Agricoltura
Dal punto di vista storico-artistico, lo studio dell'a. medievale può avvalersi di testimonianze iconografiche dalle diverse e numerose tipologie. Esse costituiscono d'altra parte anche un indispensabile supporto di diretta documentazione alla ricerca più strettamente storica, che a sua volta fornisce preziosi elementi di conoscenza sia sul piano dell'interpretazione simbolica e allegorica delle immagini, sia sul contenuto tecnico dei paesaggi, dei personaggi e degli attrezzi di lavoro che compaiono nella produzione figurativa.In tal senso, più di recente, anche le indagini dell'archeologia medievale hanno portato a interessanti acquisizioni sia sull'utilizzazione e la forma degli strumenti di lavoro, sia - attraverso l'esame dei resti vegetali ritrovati nelle tombe e negli insediamenti - sulla localizzazione delle varie colture.
I segni impressi dall'uomo del Medioevo allo habitat naturale, se pure poco documentati da fonti scritte perlomeno sino all'età carolingia, sono ancor oggi rilevabili nella toponimia, nelle linee dei margini boschivi, nella composizione delle formazioni vegetali spontanee, nel disegno dei campi e delle strade, nella struttura dei villaggi agricoli (Duby, 1969, p. 3).
Alla progressiva estensione del saltus durante il Basso Impero, che comportò una restrizione delle terre coltivate rispetto a quelle a pascolo, fece seguito durante il periodo delle c.d. invasioni barbariche (dal sec. 5° ai secc. 9°-10°) l'affermarsi, nei vasti domini del fisco romano ereditati dai capi barbari, del sistema agrario a campi ed erba, mentre in questo paesaggio di campi aperti la foresta incalzava sempre più da vicino i terreni coltivati (Sereni, 19742, p. 72). L'ambiente naturale più che altrove modificato dai bisogni dell'uomo era quello prossimo agli agglomerati contadini, poiché la vicinanza stessa alle abitazioni e alle stalle - dove i rifiuti e l'andirivieni di animali agivano da fertilizzanti - insieme alle frequenti vangature rendevano il terreno più morbido e più propizio alle colture (Duby, 1969, p. 11).
Nella generale situazione di degrado politico ed economico dei secoli anteriori al Mille, con la decadenza della vita urbana e con la disgregazione dell'habitat naturale paradossalmente le pratiche agricole segnarono con le forme proprie del paesaggio agrario gli spazi delle città all'interno delle mura. Di tali segni - cioè dell'organizzazione in campi chiusi coltivati a vigneti, orti, frutteti - rimane traccia sino in età moderna, come è testimoniato, per es. nel caso di Bologna, dalla cartografia cinquecentesca (Sereni, 19742, tav. 12).
L'affermarsi delle istituzioni feudali in età longobarda e poi in età franca (quando "la storia delle campagne d'occidente si illumina d'improvviso" per il moltiplicarsi delle fonti scritte, Duby, 1969, p. 38) e l'allontanarsi della minaccia barbarica portarono a un fervore di lavori di dissodamento e di nuove piantagioni (soprattutto di viti, ulivi e castagni, che restano attestate ancor oggi in toponimi spesso ricorrenti come olivetum e terra vitata). Tale fervore culminò nei secc. 11° e 12°, secoli decisivi per la riorganizzazione del paesaggio agrario, con grandi opere di bonifica, di dissodamento, di irrigazione che incisero l'habitat naturale in forme spesso giunte sino a oggi.
Tra le forze sociali che contribuirono a tali opere particolare rilievo ebbe l'Ordine cistercense (i cui interventi agrari sono ben documentati, anche a livello tecnico, negli studi di Higounet, 1969; 1975a; 1975b) che, oltre a farsi depositario di quanto era sopravvissuto delle tradizioni tecniche dell'età classica, si impegnò in uno sforzo di razionalizzazione delle attività agricole, grazie alla concezione totalizzante che rappresentava il fulcro dell'"altissima dimensione estetica dell'esperienza cistercense" (Romanini, 1978, p. 125) e che coinvolgeva ogni "dimensione realizzatrice" (Righetti Tosti-Croce, 1983, pp. 126-127), dal modello della cattedrale, al modello delle infrastrutture di produzione, al modello del territorio addomesticato (Duby, 1982, pp. 115, 184).
La progettualità modulare, che è alla base dell'architettura cistercense, investe oltre alle abbazie e alle grange anche l'impianto a scacchiera regolare di alcune bastides e l'organizzazione dei terreni circostanti; organizzazione attuata in stretto rapporto con quella dell'insediamento (Higounet, 1975b; Righetti Tosti-Croce, 1983, pp. 123-124).
