AGRICOLTURA (I, p. 955; App. II, 1, p. 95; III, 1, p. 49)
L'agricoltura italiana. - Il connotato caratterizzante l'a. italiana nell'ultimo trentennio è stato, pur con variazioni regionali talvolta rilevanti, lo sviluppo del progresso scientifico e tecnico che congiuntamente a nuove linee di politica agraria nazionali (riforma fondiaria, modifica di secolari istituti giuridici, ecc.) e sovrannazionali (accordi istitutivi della Comunità economica europea, rapporti coi paesi emergenti del Terzo Mondo, ecc.), ha profondamente mutato le condizioni di vita e di produzione tradizionalmente statiche del settore. Da tale sviluppo ha preso l'avvio un profondo processo di trasformazione dell'a. da forme e produzioni prevalentemente condizionate dalla necessità dell'autoconsumo a sistemi organizzativi più complessi e articolati propri dell'economia di mercato.
In questa trasformazione l'a. italiana è passata attraverso fasi a differente caratterizzazione fondamentalmente individuabili nel miglioramento delle tecniche produttive, nell'aumento delle produzioni a tassi talvolta superiori a quelli registrabili nei consumi ad esse relativi, nell'attenuazione del divario fra ricavi e costi e, quindi, nella contrazione dei redditi agricoli dalla quale ha tratto origine il massiccio esodo di lavoratori dalle campagne verso i più ambiti settori d'impiego offerti dalle città e dalle regioni economicamente più ricche.
La partecipazione dell'a. italiana allo sviluppo dell'intero sistema è pertanto avvenuta fondamentalmente attraverso due canali:
- fornitura di prodotti, in misura crescente e, comunque, sufficiente, nel complesso, a evitare il determinarsi di crisi inflazionistiche;
- fornitura di uomini, compensata da maggiori impieghi di capitali tecnici e da processi produttivi più efficienti.
Parallelamente al progredire dei fenomeni indicati si sono registrate profonde modificazioni delle strutture produttive per cui può dirsi che l'intero settore più che sostanziali mutamenti a livello delle produzioni ha subito rilevanti cambiamenti nell'organizzazione e nell'esercizio delle aziende nel senso di una maggiore efficienza.
Gli aspetti quantitativi più significativi del settore nell'ultimo quindicennio, rilevabili dai censimenti agricoli del 1961 e del 1970 e dalle altre fonti statistiche ufficiali, confermano le linee evolutive precedentemente indicate. La superficie agricola utilizzata dalle aziende (tab. 1) si è ridotta nell'intervallo intercensuario complessivamente di 1.507.000 ettari (−5,7%) con percentuali lievemente più elevate per le zone di montagna (−6,1 %) e di collina (−5,9%), mentre il riferimento alle ripartizioni geografiche mette in evidenza una maggiore contrazione di tali superfici nelle regioni centrali (−6,2%) rispetto a quelle settentrionali (−5,9%) e meridionali (−5,3%). Il fenomeno descritto, a livello del numero delle unità produttive assume connotazioni più marcate: nel complesso le aziende sono diminuite di 703.000 unità (−16,4%) con una percentuale massima nelle zone montane (−20,0%); anche a questo riguardo il riferimento alle ripartizioni geografiche pone in rilievo l'esistenza di una più consistente contrazione numerica delle aziende nelle regioni settentrionali del paese (−22,9%).
Approfondendo l'esame delle variazioni intercorse fra il 1961 e il 1970 a livello dell'organizzazione aziendale e più in particolare delle forme di conduzione (tab. 2) si rilevano, in termini numerici, diminuzioni meno marcate per le imprese diretto-coltivatrici (−10,9%) e per quelle a salariati e compartecipanti (−13,6%) rispetto alle imprese a colonia parziaria (−59,0%) e alle "altre" forme di conduzione (−56,5%). In termini di superfici interessate a ciascun tipo d'impresa, si nota un aumento dell'8,7% a favore delle diretto-coltivatrici e diminuzioni particolarmente elevate per la colonia parziaria (−59,7%) e per le altre forme di conduzione (−58,6%).
L'impresa diretto-coltivatrice e quella a salariati e compartecipanti hanno aumentato dal 1961 al 1970 la loro importanza relativa passando, dal punto di vista numerico, rispettivamente, dall'81,2% all'86,5% e dal 7,7% al 7,9% e da quello delle superfici interessate, rispettivamente dal 49,7% al 57,3% e dal 34,5% al 35,9%. Contrazioni, sia in termini numerici che di superfici, si sono avute per le rimanenti forme di conduzione.
