LORENZETTI, Ambrogio
Protagonista con il fratello Pietro e con Simone Martini della pittura senese del Trecento, L. è documentato a Siena e a Firenze dal 1319 al 1349 (Rowley, 1958), ma sono poche le notizie certe pervenute sulla sua vita e sulla sua produzione artistica.L. fu il creatore di un peculiare linguaggio, colto e raffinato, la cui decifrazione ed esegesi offrono fondamentali chiarimenti non solo all'arte locale, ma soprattutto per lo studio complesso dei rapporti culturali tra Siena e Firenze nella prima metà del secolo.
Opere certe di L. sono il ciclo della sala della Pace nel Palazzo Pubblico di Siena, firmato, e alcuni dipinti su tavola firmati e datati: la Madonna con il Bambino già a Vico l'Abate, del 1319 (San Casciano in Val di Pesa, Mus. Vicariale d'Arte Sacra), il trittico un tempo in S. Procolo a Firenze, del 1332 (Firenze, Uffizi), la Presentazione al Tempio per l'altare di s. Crescenzio del duomo di Siena, del 1342 (Firenze, Uffizi), e l'Annunciazione dipinta per l'ufficio della Gabella di Siena, del 1344 (Siena, Pinacoteca Naz.). Documentati dalle fonti ma perduti sono invece alcuni suoi lavori a Siena: gli affreschi della facciata dello Spedale di S. Maria della Scala, datati 1335, gli affreschi con Storie romane sulle pareti esterne del Palazzo Pubblico, eseguiti nel 1337, l'Annunciazione sulla facciata e la tavola d'altare di S. Pietro in Castelvecchio, del 1343, e la Cosmografia dipinta nel 1344 nel Palazzo Pubblico.L'iscrizione riportata da Ugurgieri Azzolini (1649) e da Della Valle (1785), posta sotto i perduti affreschi della facciata dello Spedale di S. Maria della Scala a Siena, "Hoc opus fecit Petrus Laurentii et Ambrosius eius frater MCCCXXXV", ha permesso di individuare la parentela tra i due fratelli, ignorata sia da Ghiberti, che menziona con parole entusiastiche il solo Ambrogio ("Maestro Simone fu nobilissimo pictore et molto famoso. Tengono e pictori sanesi fosse el migliore, a me parve molto migliore Ambrogio Lorenzetti et altrimenti dotto che nessuno degli altri"; Commentari, II, 10), sia da Vasari (Le Vite, II, 1967, pp. 179-183), il quale chiamò l'uno Ambruogio L., l'altro Pietro Laurati (ivi, pp. 143-147).Fondamentale per lo studio degli esordi e della formazione dell'artista fu la scoperta (De Nicola, 1922-1923) della Madonna con il Bambino detta di Vico l'Abate, ma proveniente da Tolano, presso Greve in Chianti, recante l'iscrizione "A(nno) D(omini) MCCCXVIIII p(er) rimedio d(e) l'a(n)i(m)a di Burnacio [---] / Ducio da Tolano fecela fare Bernardo figluolo Burna c[---]". Questo dipinto svela la formazione e i rapporti stilistici con l'arte fiorentina di L., evidenti nella rappresentazione arcaica e monumentalmente plastica della Vergine, che richiama l'opera di Giotto e di Arnolfo di Cambio. Il legame con Firenze, testimoniato dalla Madonna del 1319, è avvalorato da un documento del 30 maggio 1321 che testimonia la presenza di L. in città (Firenze, Arch. di Stato, Mercanzia, Reg. 1033, c. 69r). A Firenze, dopo una permanenza a Siena nel 1324 - anno nel quale l'artista vende un pezzo di terra (Siena, Arch. di Stato, Denunzie e Gabelle, 1324, c. 5) -, L. fece ritorno nel 1327, quando venne immatricolato nella locale Arte dei medici e speziali (Firenze, Arch. di Stato, Arte dei medici e speziali, Matricole, libro D).Agli anni del soggiorno senese (1324-1327) si ancorano alcuni dipinti della sua attività giovanile: la Madonna con il Bambino, deteriorata e abrasa nelle superfici pittoriche (Milano, Pinacoteca di Brera), la Madonna Blumenthal (New York, Metropolitan Mus. of Art), il Crocifisso in origine nella chiesa del Carmine di Siena (Siena, Pinacoteca Naz.; Volpe, 1951a) e il Crocifisso della chiesa di S. Lucia a Montenero sull'Amiata (Arte senese, 1964), in cui, diversamente dal fratello Pietro, non vi è traccia del magistero di Duccio. Queste opere palesano un linguaggio di assoluta coerenza stilistica, nel quale la definizione dei volumi è affidata non al chiaroscuro, ma al potere descrittivo della linea, che sintetizza le forme nei vividi piani cromatici con una visione plastica simile a quella dello scultore Tino di Camaino.