L'applicazione del sistema delle rotazioni triennali, adottato dai Cistercensi al fine di favorire un miglior raccolto di cereali, impose una nuova configurazione al terreno, alle acque, ai ritmi agricoli (Righetti Tosti-Croce, 1983, p. 112). È noto l'esempio della grangia di Vaulerent (Higounet, 1969; 1975b, passim) dove il territorio è tripartito in aree rigorosamente uguali per mettere in opera la rotazione agraria e nel contempo l'edificio della grangia propriamente detta è costruito al centro delle sue pertinenze territoriali e con dimensioni a esse proporzionali (Higounet, 1975b, p. 178). Altrettanto significativo il caso dei conversi cistercensi dell'area milanese, che per ottenere foraggio sempre fresco con il sistema delle marcite, suddivisero a scacchiera la pianura intorno alle abbazie (Righetti Tosti-Croce, 1983, p. 112). *
Bibliografia
G. Duby, L'economia rurale nell'Europa medievale, Bari 1969.
Ch. Higounet, La grange de Vaulerent. Structure et exploitation d'un terroir cistercien de la plaine de France, Paris 1969.
E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Bari 19742 (1961).
Ch. Higounet, L'assolement triennal dans la plaine de France au XIIIe siècle, in Paysages et villages neufs du Moyen Age, Bordeaux 1975a, pp. 171-174.
Id., Les types d'exploitations cisterciennes et prémontrées du XIIIe siècle et leur rôle dans la formation de l'habitat et des paysages ruraux, ivi, 1975b, pp. 177-183.
A. M. Romanini, Appendice agli 'Aggiornamenti sull'arte cistercense', in I Cistercensi e il Lazio, Roma 1978, pp. 125-134.
G. Duby, S. Bernardo e l'arte cistercense, Torino 1982.
M. Righetti Tosti-Croce, Architettura e economia: ''strutture di produzione cistercensi'', AM 1, 1983, pp. 109-129.
di P. Mane
Nell'Occidente medievale l'a. costituiva la base dell'economia e il lavoro dei campi, insieme con l'allevamento del bestiame, la forma di occupazione di gran lunga privilegiata della maggior parte della popolazione. Benché l'importanza di tali attività non trovi adeguato riflesso nell'arte, dominata da temi e immagini di ispirazione prevalentemente religiosa, tuttavia durante l'età medievale rappresentazioni di scene agricole si ritrovano relativamente diffuse sia nell'arte monumentale - in sculture, affreschi, vetrate o mosaici - sia in miniature od oggetti di culto in avorio e smalto, o sui tessuti.
In primo luogo sono gli episodi biblici legati alla vita dei campi e all'allevamento del bestiame a fornire spunto per questo tipo di soggetti, così alla decorazione degli edifici come alla miniatura (Réau, 1955-1959).
Nell'Antico Testamento, dopo il peccato originale, ad Adamo viene imposta la coltivazione della terra (Gn. 3, 23): ecco pertanto che egli appare raffigurato con in mano una vanga o una zappa, più raramente un aratro. Caino e Abele (Gn. 4, 2) rappresentano invece, di norma, la contrapposizione tra il popolo dei coltivatori e quello dei pastori così che l'assassinio di Abele è raffigurato di conseguenza come perpetrato mediante uno strumento agricolo (vanga o zappa). La storia di Noè (Gn. 9, 20) è a sua volta ottimo spunto per descrivere come si pianta una vigna e come si vendemmia; quelle di Abramo e di Lot (Gn. 13, 7) o di Giacobbe e di Labano (Gn. 30, 32-43) introducono nel mondo dei pastori, come il sogno di Giuseppe che lega i covoni (Gn. 37, 7) evoca la mietitura. Sansone, nella sua prigione, gira la macina (Gdc. 16, 21); Rut spigola e batte l'orzo (Rt. 2, 15-17), mentre Mosè difende il bestiame delle figlie di Ietro (Es. 2, 16-17), Davide pascola le pecore (1 Sam. 16, 11), le greggi di Giobbe vengono decimate (Gb. 1, 14-17) e il profeta Amos è un semplice pastore con il tascapane, la cornamusa e il vincastro (Am. 1, 1; 7, 14-15).
