Agricoltura
Il termine indica l'arte di coltivare la terra dalla quale dipende buona parte delle risorse alimentari umane. In senso stretto si intende con agricoltura la coltivazione delle piante e l'allevamento del bestiame. Il lavoro dei campi, la prima delle attività produttive realizzate dall'uomo, ha rappresentato la forma principale di valorizzazione e utilizzazione delle risorse naturali da parte dell'umanità in espansione numerica. Mantenutosi a lungo su un piano di equilibrio, il rapporto tra agricoltura e ambiente è andato deteriorandosi nel corso degli ultimi decenni, in conseguenza dell'impiego di tecniche produttive sempre più invadenti, per far fronte al moltiplicarsi della popolazione umana. Lo 'sviluppo sostenibile' dell'agricoltura impone oggi una gestione dei processi atti a soddisfare le crescenti richieste alimentari e nutrizionali dell'umanità, che tenga conto della qualità dell'ambiente antropizzato e della tutela delle risorse naturali.
L'agricoltura è l'impiego, da parte dell'uomo, di risorse naturali, mediante processi messi a punto nel tempo (coltivazione del terreno e allevamento di piante e animali), per la produzione di beni (alimentari e non) e di servizi (cura del paesaggio, depurazione di acque e atmosfera ecc.).La pratica dell'agricoltura può portare a modificare e talvolta a disturbare, all'interno di un'area definita, l'equilibrio dinamico degli ecosistemi naturali, al fine di aumentare l'entità e l'intensità di determinati flussi di biomassa. Le cellule vegetali, tramite il processo di fotosintesi clorofilliana, captano e trasformano in energia chimica l'energia contenuta nella radiazione solare: esse costituiscono il fondamento biologico della vita degli animali e di tutti i sistemi ecologici, sociali, economici, ospitati dalla terra. Attivando tecniche agronomiche e zootecniche, l'uomo può quindi produrre sostanze che hanno per l'umanità un valore rilevante, sia dal punto di vista quantitativo sia da quello qualitativo.L'agricoltura, intesa come settore primario allargato (non ristretto cioè alla produzione di sostanze per uso alimentare), va valutata sia a livello di impresa agricola e di prodotto nazionale, sia per il ruolo che essa assolve sul piano mondiale. A tal fine, si considerano una serie di parametri e di indicatori di diversa natura: economici, energetici, nutrizionali, ecologici. Inoltre, per la globalizzazione dei fenomeni connessi alla vita dell'uomo sulla terra, diventa sempre più improponibile prescindere, nelle valutazioni generali e nell'impostazione di interventi, da considerazioni di carattere sociale e da motivazioni etiche.
Dato il carattere complesso dell'agricoltura, il suo impiego ottimale non potrà dunque perseguirsi sulla base di semplici analisi costi/benefici e facendo riferimento a singoli parametri o fattori. Tanto più che alcuni servizi resi dall'agricoltura (per es., la protezione dell'ambiente, il presidio del territorio, specialmente in zone collinari, e quindi la custodia delle piccole opere di sistemazione idraulica, il mantenimento dei processi di filtrazione dell'acqua a opera del soprassuolo forestale e del terreno, l'assorbimento dell'anidride carbonica ecc.) non sono ancora oggetto di esplicite stime economiche.L'intrinseca complessità dei sistemi agricoli può far sì che un cambiamento teso a migliorare il processo agricolo, introdotto in uno dei fattori che governano tale processo, comporti, come effetto collaterale, l'alterazione, se non il peggioramento, della prestazione di un altro (o di alcuni altri) dei fattori implicati. I cambiamenti, del resto, sono resi necessari dalla forte e costante crescita demografica verificatasi negli ultimi decenni nel nostro pianeta, che impone di adeguare a essa la produzione agricola mediante l'innovazione tecnologica. Tuttavia, l'intensificazione dell'impiego di mezzi tecnici, che ha reso possibile la continua crescita della produttività agricola, ha determinato anche, come conseguenza inattesa e pericolosa, un incremento dell'impatto ambientale.
