ALIMENTAZIONE (II, p. 498; App. I, p. 87; II, 1, p. 136; III, 1, p. 70)
Il problema dell'a. è oggetto di universale interesse e preoccupazione da quando, nel 1960, l'Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura delle Nazioni Unite (la F.A.O., Food and Agricolture Organization) lanciò la sua campagna per la "libertà dalla fame", con lo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica mondiale sull'enorme diffusione che fame e malnutrizione hanno in ogni parte della terra e di mobilitare risorse e sforzi per la loro eliminazione. Questo problema ha anche offerto un punto di riferimento nodale alla discussione su alcune complesse questioni, ad esso collegate, relative allo sviluppo economico e sociale nelle aree più arretrate del globo, ed è divenuto quasi un simbolo di quelle particolari sperequazioni e ingiustizie che sono al centro dell'attenzione mondiale in questa seconda metà del 20° secolo. L'argomento ha assunto un'importanza così rilevante che, nel corso di undici anni, sono stati ad esso dedicati tre congressi mondiali - nel 1963 a Washington, nel 1970 all'Aja e nel 1974 a Roma - aventi lo scopo di mobilitare le responsabilità politiche e le capacità scientifiche e tecnologiche dell'umanità per dare soluzione al problema.
Quella dell'a. è una questione complessa e dai molteplici aspetti, che investe problemi di produzione, di distribuzione e di consumo. È inoltre collegata ai mutevoli modelli di espansione del reddito e della popolazione e riguarda problemi commerciali, finanziari e di cooperazione internazionale. Ma costituisce soprattutto un problema umano: l'a. è infatti un primario bisogno vitale e una delle esigenze fondamentali dell'uomo; bisogno ed esigenza che ancor oggi, nel mondo, sono negati a centinaia di milioni di persone, con la conseguenza di un vergognoso spreco di risorse umane.
Robert S. McNamara, presidente della Banca Mondiale, in un discorso tenuto a Washington il 30 settembre 1974, ha descritto la situazione con queste eloquenti parole: ("Vi sono centinaia di milioni di individui ridotti a vegetare ai limiti della sopravvivenza, a vivere cioè in condizioni di tale degradazione - a causa di malattie, d'incultura, di malnutrizione, di miseria - che ad essi è negata la soddisfazione dei più elementari bisogni umani. È questa l'umanità marginale, uomini e donne che vivono nella povertà assoluta, intrappolati in condizioni di esistenza talmente limitate da impedire la realizzazione del potenziale genetico di cui sono provvisti alla nascita. Questo tipo di vita, così degradante da costituire insulto alla dignità umana, è tuttavia tanto diffuso da interessare il 40% degli abitanti dei paesi in via di sviluppo, cioè circa 800 milioni di persone". Che queste immagini non siano puramente retoriche è reso evidente dal fatto che, anche in tempi recenti, cattivi raccolti, comunicazioni insufficienti, guerre civili, sono costati un pesante tributo di vite umane. La carestia del 1943 nel Bengala si calcola abbia provocato 3 milioni di morti; la guerra civile ha fatto morire di fame centomila persone in Biafra nel 1969-70 e nel Bangladesh; a cifre simili ammonta il numero di morti avutosi nel 1973-74 nell'area Sahel dell'Africa sub-sahariana e in Etiopia, in seguito a una carestia di proporzioni disastrose. Oltre a questi eventi drammatici vi è poi il dato costante della "fame occulta", espressione con cui si è voluta designare la malnutrizione. Secondo una stima della F.A.O. (cfr. FAO, Food and population study, 1974), almeno 460 milioni di persone sono afflitte da malnutrizione cronica, per la massima parte nei paesi in via di sviluppo: di queste, 200 milioni sono bambini. Stime meno prudenti potrebbero far salire il numero tra i 700 e gli 800 milioni, circa il 20% della popolazione mondiale. Non ci vuole troppa immaginazione per comprendere che ci troviamo di fronte a una situazione socialmente esplosiva.