Parallelamente alla riduzione del numero e della superficie utilizzata dalle aziende è proseguito l'esodo dalle campagne che, nel periodo intercensuario, ha interessato ben 2.450.354 lavoratori (43,0%) riducendo da 5.692.975 (29,1%) a 3.242.621 di unità (17,2%) il numero degli attivi agricoli. Stime dell'Istituto centrale di statistica sull'occupazione segnalano, al 1974, una loro ulteriore diminuzione a 3.134.000 unità (16,0%). La percentuale degli attivi agricoli censiti nelle diverse regioni - fortemente variabile in rapporto con il grado di sviluppo raggiunto dagli altri settori - risulta compresa tra un minimo del 5,5% in Lombardia e un massimo del 46,5% in Molise.
Estendendo l'analisi delle vicende dell'a. italiana ad alcuni aspetti e grandezze non oggetto di rilevazioni censuarie, è possibile rilevare, dal 1960 al 1972, una notevole espansione della meccanizzazione agricola - in termini di cavalli vapore complessivamente disponibili - passata da 10.757.601 a 41.063.775 Hp, con un incremento del 282%. Rapportando tali dotazioni alla superficie agraria e forestale e al numero di lavoratori addetti al settore, si registrano incrementi percentuali rispettivamente del 290% e del 570%. È tuttavia da rilevare che all'espansione della meccanizzazione agricola non è corrisposto un pari incremento del complesso degl'investimenti pubblici e privati, passati, in lire costanti 1963, da 584 ad appena 587 miliardi di lire.
Per quanto attiene all'utilizzazione del suolo (tab. 3) è da rilevare, dal 1960 al 1972, una contrazione delle superfici coltivate di circa quattro milioni di ettari (da ha 28.239.000 a ha 24.118.000) e un costante aumento percentuale delle superfici destinate alle colture erbacee passate dal 67,5% al 75,2%. Le colture arboree, per contro, hanno ridotto l'area di coltivazione sia in termini assoluti di oltre tre milioni di ettari, sia percentualmente dal 32,5 al 24,8%.
L'esame della consistenza degli allevamenti (tab. 4) consente di osservare nei vari anni l'esistenza di considerevoli variazioni nel numero complessivo dei bovini - evidentemente in rapporto alla congiuntura nazionale e alle vicende del mercato comunitario - mentre alquanto più stabile si presenta, a partire dal 1963, la situazione delle lattifere. Relativamente alle altre specie allevate si rileva una tendenza alla diminuzione per gli ovini, i caprini e gli equini e un costante aumento per i suini.
Le spese di produzione, a causa del crescente ricorso ai mezzi tecnici, sono notevolmente aumentate (tab. 5) passando, al netto degli ammortamenti e delle assicurazioni, da 548 a 1.796 miliardi di lire e al lordo di questi da 806 a 2.454 miliardi di lire; in valori costanti 1963, gl'incrementi sono stati rispettivamente da 595 a 1.327 e da 875 a 1.780 miliardi di lire.
A fronte del delineato andamento dell'impiego dei fattori si è registrata (tab. 6) una marcata espansione della produzione lorda vendibile passata, al netto dei contributi, in valori correnti, dai 3.385 miliardi del 1960 ai 6.970 miliardi del 1972 e, in valori costanti 1963, da 3.676 a 5.486 miliardi di lire. Il fenomeno espansivo di cui si è detto, in termini di valore aggiunto - detratte cioè le spese per l'acquisto di materiale e servigi - è misurato dall'incremento, in valori correnti, di 2.337 miliardi registratosi nell'intervallo considerato, pari a 1.078 miliardi in valori costanti 1963. L'esame dei tassi annuali di variazione relativi ai valori espressi in lire correnti, mette in evidenza una più rapida lievitazione delle spese (8,9%) rispetto alla produzione lorda vendibile (5,7%) e, quindi, al valore aggiunto (4,7%); in valori costanti 1963, i tassi annuali risultano, rispettivamente, del 5,6%, del 3,1% e del 2,3%. Più in particolare, per quanto attiene alla produzione lorda vendibile, il tasso annuale d'incremento più elevato si è registrato, rispetto ai valori espressi in lire correnti, per il comparto degli allevamenti con l'8,4% (produzioni erbacee 5,3%; produzioni arboree 5,1%). In riferimento ai valori costanti 1963, i tassi annuali di variazione risultano rispettivamente del 4,0% del 3,0% e dell'1,9%.
