Agricoltura
L'agricoltura nel mondo
Il periodo tra la fine del Novecento e i primi anni del 21° sec. segna una transizione epocale per l'a. mondiale. In questa fase storica sono venuti alla ribalta nuovi Paesi esportatori in Asia e in America Latina, mentre nelle economie industrializzate si è affrontato seriamente, anche per le sollecitazioni emerse nel corso delle varie sessioni della WTO (World Trade Organization), il tema della rimozione delle barriere doganali. In Europa e negli Stati Uniti sono state messe in discussione le politiche di sostegno al settore agricolo che limitano il commercio internazionale e che hanno tenuto ai margini degli scambi importanti Paesi produttori. I Paesi africani, viceversa, restano fuori dal sistema di scambi internazionali di prodotti agricoli e, fatta eccezione per quelli del Corno d'Africa, si ha in genere un peggioramento del livello di autosufficienza alimentare.
Il rapporto della FAO 2000-2002 sulla produzione agricola mondiale stima in 852 milioni il numero di coloro che nel mondo vivono in condizioni di denutrizione: 815 nei Paesi sottosviluppati, 28 milioni nelle economie in transizione e, infine, 9 milioni nei Paesi industrializzati. Gran parte della popolazione sottoalimentata (il 60% ca.) vive in Asia e un quarto ca. nell'Africa subsahariana; quest'ultima regione è quella che, in termini relativi, versa in maggiori difficoltà con il 33% della popolazione malnutrita. I buoni esiti raggiunti, a partire dalla fine degli anni Ottanta del 20° sec., in alcune aree dall'a. mondiale nel soddisfare le richieste di alimentazione sono stati rimessi in discussione dal rapido incremento demografico, specialmente in Asia e Africa. Risultati che sembrano garantire una duratura condizione alimentare della popolazione sono stati invece ottenuti in America Latina, in Medio Oriente e in Nordafrica. Nel summit mondiale sull'alimentazione del 1996, i capi di Stato e di Governo hanno auspicato un rapido sviluppo della produzione agricola nei Paesi più poveri allo scopo di dimezzare il numero dei malnutriti. Di fatto, nel periodo 1990-2002 il numero dei sottoalimentati nel mondo è diminuito a un ritmo di soli 6 milioni l'anno, contro i 22 milioni ca. che erano stati previsti dal summit.
La produzione di beni agricoli per l'alimentazione
La lenta crescita della produzione agricola all'inizio del 21° sec. è il risultato di modesti miglioramenti produttivi sia nei Paesi industrializzati, a causa delle difficoltà che le produzioni incontrano sul mercato in ragione di una contrazione dei consumi, sia nei Paesi in via di sviluppo (PVS) dove, tuttavia, sembra vi siano timidi segnali di ripresa dopo i disastrosi risultati della fine degli anni Novanta. Nei primi anni del 21° sec., infatti, numerose economie in transizione verso decisi tassi di crescita economica hanno iniziato a migliorare la propria produttività e a registrare sensibili incrementi del prodotto interno lordo (PIL). In questi Paesi la produzione agricola segna un incremento del 3,1% in termini assoluti, anche se solo dell'1,5% pro capite. I risultati migliori sono stati ottenuti in America Latina e nell'area caraibica, dove, nel periodo 2000-2003, si è registrata una crescita rispettivamente del 4,2% e del 2,9%. Il tasso di crescita dell'a. del continente asiatico nel suo complesso, ancora relativamente basso (solo l'1,5% pro capite), ha risentito in particolare del rallentamento della produzione nell'economia cinese e del forte incremento demografico registratosi negli anni Novanta.
Nell'Africa subsahariana si è assistito, nella seconda metà degli anni Novanta, del secolo scorso a una riduzione delle disponibilità di prodotti agricoli per ciascun abitante. Nello stesso periodo, in Nordafrica e nel Medio Oriente le avverse condizioni climatiche non hanno consentito quella ripresa della produzione che si auspicava. Un caso particolarmente drammatico è rappresentato dall'Afghānistān e dall'Irāq, dove i conflitti in corso hanno ridotto sensibilmente i raccolti e determinato la necessità di ingenti aiuti alimentari; lo stesso vale per la striscia di Gaza. Considerando le principali produzioni agricole mondiali nelle grandi ripartizioni geografiche per gli anni 2002-2003, pare opportuno sottolineare le buone prestazioni dei prodotti cerealicoli e dell'allevamento, il cui successo è sostanzialmente determinato dalla rapida crescita delle produzioni in alcune aree del mondo (Oceania e Sudamerica per i cereali e Asia e Sudamerica per la carne) e la buona produzione di zucchero nelle repubbliche dell'ex Unione Sovietica.