Allo stesso modo anche nel Nuovo Testamento si moltiplicano i riferimenti alle più diverse attività rurali: così l'annunzio ai pastori come - a partire dal sec. 15° - l'adorazione dei pastori sono tra le immagini religiose più diffuse nel Medioevo offrendo impareggiabili nozioni sui modi e metodi della pastorizia del tempo. Dal sec. 14° in poi il Cristo stesso, che appare dopo la resurrezione, nell'orto, a Maria Maddalena, è usato quale soggetto per raffigurazioni di questo tipo: porta infatti per lo più un cappello di paglia e ha in mano una vanga, come un giardiniere. Sono poi numerosissime le parabole che fanno riferimento vuoi al lavoro dei campi, dalla parabola del seminatore (Mt. 13, 3-9; Mc. 4, 3-9; Lc. 8, 5-15) a quella della zizzania (Mt. 13, 24-30; 36-43) e del granello di senape (Mt. 13; 31-32; Mc. 4, 30-32; Lc. 13, 18-19), vuoi alla vita pastorale, dalla pecorella smarrita (Mt. 18, 12-14; Lc. 15, 4-7) al figliol prodigo (Lc. 15, 11-32), vuoi ancora alla viticoltura - gli operai mandati nella vigna (Mt. 20, 1-16), i vignaioli omicidi (Mt. 21, 33-41; Mc. 12, 1-13; Lc. 20, 9-16) o la vera vigna (Gv. 15, 1-8) -, vuoi perfino alla coltivazione degli alberi da frutto, a partire dall'episodio del fico sterile (Mt. 21, 18-22; Mc. 11, 12-24; 20, 24).
Per contro, il motivo del Buon Pastore, ereditato dall'Antichità e privilegiato dall'arte cristiana primitiva, durante il Medioevo subì una parziale eclissi.I codici contenenti il testo dell'Apocalisse appaiono spesso decorati con scene relative alla mietitura e alla vendemmia, mentre nei vangeli apocrifi episodi come il miracolo del mietitore sono raffigurati come momenti salienti della fuga in Egitto.
In alcuni libri di teologia o di agiografia compaiono miniature con immagini tratte dal mondo rurale: in particolare, per es., numerose copie del De civitate Dei di s. Agostino, eseguite fra il 1120 e il sec. 15°, sono illustrate con rappresentazioni dell'aratura dei campi. Analogamente forniscono indicazioni sulla vita di campagna anche le scene tratte dalle vite dei santi, come nel caso di Venceslao, protettore della Boemia, raffigurato in numerosi cicli pittorici cechi (tra cui, per es., gli affreschi della cappella della Santa Croce a Karlštejn, datati al 1360 ca.; Husa, Petran, Subrtova, 1967). Le rappresentazioni dei santi erano d'altronde assai diffuse verso la fine del Medioevo e tra essi non mancano i vari patroni dei contadini, recanti strumenti agricoli in funzione di attributi.
Oltre alle immagini di origine religiosa, personaggi del mondo rurale venivano talora inseriti nella decorazione di opere liturgiche anche senza diretta relazione con il testo: così, negli evangeliari carolingi, un contadino in atto di zappare o di potare la vigna orna spesso l'intestazione dei canoni dei Vangeli; analogamente, dopo la seconda metà del sec. 13°, i margini di salteri, breviari o libri d'ore si popolarono di soggetti aneddotici spesso collegati ai lavori agricoli. Tra essi merita una citazione particolare il manoscritto dei Moralia in Job di Cîteaux (conservato a Digione, Bibl. Mun., 170) ove il lavoro dei campi, a opera di monaci e conversi, è descritto con attenzione e precisione già tutta moderna, anche per ciò che riguarda gli specifici attrezzi e metodi di lavorazione di volta in volta usati.
Una fonte di notevole interesse per l'iconografia dell'a. è rappresentata dai testi scientifici. Durante tutto il Medioevo i trattati di agronomia di Catone, Varrone, Plinio il Vecchio, Palladio e le opere di Virgilio, di Aristotele e di Dioscoride vennero più volte copiati, offrendo l'occasione per miniature in vario modo connesse al mondo contadino. A partire dal sec. 13° i testi di agronomia si moltiplicarono soprattutto nelle regioni anglonormanne e in Spagna, ma di norma non sembra venissero illustrati. Costituisce in ogni caso eccezione il Liber ruralium commodorum del giurista bolognese Pietro de' Crescenzi, datato intorno al 1305 (Mane, 1985): fra i centotrentatré manoscritti studiati, ventisei sono copie miniate, con testo in latino o in francese, perché nel 1373 ne era stata ordinata una traduzione. Queste miniature, datate al sec. 14° o 15°, periodo in cui si andava affermando in arte la tendenza al realismo, provengono da botteghe situate in regioni diverse, come le Fiandre e l'Italia settentrionale. Dato l'argomento del trattato - la conduzione di una tenuta modello - vi si trovano raffigurate attività mai prima rappresentate, come in questo caso, da un punto di vista più propriamente tecnico, come, per es., la costruzione della casa padronale o gli interventi di riparazione, l'atto di piantare, potare e innestare alberi da frutto. All'interno degli schemi iconografici tradizionali la maggior parte delle illustrazioni è arricchita di dettagli pittoreschi che danno una visione attenta e particolareggiata della vita di campagna dell'epoca.