Dal punto di vista della composizione percentuale l'esame della produzione lorda vendibile non denota, nell'ambito dei diversi comparti, significative variazioni: le colture erbacee che nel 1960 rappresentavano, in valori correnti, il 34,5% della complessiva produzione vendibile, nel 1972 contraevano lievemente il loro apporto al 32,7%; le coltivazioni arboree, analogamente, hanno ridotto il loro contributo dal 26,9% al 25,0%, mentre il comparto degli allevamenti ha elevato il proprio dal 38,6% al 42,3%. Considerando le singole produzioni (tab. 7) si rilevano significativi incrementi per i cereali, passati nell'arco di tempo considerato da circa 68 a 94 milioni di quintali (la produzione del grano duro risulta, in particolare, triplicata), per il granoturco da 38 a 48 milioni di quintali, per la barbabietola da zucchero da 78 a 107 milioni di quintali, per il pomodoro da 24 a 31 milioni di quintali, per le uve da 86 a 93 milioni di quintali (con una punta massima di 118 milioni di quintali nel 1967) e per gli agrumi da 12 a 24 milioni di quintali. Decrementi si sono invece registrati per le patate da 38 a 30 milioni di quintali e per le foraggere passate da 442 a 407 milioni di quintali. Ampliata risulta anche la superficie boscata (tab. 8) sia nella forma di governo a fustaia, che in quella a ceduo, e ciò in conseguenza delle leggi emanate a presidio del patrimonio boschivo e del cambiamento di utilizzazione di terreni divenuti marginali per l'attività agricola.
Occorre infine rilevare che dal 1958 in poi l'a. italiana nelle sue linee evolutive ha dovuto adeguarsi agl'indirizzi di politica agraria che il paese ha assunto in conseguenza degl'impegni comunitari (v. oltre: Politica comunitaria) e che non poco hanno influito sull'organizzazione e sull'esercizio delle aziende.
L'agricoltura nel mondo. - L'a. e i problemi della sua produzione sono oggetto di nuova attenzione dopo un lungo periodo di subordinazione nella strategia e nelle applicazioni dell'espansione industriale. Le motivazioni sono molteplici: i riconosciuti limiti del sistema economico dominante, l'accelerazione dell'inquinamento ecologico, la frontiera delle risorse naturali e la costrizione energetica, il ritmo esponenziale dell'incremento demografico e l'approfondimento del divario tra paesi e popoli del mondo. Nel 1972, per la prima volta dopo venti anni, vicende stagionali e produttive avverse resero insufficienti le disponibilità agricolo-alimentari alla domanda mondiale. Nel 1974 l'Organizzazione delle Nazioni Unite promosse a Roma una conferenza sull'alimentazione dalla quale sono emerse strategie per il rilancio dell'a. nel contesto delle proiezioni di sviluppo demografico ed economico.
La produzione agricola del mondo si esercita su di un terzo della superficie, un altro terzo circa è coperto da foreste, il resto è improduttivo. Ma su un totale di 13 miliardi e 400 milioni di ettari i seminativi sono appena l'11%: una proporzione limitata che corrisponde a meno di mezzo ettaro per abitante del globo e a circa 2 ettari per unità agricola attiva. La distribuzione del territorio coltivato non è uniforme; è di quasi un ettaro e mezzo per abitante nel Nord America ma scende a 1500 m2 in Cina. Talché i paesi in via di sviluppo, con il 70% della popolazione mondiale, coltivano appena la metà delle superfici a seminativo pur disponendo della maggiore quantità di terre ancora utilizzabili.
Valutazioni internazionali indicano la possibilità di estendere la coltivazione su altri 153 milioni di ettari entro il 1985, di cui oltre la metà nell'America latina e il resto in Africa e in Asia. Con questa espansione si utilizzerebbe quasi l'intero potenziale culturale del Vícino Oriente, il 90% dell'Estremo Oriente, il 50% del potenziale africano e il 42% di quello latino-americano. Negli ultimi 20 anni la produzione agricola-alimentare ha registrato progressi notevoli quasi ovunque. Nei paesi industriali lo sviluppo produttivo è stato superiore all'incremento demografico e la loro a. non solo è risultata autosufficiente ma ha anche dato il maggior contributo all'esportazione mondiale di prodotti alimentari. Nei paesi emergenti è avvenuto il contrario con un deterioramento progressivo delle disponibilità alimentari per le popolazioni più povere.
