti valloni e ad essa unita per il breve tratto intermedio.
La pianta della città, specie sul lato orientale, è adattata alla forma rettangolare della penisola, e presenta un reticolato regolare di calli disposte longitudinalmente e parallele fra loro, tagliate ad angolo retto da altre, secondo l'antica topografia romana, e di cui la maggiore è la Calle larga che ne rappresenta il cardo e va dal Campo del Duomo a quello delle Colonne, ora Dandolo, sbarrato da un bastione veneziano (trasformato poi in giardino) quando nel sec. XVII la penisola fu tagliata con un canale, ora in parte interrato: bastione che limita anche oggi verso mezzogiorno la città, la quale non ha immediati sobborghi. Il decumano della città è dato dalla attuale Via Roma, che immette alla Porta Marina sulla valle, dove s'innalzano ancora le mura veneziane, oltre le quali è il porto con la Riva vecchia (ora IV Novembre) che accentra il movimento dei velieri e delle barche pescherecce, con la caratteristica vita marinara.
La lunga e diritta Calle di S. Domenico, dei Tribunali e di S. Maria, che dall'unico varco a sud, la Porta di Terraferma, va a Piazza delle Erbe, rappresenta l'antico limite occidentale della città. Oltre questo rettifilo la regolarità della pianta viene alterata dalla tortuosità di piccole calli, che tradiscono l'origine veneziana di questa parte della città, limitata all'attuale Viale Tommaseo. Più tardi fu costruita la Riva nova (oggi Vittorio Emanuele III), dove si allineano palazzi moderni e ferve la vita elegante della città.
Tutto questo folto e addensato abitato è improntato a un aspetto ed una vita tutta veneziana.
La sua popolazione è ed è stata sempre di lingua e di sentimento tutta integralmente italiana. Anche nei rimaneggiati censimenti austriaci, che per ragioni politiche davano la prevalenza in Dalmazia all'elemento croato, Zara, la capitale della Dalmazia, il centro intellettuale di essa, mostra il continuo e notevole incremento degli Italiani. Questi, che erano oltre 11.000 nel 1910, su circa 13.000 ab. di Zara, avevano visto aumentare il loro numero dell'11% nel decennio fra il 1880 e il 1890 e del 17% fra il 1890 e il 1900.
Il porto della città, che si ripara entro il vallone orientale, è protetto a nord est dal Molo Porporella e attraversato da un ponte che mette in comunicazione la città con il quartiere di Ceraria sulla terraferma. Dopo l'annessione all'Italia, è stato dichiarato punto franco nel 1921.
Zara è nota come sede di importanti distillerie di "maraschino", cioè del liquore ottenuto dalla fermentazione e distillazione delle marasche, sorta di ciliege aromatiche che vi vengono portate dal retroterra e anche via mare sino dai dintorni di Sebenico e di Spalato. Le distillerie, fra cui sono famose quelle di Luxardo Drioli e Vlahov (ma ve ne sono varie altre a carattere familiare), oltre al maraschino, prodotto in quantità di circa 3000 ettolitri l'anno, e che viene spedito in tutto il mondo, fabbricano anche ogni sorta di liquori e sciroppi (2000 q. nel 1932). Industria tipica zaratina è anche quella della polvere insetticida, ottenuta per macinazione del crisantemo dalmata, e che, in quantità di circa 500 q. annui, si manda nelle altre regioni del regno e all'estero, specialmente ad Amburgo. Dopo che Zara fu dichiarata punto franco, vi sono sorte varie importanti industrie, tra le quali principalissima quella della lavorazione dei tabacchi che conta tre grandi manifatture (di cui la più importante è la R. Manifattura tabacchi) specialmente di sigarette (220.358 kg. nel 1932), e numerose trincerie condotte da Albanesi. Fiorente è anche l'industria delle paste alimentari, la quale conta sei stabilimenti e produce un totale di circa 35.000 q. di pasta, che in parte viene spedita nelle altre regioni del regno e in parte viene inviata negli stati finitimi e fino in Argentina.
Sono da rammentarsi infine una fabbrica di cioccolato, che produce e spedisce in Italia e all'estero oltre 1400 q. di cioccolato all'anno, e una fabbrica di reti da pesca che è arrivata a produrre nel 1932 circa 300 q. di reti, spedite per buona parte all'estero.