Benché le opere concernenti l'a. risultino poco numerose nel corso del Medioevo, a partire dal sec. 9°, sotto l'influsso della civiltà araba, si diffusero in Occidente gli erbari. Di fatto solo dopo il sec. 12° in alcuni di questi si notano segni anche figurativi di un più preciso interesse, oltre che per l'aspetto botanico, anche per la coltivazione e la raccolta delle piante (Pächt, 1950). Analogamente, in alcuni trattati sull'igiene appaiono rappresentati con precisione non solo i vari prodotti consigliati, ma anche le diverse occupazioni necessarie per mantenersi in buona salute. Le copie dei secc.14°15° del Tacuinum Sanitatis, composto nel sec. 11° da un medico di Cordova, Abu 'l-Qāsim al-Zahrāwī (Pächt, 1950; Cogliati Arano, 1973; Romano, 1976), descrivono, in duecentottanta capitoli riccamente illustrati, gli animali e i vegetali dai quali si possono, a suo avviso, trarre gli alimenti appropriati a una sana nutrizione: vengono così presentate la raccolta del miele, dell'aglio, del finocchio, della zucca o la produzione del formaggio. Alcuni testi di medicina, come il Circa instans del salernitano Giovanni Plateario il Giovane, del sec. 12° (Pächt, 1950; Romano, 1976), valsero a tramandare nei secoli una sorta di vero e proprio 'lessico' della farmacopea contemporanea, attraverso il quale è possibile, tra l'altro, anche conoscere le diverse specie coltivate nel Medioevo.
Dopo il sec. 13° si diffusero inoltre, ampiamente, le enciclopedie, con le relative traduzioni e copie miniate; così il De natura rerum (1228-1244) di Tommaso di Cantimpré, il De proprietatibus rerum (1230-1240) di Bartolomeo Anglico o, più tardi, il Buch der Natur (1349-1451) di Corrado di Megenberg offrono uno spaccato sulle conoscenze dell'epoca soprattutto in fatto di specie animali e vegetali, trattando inoltre anche di taluni lavori agricoli e del calendario contadino.
Un'altra fonte di informazione è costituita da numerose opere giuridiche, arricchite da miniature in cui si trovano riferimenti all'agricoltura. In particolare nel Sachsenspiegel, scritto fra il 1221 e il 1224 da Eike di Reppichau (Epperlein, 1975), di cui sono pervenuti in buon numero esemplari dei secc. 13°14°, sono riprodotti diversi tipi di aratro, a conferma dell'importanza degli attrezzi pesanti; così pure appaiono di norma illustrati da apposite miniature anche diversi passi dedicati all'allevamento del bestiame. È invece più raro trovare i diversi aspetti della vita rurale debitamente descritti e illustrati in registri delle proprietà terriere o delle rendite, come il Vieil Rentier d'Audenarde, dell'ultimo quarto del sec. 13° (Bruxelles, Bibl. Royale, 1175). Di interesse eccezionale è in questo senso il libro delle gabelle della città di Firenze, Gabelle delle porte, datato alla prima metà del Trecento (Firenze, Bibl. Riccardiana, 2526; Partsch, 1981), che illustra diverse attività e lavori di campagna. Il Biadaiolo (Firenze, Laur., Tempi 3) di Domenico Lenzi, mercante di granaglie del sec. 14° (Pinto, 1978), contiene miniature assai dettagliate sul grano e altri cereali, dalla mietitura alla commercializzazione.
A partire dal Duecento, ma soprattutto nei secc. 14°-15°, ebbero grande diffusione varie opere profane contenenti molteplici riferimenti alle attività rurali, anche in testi non concernenti l'a., come nel caso, per es., del De mulieribus claris (1360-1374) di Boccaccio, ove Cerere, domati i buoi e inventato l'aratro, ara un campo, o della Epitre d'Othéa (1402-1405) di Christine de Pisan, ove l'invenzione dell'innesto è attribuita alla dea Iside. Scene rurali appaiono debitamente illustrate con apposite figurazioni anche nelle raccolte di proverbi che, dal sec. 12°, godettero notevole fortuna. Anche nell'arte monumentale non mancano figurazioni dei lavori agricoli specie in casi quali, per es., la decorazione dell'edilizia civile pubblica e privata. Ne offre notissima testimonianza emblematica l'affresco (1330-1340) di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena che, illustrando gli effetti del buon governo, descrive le opere quotidiane della campagna.