Il divario è in parte dovuto alla differente produttività: le rese del frumento sono di 46 q/ha nella Repubblica Federale di Germania ma di 12 nel Pakistan; il Giappone produce 58 q/ha di risone contro 14 del Brasile, in India il mais dà 9 q/ha e negli SUA, più di 60. Il programma di sviluppo proposto dalla Conferenza mondiale dell'alimentazione tende a ridurre queste differenze con l'estensione dell'irrigazione e la diffusione di moderne tecnologie. La genetica agraria ha già fornito contributi determinanti, particolarmente sui cereali, creando nuovi ceppi di frumenti, mais, riso, orzo, sorghi. L'adozione di sementi selezionate rientra nella strategia evolutiva delle a. arretrate quale mezzo idoneo a conseguire rapidi miglioramenti produttivi. Un progresso notevole si è registrato nell'uso di fertilizzanti chimici: nel solo periodo che va dal 1967-68 al 1972-73 il consumo mondiale ha avuto incrementi annui del 7% che hanno superato il 14% nei paesi emergenti. Ma la differenza nelle somministrazioni è ancora forte: le a. dei paesi industrializzati consumano in media (1973) per ettaro coltivato 45 kg di azoto, 35 di anidride fosforica e 29 di ossido di potassio, nei paesi emergenti gli stessi elementi sono forniti in ragione di 11,5 e 3 kg. Anche la motomeccanizzazione ha progredito negli ultimi 15 anni con un incremento mondiale nel numero delle trattrici del 32%; nei paesi emergenti le trattrici si sono addirittura raddoppiate, ma se ne conta ancora una sola su 500 ettari coltivati mentre nelle a. evolute l'incidenza media è di una trattrice per ogni 34 ettari in coltura. Tra i problemi dell'a. e dello sviluppo delle sue produzioni in rapporto alla domanda mondiale, oltre ai cereali le prospettive della zootecnia e le disponibilità di carne rappresentano un tema di particolare rilievo. Dal 1960 al 1974 la consistenza degli allevamenti bovini si è accresciuta di meno del 20% con incrementi equivalenti presso le varie regioni agricole ed economiche del mondo. Mentre nei paesi industriali occidentali le carenze di disponibilità di carne bovina sono più sensibili e gli orientamenti tecnici si rivolgono verso forme di produzione forzata e intensiva, presso alcuni paesi in sviluppo esistono larghe riserve di bovini. La consistenza degli allevamenti suini ha avuto maggiore sviluppo (26%) particolarmente nei paesi occidentali, dove si tende appunto a sollecitare la produzione suina perché a più rapido ciclo. Ovini e caprini hanno invece registrato incrementi minimi (3%) con notevoli contrazioni, anzi, nei paesi occidentali.
Bibl.: FAO, Provisional indicative world plan for agriculture development, Roma 1970; The world food problem. Proposals for national, and internacional actions (Atti della United nations, world food conference), Roma 5-16 nov. 1974; FAO, Production yearbook 1974, Roma 1975; FAO, The state of food and agriculture, 1974, Roma 1975.
Politica comunitaria. - I trattati del 24 marzo 1957, firmati a Roma da Belgio, Franeia, Repubblica fed. di Germania, Italia, Lussemburgo e Olanda, segnarono la nascita di due organizzazioni sovranazionali: l'EURATOM e la Comunità Economica Europea (CEE). La Comunità, che aveva lo scopo fondamentale di un'unione sempre più stretta fra i popoli europei e che mirava ad assicurare loro il progresso economico e sociale riducendo le disparità esistenti tra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite, si diede come compito, mediante l'instaurazione di un Mercato comune, il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli stati membri. Tra i mezzi che la Comunità economica europea ebbe assegnati dall'art. 2 del trattato per raggiungere tali fini, fu espressamente indicata "l'instaurazione di una politica comune nel settore dell'agricoltura". La decisione d'includere tale settore nel MEC risultò molto controversa in considerazione della perplessità che esperti e politici, pur convinti europeisti, avevano a causa delle notevolissime diversità ambientali e socio-economiche esistenti tra paese e paese, da essi ritenute ostacoli difficilmente superabili sulla strada dell'integrazione europea. Le ragioni per cui prevalse la tesi d'inserire nel MEC anche il settore agricolo, furono di natura tecnica, in considerazione della difficoltà d'individuare con precisione un confine tra l'a. e il resto delle attività economiche; politica, in rapporto alla volontà di non escludere dal processo d'integrazione un settore che, a quei tempi, mediamente, interessava ancora il 20% della popolazione attiva europea; ed economica, per l'importantissimo ruolo assunto dalla modernizzazione dell'a. Mai fini del processo di sviluppo del sistema economico, dal momento che la continuazione da parte degli stati membri di non coordinate e coerenti politiche agrarie nazionali avrebbe finito per condizionare negativamente anche l'efficienza degli altri settori produttivi.