L'agricoltura agisce da interfaccia tra società ed ecosistema, nel senso che l'attività di produzione agricola dipende sia da processi, apporti e vincoli derivanti dal sistema socioeconomico, cioè dalla 'pressione da parte della società', sia da processi, apporti e vincoli derivanti dall'ecosistema nel quale si opera, cioè dalla 'pressione da parte dell'ambiente'. Lo studio, l'identificazione e l'adozione di interventi tecnici, che consentano la migliore combinazione di queste due contrastanti pressioni, portano alla scelta dei tipi di agroecosistemi da realizzare per le produzioni agricole. Di conseguenza, si può definire 'agroecosistema' ogni ecosistema controllato dall'uomo, nel quale particolari specie di piante e di animali, selezionate per la loro utilità, finiscono per essere dominanti nella comunità biotica. Poiché tale dominanza, in quanto frutto di interventi umani, è 'innaturale', la stabilità di un agroecosistema richiede ulteriori interventi (in termini di lavoro, tecnologia, apporti) per bloccare il ritorno dell'ecosistema stesso alle configurazioni più 'naturali', ma meno utilitarie. A tale proposito, è opportuno ricordare che gli ecosistemi agricoli, e soprattutto quelli forestali, presentano un ampio spettro di variazione del loro grado di 'naturalità', poiché si passa dalle colture agricole o dalle piantagioni arboree da legno intensamente coltivate, con rapporti prodotto/apporto energetico molto bassi, anche vicino all'unità, fino a sistemi forestali gestiti secondo i criteri della silvicoltura naturalistica, che consentono rapporti prodotto/apporto anche superiori a 100.Un dato è incontrovertibile: l'intervento umano deve assicurare uno sviluppo dell'agricoltura tale da poter soddisfare una richiesta di alimenti che cresce nella misura del 3-4% all'anno. È perciò saggio, anzi necessario, rivolgere sempre maggiore attenzione e dedicare maggiori sforzi a garantire la sostenibilità (lo 'sviluppo sostenibile') dell'agricoltura. Questa, in altri termini, dovrà essere economicamente ed ecologicamente compatibile; dovrà gestire i processi a sua disposizione per soddisfare le crescenti esigenze umane, mantenendo, anzi migliorando, la qualità dell'ambiente antropizzato e tutelando le risorse naturali.
Da una parte, dunque, l'agricoltura dovrà procurare reddito adeguato per gli addetti, pur evitando forme di sostegno alla produzione e di protezione del mercato interno che costituirebbero un grave peso per le economie nazionali. I meccanismi su scala regionale e globale di politica alimentare, di commercio di prodotti agricoli, di garanzia di prezzi remunerativi ed equi, sono il requisito imprescindibile di ogni concezione economica moderna e di ogni programma di razionale valorizzazione dell'agricoltura. Se realizzati in maniera appropriata, essi consentirebbero - tra l'altro - l'uscita dal sottosviluppo di quelle amplissime aree del globo abitate attualmente da circa 4/5 degli esseri umani, ove la produzione primaria è la risorsa principale. D'altra parte, l'agricoltura non può non essere, o non continuare a essere, ecologicamente compatibile. In particolare, non deve creare inquinamento nell'ambiente, nel territorio, e deve usare oculatamente gli ormai preziosi tesori naturali: il terreno, l'acqua, il patrimonio forestale, le risorse genetiche animali e vegetali di potenziale uso agrozootecnico, l'ancora abbondante e in parte inesplorata - ma già minacciata - ricchezza di varietà di forme di vita, microscopica e macroscopica, esistenti sul pianeta, oltre, beninteso, alle riserve di energia fossile, prodotte pur sempre dall'attività fotosintetica in milioni di anni.Le relazioni tra modalità di esercizio dell'agricoltura e tutela dell'ambiente hanno nel passato presentato un bilancio complessivamente positivo.