Le buone performances produttive realizzate a livello mondiale sono anche il frutto della diffusione di nuove tecnologie (per es., meccanizzazione, ingegneria genetica) che intervenendo su coltivazioni a bassissima produttività hanno generato, in poco tempo, straordinari risultati sull'aumento delle quantità prodotte. L'applicazione delle nuove tecniche di coltivazione e l'uso di sementi geneticamente modificate ha riguardato soprattutto le aziende di grandi dimensioni e monoprodotto (piantagioni di caffè, cacao, soia ecc.) principalmente presenti nei Paesi in via di sviluppo. L'impatto delle nuove tecnologie sulle piccole aziende agricole e nei Paesi sviluppati (per es., Europa) dove le rese per ettaro erano già altissime è stato invece modesto.
Sottoproduzione agricola ed emergenze alimentari
L'inadeguata produzione agricola rispetto alla domanda interna di diversi Paesi continua a determinare la necessità di sostenere con un'assistenza alimentare milioni di individui della popolazione mondiale, concentrati nei PVS in modo particolare. Tale è la situazione, per es., dell'Africa orientale, dove la sottoproduzione è il frutto sia di stagioni particolarmente siccitose sia di tragici conflitti etnici. Nel 2001 le persone che vivevano in condizioni di estrema povertà in Etiopia erano oltre 5,2 milioni, in Somalia almeno 500.000, in Kenya 1,5 milioni. Nel 2002 in Eritrea ammontavano a 1,3 milioni i soggetti sottoalimentati, in Uganda 300.000 e in Tanzania 120.000 circa. La situazione agricola non è molto differente nei Paesi dell'Africa occidentale: Ghana, Guinea, Liberia, Sierra Leone, ma anche il Ciad, hanno denunciato nei primi anni del 21° sec. gravi problemi di crescita della produzione del settore per le condizioni climatiche avverse. I conflitti civili nella regione dei Grandi Laghi hanno distrutto i raccolti e spinto oltre 2 milioni di agricoltori ad abbandonare le terre. Anche in Burundi, dove i raccolti sembravano annunciare un periodo favorevole per l'a., gli effetti dei conflitti etnici hanno ridimensionato le ottimistiche previsioni.
Meno drammatica si presenta la situazione nell'Africa meridionale, dove la produzione di mais, principale indicatore dello stato dell'a. dell'area, si è comunque ridotta nel 2001. Condizioni climatiche sfavorevoli hanno diminuito la disponibilità di prodotto agricolo in Zambia, Zimbabwe e Swaziland. In Lesotho e Namibia si è registrata una flessione delle produzioni aggravata da una contrazione delle importazioni dal Sudafrica. Nelle province meridionali del Mozambico sono emersi 172.000 casi di denutrizione alimentare, mentre nelle aree interne dell'Angola l'emergenza alimentare ha richiesto aiuti per 1,3 milioni ca. di persone.
L'agricoltura nell'Unione Europea
Con i suoi attuali 25 membri, l'Unione Europea è il maggior produttore mondiale di derrate alimentari. Questo primato è insidiato solo dagli Stati Uniti con i quali l'Europa intrattiene importanti relazioni economiche e commerciali, anche nel settore agricolo. Nei primi anni del 21° sec., pur mantenendo inalterata la propria forza, l'a. europea ha avuto tuttavia prestazioni altalenanti.
Le ragioni della ridotta dinamicità produttiva dell'a. europea possono essere ricondotte da un lato alla maggiore competitività sui costi di produzione dei Paesi esportatori emergenti (Asia, America Latina, Europa Orientale) e dall'altro il minor sostegno attribuito al settore in ragione delle quantità prodotte previsto dalla nuova Politica Agricola Comune.