Zara è anche da rammentare come centro di raccolta del pesce catturato dai pescatori iugoslavi delle isole antistanti (specialmente di Ugliano) e da quelli italiani che vi fanno scalo con imbarcazioni provenienti dai porti marchigiani (S. Benedetto del Tronto, Ancona) e da Chioggia. Il pesce concentrato a Zara (10.119 q. nel 1932) viene in gran parte imbarcato sui piroscafi postali e spedito a Trieste, Venezia, Fiume e Ancona. Inoltre i pescatori iugoslavi portano a Zara spugne pescate lungo la costa dalmata e barili di sardine salate (800 q. circa), subito rispediti a Trieste e in Cecoslovacchia.
Zara non ha comunicazioni ferroviarie col suo retroterra; solo al principio del sec. XIX fu costruita la strada litorale da Zara ad Almissa, e nel 1831 quella che da Zara, per Obrovazzo, supera le Alpi Babie verso l'interno della Croazia, oltre a 5 carrozzabili locali, che uniscono Zara col suo immediato retroterra, e su cui fanno servizio autocorriere attraversando il confine iugoslavo. Le vie marittime sono state, e sono anche oggi, le prevalenti comunicazioni di Zara. Diverse società di navigazione italiane e iugoslave assicurano a Zara servizî regolari e frequenti con Trieste (Venezia), l'Istria, Fiume, Sussak, le isole del Quarnaro, Ancona (servizio-giornaliero in ore 7,30), i dintorni immediati di Zara, Lagosta, Bari e Brindisi, diversi porti della Dalmazia, Albania e Grecia. Zara è inoltre scalo della linea aerea giornaliera Trieste-Pola-Zara-Ancona, dell'Ala Littoria e che congiunge Zara a Trieste in un'ora e tre quarti e ad Ancona in 55 minuti.
Monumenti. - Poche tracce sono rimaste degli edifici antichi della città. Se Augusto circondò la città di mura e di torri, restaurate più tardi da un C. Julius Optatus, esse sono scomparse o nella distruzione da parte dei crociati del 1202 o incorporate nella cinta posteriore. Si conservano invece i resti di due porte onorarie, l'una in campo Vincenzo Dandolo, fiancheggiata da due torri ottagone su basi quadrate, l'altra immurata nella Porta Marina, che mette al porto vecchio, con l'iscrizione che ricorda come una Melia Anniana disponesse per testamento in onore del marito la lastricatura del mercato e l'erezione di una porta ornata di statue. Il selciato del Foro si è ritrovato invece nelle fondamenta della chiesa di S. Donato insieme con numerosissimi resti, che con le colonne ricomposte presso la chiesa di S. Simeone e di Piazza delle Erbe, ci parlano di un portico e di un tempio di grandiose proporzioni. Vecchie cronache narrano di un teatro a anfiteatro nell'attuale Campo marzio, mentre i resti dell'acquedotto fatto costruire da Traiano si notano lungo la via che conduce a Zara vecchia.
Le distruzioni del 1873 e del 1874 fecero scomparire gran parte delle mura romane, medievali e posteriori. Il complesso monumentale veramente mirabile di Zara è costituito dal gruppo di S. Donato e del duomo con l'adiacente battistero.
La chiesa di S. Donato, da tempo trasformata in museo, è a pianta circolare con due piani di navate anulari e tre grandi absidi sulla parte centrale che poggia, in basso e in alto, su massicci pilastri, e di fronte alle absidi su colonne. Ha un tamburo predisposto per una cupola ovoidale, che non dovette essere mai costruita. La sua data, per quanto scrisse nel 949 Costantino Porfirogenito (De administrando imperio), si può riferire, con ogni probabilità, al sec. IX, e poiché si è tramandata col nome di S. Donato (oltre a quello della SS. Trinità), è lecito dedurre che sia del tempo di quel celebre vescovo S. Donato, contemporaneo di Carlomagno, che ripose in S. Anastasia le reliquie della martire nell'urnetta marmorea ov'è pure indicato il suo nome.