Eventi come la progressiva antropizzazione di vasti territori, lo sviluppo e il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni umane, dovuti in particolare ai progressi della medicina, all'evoluzione delle condizioni igieniche e alla sicurezza alimentare, la diversità delle culture e dei sistemi sociali, che non prescindono dalle condizioni agroecologiche e dalla civiltà contadina dei rispettivi territori, si sono realizzati senza conseguenze irreparabili per l'ambiente e le sue risorse. In verità, non mancano nella storia anche esempi negativi - di cui è necessario far tesoro - come il tramonto delle civiltà mediorientali in seguito a uno sfruttamento sconsiderato del territorio per produrre alimenti e tessuti o per procurare legname da costruzione e da combustibile.In tempi recenti, invece, le relazioni tra agricoltura e altre attività produttive (industrie, trasporti, insediamenti e urbanizzazione, servizi e organizzazione sociale ecc.), da un lato, e territorio e ambiente, dall'altro, si sono progressivamente deteriorate e hanno raggiunto i livelli di guardia. Desertificazione progressiva di vaste aree in precedenza coltivate, depauperamento della fertilità dei terreni agricoli, inquinamento e salinizzazione delle falde acquifere superficiali e profonde, inquinamento dei laghi, dei fiumi e delle fasce marittime costiere, scomparsa di foreste a tutte le latitudini e distruzione di habitat, erosione a ritmi crescenti della diversità biologica vegetale e animale, scomparsa di intere specie e altri fenomeni ancora, sono preoccupanti e pericolosi segnali che impongono l'adozione sollecita e generalizzata da parte di tutti i paesi del mondo di norme efficaci per la salvaguardia dell'ambiente e delle sue risorse naturali.In un quadro di integrazione funzionale con le altre attività umane e in un equilibrio dinamico con l'ambiente, incombe inoltre sull'agricoltura l'immane compito di fornire, con il continuo supporto di scienza e tecnologia, un flusso ininterrotto di alimenti, adeguato nella quantità, qualità e modalità alle richieste dei consumatori.
L'intero ciclo di produzione e consumo di alimenti, all'interno del sistema agricolo-alimentare, può essere schematizzato attraverso una serie di fasi successive: a) produzione di materia prima, di derrate, in cui si accumulano energia e composti biochimici compatibili con il metabolismo umano; b) trasformazione delle derrate agricole in prodotti commestibili, e loro conservazione nel caso in cui non siano consumati freschi; c) confezionamento, commercializzazione e distribuzione degli alimenti per renderli accessibili ai consumatori; d) capacità di soddisfacimento delle richieste dei consumatori, oggi nei paesi economicamente avanzati sempre più orientate verso qualità, caratteristiche organolettiche, sicurezza nutrizionale e garanzie 'salutistiche', nella convinzione che la 'cucina' offra soluzioni altrettanto valide, ma più gradevoli, convenienti e sicure per la tutela della salute di quanto non faccia la 'farmacia'.
Tappe successive del ciclo sono: e) capacità di approvvigionamento, di acquisto delle derrate da parte dei consumatori in relazione alle disponibilità economiche, individuali e del paese; f) consumo del cibo previa preparazione, domestica o commerciale, dei pasti; g) conseguente trasferimento di energia all'organismo umano per le sue attività fisiologiche vitali.
Il ciclo si chiude con: h) formazione ed eliminazione di rifiuti, cioè di composti di materia e di energia non più utilizzabili dal metabolismo umano; i) riciclaggio dei rifiuti (residui colturali, letame) nell'ambiente per una rigenerazione del flusso di apporti alla produzione agricola.Un'equilibrata, dinamica sostenibilità della produzione e del consumo di alimenti e del fabbisogno di energia, cioè delle trasformazioni di flussi energetici (a partire dall'energia solare) in flussi di prodotti e di attività necessarie per la sopravvivenza e lo sviluppo del genere umano, è una delle funzioni assolutamente basilari della società. Essenzialmente, la trasformazione o conversione di fattori energetici si effettua in due modi: a livello fisiologico, trasformando energia ricavata dagli alimenti in attività di metabolismo e potenza muscolare all'interno del corpo umano (questa energia viene anche detta endosomatica o metabolica), a livello tecnologico, trasformando energia in impianti e apparati esterni al corpo umano (bruciando, per es., petrolio in un trattore o consumando corrente elettrica in un frigorifero; questa energia viene anche chiamata exosomatica).