Di antica origine classica, il tema del calendario - a cui la Chiesa conferì senso religioso - ricomparve nell'Alto Medioevo (Stern, 1955) attraverso poesie e manoscritti miniati. Nei secc. 12°-13° esso godette di favore crescente nelle diverse tecniche artistiche, mentre nei secc. 14°-15°, tramandato dalle miniature, compariva piuttosto come decorazione di edifici profani. Il motivo si sviluppò soprattutto in Francia e in Italia, ma anche, con risultati diversi, in tutta l'Europa occidentale (Le Sénécal, 1921-1923; Webster, 1938; Bresciani, 1968; Mane, 1983). Se l'iconografia di alcuni mesi riprende dall'antico repertorio classico allegorie rappresentanti i passatempi dei giovani nobili (aprile e maggio), la maggior parte delle illustrazioni si riferisce ai principali settori dell'a. medievale: la coltivazione dei cereali che comprende aratura, semina, mietitura e trebbiatura; la viticoltura, con lavori di potatura, legatura delle viti, preparazione dei tini, vendemmia, pigiatura e travaso, e ancora l'allevamento (raccolta delle ghiande, abbattimento del maiale, tosatura delle pecore, ecc.), ma anche la fienagione, la raccolta della frutta o delle rape, il lavoro dei taglialegna, la caccia e la pesca, e così via. Il materiale a disposizione è notevole, sia come quantità - sono ca. ottanta, per es., i calendari monumentali in Francia nei secc. 12°-13° - sia perché offre tutta una gamma di immagini illustranti le diverse fasi del lavoro agricolo. Altro settore da questo punto di vista di grande interesse è quello delle figurazioni relative alle stagioni, rappresentate da simboli tolti sempre dalla vita agricola: si vedano, per es., sculture come i Mesi di Ferrara (Mus. del Duomo) o l'arazzo di Gerona (Mus. de la Catedral, seconda metà del sec. 11°; De Palol, 1957) ma anche miniature, talvolta di ispirazione profana (Le Sénécal, 1921-1923); va detto peraltro che il tema, molto comune nell'Antichità classica, è invece relativamente raro in età medievale.
Nell'iconografia dei diversi lavori agricoli la coltivazione dei cereali e della vite e l'allevamento risultano le attività di maggiore rilievo. Il ruolo primario che la coltura dei cereali svolse nell'economia rurale medievale è testimoniato dall'abbondanza delle illustrazioni. Vangare era il compito fondamentale assegnato biblicamente, dopo la cacciata dall'Eden, ad Adamo: la vanga e la zappa sono infatti rappresentate a partire dall'Alto Medioevo tanto frequentemente da rendere possibile una sorta di vera e propria definizione della più comune tipologia di tali strumenti: si conferma così, per es., che il ferro fu utilizzato per rinforzare gli utensili soprattutto a partire dal 12° secolo. Durante tutto il corso del Medioevo, peraltro, i contadini continuarono in ogni caso a dissodare la terra a forza di braccia, mentre numerose illustrazioni di lavori agricoli permettono di determinare approssimativamente la distribuzione a livello geografico e le trasformazioni subìte nel tempo dagli strumenti per l'aratura (Haudricourt, Jean-Brunhes Delamarre, 1955; Gille, 1962). L'aratro semplice, spesso a uncino, era utilizzato principalmente nei paesi mediterranei, mentre l'aratro a trazione animale, variamente strutturato, si usava soprattutto nell'Europa settentrionale; nelle Fiandre, per es., fin dal sec. 13° sono rappresentati i primi aratri a versoio mobile. Analogamente è possibile seguire l'evoluzione dell'attacco degli animali da tiro, a partire dai buoi accoppiati sotto il giogo frontale, sino all'uso, per i cavalli da tiro, del giogo di nuca ad armatura rigida, che sostituì quello di garrese usato in precedenza, mentre l'attacco in fila appare adottato particolarmente nelle regioni settentrionali.
Le immagini di semina (quando è deducibile un'indicazione cronologica) illustrano quasi sempre quella autunnale; fanno eccezione i calendari francesi di Pouligny-Saint-Martin e di Laval (Francia nordoccidentale), nei quali la semina è collocata in aprile, benché la coltivazione primaverile del grano sia testimoniata anche da altre fonti. All'infuori di documenti come i Tacuina Sanitatis, dove ogni pianta illustrata è indicata con il suo nome, le varietà coltivate sono di norma difficili da riconoscersi nelle immagini medievali note. In Francia le sementi appaiono, generalmente, tenute in una piega della veste o in un grembiule, mentre in Italia appare usato allo scopo, piuttosto, un recipiente di legno o una cesta. L'erpice, già rappresentato nel ricamo di Bayeux del sec. 11°(Bayeux, Tapisserie de Bayeux), compare al tempo della semina dopo il sec. 13°, soprattutto in miniature eseguite nei paesi rivieraschi del mare del Nord; nelle immagini, e senza dubbio anche effettivamente nella realtà, esso era quasi sempre tirato da un cavallo e precedeva o seguiva il seminatore.