I settori che hanno sofferto in maggior misura della globalizzazione (v.) e del regime di aiuti europei 'disaccoppiati' sono stati quello cerealicolo, dell'allevamento bovino e delle culture oleaginose (soia e mais) mentre conservano un ruolo importante sia sul mercato domestico che su quello internazionale le produzioni tipiche mediterranee (vino, olio, e altre produzioni tipiche) e i prodotti trasformati ad alto valore aggiunto (formaggi, carni conservate, prodotti da forno ecc.). Accanto a queste ragioni 'strutturali' si collocano quelle congiunturali.
Nel 2002, nonostante le semine autunnali siano state favorite da un buon andamento climatico, le rigide temperature invernali e la siccità della primavera-estate 2003 hanno determinato notevoli perdite nei raccolti di cereali e oleaginose, soprattutto nell'Europa centrale. I valori positivi nelle quantità prodotte degli allevamenti di specie da latte e di suini, combinati con una favorevole evoluzione dei prezzi di alcuni altri prodotti, hanno però consentito un lieve miglioramento del reddito complessivo dell'a. europea in termini reali (+1,1%). Come già segnalato, la produzione cerealicola ha mostrato nel 2003 una flessione dell'11,6% rispetto all'anno precedente. La diminuzione delle quantità prodotte è il frutto di un consistente calo della produzione di grano tenero e mais in Francia e Germania e, in misura minore, nel Regno Unito. La riduzione complessiva della produzione cerealicola in Europa è comunque da attribuirsi a una severa contrazione delle rese (−9%). La leggera flessione della produzione di semi oleosi è stata anch'essa generata da una forte contrazione delle rese solo parzialmente compensate da un aumento della superficie coltivata; il mercato dei semi oleosi ha comunque mostrato una certa solidità in virtù di una crescente richiesta di farine per l'alimentazione animale. L'olio di oliva segna, invece, un'evidente flessione che induce a un frequente ricorso ai mercati internazionali, specie nell'area mediterranea. Nel 2003 si è consolidato l'incremento della domanda di carni bovine, soddisfatto, però, soprattutto dalle importazioni: ciò ha avuto come effetto immediato un aumento dei prezzi, soprattutto in Irlanda e Spagna. Le importazioni e il forte ridimensionamento degli allevamenti in Germania, Olanda e Belgio hanno determinato, nel 2003, una diminuzione del 2,3% nella produzione europea di carne; un'analoga flessione si è registrata anche in altre tipologie di allevamento (suini, ovini, avicoli). Il dato aggregato degli allevamenti riflette la caduta dei prezzi dei prodotti lattiero-caseari e delle carni suine, e una contrazione delle quotazioni (rispettivamente −3,5% e −6,9% nel 2003). Per gli altri prodotti si registra una lieve ripresa dei consumi e quindi dei prezzi. Per il complesso dei prodotti agricoli l'andamento dei prezzi alla produzione, in Europa, appare piuttosto variabile: in crescita nel Regno Unito e in Grecia, stagnante in Olanda, Francia e Spagna e con significative diminuzioni in Danimarca e Finlandia, soprattutto per la forte contrazione degli allevamenti da latte e da carne. L'andamento delle ragioni di scambio dell'a. riconducibili alle variazioni 2002-03 tra costo dei fattori e prezzi di vendita dei prodotti indica nel 2003 una certa ripresa a favore dei redditi agricoli e lascia sperare nel superamento della fase di difficoltà che ha caratterizzato il 2002. Anche in questo caso la tendenza di fondo appare differenziata a seconda dei Paesi: Finlandia, Irlanda, Danimarca, Austria, Svezia, Portogallo e Germania mostrano maggiori difficoltà a uscire dalla fase di stagnazione del 2002, mentre Regno Unito, Grecia, Spagna e Francia segnalano tassi di crescita della produzione nettamente superiori a quelli dell'anno precedente.