È appena il caso di ricordare che le due maggiori sorgenti energetiche primarie sono l'energia solare (rinnovabile) e quella fossile (non rinnovabile). L'energia solare, catturata sotto forma di energia chimica nelle biomasse e, in misura di gran lunga minore, l'energia eolica e quella idraulica, hanno rappresentato la maggiore sorgente di energia - praticamente il 100% dei flussi endosomatici ed exosomatici - nelle società preindustriali, vale a dire per un periodo che copre più del 99% della storia dell'umanità. Oggi, invece, è l'energia fossile a rappresentare oltre il 90% dell'energia exosomatica utilizzata nei paesi industrializzati, sebbene il ricorso a essa risalga a poco più di 150 anni fa, tempo inferiore all'1% dell'esistenza dell'umanità. L'energia solare, pur rinnovabile senza limiti nel tempo, è condizionata da limiti spaziali. Se si volesse, per es., raddoppiare la produzione di biomasse (come cibo o legna da ardere) a parità di tecnologia impiegata, occorrerebbe raddoppiare la superficie di terreno a coltura. E non si potrebbe raddoppiare la produzione o la capacità di lavoro di animali addomesticati, senza accrescere proporzionalmente la disponibilità di foraggi e, quindi, di terreni per la loro produzione. L'energia fossile, al contrario, è condizionata da limiti temporali, essendo destinata, presto o tardi, a esaurirsi; ma, per converso, è utilizzabile alla velocità e all'intensità ritenute più convenienti. La possibilità di rimuovere i vincoli all'utilizzazione di energia exosomatica ha infatti consentito lo sviluppo tecnologico degli ultimi decenni.
Una misura dell'importanza sociale delle tecnologie è ricavabile dal rapporto tra i flussi di energia exosomatici e quelli endosomatici. Si tratta più propriamente del rapporto tra il numero di chilocalorie di energia exosomatica assorbito dai processi produttivi e quello di chilocalorie di cibo metabolizzato dalla popolazione. Tale rapporto exo/endo ha conosciuto una forte evoluzione: da valori di 4 o 5 a 1, tipici delle società preindustriali a produzione basata su energia solare, si è passati a valori di 40 a 1, tipici delle società industrializzate (negli Stati Uniti tale rapporto si avvicina a 100 a 1). In queste ultime, anche il ruolo dell'energia endosomatica è cambiato: il cibo non serve più per fornire essenzialmente energia per lavoro muscolare atto a sostenere i processi produttivi (essendo la potenza meccanica ormai generata da macchine sempre più sofisticate mosse da energia exosomatica), quanto soprattutto per assicurare un flusso crescente di conoscenze, di dati, di informazioni, si potrebbe dire di 'lavoro cerebrale', quale è richiesto per la regolazione generale del sistema socioeconomico.I diversi valori del rapporto exo/endo sopra indicati ben riflettono la maggiore complessità dei problemi che, particolarmente nella seconda metà di questo secolo, l'agricoltura ha dovuto affrontare, specie nel suo tendere alla massimizzazione delle produzioni. Infatti, laddove si verificano sottoalimentazione e malnutrizione, condizioni in cui vivono purtroppo centinaia di milioni di persone, è evidente che la domanda di alimenti non viene soddisfatta dall'insieme di fattori che ineriscono al ciclo produzione agricola, conservazione, trasformazione, distribuzione delle derrate.