Le finalità che la politica agricola comune si prefiggeva possono così essere riassunte: incrementare la produttività dell'a. razionalizzando i sistemi di produzione e sviluppando il progresso tecnico, nell'intento di conseguire un impiego più efficiente dei fattori della produzione e, in particolare, della manodopera; assicurare un più elevato tenore di vita della popolazione agricola attraverso il miglioramento individuale di coloro che operano nel settore; stabilizzare ragionevoli prezzi al consumo.
L'elaborazione di una politica agricola comune, tuttavia, non risultò agevole in quanto occorreva considerare da un lato il carattere particolare che assumeva l'a. in relazione alla struttura sociale e alle divesità ambientali esistenti fra le varie regioni della Comunità e dall'altro la necessità di operare gradualmente gli opportuni adattamenti in rapporto al fatto che, essendo l'a. un settore strettamente connesso con le altre strutture produttive, risultava, pur in modo o misura differente, oggetto di particolari protezioni o agevolazioni all'interno dei vari stati membri.
Gli strumenti operativi che furono messi a punto per conseguire gli obiettivi di cui si è detto furono il mantenimento di un regime unico di prezzi all'interno della Comunità (politica dei prezzi) e il contemporaneo e progressivo riassetto della struttura produttiva dei paesi membri (politica delle strutture). Gli oneri finanziari derivanti sia dalla politica regolatrice del livello dei prezzi, sia da quella volta all'orientamento e all'ammodernamento delle strutture produttive, fu stabilito che non dovessero gravare sui singoli stati membri bensì sulla Comunità e a tal fine fu istituita una cassa comune detta Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia (FEAOG) divisa in due sezioni: sezione garanzia per il finanziamento della politica dei prezzi e sezione orientamento per il finanziamento delle strutture.
La politica dei prezzi agricoli. - Le caratteristiche del mondo agricolo e la consapevolezza degli effetti limitativi e distorcenti che alcuni interventi di politica economica avrebbero potuto indurre nel settore, consigliarono, contrariamente a quanto fu fatto per il settore industriale, la graduale attuazione della politica dei prezzi, nel corso di un periodo di transizione (terminato il 31 dicembre 1960), caratterizzato dall'adozione di una serie di provvedimenti ad hoc. Per questo motivo la politica di mercato inizialmente posta in essere dalla Comunità fu rivolta prevalentemente all'avvicinamento dei prezzi correnti sui vari mercati nazionali nel duplice intento di eliminare le maggiori differenze esistenti da paese a paese e d'instaurare la libera circolazione dei prodotti agricoli. La politica dei prezzi ha costituito, pertanto, il tentativo di mediare gli obiettivi apparentemente contrastanti di garantire agli agricoltori prezzi stabili e remunerativi e ai consumatori prezzi ragionevoli e sicurezza degli approvvigionamenti. Per conseguire concretamente tali fini, la Comunità ha provveduto a individuare gruppi di prodotti agricoli affini e, per ognuno di essi, ha predisposto un particolare regolamento di mercato che tenesse conto delle caratteristiche tecnico-merceologiche dei prodotti considerati. Così com'è stata impostata, la politica dei prezzi avrebbe avuto il compito di proteggere il mercato comunitario dalle perturbazioni derivanti dalla concorrenza dei paesi terzi che generalmente si presenta caratterizzata dall'offerta di cospicue produzioni a prezzi alquanto inferiori a quelli comunitari, dagli eccessi produttivi interni che potrebbero indurre abbassamenti del livello dei prezzi e dalle deficienze produttive interne che tenderebbero a determinare prezzi troppo elevati.
L'attuazione di tale politica presuppone evidentemente, da parte degli operatori interessati, la conoscenza degli obiettivi che la Comunità si pone per i diversi prodotti regolamentati e ciò viene realizzato attraverso la fissazione di un "prezzo di orientamento" o indicativo che rappresenta il punto centrale di tutta la politica comunitaria per il prodotto cui si riferisce. L'insieme dei provvedimenti comunitari contenuti nei vari regolamenti, è infatti volto a ottenere prezzi di mercato vicini, per quanto possibile, ai prezzi di orientamento i quali assumono così il compito di consentire agli agricoltori di effettuare con maggiore consapevolezza e tranquillità le scelte che loro competono a livello aziendale. Per far sì che il mercato non sia turbato da importazioni a prezzi inferiori a quelli esistenti al suo interno la Comunità stabilisce, oltre al prezzo di orientamento, un "prezzo di soglia o di entrata" a un livello di poco inferiore al prezzo di orientamento e tale per cui la differenza fra detto prezzo e il prezzo di soglia risulti pressoché pari all'ammontare delle spese di trasporto dal punto d'importazione al mercato relativamente al quale è stato fissato il prezzo di orientamento. L'importatore che intenda acquistare prodotti agricoli da paesi extracomunitari, dovrà pertanto versare alla Comunità un dazio doganale pari alla differenza fra il prezzo corrente sul mercato internazionale fissato dalla condizione CIF (comprendente cioè oltre al costo del prodotto anche l'assicurazione e il nolo) e il prezzo di soglia. Tale differenza prende il nome di "prelievo all'importazione".