L'agricoltura negli Stati Uniti
Gli Stati Uniti sono, per valore della produzione, il secondo Paese agricolo al mondo, preceduti dall'Unione Europea a 25 membri e seguiti dalla Cina. Il valore della produzione agricola degli USA si aggira intorno ai 200 miliardi di dollari (2002), pari al 15% ca. del valore della produzione mondiale. I principali prodotti dell'a. statunitense sono carne bovina (22%), cereali (19%), pollame e uova (11%), lattiero-caseari (10%); la produzione agricola pesa per l'1,4% ca. sul PIL. Sul fronte degli scambi internazionali di prodotti agricoli, gli Stati Uniti sono il primo Paese esportatore - un terzo ca. della produzione viene esportata all'estero - e il secondo Paese importatore del mondo. Le ultime importanti riforme della politica agricola americana hanno avuto luogo nel 1996 con il Federal Agriculture Improvement and Reform Act (FAIR Act) e, nel 2000, con il Farm Security and Rural Investment Act (FSRIA). Oltre alle misure per l'a., questi documenti comprendono anche interventi alimentari in senso più ampio (aiuti alimentari alle classi sociali indigenti, aiuti ai Paesi poveri, programmi di ricerca, sviluppo delle infrastrutture nelle aree rurali). Secondo i dati dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), i trasferimenti di fondi pubblici all'a. statunitense si aggirano sui 70 miliardi di dollari all'anno. Questo equivale a l'1% ca. dell'intero budget annuale del governo federale. Va ricordato, infine, che alcune importanti questioni, quali l'utilizzo di ormoni promotori della crescita negli allevamenti bovini, il ricorso alle biotecnologie in a. e la protezione di indicazioni geografiche, sono all'origine di seri contrasti tra Stati Uniti e Unione Europea e al centro di discussioni presso gli organismi arbitrali della WTO; essi influenzano le dimensioni e il regime degli scambi agroalimentari, nonché il processo di liberalizzazione del commercio mondiale.
L'agricoltura italiana
L'agricoltura italiana di fronte a grandi mutamenti
Le grandi trasformazioni dell'a. mondiale alla fine del 2° millennio, e in particolare la profonda ridefinizione della divisione internazionale del lavoro, hanno riguardato anche il sistema produttivo italiano. Pure in campo agricolo, infatti, si è affermata la tendenza a trasferire le produzioni a basso valore aggiunto e di modesto contenuto tecnologico (grano, soia, allevamenti ecc.) dai Paesi industrializzati verso i Paesi emergenti, quali, per es., i Paesi dell'Europa orientale, del bacino mediterraneo e del Sudest asiatico, che offrono vantaggi in termini di disponibilità di risorse umane e di terra e che beneficiano di sistemi di relazioni sociali tipici delle 'giovani democrazie' (si pensi al ruolo delle organizzazioni sindacali). Nei Paesi europei si va invece delineando un percorso di sviluppo più complesso, caratterizzato da nuove strategie nell'organizzazione della produzione e del lavoro basate sugli aspetti qualitativi del prodotto, su ferree regole sanitarie e di certificazione e sull'innovazione di processo e di prodotto. In primo luogo, si assiste a un'evoluzione delle caratteristiche della domanda e dell'offerta dei prodotti agroalimentari. In particolare, sul fronte della domanda si registra una maggiore richiesta di salubrità e naturalità da parte di consumatori attenti ed evoluti, e dunque maggiori livelli di garanzie sanitarie e di certificazione; una crescente disponibilità all'acquisto di prodotti time saving, cioè ad alto contenuto di servizi incorporati; una ricerca dei valori simbolici ed edonistici contenuti nell'alimentazione, che perde i connotati semplicemente nutritivi per acquisire valenze sociali e culturali. Sul fronte dell'offerta, invece, emergono un aumento della gamma di servizi offerti dal sistema agroalimentare (produzione, trasformazione, distribuzione) in termini di reperibilità, conservabilità, facilità d'uso e sicurezza alimentare; una continua ricerca di miglioramento dell'efficienza dell'azienda agricola nell'organizzazione della produzione e della logistica, nonché del sistema commerciale, caratterizzato da una particolare attenzione al consumatore e alle sue esigenze; il riposizionamento competitivo di alcune produzioni soprattutto mediante l'identificazione, la differenziazione e la fidelizzazione del consumatore al prodotto. La situazione del sistema agroalimentare italiano è parzialmente illustrata anche dai documenti di programmazione dell'Unione Europea (per es., il Quadro comunitario di sostegno per le Regioni - Obiettivo 1. 2000-2006) e da quelli dei governi dei Paesi industrializzati che tracciano strategie e ipotesi di sviluppo di breve-medio periodo. Il processo di riposizionamento competitivo dell'Italia nella divisione internazionale del lavoro è sostenuto, seppure con incertezze e ritardi, anche dalla Politica Agricola Comune (PAC), tramite le nuove regole per la certificazione, la normalizzazione degli standard dei prodotti, l'accentuazione dei controlli sulle garanzie sanitarie di base per la commercializzazione, l'identificazione di produzioni con caratteristiche di origine, processo e prodotto particolari (Regolamenti CEE nn. 2081/92 e 2082/92 che istituiscono il regime della Denominazione di Origine Protetta, DOP, della Indicazione Geografica Protetta, IGP, e delle specialità alimentari) e il vigoroso supporto delle produzioni biologiche e degli interventi agroambientali e di sviluppo rurale.