In effetti, la carenza soprattutto nelle tre ultime fasi del ciclo, cui si aggiunge il flagello delle talvolta enormi perdite che seguono la raccolta di prodotti agricoli (si stima che il 25-30% delle derrate prodotte nel mondo venga perduto a causa di fitopatie, attacchi di insetti e competizioni da malerbe) e il basso reddito pro capite, anzi la povertà di vasti strati sociali nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, sono le cause maggiori (insieme ai conflitti locali) che limitano drammaticamente l'accesso al cibo di quelle popolazioni. Come dimostrano le analisi della FAO (Food and agriculture organization), la produzione agricola mondiale potrebbe sostenere un sufficiente livello alimentare ed energetico per l'intera popolazione umana, qualora fossero neutralizzati le costrizioni e i fattori di disturbo sopra menzionati.Se si introducono nel modello di ciclo di produzione e consumo i fattori negativi accennati, è purtroppo inevitabile registrare un duplice danno: da un lato, l'inutilità pratica, lo spreco di una quota della produzione e degli investimenti impiegati, dall'altro, lo stress, la pressione negativa imposta all'ecosistema nello sforzo di realizzare determinati livelli di produzione agricola andata poi distrutta. I danni provocati dallo sfruttamento irrazionale dell'ambiente e delle risorse naturali coincidono, dunque, con l'eccessiva densità dei flussi di materia e di energia richiesti e generati dalle attività agricole. Di conseguenza, tali flussi dovrebbero essere contenuti e resi più compatibili con i processi naturali. All'uopo si impongono ulteriori riduzioni dell'impiego di prodotti chimici di sintesi (fertilizzanti, antiparassitari ed erbicidi), l'adozione su scala più vasta dei metodi di lotta biologica contro i parassiti, l'uso di prodotti e tecniche che evitino la persistenza nel terreno e nell'acqua di residui chimici e altro.
Tali obiettivi sono perseguibili mediante la selezione e l'allevamento di razze di animali dalle migliorate prestazioni, e la possibilità di coltivare nuove varietà o nuove specie di piante, in grado di prosperare anche in condizioni marginali dell'agroecosistema (terreni semiaridi o strutturalmente anomali o caratterizzati da deficienze o eccessi di particolari minerali, temperature elevate o rigidi inverni, forti attacchi di parassiti animali e vegetali).
Riguardo ai flussi di energia e materia applicati ai processi produttivi, possono individuarsi oggi due tipi fondamentali di sistemi agricoli. Uno di essi è l'agricoltura a forte intensità di capitali (capital intensive) propria dei paesi sviluppati: un'agricoltura che riesce a ottenere alte rese, ma al costo di un grande dispendio di energia fossile indispensabile per i rilevanti apporti tecnologici (meccanizzazione, fertilizzanti, antiparassitari, erbicidi, combustibili, sistemi di lavorazione del terreno, metodi colturali e tecniche di irrigazione, di raccolta, di conservazione ecc.). Questo tipo di agricoltura è caratterizzato da un rapporto prodotto/apporto molto basso.
L'altro, a forte intensità di lavoro (labour intensive), fa scarso uso di energia fossile e quindi di mezzi tecnici, e mostra un rapporto energetico prodotto/apporto molto alto. Agricolture di questo tipo, pur potendo vantare un'altissima efficienza in termini energetici, sono penalizzate da scarse produzioni e da bassa produttività per ettaro o per ore di lavoro, e perciò da redditi pro capite estremamente modesti. È un tipo di sistema agricolo predominante nei paesi economicamente arretrati, estesi sui 2/3 della superficie del pianeta e ospitanti i 4/5 della sua popolazione. Nonostante i grandi progetti di sviluppo e di assistenza e i massicci aiuti finanziari convogliati anche verso i piccoli agricoltori dalla Banca mondiale e da banche regionali, tali paesi soffrono di opprimenti problemi di bilancio e di diffusa povertà, con gravi conseguenze sul piano etico e sociale legate alle difficoltà incontrate per uscire dal girone della povertà e del sottosviluppo da quanti nei loro territori vivono di agricoltura. Un solo esempio è sufficiente a mostrare l'enorme disparità in apporto energetico (produzione e somministrazione di foraggi, di mangimi e di altri coadiuvanti e dei necessari interventi tecnici) che sussiste tra i due sistemi agricoli (capital e labour intensive): per produrre un grammo di proteina da animali in allevamenti intensivi nello Stato di New York occorre una superficie di terreno di 0,135 m2 all'anno; per produrre la stessa quantità di proteina nel medesimo arco di tempo negli allevamenti estensivi o nei sistemi pastorali dell'Africa subsahariana è invece necessaria una superficie di 25.000 m2.