La cattedrale appare oggi nel suo aspetto romanico. La sua parte più antica è forse la cripta che peraltro non deve attribuirsi al sec. IX, come si è proposto finora, ma all'XI. Il suo ampliamento dovette avvenire al tempo della ricostruzione della chiesa superiore, e cioè nel sec. XIII. La chiesa antica andò distrutta nel terribile guasto inferto dai crociati a Zara. La sua ricostruzione dovette perciò iniziarsi dopo il 1202. Ma l'opera fu dedicata nel 1285 e continuò sino al 1324. L'insieme palesa l'influsso dell'arte toscana, ma risente eziandio del romanico di Puglia. Sulla fronte si riadoperarono elementi scultorî degli ornati romanici applicati alla chiesa più antica. L'interno della basilica è a tre navi, nello schema a pilastri con semicolonne addossate, o colonne isolate, proprio dello stile lombardo; ma il matroneo ad arcatelle sopralzate impostanti su pilastri aggettanti ognuno in due semicolonne, è di tipo specificamente veneto. Il campanile ha la base e il primo piano del sec. XV. I tre piani superiori e la cuspide furono eseguiti nel 1892 su disegno dell'arch. Jackson. Il battistero ottagono è ritenuto del sec. V; ma è piuttosto del sec. IX. Le sue muraglie esterne hanno evidenti analogie col S. Donato. La sua vasca ottagona in breccia rosea è del sec. XIII. Nel duomo si conservano molti tesori artistici, a cominciare dalle sei tavole di Vettor Carpaccio (firmate) con S. Martino, S. Girolamo, S. Anastasia, i Ss. Pietro e Paolo e S. Simeone, offerte nel 1480 dal can. Martino Mladosich. Del sec. XV sono gli stalli del coro. Nel tesoro vi è una serie cospicua di reliquiarî, per lo più argentei. La chiesa del monastero di S. Maria riprende nella facciata il tipo veneziano di S. Maria dei Miracoli. La sala capitolare fu eretta per impulso della badessa Vechenega (morta nel 1111). Alla base del campanile vi è un'auletta con quattro colonne a capitelli cubici scantonati che recano il nome di re Colomanno d'Ungheria, il sovrano con cui principia (1105, o 1107) la dominazione ungarica a Zara. Il coro è un importante esempio d'intaglio quattrocentesco, opera di un Giovanni da Curzola. Nel monastero, tra altre opere d'arte, si trovano preziosi reliquiarî e paliotti ricamati tra cui uno trecentesco. Entro la chiesa di S. Simeone profeta si conserva l'arca del santo, in argento massiccio con sbalzi del 1380, lavorati da Francesco da Milano per commissione di Elisabetta d'Ungheria. Nelle varie scene si raccontano i miracoli del sacro corpo. Il santuario possiede anche un calice donato da S. Elisabetta d'Ungheria; è lavoro stupendo di orefice magiaro.
La chiesa conventuale di S. Francesco, eretta nel 1282 (ma ora molto trasformata), ha un suggestivo chiostro cinquecentesco. Vi si conservano un polittico quattrocentesco della scuola di Iacobello di Bonomo e una serie di codici miniati dei secoli XIII, XIV e XV, un rozzo ma potente crocefisso del sec. XII in legno policromato. Belle iconi tardo-bizantine sono nella chiesa scismatica di S. Elia.
La chiesa di Crisogono è una interessante basilica romanica del sec. XII, di tipica costruzione benedettina. Essa era unita a un fiorente cenobio. Di grande importanza per la storia dell'architettura medievale dalmata sono le chiesuole, oggi abbandonate, di S. Pietro e di S. Lorenzo, erette nel sec. X.
Nei palazzi impera l'arte veneta. Ariosa è la corte, tutta ad arcate, del palazzo del Capitan Grando (sec. XV). Esempio del classicismo veneto cinquecentesco è la loggia civica architettata da Gian Girolamo Sanmicheli. Michele Sanmicheli eresse la Porta Terraferma (1543), che è veramente un capolavoro. In calle S. Simone, in Campo S. Rocco, in V. S. Domenico, in calle del monte, in calle dell'Ospedale ed altrove, si hanno fini saggi di scultura su porte, davanzali, vere da pozzo, eseguiti dal sec. XIV al XVI. Altri pezzi di scultura si ammirano nel museo, tratti da chiese e palazzi distrutti.
Il museo ha una inestimabile raccolta di vetri romani tratti da tombe dalmatiche (specie del circondario di Zara). Provengono da fabbriche di Alessandria d'Egitto, di Sidone e di Aquileia e fors'anche locali. Vi si notano tutte le tecniche dell'arte vetraria. Possiede anche parecchi oggetti d'avorio, d'osso, di ambra; poi statuine di terracotta, monete, oreficerie, a non parlare delle grandi sculture (fra cui una statua d'Augusto e una di Tiberio) e della serie di epigrafi. (V. tavv. CXLIII e CXLIV).