Il problema degli eccessi di offerta interna è invece affrontato dalla Comunità mediante la fissazione di un "prezzo d'intervento" - generalmente inferiore del 5%-6% al prezzo di orientamento - che diviene operativo allorquando il prezzo di mercato scenda al di sotto del livello minimo rappresentato dal prezzo di intervento. Al verificarsi di detta circostanza, gli stati membri, direttamente o tramite particolari organismi sono autorizzati ad acquistare le eccedenze di prodotto presenti sul mercato. I surplus così raccolti, quando non possano essere collocati in altro modo, devono essere immagazzinati in attesa di un'eventuale collocazione anche a prezzo inferiore sul mercato extracomunitario, oppure erogati sotto forma di aiuti internazionali, ovvero denaturati e destinati ad altri scopi o anche distrutti. La perdita sopportata dallo stato che esegue una di queste operazioni viene rimborsata dalla Comunità sui fondi del FEAOG e prende il nome di 'restituzione'. Per far fronte al caso non frequente ma possibile in cui la penuria di prodotti agricoli all'interno della Comunità desti preoccupazione nelle autorità circa la possibilità di garantire gli approvvigionamenti alimentari, è stato elaborato un dispositivo detto "prelievo all'esportazione" consistente in un dazio (a volte di entità assai rilevante) da corrispondere da parte degli operatori che intendano esportare prodotti agricoli necessari al consumo interno. L'indicata circostanza si verifica generalmente quando il corso internazionale di un determinato prodotto tende a superare, per tempi medi o lunghi, il prezzo di soglia, mentre le disponibilità sul mercato comunitario non sono tali da coprirne il fabbisogno.
L'organizzazione comune dei mercati interessa i cereali, il riso, lo zucchero, la barbabietola da zucchero, il latte e i prodotti lattiero-caseari, le carni bovine, il vino, i prodotti ortofrutticoli, i semi oleosi, l'olio d'oliva, la carne suina, le uova, il pollame, il tabacco, il pesce, i fiori, le fibre tessili, le sementi, il luppolo, i bachi da seta, i semi di cotone e altri prodotti di minore importanza. Relativamente ad alcune delle citate derrate di rilevante interesse per il nostro paese - grano duro e olio di oliva in particolare - al fine di un'equa difesa della produzione e del contemporaneo mantenimento dei prezzi al consumo a un ragionevole livello, è stata stabilita la corresponsione di aiuti diretti al produttore da parte della Comunità. Tali aiuti diretti, generalmente indicati con il termine di "integrazione dei prezzi", sono commisurati alla differenza fra il prezzo minimo garantito alla produzione - fissato a un livello superiore al prezzo di orientamento - e il prezzo d'intervento, ovvero alla differenza fra il prezzo minimo garantito e il prezzo di mercato nel caso in cui questo risulti superiore al prezzo di intervento. L'obiettivo di questa misura è pertanto duplice: da un lato è volto a tutelare colture che altrimenti, a causa degli elevati costi di produzione tenderebbero a scomparire, e dall'altro lato mira a non danneggiare il consumatore applicando l'altro provvedimento, del pari possibile, consistente nel fissare il prezzo di orientamento a un livello di molto superiore ai corsi internazionali.