Questi due tipi di sistemi agricoli sono, sostanzialmente, il risultato delle profonde diseguaglianze oggi esistenti tra nazioni, e perfino tra continenti, e delle inique condizioni economiche che travagliano alcuni di essi. L'Africa, la sua agricoltura, la povertà delle classi contadine, la disoccupazione e spesso la fame dei suoi abitanti, sono un severo monito per la coscienza di tutto il mondo! Ma tali sistemi sono anche la manifestazione della diversità delle zone agroecologiche, cioè di una serie di agroecosistemi, con varietà di colture, di produzioni, di allevamenti zootecnici, che si realizzano in funzione delle condizioni ecologiche, delle caratteristiche del terreno, del clima, della vegetazione, delle disponibilità idriche ecc. Secondo la classificazione della FAO, basata su temperatura e umidità (precipitazioni), si possono, aggregando, distinguere le seguenti zone: i tropici caldi, aridi e semiaridi; i tropici caldi, subumidi; i tropici caldi, umidi; i subtropici caldi, a piovosità estiva, aridi e semiaridi, subumidi e umidi; i subtropici freddi, a piovosità estiva, aridi e semiaridi, subumidi e umidi; i tropici freddi, a piovosità invernale, aridi e semiaridi, subumidi e umidi; le zone temperate calde, a piovosità invernale (mediterranee) o umide (oceaniche); le zone temperate con inverni freddi più o meno prolungati; la zona boreale; la zona artica. L'area tropicale è quella prevalente: il 60% circa della superficie terrestre ricade in tale zona, esibendo un'enorme varietà di condizioni climatiche, come si evince dalla classificazione riportata.
Le differenze profonde tra le varie zone agroecologiche, soprattutto in termini di temperatura e di umidità, influenzano le fasi dello sviluppo e la produttività di piante e animali, la fertilità del suolo, la persistenza del manto forestale, il ruolo, insomma, dell'agricoltura nelle economie aziendali, nazionali, regionali.Quando, accanto a tali differenze, si considerino le disparità concernenti i livelli d'istruzione, la formazione professionale, l'educazione ambientale, le condizioni socioeconomiche e culturali, le tradizioni, i principi etici, la ricerca scientifica e applicata, i mezzi tecnici disponibili, l'assistenza tecnica, le condizioni di mercato e di accesso al credito, le politiche agrarie, gli assetti istituzionali e le situazioni geopolitiche, potrà aversi un'idea di quanto complesso e difficile sia l'esercizio dell'agricoltura. Ma il compito primario dell'agricoltura - occorre ripeterlo - resta quello di provvedere all'alimentazione e alla nutrizione del genere umano. Nell'impossibilità pratica di estendere le aree coltivate, l'unica strategia adottabile consiste nell'accrescere la produttività per unità di superficie (sempre in regime di sostenibilità e di equilibrio ambientale), onde far fronte all'immane compito di fornire cibo, sufficiente e sano, a una popolazione mondiale che viene stimata in crescita di circa 80-100 milioni all'anno per i prossimi tre o quattro decenni, e che va sempre più urbanizzandosi, creando ulteriori problemi di organizzazione sociale e di mercato legati alla domanda di approvvigionamento alimentare.Nell'affrontare questa impresa, occorre innanzi tutto prendere atto che l'agricoltura, il sistema agroalimentare e quello agroindustriale non sono processi e sistemi tecnologicamente maturi, al contrario di quanto comunemente potrebbe ritenersi trattandosi del settore primario dell'attività umana, e del più antico, in cui per millenni l'uomo si è cimentato accrescendo produzioni e affinando metodologie.