Biblioteche. - La più ricca e antica biblioteca di Zara è la Comunale Paravia, sorta con i libri donati nel 1855 e con altri legati nel 1857 dallo zaratino Pier Alessandro Paravia, professore di eloquenza all'università di Torino. Inaugurata il 18 agosto 1857 con 18.000 volumi, contava, al 1° gennaio 1937, 66.651 volumi e opuscoli, 780 manoscritti e 372 documenti e diplomi membranacei. Ha carattere di cultura generale con particolare riguardo alla storia adriatica. Nel 1937 venne trasferita in una nuova sede monumentale eretta in calle del Conte. Dopo la Paravia, la più importante è la biblioteca del R. Liceo-Ginnasio, fondata nel 1859, ricca oggi di circa 30.000 volumi e opuscoli, e 287 manoscritti. Notevole è pure la biblioteca del R. Archivio di stato, fondata nel 1894, la cui consistenza attuale è di 14.383 volumi e opuscoli, e 60 manoscritti di materia giuridica e di storia regionale. Delle biblioteche ecclesiastiche, la più antica, esistente sin dal sec. XVI, è quella del convento di S. Francesco, con manoscritti, incunabuli e rare edizioni dal 1500 al 1520. D'importanza minore, e non tutte accessibili né ordinate, sono la Biblioteca Capitolare, la biblioteca del seminario Zmajevich e quella del convento di S. Michele. Alla diffusione della cultura popolare provvede la Biblioteca popolare dalmata, fondata con scopi irredentistici dalla Società degli studenti italiani della Dalmazia nel 1905, passata nel 1928 al Partito Nazionale Fascista, con intenso prestito a domicilio.
Istituti di cultura. - Il principale istituto di cultura è la Società dalmata di storia patria, fondata nel 1926 da Giuseppe Praga con il fine di "promuovere ed eseguire studî e ricerche in ogni campo della storia, della vita, dell'arte e della letteratura dalmata". Ha pubblicato (1937) 4 volumi di Atti e Memorie e 4 fascicoli di Studi e Testi. Ne è in corso la trasformazione in sezione della R. Deputazione di storia patria per le Venezie. L'Istituto di cultura fascista, sorto nel 1928 quale trasformazione dell'università popolare, cura soprattutto l'organizzazione di conferenze e cicli di lezioni.
Delle raccolte di arte, storia e scienza, le più notevoli sono il Museo di S. Donato, appartenente allo stato, fondato nel 1877 con raccolte preesistenti, continuamente accresciute, ricchissimo di materiale archeologico greco-romano, e il museo comunale di storia naturale.
Storia. - L'importante stazione neolitica di Nona (Aenona) a pochi chilometri da Zara dimostra che un'antichissimo agglomerato di popolazione vi fu proprio in quei luoghi dove sorse più tardi la principale città della Liburnia. Le tombe dell'ultimo periodo dell'età del bronzo e della civiltà del ferro (fasi di Hallstatt e di La Tène) confermano che essi continuarono a essere abitati da quella popolazione illirica, stabilita tra l'Arsia e il Tizio (Cherca), che conobbe solo di riflesso i benefici della civiltà ellenica irradiata dalle colonie greche della Dalmazia meridionale. Anzi alla fondazione di queste cercò di resistere: una stele eretta dai Farii (Isola di Lesina) ricorda la vittoria riportata nel 384 a. C. sugli 'Ιαδαστίνι che è la prima menzione storica degli abitanti di Zara. Un altro ricordo di essa si trova probabilmente nello Pseudo Scillace (par. 21), che menziona fra le città liburniche Idassa, così come un'iscrizione del sec. III ricorda gli 'Ιαδαστίνι.