Nel 1972-73 la situazione alimentare si è improvvisamente aggravata in seguito a cattivi raccolti nei principali paesi produttori di cereali, soprattutto negli SUA, in URSS, India, Australia e Canada. I prezzi dei cereali hanno perciò subito una rapida impennata, arrivando in alcuni casi a valori doppi o tripli rispetto a quelli di due anni prima, mentre le scorte accantonate (v. tab.1) si sono ridotte ai livelli più bassi mai raggiunti.
Ad aggravare la situazione è intervenuta la crisi energetica che, facendo aumentare i prezzi del carburante e dei fertilizzanti, ha avuto conseguenze negative sulla produzione dei paesi in via di sviluppo. D'altra parte, le spinte inflazionistiche e le difficoltà nelle bilance dei pagamenti hanno limitato la possibilità, per i paesi in deficit, d'importare le quantità di cereali occorrenti.
Gli aspetti che, più degli altri, caratterizzano il quadro della produzione, della distribuzione e del consumo di alimenti, sono la sperequazione e l'instabilità.
I ricchi paesi industrializzati, con soltanto il 30% della popolazione mondiale, forniscono circa il 60% (dati relativi al periodo 1971-73) della produzione mondiale di alimenti. I soli Stati Uniti coprono in media il 90% delle esportazioni mondiali di soia, il 60% di quelle di mais e di altre granaglie per mangimi, il 40% di quelle di grano e il 25% di quelle di riso. La ragione fondamentale di queste disparità risiede nella bassa produttività agricola dei paesi in via di sviluppo: la produzione di riso per acro è ancora in India soltanto un terzo, in media, di quella del Giappone; quella di mais in Brasile e in Tailandia è meno di un terzo di quella degli Stati Uniti. La disponibilità di alimenti in questi paesi potrà essere notevolmente incrementata se agli agricoltori saranno dati i necessari incentivi economici e la possibilità di accedere agl'indispensabili sussidi produttivi.
Negli anni Trenta l'America latina, l'Europa orientale, l'Unione Sovietica, l'Africa e l'Asia esportavano cereali più di quanto ne importassero: le loro esportazioni erano il doppio di quelle degli Stati Uniti e dell'Australia. Da allora i paesi esportatori, per la maggior parte, si sono progressivamente trasformati in importatori. Nel periodo 1966-70 il totale annuo delle esportazioni mondiali è stato, in media, di quasi 80 milioni di tonnellate, di cui una metà è stata fornita dagli Stati Uniti e un altro quarto da Francia e Canada insieme; l'Australia, un altro dei grandi paesi esportatori, ha contribuito per poco meno di un quinto; un'ulteriore, notevole quantità (un po' più di 10 milioni di tonnellate l'anno) è stata esportata da sette altri paesi, tra cui l'URSS e quattro paesi in via di sviluppo (Tailandia, Argentina, Messico e Birmania). I rimanenti paesi sono, in massima parte, importatori di cereali e, in almeno cinque di essi (tutti paesi ricchi) le importazioni di cereali equivalgono a più della metà del loro fabbisogno totale. Nel 1970, nelle aree in via di sviluppo, la bilancia tra importazioni ed esportazioni di cereali è risultata fortemente deficitaria (tab. 2).
India e Cina sono i maggiori importatori del Terzo mondo; ma le loro importazioni ammontano complessivamente a 10 milioni di tonnellate in media all'anno, mentre Giappone, Regno Unito, Italia e Repubblica feder. di Germania importano annualmente più di 32 milioni di tonnellate (medie relative al periodo 1966/70). India e Cina assorbono meno del 13% delle importazioni di cereali nel mondo, benché in esse abiti il 36% della popolazione mondiale. In alcuni casi, nei paesi sviluppati il bestiame è nutrito meglio degli esseri umani nei paesi in via di sviluppo. Circa 300 milioni di tonnellate di cereali sono usati per l'a. animale nei soli paesi sviluppati: una cifra superiore a quella del totale del consumo umano in India e in Cina. Complessivamente i paesi sviluppati assorbono i due terzi dell'importazione mondiale di cereali, lasciandone soltanto un terzo alle aree in via di sviluppo, la cui domanda di cereali si calcola sia destinata a salire dai circa 600 milioni di tonnellate del 1970 a 900 milioni di tonnellate nel 1985. Nel 1970 la domanda mondiale di cereali era stimata sui 1200 milioni di tonnellate (FAO, Food and population study, 1974).