Le sfide che attendono l'agricoltura richiedono un flusso costante di innovazioni, da attivare attraverso una stretta cooperazione scientifica internazionale che coinvolga attivamente i paesi in via di sviluppo. Esiste già un corpo ragguardevole di conoscenze e un complesso di metodologie e di tecniche di vastissimo respiro. Non di rado anche approcci empirici, elaborati nella storia millenaria dell'agricoltura e collaudati dall'esperienza di milioni di operatori, vengono oggi rivalutati e perfezionati, fornendo un ulteriore contributo alla produttività dell'agricoltura e alla sua compatibilità ambientale.Le scienze e le tecnologie agricole, nelle loro relazioni con le scienze sperimentali fondamentali (fisica, chimica, biologia, matematica) e nell'applicazione ai problemi agricoli delle discipline scientifiche e tecniche (ingegneristiche, meccaniche, idrologiche, informatiche, meteorologiche, alimentari e nutrizionali), hanno ottenuto rilevanti successi, grazie ai quali l'agricoltura va registrando profonde, seppur non ancora decisive, trasformazioni. Valga come esempio la cosiddetta 'rivoluzione verde', che ha conseguito una serie di incontestabili successi nella lotta contro la fame nel mondo, grazie alla messa a punto di metodologie e di materiali biologici frutto di programmi internazionali di miglioramento genetico vegetale. Non sono mancate tuttavia zone d'ombra. L'aver puntato, per es., sostanzialmente su un solo fattore di progresso tecnico, il miglioramento genetico, trascurando gli effetti in altre direzioni, ha fatto sì che in alcuni territori i forti aumenti di resa delle nuove varietà abbiano avvantaggiato in primo luogo non le masse dei contadini, ma gli agricoltori più facoltosi e in grado di accedere ai mezzi tecnici, al credito, alle conoscenze indispensabili. Ma è indubbio che, intorno alla metà del 20° secolo, la sempre più intensa applicazione della genetica al miglioramento dei vegetali, con la costituzione di nuove varietà progressive, ha consentito sensibili incrementi di produzione e un vero balzo in avanti all'agricoltura, che per secoli aveva accresciuto la produzione globale grazie soprattutto all'aumento delle superfici coltivate.
La rivoluzione verde partì negli anni Trenta negli Stati Uniti e riguardò dapprima il mais. Lo sfruttamento del vigore negli ibridi tra linee di mais dilatò enormemente le capacità produttive di tale specie, realizzate poi grazie anche a tecnologie d'accompagno, quali una maggiore densità di semina e una più ampia utilizzazione di fertilizzanti, rese possibili da una conoscenza più approfondita delle esigenze nutrizionali delle piante: oggi si possono conseguire ovunque produzioni superiori ai 100 q/ha. In seguito, negli anni Cinquanta, l'utilizzazione di geni per la bassa taglia in incroci con varietà di riso e di frumento già dotate di un complesso di pregiate caratteristiche agronomiche permise agli studiosi di istituti sperimentali internazionali, con l'iniziale appoggio delle fondazioni Rockefeller e Ford, di avviare in Asia e nell'America Latina la selezione di una lunga serie di varietà ad alta produttività. Grazie a queste selezioni è oggi possibile ottenere in tutti i continenti rese in granella che si aggirano, in buone condizioni colturali, intorno ai 100 q/ha.Attualmente l'innovazione in agricoltura dipende più che mai dalle risorse umane e finanziarie investite nella ricerca, in specie in quell'aggregato multiforme di applicazioni scientifiche convenzionalmente noto con il nome di 'biotecnologie' (v.). Molto si sta lavorando per raggiungere obiettivi come, per es., l'inserimento nei cereali, e in altre specie fondamentali per la nutrizione umana, di geni che permettano di fissare biologicamente l'azoto atmosferico, riducendo cospicuamente la dipendenza dai fertilizzanti chimici e il rischio connesso di turbative ambientali. Un abbattimento decisivo nell'uso in agricoltura dei composti chimici di protezione sarà reso possibile in futuro, più di quanto non avvenga già oggi, dalle strategie della lotta biologica (cioè dall'uso di nemici naturali degli organismi nocivi alle colture) e dal trasferimento alle specie agrarie di quei fattori genetici di resistenza e tolleranza agli agenti delle fitopatie (insetti, funghi patogeni, batteri, virus) presenti per lo più nei progenitori selvatici delle piante coltivate e trasferibili dai genomi anche di insetti e microorganismi. Inoltre, sembra ormai scontata l'immissione in coltura (per introduzione di geni ad hoc, trasferiti anche da microorganismi) di piante resistenti agli erbicidi usati per la distruzione delle malerbe. Altro campo di futuri possibili interventi è quello relativo alla tolleranza dei vegetali agli stress ambientali, alle anomalie fisiche e chimiche dei terreni, con la conseguente capacità di colonizzare con buoni esiti produttivi ampie distese di terreni marginali. Vale infine la pena accennare alle potenzialità che potranno aprirsi grazie alla migliore conoscenza da parte della ricerca di base dei processi fisiologici fondamentali, quali la fotosintesi clorofilliana, l'assunzione e l'utilizzazione dell'acqua, il ciclo di micro e macroelementi, le associazioni micorriziche e altro ancora.Le applicazioni biotecnologiche riguardano ovviamente anche la produzione animale, compresa quella ittica.