Nelle lotte tra Roma e gli Ardiei non è improbabile che i Liburni, e con essi gli Zaratini, abbandonassero la Lega illirica orientandosi verso Roma, specie dopo la marcia del console C. Sempronio Tuditano (129 a. C.), che da Aquileia si spinse sino al fiume Tizio: non abbiamo infatti menzione di una conquista militare dei Liburni, bensì di un tributo da essi pagato; forse allora Zara divenne sede di uno di quei conciliabula o conventus civium Romanorum che più tardi parteggerà apertamente per Cesare, meritando l'elogio di Irzio, e aiuterà Ottaviano nella prima guerra dalmatica (35-33 a. C.) per cui sarà premiata con la fondazione di una colonia detta comunemente Jader (forma indeclinabile; gr. 'Ιάδαιρα, 'Ιάδερα, più tardi τὰ Διάδωρα; etnico Iadestini) retta da duoviri, ascritta alla tribù Sergia e parte del conventus Scardonitanus, uno dei tre in cui era divisa la provincia dell'Illyricum. Essa godette una grande prosperità, soprattutto per il commercio del vino e dell'olio, e fu perciò sede di numerosi mercanti greci e orientali, oltre che luogo di riposo dei veterani delle legioni della Dalmazia settentrionale che vi portarono, accanto ai culti tradizionali di Giove, Giunone, Minerva, Apollo e così via, quelli di Iside, Serapide e Mitra.
Si mantenne fiorente anche dopo il tramonto dell'Impero d'Occidente (476), dell'impero dalmatico di Giulio Nepote (480) e sotto i regni italici di Odoacre e di Teodorico. Verso il 540 fu tolta ai Goti e restituita all'impero. Dopo l'invasione avaro-slava del 615 e la distruzione di Salona, divenne il centro principale della Dalmazia bizantina e residenza dello stratego imperiale. Nel 751, caduta Ravenna, ne ereditò le funzioni, divenendo la più importante città dell'Adriatico, principale e fortissima base dell'Impero d'Oriente nella lotta contro il nascente Impero d'Occidente. In questa posizione di privilegio matura a poco a poco anche un ducato autonomo di Dalmazia, di cui Zara è capitale. Se ne ha il primo sintomo nell'805-806, quando alla corte di Carlomagno la provincia è rappresentata dal duca Paolo e dal vescovo Donato, ambedue zaratini. L'autonomia è pienamente realizzata sotto il duca Giovanni (821) e l'imperatore Michele II il Balbo (820-829). Nella seconda metà del sec. IX la sovranità imperiale si ristabilisce, ma Zara continua a tenere una forte posizione di preminenza e a esercitare il governo della Dalmazia. Nel sec. X i funzionarî comunali indigeni sono a un tempo funzionarî provinciali dell'Impero. Intanto, formidabile competitrice nell'Adriatico, sorge e si afferma Venezia. Zara, premuta dagli Slavi, passa a poco a poco in secondo piano e nel 1000 fa omaggio al doge e gli riconosce il titolo e l'ufficio di duca di Dalmazia. Ma già nel 1024 si scuote e, sotto l'alta sovranità bizantina, riprende il suo ruolo. Nella seconda metà del sec. XI gli imperatori bizantini si straniano dall'Italia e dall'Occidente, e Zara non li segue più. La lotta che al tempo del papato riformatore, particolarmente di Gregorio VII (1073-85), si sviluppa nell'Adriatico fra Roma e Costantinopoli, Venezia, i Normanni, i Croati e, più tardi, l'Ungheria, porta Zara, nello sviluppo di una politica estera tutta sua, a entrare nella giurisdizione ecclesiastica romana e, alternativamente, a mettersi sotto la protezione di Venezia e dell'Ungheria. Il sec. XII, durante il quale il comune si consolida e il vescovato, nel 1154, si eleva ad arcivescovato, è tutto un fluttuare tra la sovranità veneziana e ungherese, sino a che, nel 1202, Enrico Dandolo, coadiuvato dalle genti della IV crociata, non stabilisce definitivamente il dominio della Repubblica. Altri brevi distacchi, come quelli del 1242-47, 1311-13, 1345-46, non pregiudicano in alcun modo la continuità del regime dei dogi, né arrestano il riplasmarsi degli ordinamenti politici, della vita e della lingua sul modello veneziano. Il comune, da fondamentalmente democratico (retto da priori) quale era in regime bizantino, da pronunciatamente popolare (retto da consoli) nel sec. XII, assume nel Duecento impronta schiettamente aristocratica. Nel 1358 il dominio veneziano s'interrompe e Zara, per virtù di uomini e maturità di istituti, riprende le funzioni di