La mietitura, attività essenziale all'alimentazione quotidiana, è uno dei lavori rappresentati più frequentemente: in giugno o in luglio, con la falce, dentata o meno, di forme e di misure molto varie, ma per la quale non è possibile individuare tipologie regionali. In Francia come in Italia la mietitura è sempre compito dell'uomo, mentre nei paesi germanici, slavi o baltici, l'uso della falce è affidato alle donne.Le tecniche di trebbiatura erano diverse secondo le regioni. Nell'iconografia dei paesi dell'Europa centrosettentrionale il grano viene battuto con un correggiato sull'aia, nella maggior parte dei casi all'aperto; dalle immagini risulterebbe che solo a partire dai secc. 13°-14° nell'Europa settentrionale il lavoro veniva invece compiuto dai contadini sotto un granaio. In Italia e in Spagna, in ogni caso, benché non fosse sconosciuto il correggiato, le spighe venivano sgranate per lo più sotto gli zoccoli di buoi o cavalli. Mentre le immagini di spulatura mediante una pala di legno o un vaglio di giunco possono dirsi tradizionali, quelle del trasporto del raccolto lo sono meno: i sacchi di grano vengono portati a volte a spalla dagli uomini, più spesso a dorso di animale, per es. su un asino nell'affresco con gli Effetti del buon governo a Siena, o anche in una carretta come nelle pitture murali (1400 ca.) della torre dell'Aquila nel castello del Buonconsiglio a Trento. Mentre la trasformazione del grano in farina viene rappresentata solo eccezionalmente nell'arte monumentale, nelle miniature è diffusa l'immagine dei mulini, che costituivano una innovazione tecnologica. Gli altri lavori connessi alla coltura dei cereali non hanno attirato l'attenzione degli artisti: così non vi sono raffigurazioni di contadini che tolgono le pietre dal proprio terreno, che spezzano le zolle o sarchiano i campi, salvo sui margini di taluni manoscritti, come il Salterio di Luttrel datato al 1340 (Londra, BL, Add. Ms 42130). Nel Medioevo era molto diffusa anche la coltivazione della vite e infatti immagini relative a questa pianta, che aveva d'altronde un ruolo importante nella simbologia cristiana (Dalmasso, Marescalchi, 1931-1939; Dion, 1959), si trovano in tutti i paesi europei, in particolare in quelli meridionali: i calendari francesi, italiani e spagnoli contengono sempre almeno una scena relativa alla vigna e in un buon numero di essi appaiono dedicati alla viticoltura ben tre mesi, un quarto di tutto l'anno.
La potatura in febbraio o in marzo, determinante per la produzione futura, è uno dei motivi più frequentemente descritti, soprattutto nei calendari: il viticoltore monda il piede della vite con una roncola a taglio unico o doppio. È impossibile stabilire una netta definizione tipologica di questo utensile, dalle dimensioni e dalle forme diverse. In quanto alla sarchiatura, lavoro poco caratteristico e poco rappresentato, essa appare inserita talvolta nei cicli dei Mesi, dove, secondo la natura del suolo, il terreno viene lavorato con la zappa e, meno spesso, con la vanga, mai con un aratro.
In realtà le operazioni più riprodotte sono la vendemmia e la pigiatura. L'uva appare raccolta sia a mano, sia con una roncola o un coltello, mentre panieri, ceste e tinelli, bigonce e gerle vengono usati per portare il raccolto fino al grande tino per la pigiatura: la rappresentazione di questi oggetti, in legno o in giunco, di forma e dimensioni molto diverse, è tanto più preziosa in quanto raramente se ne rinvengono esemplari negli scavi archeologici, mentre le illustrazioni permettono di capire non solo le tecniche di fabbricazione ma anche la loro lenta evoluzione nel tempo.
I grappoli appaiono pigiati da un solo uomo (che a volte si serve di un pestello) entro tini vuoi di legno, vuoi talora anche costruiti in pietra o in muratura, soprattutto in Italia. Il torchio a vite, eccezionale nell'arte monumentale, compare in qualche miniatura dell'Apocalisse come immagine del torchio mistico.
Alcuni lavori sono meno comunemente descritti: così, per es., per la vendemmia, in alcuni calendari italiani in agosto il vignaiolo cerchia le botti, mentre in ottobre altri contadini le colmano. La messa a dimora della vigna, l'innesto dei ceppi, il taglio dei sostegni o la degustazione del vino nuovo sono scene poco consuete e, ancora una volta, si trovano soprattutto nelle miniature del 14° e 15° secolo.