Anteriori al 1327 appaiono anche gli affreschi superstiti della chiesa di S. Francesco a Siena, tradizionalmente datati al 1330-1331 (Sigismondo Tizio, Historiarum Senensium). L'intervento di L. dovette svolgersi in due momenti successivi. Il primo riguarda gli affreschi del chiostro, dove sette riquadri rappresentavano il martirio dei frati Tommaso da Tolentino, Jacopo da Padova, Pietro da Siena e Demetrio, avvenuto in India nel 1321. Di essi rimangono alcuni frammenti ancora in loco, scoperti nel 1978, e uno staccato raffigurante un santo francescano (Birmingham, Mus. and Art Gall.); il più grande di questi rappresenta una scena di tempesta lodata da Ghiberti ("per una storia picta mi pare una maravigliosa cosa"; Commentari, II, 10) e ammirata da Van Mander (16182) e da Mancini (Considerazioni sulla pittura) nel 1620 ca., per i quali L. fu il primo artista a rappresentare credibilmente i fenomeni naturali. Il secondo intervento in S. Francesco riguarda la sala capitolare, nella quale contemporaneamente a Pietro, che vi dipinse una Crocifissione e una Risurrezione, L. affrescò due scene raffiguranti S. Ludovico di Tolosa davanti a Bonifacio VIII e il Martirio dei Francescani a Ceuta, cui si connettono frammenti con teste di monache e di una santa (Londra, Nat. Gall.). Gli affreschi, staccati nel 1857, furono trasferiti nella cappella Bandini Piccolomini all'interno della chiesa; in essi l'artista, coadiuvato dalla bottega, dispiegò un accentuato interesse per il mondo esotico e una raffinata articolazione dello spazio prospetticamente definito e articolato su più livelli. Controversa è la loro datazione: Peter (1940), Rowley (1958), Volpe (1960; 1982) li assegnano agli anni 1324-1327, Oertel (1953) a dopo il 1329, Cecchi (1928), Toesca (1951) e Carli (1981) al 1331, mentre Seidel (1978a; 1978b) ritiene che essi siano stati eseguiti contemporaneamente agli affreschi del chiostro, prima del 1336. Connesso agli affreschi del S. Francesco appare il trittico, ricomposto nel Cinquecento, di Asciano (Mus. d'Arte Sacra), già a Badia a Rofeno ma forse in origine proveniente dall'abbazia di Monte Oliveto Maggiore, nella quale Vasari ricorda una tavola di L. (Le Vite, II, 1967, p. 182). Solo la Madonna e il S. Michele Arcangelo possono essere attribuiti all'artista; a un collaboratore spettano i due santi a figura intera, Bartolomeo apostolo e Benedetto, e anche, come proposto (Rowley, 1958), i ss. Caterina, Romualdo, Francesco e Maddalena (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana). Nel vorticoso e drammatico S. Michele l'artista toccò uno dei vertici della sua arte attuando un irripetibile accordo mentale con le grafiche, astratte eleganze di Simone Martini.Al terzo soggiorno fiorentino del pittore appartengono due opere: il trittico di S. Procolo e le due tavolette con Storie di s. Nicola. Il trittico è formato dalla Madonna con il Bambino tra i ss. Nicola e Procolo (Firenze, Uffizi), un tempo sull'altare maggiore della chiesa di S. Procolo, dove è ricordato da Ghiberti (Commentari, II, 10) e da Cinelli Calvoli (in Bocchi, 1677, p. 389), che ne riporta la perduta iscrizione della cornice "Ambrosius Laurentii de Senis 1332". I quattro episodi, molto deteriorati, della Vita di s. Nicola (Firenze, Uffizi), provenienti anche essi da S. Procolo, forse in origine costituenti i laterali di un tabernacolo con al centro la figura del santo sul tipo di quello del beato Agostino Novello di Simone Martini, del 1329 (Siena, Pinacoteca Naz.), mostrano il contatto nella resa misurata dello spazio con l'ambiente del Giotto maturo e dei suoi stretti seguaci. Vasari, lodando quest'opera, che in città all'artista "accrebbe nome e riputazione infinita" (Le Vite, II, 1967, p. 181) e che, a causa della naturalezza narrativa e della raffinatezza lineare alla Simone Martini, risultò determinante per certi esiti della pittura fiorentina, riporta che L. si recò a Cortona nel 1335. Perdute le opere di Cortona, città nella quale invece Pietro lasciò testimonianze della sua arte, Ambrogio dovette fare definitivamente ritorno a Siena, poiché da allora risulta impegnato in numerose commissioni in città e nel contado. Nel 1335 infatti a lui e al fratello furono commissionati gli affreschi raffiguranti le Storie della Vergine, distrutti nel Settecento, sulla facciata dello Spedale di S. Maria della Scala. Da questa impresa, importante per la cultura locale, iniziò un accordo mentale e stilistico tra le due personalità, fino allora quasi antitetiche dei Lorenzetti. Ambrogio si volse a più intense e intime composizioni quali la stupenda Madonna con il Bambino, sei angeli e sei santi (Siena, Pinacoteca Naz.), forse parte centrale di un trittico con ai lati S. Martino e il povero (New Haven, Jarves Coll., inv. nr. 1871.11) e l'Elemosina di s. Nicola di Bari (Parigi, Louvre, inv. nr. 1562A; Moran, Seymour, 1966-1968), proveniente dallo Spedale di S. Maria della Scala; la Madonna con il Bambino, due angeli e due santi (Siena, Pinacoteca Naz.), la valva di dittico con la Crocifissione (Tulsa, Philbrook Mus. of Art, Kress Coll.; Zeri, 1971). Questa raggiunta convergenza mentale e stilistica rende possibile l'ipotesi che i due fratelli avessero impiantato in città un'unica, comune bottega in grado di soddisfare importanti commissioni come più modesti incarichi per lavori di piccolo formato e di destinazione privata.Nel 1337 L. eseguì i perduti affreschi raffiguranti Storie romane sulle pareti esterne del Palazzo Pubblico (Agnolo di Tura del Grasso, Cronaca senese) e negli anni 1335-1340, nei quali il pittore ricevette pagamenti per alcuni lavori, anch'essi perduti, per il duomo (Rowley, 1958), si possono situare gli affreschi di S. Agostino. Del ciclo, ammirato da Ghiberti nel Capitolo del convento (Commentari, II, 10), facevano parte Storie del Credo nella volta e sulla parete di fondo tre episodi della Vita di s. Caterina e la Crocifissione. Perduti gli affreschi in seguito alle ristrutturazioni cinquecentesche, nella cappella Piccolomini fu scoperta nel 1944 una Maestà (Niccoli, 1946) nel luogo dove in origine si trovava il Capitolo (Seidel, 1978a). Essa rivela nei volumi ampi e profilati e nella compatta costruzione spaziale il già avvenuto distacco con le grafiche e astratte eleganze di Simone Martini. In questi anni si situano l'imponente Maestà di Massa Marittima (palazzo Comunale), la stupenda Madonna del Latte (Siena, palazzo Arcivescovile), il disegno per la vetrata in origine nel convento di Monteoliveto presso porta Tufi (Siena, Palazzo Pubblico), l'affresco deteriorato raffigurante la Madonna della Loggia in origine fiancheggiata dalle virtù cardinali (Siena, Palazzo Pubblico), per il quale l'artista ricevette nel 1340 un pagamento dal Comune (Agnolo di Tura del Grasso, Cronaca senese), il trittico della parrocchiale di Roccalbegna, il polittico già nella chiesa di S. Petronilla, di cui facevano forse parte la Lamentazione e i Ss. Giovanni