capitale della Dalmazia. La politica accentratrice di Lodovico il Grande (1342-1382) non permette il pieno esplicarsi di questa manifestazione, ma non comprime il comune che, rigoglioso di vita economica ed esuberante di energie politiche, dal 1382 al 1409 decide liberamente del suo orientamento buttandosi prima verso le regine Elisabetta e Maria (1382-86), poi verso Sigismondo di Lussemburgo (13861402), indi verso Ladislao di Napoli (1402-09), il quale anzi, il 5 agosto 1403, prende nella cattedrale zaratina la corona del regno d'Ungheria. Nel 1409 Venezia ottiene da Ladislao la cessione della Dalmazia. Zara, avutane notizia, espelle i Napoletani e, inalberato il gonfalone marciano, vuol fare liberamente atto di dedizione all'antica dominatrice. Il 31 luglio, giomo che fu poi santificato e celebrato come quello della "Santa Intrada", i provveditori della Repubblica entrano in città e stabiliscono quella signoria che, senza interruzione, durerà fino al 12 maggio 1797. In regime di signoria il comune cede gran parte del suo potere al conte, funzionario biennale di Venezia. La nobiltà, già classe dirigente, decade e si costituisce in "comunità", con attribuzioni politiche assai limitate. Ascendono invece le classi medie e popolari che si organizzano in "università", si contrappongono ai nobili e nei negozî politici incominciano ad avere voce e peso. Nel Rinascimento la vita corre intensa e rigogliosa, magnifica di fioritura d'arte e di pensiero, ma non tranquilla. Lo stato di guerra quasi permanente tra Venezia e il Turco angustia la città ed espone l'agro a incursioni e devastazioni. Appena dopo Lepanto (1571) la situazione si fa migliore e la città riprende fortemente le funzioni di vivo centro provinciale. Vi risiede, dalla fine del sec. XVI, un provveditore generale in Dalmazia e Albania, capo civile e militare di tutta la provincia. Si rinnova in questo tempo la struttura edilizia e la città medievale acquista il marziale volto urbano che conserva tuttora. La fitta rete di leggiadre calli veneziane è circondata da un insieme di potenti opere militari erette dai più insigni condottieri e architetti dell'ultimo Rinascimento. Vinte in Dalmazia le guerre turche del 1644-69, 1684-99 e 1714-18 e portati sino alle Dinariche i limiti della provincia, il respiro metropolitano si fa ancora più vasto. La caduta della Repubblica trova la città in pieno fervore di studî, di opere d'iniziative. Il 30 giugno 1797 entrano in città le truppe austriache e il 6 luglio i gonfaloni marciani vengono abbassati, recati nella cattedrale, benedetti, baciati e sotterrati. La pace di Presburgo (26 dicembre 1805) fa passare la Dalmazia a Napoleone che l'aggrega al Regno Italico e, dal 1809, alle Provincie Illiriche. L'8 dicembre 1813, dopo trentadue giorni di assedio, truppe austriache entrano nuovamente in città. Durante il Risorgimento la fiamma del patriottismo divampa vivissima particolarmente nel 1848 e nel 1861, e l'italianità sino al 1915 resiste vittoriosa alle insidie e agli assalti dell'Austria e dei Croati. Durante la guerra mondiale, il comune, serbatosi fin dai tempi di Roma sempre e ininterrottamente nei secoli latino e italiano, viene per la prima volta violentato: i capi politici e i patrioti incarcerati ed esiliati, mentre fitte schiere di giovani passano il confine per combattere nell'esercito italiano la guerra di liberazione. Il 29 ottobre 1918 il popolo insorge, espelle i governanti austriaci, inalbera il tricolore e invoca l'Italia. Il 4 novembre forze italiane occupano la città. Il trattato di Rapallo (12 novembre 1920) assegna bensì Zara all'Italia, ma cede la restante Dalmazia alla Iugoslavia. Contro di esso insorgono il popolo, i legionarî dalmati e i dannunziani, che nel Natale di Sangue (26 dicembre 1920) si battono nelle piazze e per le vie. Il 5 gennaio 1921, è proclamata l'annessione all'Italia.
Bibl.: A. Mori, L'approvvigionamento di Zara, in Rivista geografica italiana, XL (1933); id., Note sulla pesca a Zara e a Làgosta e sull'emigrazione peschereccia nell'Adriatico, in Boll. soc. geografica italiana, 1933, pp. 662-83; id., Le industrie di Zara, nel volume collettivo La localizzazione delle industrie in Italia, Roma 1937.