Per quanto riguarda il consumo, ci troviamo di fronte a disuguaglianze che sono fondamentalmente di due tipi: quelle tra paesi e quelle interne ai singoli paesi. Nel Nord America, per es., il consumo medio di cereali per persona è di quasi una tonnellata (2000 libbre) all'anno, mentre nei paesi in via di sviluppo dell'Asia, dell'Africa e dell'America latina, il consumo pro capite è soltanto di circa 400 libbre l'anno. I paesi ricchi, grazie alle maggiori risorse tecnologiche e finanziarie, possono a seconda dei casi produrre efficientemente, o ricorrere all'importazione. All'interno dei singoli paesi, poi, gli strati più poveri della società non solo hanno minori disponibilità alimentari di quelli più fortunati, ma sono anche i primi a risentire delle disastrose conseguenze di raccolti particolarmente deficitari. Si tratta di un problema di potere d'acquisto: nei periodi di penuria, i prezzi degli alimenti crescono e gli strati più vulnerabili, principalmente i piccoli contadiini, i braccianti senza terra, i baraccati delle città, si trovano ridotti alla fame. In paesi con forti disuguaglianze come il Brasile, l'India e la Tunisia, il 20% della popolazione, che ha i redditi più bassi, ha un consumo di calorie pro capite che è la metà di quello del 10% che gode i redditi più alti (cfr. UN/FAO, Assessment of the world food situation, World food conference, 1974. Per i fabbisogni alimentari v. nutrizione, in questa App.).
Dalla fine della seconda guerra mondiale la produzione di alimenti è andata costantemente aumentando sia nei paesi sviluppati, sia in quelli in via di sviluppo. Ma altrettanto è avvenuto per la popolazione. Di conseguenza la produzione pro capite di alimenti non ha registrato alcun sostanziale incremento; anzi, in alcuni paesi in via di sviluppo, ha subito un calo e i progressi nella produzione alimentare, assieme ai progressi nello sviluppo economico, per quanto significativi, non sono stati sufficienti, negli ultimi vent'anni, a ridurre in maniera apprezzabile l'incidenza della fame e della malnutrizione. In molti paesi, il numero delle persone che soffrono di sotto-alimentazione è in proporzione diminuito, ma, se consideriamo il Terzo mondo nel suo insieme, la quantità di gente affamata è, in termini assoluti, aumentata. Un caso tipico è quello dell'India: nel corso degli ultimi 25 anni l'India ha quasi raddoppiato la propria produzione di cereali, ma ciò nonostante i dati ufficiali indicano che il 40% della nazione (cioè circa 200 milioni di persone) vive di stenti. È significativo che l'aumento della popolazione dal 1947 a oggi sia stato appunto di circa 200 milioni di persone. Possiamo quindi supporre che se l'India non avesse avuto alcuna espansione demografica nell'ultimo quarto di secolo, avrebbe risolto il problema della fame.