L'elemento centrale di tutta la politica dei prezzi è pertanto rappresentato dall'esistenza per ogni prodotto di un prezzo unico, amministrato dalla CEE, ed espresso in unità di conto (UC) di valore equivalente a g 0,88867088 di oro fino (nel 1977 pari a 857 lire). È quindi evidente come la fissità dei cambi tra le varie monete nazionali e fra queste e l'UC costituisca un elemento fondamentale condizionante la funzionalità del complesso meccanismo che regola il mercato unico agricolo. Venuta a mancare negli anni Settanta la fissità dei cambi tra le monete nazionali è, conseguentemente, venuto meno il presupposto monetario del MEC per cui i prezzi correnti nei diversi paesi della CEE si sono allontanati, talora consideravolmente, gli uni dagli altri in seguito alla variazione del valore delle monete nazionali in cui venivano espressi. Per far fronte alla delineata situazione si è fatto ricorso a diversi accorgimenti tecnicomonetari il più importante dei quali può essere considerato quello dei "montanti o importi compensativi" che rappresentano una sorta di prelievo doganale gravante sull'interscambio fra i paesi le cui monete abbiano subito variazioni nei cambi. Importi compensativi sono stati applicati, per un periodo transitorio, oltre che per correggere gli effetti delle fluttuazioni monetarie anche per consentire il graduale riavvicinamento dei prezzi dei prodotti agricoli d'Inghilterra, Danimarca e Irlanda - entrate nel 1972 a far parte della Comunità - a quelli adottati nei sei paesi firmatari degli accordi di Roma del 1957. Il ritorno all'unità del mercato è tuttavia da considerarsi come un'indispensabile premessa all'ulteriore avanzamento del processo d'integrazione europea e poiché tale unità dipende, come si è detto, in larga misura dalla fissità dei cambi fra le monete, la Comunità ha curato la messa a punto di diversi piani (Werner, Barre, ecc.) per approfondire le tematiche relative all'unione economico-monetaria (v. unione monetaria europea, in questa App.).
La politica delle strutture. - L'instaurazione di un mercato unico per i prodotti agricoli è un fatto indubbiamente importante, ma insufficiente, di per sé, a far evolvere nel senso voluto le condizioni di vita e di produzione già esistenti nell'a. di un determinato paese. La produzione di questo settore è, infatti, soggetta a molteplici condizionamenti connessi, in parte, al processo biologico che sta alla base dell'attività produttiva (vicende meteorologiche, rigidità dei tempi tecnici, stagionalità delle operazioni colturali e dei raccolti, ecc.) e in parte alla necessità di operare su vaste aree, spesso frammentate in una moltitudine di piccole imprese che, di fatto, determinano la lenta reattività del settore alle sollecitazioni del mercato e la difficoltà che il progresso tecnico incontra nell'affermarsi nelle campagne. L'instaurazione di un mercato comune agricolo è pertanto solo il punto di partenza e uno degli strumenti di una più generale azione politica volta a ottenere, con la ristrutturazione dell'intero comparto, redditi equi per gli agricoltori. Il solo sostegno dei prezzi dei prodotti agricoli, tuttavia, non appare in grado di portare l'a. verso traguardi di efficienza e di competitività necessari a livello di così ampi mercati. Passaggi obbligati di tale politica sono l'equilibrio tra produzione e sbocchi, l'armonica proporzione tra popolazione e fabbisogno di manodopera agricola, il superamento degli squilibri regionali e settoriali. Poiché il riferimento a prezzi unici valevoli in tutta la Comunità per i vari prodotti è la premessa per un'efficiente applicazione della politica delle strutture, la CEE ha concentrato nei primi anni di attività il proprio impegno normativo e finanziario nel raggiungimento di tale obiettivo, come attestano gli stanziamenti della sezione garanzia del FEAOG risultati assai più cospicui di quelli della sezione orientamento. Il coordinamento delle politiche nazionali di struttura è basato sulla decisione del Consiglio dei ministri della CEE del 4 dicembre 1962 che ha stabilito, come principio generale, la ricerca di strutture agrarie efficaci in rapporto con la natura e le caratteristiche dei mercati agricoli e con lo sviluppo economico regionale, indicando la strategia operativa in alcuni programmi d'intervento.
Nel dicembre del 1968 la Commissione delle Comunità Europee propose una vasta riforma delle strutture agricole, denominata programma "Agricoltura 80" o "memorandum Mansholt", destinata, mediante una serie d'interventi sulla popolazione agricola, sulle aziende e sui prezzi, a migliorare i redditi dell'a. portandoli verso livelli comparabili a quelli degli addetti agli altri settori e inoltre, a contenere o eliminare le eccedenze di produzione e a ricondurre i mercati alla normalità tramite l'accennato meccanismo dei prezzi. Tale programma è stato tradotto da parte del Consiglio dei ministri della Comunità Europea in tre direttive - obbligatorie nelle finalità, ma non vincolanti gli stati membri per quanto riguarda i mezzi e la forma degl'interventi - riguardanti l'ammodernamento delle aziende agricole, l'incoraggiamento alla cessazione dell'attività agricola e l'informazione socio-economica. Le tre direttive, così come previsto dal trattato, sono state tradotte nel proprio ordinamento legislativo dai nove stati membri (per l'Italia la legge relativa è la n. 153 del 9 maggio 1975).