Va ricordato infine l'allevamento, che occupa anch'esso un posto considerevole nell'iconografia dell'a.; le diverse specie animali, peraltro, benché spesso figurino condotte insieme al pascolo, non sono trattate nello stesso modo. L'allevamento ovino è il più frequentemente rappresentato, in ambito sia religioso, sia profano. Lo schema iconografico più diffuso in età medievale, in rapporto alla vita agricola, è quello del gregge custodito dal pastore, il quale ha un bastone o un vincastro e uno strumento musicale ed è accompagnato dal cane (Kaiser-Guyot, 1974; Jullian, 1978); le pastorelle compaiono solo nel 15° secolo. Solo la scatola di unguento, il coltello o le forbici che i pastori portano con sé ricordano le cure di cui necessitano gli ovini. La mungitura è raffigurata solo raramente; tutt'altra, invece, la sorte della tosatura che, a partire dal sec. 13°, rappresenta il mese di giugno nei calendari miniati. Alle greggi di pecore spesso sono mescolate anche le capre, confermando l'interesse per questo tipo di allevamento, soprattutto nelle regioni povere.
Nell'iconografia del ciclo dei Mesi i suini sono in primo piano nell'ultimo trimestre dell'anno (Laurans, 1975; Porci e porcari nel Medioevo, 1981). Una delle immagini più costanti è quella della raccolta delle ghiande per la loro nutrizione. Al contrario, l'atto della macellazione assume aspetti molto diversi a seconda delle regioni: in Francia, per es., l'animale viene quasi sempre abbattuto con il rovescio dell'accetta o con una mazza, mentre in Italia viene sgozzato. Un altro momento significativo, dal punto di vista iconografico, è costituito dal susseguirsi delle diverse operazioni relative alla preparazione delle carni e delle frattaglie: anch'esse diventano scene di genere pittoresco, soprattutto nelle miniature dei calendari del 14° e 15° secolo.Si sono invece conservate poche immagini concernenti in modo specifico l'allevamento dei bovini, relative per lo più alla raffigurazione dei buoi alla mangiatoia o al pascolo con altri animali domestici; anche sulla mungitura, talora descritta, come nel Salterio di Utrecht (Utrecht, Bibl. der Rijksuniv., 32), o sulla produzione del burro, le miniature medievali forniscono qualche informazione. Ma nel complesso sono rappresentazioni poco frequenti forse anche perché questi animali venivano allevati soprattutto per la loro forza di traino: compaiono infatti raffigurati quasi sempre aggiogati all'aratro o mentre tirano un carro.
Anche degli equini l'iconografia valorizza soprattutto questo aspetto: sono molto rare le illustrazioni relative unicamente alla loro cura, come la ferratura, mentre sono numerose quelle tese a evidenziare il carattere prestigioso del cavallo; così per es. nel Sachsenspiegel, dove è rappresentato in mezzo alle altre bestie sfruttate dai contadini, ma anche solo, come animale che spicca fra tutti. Oltre al cavallo, i muli e gli asini offrivano un contributo molto apprezzato per i trasporti e per i lavori agricoli: le immagini note li rappresentano sia al lavoro sia mentre pascolano insieme alle altre bestie della fattoria, come in alcune miniature del Liber ruralium commodorum di Pietro de' Crescenzi (Mane, 1985).
Nel repertorio iconografico l'allevamento degli animali da cortile non aveva molta importanza (in ogni caso nutrire il pollame, raccogliere e vendere le uova erano occupazioni spesso riservate alle donne). L'interesse dei miniatori è più attirato dall'apicoltura, soprattutto nelle illustrazioni delle Georgiche o dei rotoli italiani dell'Exultet.
Si sono conservate anche immagini di colture specializzate, come quella dei prati, sviluppata soprattutto nell'Europa settentrionale. In esse, di norma, il contadino viene raffigurato mentre impugna la falce (il cui manico è fornito o meno di una o anche due maniglie di sostegno) oppure mentre affila la lama, spesso di lunghezza imponente o, ancora, mentre costruisce pagliai. Generalmente sono le donne, con forche e rastrelli, che spargono il fieno.