Secondo le previsioni della FAO, la domanda mondiale di alimenti negli anni Settanta e Ottanta crescerà del 2,4% l'anno, dove un 2% corrisponde all'aumento della popolazione e il rimanente 0,4% alla crescita del potere d'acquisto. Un simile calcolo, tuttavia, nasconde notevoli differenze tra paesi ricchi e paesi poveri e tra i singoli paesi poveri. Vi sono paesi in cui il combinarsi di un rapido incremento demografico e di un'altrettanto rapida crescita dei redditi potrebbe portare nel 1985 a una domanda di alimenti raddoppiata rispetto al 1970. D'altra parte, si può prevedere che nel 1985 vi saranno circa 34 paesi, con 800 milioni di abitanti complessivamente, in cui, a causa della perdurante povertà, la domanda effettiva di alimenti sarà ancora al di sotto del fabbisogno calorico della popolazione.
In teoria, esiste la possibilità di espandere la produzione alimentare. Vi sono in genere due tipi di ostacoli che si oppongono alla realizzazione di questa possibilità: quelli ecologici, da un lato, e quelli tecnici e finanziari, dall'altro. In molti paesi densamente popolati l'espansione delle aree coltivate può risolversi - e di fatto si è risolta - in un disboscamento di tali proporzioni da sconvolgere l'ecosistema. D'altro lato, la coltivazione intensiva richiede una moltiplicata disponibilità di acqua, di fertilizzanti e di energia: e ciò pone seri limiti agli sforzi che i paesi in via di sviluppo stanno facendo per incrementare la loro produzione di alimenti.
Un tipico esempio di eccessivo sfruttamento dell'ambiente è quello della pesca. Il pesce è un'eccellente fonte di proteine di alto valore biologico, perciò questa risorsa marina in continua riproduzione è stata sfruttata in maniera intensiva negli ultimi due decenni. Il totale del pescato mondiale è salito dai 21 milioni di tonnellate del 1950 ai 70 milioni di tonnellate del 1970. A partire dal 1970 vi è stato un calo per tre anni consecutivi, calcolabile intorno agli 8 milioni di tonnellate. E, data la continua crescita della popolazione, in questi tre anni la disponibilità di pesce pro capite è diminuita del 16%, determinando drammatici aumenti di prezzo. Il fatto poi che alcune delle specie commercialmente più importanti siano state fortemente depauperate fa sì che una pesca sempre meno redditizia richieda una quantità di tempo e di denaro che continua ad aumentare di anno in anno. L'impressione di molti biologi marini è che la pesca globale di pesce commestibile abbia oggi raggiunto - o sia prossima a raggiungere - il massimo livello sostenibile.
Le cause più profonde del problema alimentare nel mondo stanno nell'arretratezza delle campagne e dei metodi di coltivazione nei paesi in via di sviluppo. Condizione primaria e punto di partenza di ogni efficace programma di sviluppo delle campagne è la modernizzazione delle agricolture tradizionali di questi paesi. Se non si riescono a porre saldamente le basi di questo programma, ogni altro sforzo diretto a miglioramenti settoriali è destinato a rivelarsi improduttivo. Modernizzazione significa, innanzi tutto, porre la scienza e la tecnologia al servizio della creazione di un'agricoltura altamente produttiva. Significa perciò promuovere la ricerca applicata, nei campi della fitogenetica, delle scienze del suolo, dell'idraulica agraria, dell'economia agraria. Significa, in breve, industrializzazione dell'agricoltura, col supporto di un'infrastruttura di comunicazioni che colleghi le zone rurali ai mercati, e attraverso l'utilizzazione di sussidî tecnici (fertilizzanti, insetticidi) e creditizi.
Quando si parla di modernizzazione, non si deve pensare necessariamente a tenute di vaste dimensioni e all'impiego di trattori e mietitrici meccaniche. L'esperienza giapponese può, a tal proposito rappresentare un valido modello per parecchi paesi in via di sviluppo: piccole tenute ben irrigate, uso di fertilizzanti organici e chimici, ricerca sui diversi tipi di terreni e di coltivazioni, facilitazioni creditizie, misure di sostegno dei prezzi, ecc. In altre regioni, invece (Africa, America latina) l'esistenza di vasti territori ancora da dissodare, rende preferibili i sistemi altamente meccanizzati.