Evangelista e Giovanni Battista (Siena, Pinacoteca Naz.), la Madonna con il Bambino proveniente da S. Lorenzo alle Serre di Rapolano (Siena, Pinacoteca Naz.), la Madonna con il Bambino proveniente da S. Eugenio di Siena (Boston, Mus. of Fine Arts), la Madonna Blumenthal già a Pompana, la deteriorata Madonna con il Bambino di El Paso (Mus. of Art, Kress Coll.) e il polittico della chiesa di S. Pietro alle Scale a Siena. Queste numerose commissioni per chiese cittadine e del contado, come i perduti lavori per il duomo e per la cappella del cimitero dello Spedale di S. Maria della Scala, documentati nel 1340 (Siena, Arch. di Stato, Spedale di S. Maria della Scala, Conti Correnti, libro A, c. 63v), dimostrano come L. fosse ormai riuscito a soppiantare Simone Martini, partito definitivamente per Avignone, nella sua posizione ufficiale, divenendo con il fratello l'esponente più importante della pittura a Siena. In esse, staccandosi progressivamente dall'influsso di Martini, l'artista mostrò di avere pienamente recepito, nell'impostazione spaziale calma e dilatata e nei volumi compatti e profilati, non solo la lezione di Giotto (v.), ma anche quella dei suoi più originali seguaci, come Maso di Banco (v.) e Stefano Fiorentino (v.).
Dall'aprile 1338 al maggio del 1339 (Siena, Arch. di Stato, Biccherna, Libro di Entrata e Uscita, 1338, 1339; Rowley, 1958; Maginnis, 1989), L. ricevette sette pagamenti per la sua più vasta e famosa impresa pittorica: il ciclo con le allegorie e gli effetti del Buono e del Cattivo Governo in città e nel contado affrescato su tre pareti della sala dei Nove nel Palazzo Pubblico di Siena, che reca la firma "Ambrosius Laurentii de Senis pinxit utrinque". In questo ciclo vengono secolarizzati due concetti fondamentali etico-politici già adombrati da Simone Martini nella Maestà dello stesso Palazzo Pubblico: quello della giustizia e quello della subordinazione dell'interesse privato al bene comune. Le rappresentazioni si svolgono su due distinti piani tematici, allegorico-simbolico il primo ed esemplificativo-descrittivo il secondo. L'impalcatura dottrinale del primo è di ispirazione aristotelica per quanto riguarda l'esaltazione sia della giustizia ispirata dalla sapienza sia del bene comune, che, passato dalla teoria di Aristotele nel pensiero di S. Tommaso, era stato oggetto di un trattato scritto intorno al 1300 dal domenicano fiorentino Remigio de' Girolami (De bono communi; Rubinstein, 1958). Alle fonti aristoteliche si aggiungono suggestioni di cultura classica e medievale comprendenti riferimenti storici e astrologici fino a comporre una vera summa figurativa dell'arte del ben governare (Rowley, 1958). La parete di fondo della sala è occupata da una vasta composizione dell'allegoria del Buon Governo, imperniata sulle figure dominanti della Giustizia e del Vegliardo che assomma le personificazioni del Bene comune e del Comune di Siena. Sulla parete contigua di destra si svolge l'amplissima figurazione degli effetti del Buon Governo, la cui chiave concettuale sta nella Securitas che vola al centro dispiegando la grandiosa visione della città trecentesca. La terza parete rappresenta le allegorie e gli effetti del Cattivo Governo in una composizione le cui tre parti sono saldate dall'andamento contiguo del primo piano e dal prolungarsi degli edifici della città oltre la spalliera del pancale su cui siedono le personificazioni allegoriche. Il ciclo trova il suo completamento nei quadrilobi che adornano