Di grande attualità nel dibattito internazionale sono inoltre gli aspetti innovativi della PAC, come, per es., la creazione di un sistema di sicurezza alimentare europeo, l'EFSA (European Food Safety Authority), tesi a controbilanciare un processo di globalizzazione che appare inarrestabile e non certo favorevole, almeno nel breve periodo, alle potenzialità competitive dell'Unione Europea in campo agroalimentare.
Lo stato dell'agricoltura italiana
Nel triennio 2001-2003 il valore aggiunto al costo dei fattori dell'a. italiana ha continuato a registrare una sensazionale contrazione passando da −0,5% del 2001 a −5,6% del 2003. Questi dati confermano una tendenza storica del settore primario che vede diminuire progressivamente il suo contributo alla crescita del PIL nei Paesi di vecchia industrializzazione. A partire dal 21° sec., tuttavia, il ridimensionamento del settore primario è accompagnato da una riduzione del valore aggiunto al costo dei fattori nel settore industriale e da un forte rallentamento della crescita nel settore dei servizi. Il ridimensionamento del peso relativo dell'a. nel sistema produttivo nazionale si colloca, dunque, in un panorama economico contrassegnato da una congiuntura sfavorevole per tutti i settori produttivi e dei servizi.
Occorre rimarcare che il ridimensionamento del contributo relativo dell'a. allo sviluppo economico del Paese in termini di PIL è il frutto sia di una accentuata competitività internazionale, che determina un peggioramento del saldo commerciale nell'intercambio agricolo (saldo normalizzato nel 2003 a −16,6%), sia di una sostanziale stagnazione della domanda che proietta i pur deboli incrementi di reddito dei consumatori verso beni immateriali (cultura, sport, telecomunicazioni e intrattenimento). La sostanziale stasi della domanda di prodotti agroalimentari è causata anche dall'incremento dei prezzi al consumo (superiore rispetto a quello dei prezzi alla produzione), probabilmente favorito sia dai mancati controlli sul sistema distributivo nella fase di transizione dalla lira all'euro, sia a comportamenti speculativi di alcune componenti del sistema distributivo che hanno approfittato dell'introduzione della nuova moneta. Il progressivo ridimensionamento del ruolo dell'a. nel contesto produttivo nazionale ha generato, come prevedibile, un'ulteriore flessione nel numero degli occupati, che non supera il 5,2% del totale. Ciò nonostante, l'a. continua a svolgere un ruolo centrale nel sistema economico nazionale, soprattutto nella definizione del livello dei salari reali per le classi a reddito più basso, per le quali la spesa alimentare, nelle sue varie componenti, mostra in termini assoluti una dimensione di tutto rilievo (101 milioni di euro a prezzi 1995).
Le caratteristiche del settore agricolo
Il sistema agricolo italiano è caratterizzato, rispetto agli altri sistemi europei e internazionali, da un profondo e persistente dualismo strutturale: da una parte poche grandi imprese di vasta estensione territoriale e rilevanti performances economico-gestionali e, sull'altro fronte, piccole e piccolissime imprese a gestione familiare (azienda-famiglia). La quota più rilevante di prodotto agricolo ottenuta nel Paese proviene dalle prime, mentre alle aziende-famiglia spetta il ruolo di produzione di beni per l'autoconsumo, di governo del territorio e dell'ambiente, di residenzialità rurale e di 'regolazione' delle crisi occupazionali, che periodicamente investono il sistema economico italiano. Oltre il 71% delle aziende agricole italiane non supera la dimensione economica delle 4 UDE (unità di dimensione economica europea) e che l'82,7% di queste è sotto la dimensione economica media nazionale (7,7 UDE).