Oltre a ciò, bisogna tener presente che questo processo di modernizzazione deve fondarsi su di un razionale programma di sviluppo sociale delle campagne. Tra le risorse dei paesi in via di sviluppo, un'importante componente è rappresentata dalla larghezza di mano d'opera che richiede di essere utilizzata e socialmente valorizzata attraverso istituzioni che inseriscano i piccoli contadini e i braccianti senza terra nel processo di sviluppo economico e sociale.
Sia l'adozione e l'applicazione di appropriate tecnologie per modernizzare l'agricoltura, sia la valorizzazione delle risorse umane richiedono forti investimenti. Per valorizzare le risorse idriche e dei terreni, per produrre fertilizzanti e insetticidi, sono necessari capitali di cui i paesi in via di sviluppo non dispongono. È quindi la cooperazione economica internazionale che, in questo settore, può svolgere un ruolo decisivo.
"Rivoluzione verde" è il nome che è stato dato agli eccezionali risultati ottenuti nel campo della ricerca di varietà di cereali ad alto rendimento, tra cui alcune varietà di frumento nano (selezionate in Messico da un équipe di fitogenetisti finanziata dalla Rockefeller foundation, altamente reattive ai fertilizzanti, con ridotta sensibilità alla lunghezza delle giornate e capaci di rapida maturazione) e di riso (selezionate presso l'International rice research institute di Los Baños nelle Filippine, con il sostegno della Ford foundation e della Rockefeller foundation).
Il grande vantaggio di queste nuove sementi è stato quello di offrire ai paesi in via di sviluppo la possibilità di sfruttare immediatamente i risultati della ricerca agricola, la quale aveva richiesto decine di anni in Giappone, negli Stati Uniti e altrove. Nelle zone del Terzo mondo con sufficiente disponibilità di acqua e di fertilizzanti e che hanno fruito di incentivazioni di prezzo, la diffusione delle varietà di grano e di riso ad alto rendimento è avvenuta rapidamente: contadini che sembravano vincolati dalla tradizione, si sono dimostrati pronti ad adottare le nuove sementi non appena si sono resi conto della loro convenienza. Nel 1965 i terreni seminati con queste nuove varietà coprivano in tutto 200 acri; nel 1971 tale superficie si era estesa a 50.549.000 acri. Tra i paesi asiatici che più hanno beneficiato dell'uso delle nuove sementi sono l'India, il Pakistan, le Filippine, l'Indonesia, la Malaysia e lo Sri Lanka. In India, dove lo sforzo per la diffusione delle nuove varietà è stato concentrato soprattutto sul frumento, si sono avuti progressi incoraggianti: in un periodo di sette anni (1965-1972), l'India ha allargato la propria produzione di grano da 11 milioni a 27 milioni di tonnellate, un incremento della produzione agricola che non ha precedenti nella storia, in nessun altro paese.
La rivoluzione verde non ha tuttavia risolto il problema dell'a. nel mondo e molti sono ancora gli ostacoli da superare per realizzarne appieno le potenzialità. I disastri provocati in India dalla siccità del 1973 mostrano chiaramente che l'agricoltura, in questo come in altri paesi, è ancora condizionata dagli eventi atmosferici. Il mancato arrivo di un monsone o una carenza di fertilizzanti possono seriamente compromettere il modello di sviluppo realizzato. Ad ogni modo, la rivoluzione verde ha prevenuto in molte regioni le ricorrenti carestie e ha permesso al genere umano di guadagnare tempo, concedendogli una tregua di 15 o 20 anni, che potrebbe essere utilizzata per un efficace controllo dell'espansione demografica. Tuttavia dall'inizio della Rivoluzione verde (1965), i successi registrati dai programmi di pianificazione familiare nei paesi meno ricchi sono decisamente troppo scarsi. Tra i grandi paesi asiatici sovrappopolati, soltanto la Cina sembra stia riducendo il suo tasso di natalità, mentre irrilevanti sono le riduzioni registrate nel Bangladesh, in India, in Indonesia e nel Pakistan (v. anche popolazione in questa Appendice).