L'introduzione di geni promotori di crescita potrà favorire aumenti di peso corporeo e intensificare particolari produzioni, come per es. quella del latte, consentendo maggiori disponibilità di proteine e grassi per l'alimentazione umana, grazie anche alla diffusione di tecnologie di controllo della riproduzione (superovulazione, sincronizzazione dei cicli, clonaggio e trasferimento di embrioni, inserimento di geni in embrioni ecc.), o di tecnologie medico-veterinarie (nuovi vaccini, anticorpi monoclonali ecc.). Appare inoltre sempre più importante, per il benessere dell'umanità, l'intervento sulla qualità e sulla composizione dei prodotti agricoli, per migliorare le condizioni di sicurezza nutrizionale dei cibi attraverso modificazioni delle caratteristiche di amidi, zuccheri, grassi, aminoacidi o di composti speciali, anche di valore terapeutico. D'altro canto, le tecnologie applicabili nelle trasformazioni alimentari già consentono di rimuovere tossine, composti allergizzanti e componenti di sapore sgradevole, o di inserire ingredienti salutari o di far ricorso a metodologie diagnostiche di monitoraggio della sicurezza d'uso dei cibi, ricorrendo a metodi e tecniche capaci di rilevare presenze infinitesimali di patogeni, di micotossine, di contaminanti chimici e biologici ecc.
Un cenno infine va fatto all'ampliamento dell'orizzonte delle conoscenze e delle metodologie nel comparto agroindustriale. Con produzioni ricavate anche da piante di nuova introduzione in coltura, oppure mediante l'utilizzazione di microrganismi geneticamente trasformati, e attraverso processi di fermentazione e di bioconversione, si va estendendo la gamma dei prodotti per uso industriale: additivi alimentari, aromi, emulsionanti, gelificanti, coloranti, prodotti farmaceutici, bioetanolo, combustibili, oli, cere, lubrificanti, vernici, plastiche ecc.In conclusione, il settore agricolo, inteso come attività collegata ai comparti agroalimentare e agroindustriale, sta trasformandosi in un sistema ad alto contenuto tecnologico (technology intensive), cui si richiede di qualificarsi per il contenimento degli apporti energetici (da energia fossile) e un più appropriato uso delle risorse naturali. A tale scopo è indispensabile che l'intensità tecnologica si diffonda nei diversi agroecosistemi con la gradualità derivante dai vincoli posti dalle caratteristiche delle zone agroecologiche e dalle limitazioni, auspicabilmente decrescenti, dovute alle situazioni socioeconomiche e alle condizioni geopolitiche. Ma tale crescente apporto di tecnologie, al fine di raggiungere obiettivi come l'incremento della produttività, il miglioramento della qualità, la garanzia della sicurezza alimentare e nutrizionale, lo sviluppo sostenibile e l'equilibrio ecocompatibile, implica l'intervento sempre più determinante del fattore umano, il ruolo attivo dei produttori, degli operatori economici, dei tecnici, degli scienziati, la fiducia della pubblica opinione, la convinzione dei politici e degli amministratori nelle sedi decisionali.
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