La progressiva riduzione della Superficie agricola utilizzata a favore di altri usi della terra (infrastrutture, urbanizzazione ecc.) ha contribuito al ridimensionamento della produzione agricola nazionale solo parzialmente compensata da un lieve aumento della produttività in quantità e valore.
I recenti provvedimenti di riforma della Politica agraria comune spingono l'a. italiana verso la ricerca di nuove forme di valorizzazione degli spazi rurali. In particolare si afferma un approccio 'multifunzionale' dell'a. chiamata a fornire ai cittadini consumatori beni pubblici (per es. ambiente, salvaguardia del territorio, coesione sociale) insieme ai tradizionali prodotti agro-alimentari.
Le aziende medie e di grande dimensione economica (oltre 16 UDE) che rappresentano solo il 10% del totale garantiscono il 68,4% del reddito lordo standard (RLS) del settore. Infine, pare opportuno sottolineare che nel decennio 1990-2000 vi è stata una riduzione del 14,8% del numero delle aziende, determinata esclusivamente dalle aziende fino a 100 UDE, le quali nel complesso hanno mostrato una significativa riduzione del RLS. Il persistere e l'accentuarsi di questo dualismo strutturale genera forti tensioni sociali nelle componenti più deboli del settore che producono un progressivo invecchiamento della popolazione rurale, una tendenza all'abbandono delle aziende marginali, e quindi del territorio delle zone interne, e una rilevante flessione nel livello dei redditi agricoli che impone l'adozione di costose politiche di sostegno all'agricoltura. Gli agricoltori più giovani (meno di 40 anni) sono maggiormente presenti sia nelle imprese di piccolissima dimensione, nel qual caso l'azienda, la cui attività produttiva è destinata perlopiù all'autoconsumo, è utilizzata come residenza e il reddito familiare viene ottenuto in altri settori (edilizia, servizi, pubblico impiego), sia nelle imprese di dimensione medio-grande che garantiscono un reddito sufficiente a mantenere e sviluppare l'attività agricola. Gli agricoltori più anziani (oltre i 55 anni) si concentrano principalmente nelle aziende di piccola dimensione: anche in questo caso l'attività agricola svolge un ruolo complementare ad altre forme di previdenza sociale (pensioni, sussidi di disoccupazione) e l'azienda è il luogo di residenza e di legame con le tradizioni e le radici culturali di quella popolazione che ha sempre vissuto in ambito rurale. Il dualismo strutturale è frutto delle difficoltà di modernizzazione dell'a. italiana e dei sostanziali fallimenti cui sono andati incontro i tentativi di riforma agraria e i numerosi provvedimenti di livello nazionale ed europeo tesi a modificare l'assetto fondiario di questa a., in particolare a incentivare la creazione di aziende di dimensione medio-grande con l'accorpamento di quelle di piccola e piccolissima entità. A questo si aggiunga che in Italia il dualismo strutturale si coniuga con quello territoriale: nelle regioni meridionali si ha il maggior numero di aziende di piccola e piccolissima dimensione e il maggior tasso di senilizzazione dei conduttori agricoli, mentre al Nord si concentrano le culture specializzate inserite nelle principali filiere di produzione sulla base di accordi fra produttori agricoli, industria di trasformazione e sistema distributivo.
Occorre ricordare, infine, che la riduzione del numero della aziende agricole in attività è legata in buona misura all'occupazione dello spazio rurale da parte di infrastrutture, immobili residenziali e servizi più che di accorpamenti fondiari. Nel decennio 1990-2000, la riduzione del numero delle aziende agricole (14,2%) e della superficie agricola utilizzata (12,2%) è stata più rapida nelle regioni settentrionali che nelle meridionali, ma non abbastanza decisa da stimolare un processo di modernizzazione del settore, ancora fortemente dominato dalla piccola dimensione aziendale.
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