La costituzione di un'agenzia internazionale per la sicurezza alimentare nel mondo, promossa dalla FAO per far fronte alle situazioni di emergenza, è attualmente in fase di negoziato. All'iniziativa ha dato il proprio appoggio la Conferenza mondiale sull'alimentazione. Lo scopo è quello di creare degli stocks di riserva sia nei paesi con surplus alimentare, sia in quelli soggetti a raccolti mancati a causa di siccità e inondanzioni: nei momenti di emergenza queste riserve dovrebbero venire spostate rapidamente verso le zone disastrate. Nel 1974 le scorte di cereali ammontavano a 89 milioni di tonnellate, quantitativo inferiore al consumo mondiale di un solo mese.
La costituzione di adeguate riserve di cereali, il recupero alla produzione agricola dei terreni marginali, l'irrigazione e la fornitura di fertilizzanti e insetticidi, la concessione di crediti agrari, sono tutte misure che richiedono investimenti di capitali sproporzionati rispetto alle disponibilità dei paesi in via di sviluppo. D'altra parte, il flusso di capitali attualmente prodotto dagli aiuti dall'estero, sia bilaterali che multilaterali, è largamente inadeguato. Il livello dei finanziamenti esteri concessi a titolo di assistenza ai progetti di sviluppo agricolo - provengano essi da accordi bilaterali o multilaterali - si aggirava nel 1975, in termini d'impegni, sul miliardo e mezzo di dollari l'anno, esclusi gli aiuti tra paesi dell'area socialista. La maggior parte di questi aiuti (più del 60%) è fornita dalla Banca mondiale. Secondo i dati disponibili, l'assistenza bilaterale diretta, concessa per investimenti in agricoltura da sedici paesi donatori facenti parte del DAC (Development Assistance Committee) in seno alla OECD, è stata inferiore ai 300 milioni di dollari l'anno. Per ottenre l'auspicato ritmo di sviluppo della produzione alimentare nei paesi del Terzo mondo, sarebbe necessaria una massa di capitali di parecchie volte superiore. La FAO calcola si debba raggiungere un obiettivo minimo di 5 miliardi di dollari l'anno: ciò significa che, anche prevedendo un'espansione degl'investimenti effettuati attraverso i normali canali sopra indicati, sarà necessario mobilitare un flusso aggiuntivo di capitali per due miliardi e mezzo di dollari l'anno. A questo scopo, la Conferenza mondiale sull'alimentazione ha raccomandato (nov. 1974) la creazione di un fondo internazionale per lo sviluppo agricolo con l'obiettivo iniziale di raccogliere un milione di dollari sotto gli auspici delle Nazioni Unite, anche nella speranza che i paesi produttori di petrolio forniscano un grosso contributo.
Bibl.: The world food problem, a report of the (U.S.) President's science advisory committee, voll. 3, Washington 1967; FAO, Indicative world plan of agricultural development, voll. 2, Roma 1969; id., Production yearbook, ivi 1969-70; id., Report of the second world food congress. (L'Aia, 16-30 giugno 1970), ivi 1970; The green revolution, Symposium on science and foreign policy, Committee on foreign affairs, Washington 1970; C. Clark, Too much food, Londra 1970; FAO, The state of food and agriculture, 1970-73; id., Agricultural commodity projections 1970-1980, voll. 2, Roma 1971; N. E. Borlaug, Mankind and civilization at another crossroad, ivi 1971; G. Borgstrom, A global food strategy, New York 1974; L. R. Brown, By Bread Alone, ivi 1974; S. Sen, A richer harvest: new horizons for developing countries, ivi 1974; FAO, United nations world food conference: Assessment of the world food situation, Roma 1974; id., United nations world food conference: The world food problem: Proposals for national and international action, ivi 1974; S. Kuznets, Population, capital and growth, Londra 1974.