Monumenti. - G. De Bersa, Guida storico-artistica di Zara, Trieste 1926; C. Cecchelli, Catalogo delle cose d'arte e d'antichità d'Italia. Zara, Roma 1932; R. Valenti, Il Museo nazionale di Zara (in coll.: Itinerari dei musei e monumenti d'Italia, del Ministero dell'educazione nazionale, n. 12, Roma 1933).
Biblioteche e istituti di cultura. - V. Brunelli, La storia della Biblioteca Paravia, in numero speciale Paraviano del Dalmata, XXXII (1897), n. 56; per la biblioteca del R. Liceo: T. Erber, Storia del ginnasio superiore di stato in Zara, Zara 1905, pp. 306-09; V. Brunelli, Catalogo sistematico della Biblioteca del ginnasio superiore, in Programma del ginnasi o superiore in Zara, XLIII (1900) segg., p. 3 segg.; Biblioteca Popolare Dalmata, Catalogo generale, Zara 1930 e Supplementi I-III, ivi 1931-34; G. Praga, Le opere dello spirito in Dalmazia nel clima del Littorio, in San Marco, ivi, numero speciale del 28 ottobre 1934.
Storia antica. - Corpus Inscript. Latin., III, pp. 374, 1635 e 2169; N. Vulić, in Pauly-Wissowa, Real Encycl., IX, col. 556; E. De Ruggiero, in Dizionario epigrafico, IV, p. 1; I. R. Istituto Archeologico Austriaco, Guida del Museo di S. Donato in Zara, Vienna 1913. V. inoltre i citati G. De Bersa e C. Cecchelli.
Storia medievale e moderna. - Le fonti documentarie, copiosissime, iniziatisi dal sec. X, sono pubblicate nelle raccolte diplomatiche citate alla voce dalmazia. Le cronachistiche incominciano nel Trecento: Obsidionis Jadrensis libri duo, in I. Lucii, De Regno Dalmatiae et Croatiae, Amsterdam 1666, pp. 387422; Cronica Jadrensis, inedita nell'originale latino, pubblicata in una versione volgare quattrocentesca da J. Morelli in Monumenti veneziani di varia letteratura, per la prima volta pubblicati nell'ingresso di S. E. Alvise Pisani alla dignità di procuratore di San Marco, Venezia 1796, pp. I-XXXVII; Memoriale Pauli de Paulo patritii Jadrensis, ed. F. Šišić, da Vjesnik kr. hrv.-slav.-dalm. Zemaljskog Arkiva, Zagabria 1904. Secentesca è la Historia ecclesiae Jadrensis auctore Valerio Ponte, ed. (incompiuta), Brunelli, in Rivista Dalmatica, IV (1907); f. I segg., p. 101 segg. Per la vita giuridica: Statuta Jadertina, Venezia 1564; V. Brunelli, Gli Statuta Jadertina, in Programma del Ginnasio superiore di Zara, XLIX, Zara 1906, pp. 3-35. Altre indicazioni di fonti in V. Brunelli, Di alcune fonti per la storia municipale di Zara, in Il Dalmata, XXVII (1893), nn. 78-80. Cfr. inoltre D. Farlati, Illyricum Sacrum, V, Venezia 1775; C. F. Bianchi, Zara cristiana, voll. 2, Zara 1877-79; L. Benevenia, Il comune di Zara nel Medioevo (dal V al XII sec.), in Ann. dalmatico, III, ivi 1886, pp. 155-205; C. F. Bianchi, Fasti di Zara, ivi 1888; G. Sabalich, Guida archeologica di Zara, ivi 1897; L. Benevenia, Il comune di Zara nel sec. XII, in Rivista dalmatica, I (1899), fasc. 3 segg., p. 268 segg.; (V. Brunelli), Il comune di Zara dal 1874 al 1899, Zara 1899; id., Storia della città di Zara dai tempi più remoti sino al 1815: parte 1ª (solo pubblicata): Dalle origini al 1409, Venezia 1913 (alcuni capitoli postumi della parte II con introd. di G. Praga, in Arch. stor. per la Dalmazia, IX (1934), fasc. 104 segg., p. 367 segg.); G. Praga, Zara nel Rinascimento, ibid., X (1935), fasc. 115, pp. 302-23.