La prima direttiva (72/159) si propone di aiutare tutti gli agricoltori che, avendo presentato un piano di sviluppo, siano in grado di dimostrare di poter conseguire, in un determinato intervallo di tempo, un reddito di lavoro prossimo a quello percepibile in altri settori non agricoli della regione. Sono considerate aziende agricole in grado di svilupparsi, e pertanto possibili destinatarie dell'aiuto finanziario della CEE, le unità produttive che producano redditi di lavoro inferiori all'obiettivo fissato e che risultino condotte da imprenditori esercenti l'attività agricola a titolo principale in possesso di sufficienti capacità professionali e che s'impegnino a tenere una regolare contabilità fin dall'inizio della trasformazione.
La seconda direttiva (72/160), riguarda tutti gli operatori che non ritengano di poter rimanere nel settore agricolo una volta che questo si sia ristrutturato secondo i disegni della Comunità. Per costoro gli stati membri devono proporre delle opportunità che consentano di lasciare l'a. con il minor danno personale e familiare possibile; coloro che lasceranno il settore riceveranno un premio o un'indennità a condizione che rendano disponibile la terra in loro possesso, mediante vendita o affitto, ad altro agricoltore che intenda servirsene per migliorare le condizioni di produttività e di remuneratività della propria azienda.
Con la terza direttiva (72/161) la Comunità ha inoltre deciso di rimborsare una parte delle spese che gli stati membri saranno chiamati a sostenere per la costituzione e il funzionamento di servizi di consulenza che garantiscano agli agricoltori un'adeguata informazione socio-economica e una migliore qualificazione professionale.
Le differenze strutturali attinenti al settore primario riscontrabili tra i paesi della Comunità, in considerazione delle quali è stata impostata la specifica linea politica d'intervento, sono molteplici sia sul piano socio-economico che a livello aziendale.
Le tabelle che seguono mettono appunto in evidenza le caratteristiche strutturali più rilevanti dell'a. dei sei paesi firmatari degli accordi di Roma e, per quanto reperibile dalle fonti statistiche attualmente diponibili, anche della Gran Bretagna, Danimarca e Irlanda, dal 1972 membri della Comunità.
Come la politica dei prezzi può essere considerata strumento al servizio della politica delle strutture, così, entrambe fanno capo alla politica sociale comunitaria nell'ambito della quale trovano la propria ragion d'essere e il tramite per il collegamento e il coordinamento con l'insieme della politica sovrannazionale europea.
Da questo punto di vista può dirsi quindi che il fine della politica dei prezzi e di quella delle strutture non si esaurisce in una migliore utilizzazione e remunerazione dei fattori produttivi ma si proietta verso il conseguimento di un più equo e stabile equilibrio sociale sia all'interno della Comunità, sia al di fuori di essa.
Quest'ultimo obiettivo rappresenta anzi il vero movente dell'azione delle istituzioni comunitarie ed è alla sua luce che devono trovare spiegazione gl'indirizzi e le scelte politiche a livello europeo.
Bibl.: G. Di Nardi, L'agricoltura nella strategia dello sviluppo economico, Bari 1962; M. Bandini, Politica agraria, Bologna 1966; G. La Malfa, Effetti di una modifica dei cambi in regime agricolo comunitario, in Studi economici, 1968, nn. 5-6; Centro studi delle comunità europee, Piano Manscholt Agricoltura '80, Bari 1969; Autori vari, Un futuro per l'agricoltura europea, Milano 1970; S. Holt, Six European states. The countries of the European community and their political systems, Londra 1970; M. Rossi Doria, La politica agricola della CEE, in Mondo finanziario, 1970; n. 2; C. Pace, Il processo di integrazione europea e lo sviluppo economico italiano, in Rivista italiana di diritto sociale, 1971, n. 1-2; R. Chidichimo, Passato e futuro della politica agricola comunitaria, in Rivista di politica agraria, 1973, n. 4; E. Di Cocco, Le nuove direttive comunitarie alla luce della realtà agricola italiana, in Il dottore in scienze agrarie, 1973, n. 12; P. Le Roy, L'avenir du marché commun agricole, Parigi 1973; G. Amadei, L'agricoltura nella crisi europea, in Rivista di politica agraria, 1974, n. 2; G. Cormegna, La politica agricola della Comunità Economica Europea, Bologna 1974; Società italiana di economia agraria, Atti del Convegno di studi, in Rivista di economia agraria, 1974, n. 2; Commissione delle comunità europee, Bilancio della politica agricola comune, 1975.