La coltivazione della frutta o dei legumi, ma anche delle piante aromatiche, medicinali o tintorie, le cure meticolose richieste da alcune specie delicate o dall'orto si trovano minuziosamente illustrate negli erbari o nelle opere dedicate all'alimentazione, all'igiene e alla medicina. In realtà, dopo il sec. 13°, ciò che appare raffigurato più frequentemente dai miniatori medievali è senza dubbio la raccolta dei legumi e della frutta, di cui si occupavano in particolare le donne (Cogliati Arano, 1973). Gli olivi, che avevano un posto importante nell'iconografia classica, curiosamente non sono molto rappresentati in età medievale, neppure nei paesi mediterranei.Benché abbattere alberi nei boschi, spaccare ceppi per ricavarne legna da ardere, steccati o pali di sostegno non fosse compito esclusivo dei contadini, nei calendari (e in alcuni altri casi caratteristici di codici miniati di tipo particolare: basti in questo senso citare qui le celebri miniature con spaccalegna al lavoro contenute nei Moralia in Job di Cîteaux) questi lavori invernali appaiono più volte descritti; dal sec. 14° i taglialegna compaiono di norma sullo sfondo delle miniature, mentre in primo piano si svolgono varie altre attività più specifiche.
Le immagini relative all'a. non costituiscono certamente, in complesso, uno dei settori e temi più importanti dell'iconografia medievale: ciò nonostante consentono di delineare un quadro dell'a., purché vengano, peraltro, considerate - da questo punto di vista - con una certa prudenza, essendo normale un certo scarto cronologico fra una invenzione e la sua rappresentazione artistica. D'altra parte appare necessario operare anzitutto una netta distinzione: nell'arte monumentale, le scene agricole, almeno fino al sec. 13°, occupavano superfici ristrette; venivano rappresentate infatti solo operazioni e strumenti tradizionali; al contrario, nelle miniature rivolte essenzialmente a un pubblico privilegiato, venivano registrati con una certa tempestività anche gli ultimi progressi tecnologici. Le fonti iconografiche debbono certamente venire confrontate e controllate alla luce di tutta una serie di altri documenti; ma, benché la fantasia abbia sempre un certo peso nella creazione artistica, va detto che i diversi compiti dei contadini traspaiono, dall'arte medievale, colti con attenzione precisa al loro strutturarsi in operazioni, tecniche, strumenti specifici, mentre tutto il complesso dei lavori agricoli risulta descritto in una sequenza quasi quotidiana di attività scandite con cura attenta nel trascorrere delle ore e delle stagioni.
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di M. Bernardini
I primi conquistatori arabi che tra la fine del sec. 7° e gli inizi dell'8° sottomisero un territorio esteso dal Sind al Maghreb, non erano del tutto sprovvisti di conoscenze sull'agricoltura. Tuttavia l'assorbimento della società sasanide e di quella bizantina portò a una graduale integrazione di quei sistemi sociali sui quali queste due civiltà si fondavano. Tale integrazione vide un'acquisizione sostanziale anche di tutte le culture e le legislazioni agricole su cui si fondavano le società precedenti. Va infatti sottolineato che la società araba del primo Islam rimaneva eminentemente caratterizzata dalla pastorizia, più congeniale alla vita nomade. Diverse sono le rappresentazioni della vita agricola che la miniatura ha trasmesso in epoca islamica. È attraverso queste, oltre che per il tramite di una congrua letteratura scientifica specifica, che è possibile ricostruire un quadro dell'a. islamica. L'opera più importante, per quanto riguarda il Medioevo islamico, è certamente l'Agricoltura nabatea di Ibn Wahshiyya (al-Filāḥa al-nabaṭiyya). Altri testi di natura più specifica forniscono indicazioni diverse circa la botanica o la catalogazione delle piante. Tra questi va sottolineata la traduzione del De materia medica di Dioscoride Pedanio che presenta numerose raffigurazioni di piante in diversi manoscritti, tra i quali quello di area siro-iraqena del 1229 oggi conservato nel Topkapı Sarayı Müz. di Istanbul (A.III 2127).
Numerose sono le testimonianze che si possono ricavare anche dalle rappresentazioni, il più delle volte miniate, non specificamente destinate all'agricoltura. È il caso per es. di una miniatura delle Storie di Bayād e Riyād in cui compare la raffigurazione di una noria (Roma, BAV, arab. 368, c. 19r). Questo strumento noto già in precedenza (il termine arabo nā'ūrā, da cui l'italiano noria, è di origine aramaica) conobbe in epoca islamica una fortuna particolare di cui la miniatura andalusa è un'ulteriore testimonianza. Scene di vita agricola compaiono nel Kitāb al-Diryāk, il Libro degli antidoti (Parigi, BN, arab. 2964, anciènne c. 22), del 1199 prodotto nell'Iraq settentrionale, o nella miniatura di scuola gialairide dell''Ajā'ib al-Makhlūqāt, Le meraviglie del creato, di Qazvīnī conservato sempre alla Bibliothèque Nationale di Parigi.
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