le fasce di incorniciatura delle scene, che raffigurano le Stagioni, i Pianeti, gli Emblemi del potere imperiale e papale, le Arti del Trivio e del Quadrivio e i Tiranni dell'Antichità. A parte le vastissime cadute d'intonaco nel Cattivo Governo e un esteso rifacimento nell'angolo tra le allegorie e gli effetti del Buon Governo imputabile a un pittore della fine del Trecento, l'esecuzione del ciclo sembra realizzata in massima parte da L., pur coadiuvato da una densa schiera di aiuti. Anche se i significati figurativi e simbolici furono dettati dai committenti, ciò non ha impedito il libero esplicarsi di un linguaggio di grande originalità e comunicativa che si è fatto - come la Divina Commedia - materia di poesia (Carli, 1981). Per valutare adeguatamente la creazione di L. occorre rivendicarne l'altezza suprema delle soluzioni compositive, di estrema singolarità da non trovare paragone in tutta la pittura del tempo. Eccezionale inoltre la capacità di L. di riprodurre gli aspetti del paesaggio urbano e campestre cogliendone il significato poetico in rapporto con l'umanità che ci vive e di disciplinare lo spazio come se fosse un'architettura. Studiato soprattutto nel suo contenuto politico e simbolico (Rubinstein, 1958; Feldges Henning, 1972; Frugoni, 1979), il ciclo è stato apprezzato dalla critica (Van Marle, 1924; Cecchi, 1928; Cole, 1980) nei singoli particolari avulsi dal loro insieme compositivo, ritenuto di contenuto troppo concettuoso e allegorico. Carli (1981) e Volpe (1982) ne hanno invece rivendicato l'altissima poesia che scioglie i nodi delle verità teoretiche in una dimensione vitale e vissuta che si esprime nel crudo romanzo della guerra e della pace stilato da un pittore che coglie in profondità la bellezza sensibile del mondo.Negli stessi anni in cui compiva gli affreschi del Palazzo Pubblico, Ambrogio venne pagato, dal giugno del 1337 al gennaio del 1340, per eseguire, al pari di Pietro, che dipinse la Natività della Vergine, una pala per l'altare di S. Crescenzio nel duomo (Siena, Arch. dell'Opera della Metropolitana, Libri di Entrata e Uscita, 1337, 1340; Maginnis, 1991). La tavola, identificata con la Presentazione al Tempio (Firenze, Uffizi), in origine fiancheggiata da S. Crescenzio e da S. Michele Arcangelo, da un'elaborata cornice con pinnacoli e da una predella ora perdute, fu trasferita nel 1620 nell'ospedaletto senese di Monna Agnese, dove era un affresco di L. ricordato da Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 180). Si è ipotizzato (Beatson, Müller, Steinhoff, 1986) che la tavoletta raffigurante l'allegoria del peccato e della redenzione (Siena, Pinacoteca Naz.), anch'essa proveniente da Monna Agnese, avesse fatto parte del complesso completando e accordandosi per contenuto al tema sacro. Il dipinto, che reca l'iscrizione "Ambrosius Laurentii fecit hoc opus Anno Domini MCCCXLII", può considerarsi la più solenne ed elaborata prova artistica di L., sia per le statuarie immagini dei sacri personaggi sia per la grandiosità della scenografia architettonica, estremamente rigorosa e correttamente impostata sotto l'aspetto prospettico-spaziale. L'elaborata struttura del tempio dove si svolge l'azione sembra infatti basarsi e prendere spunto dall'architettura interna e dalla facciata del duomo. Nel 1343 sono ricordate un'Annunciazione sulla facciata e una tavola per l'altare maggiore della chiesa di S. Pietro in Castelvecchio a Siena (Sigismondo Tizio, Historiarum Senensium).In quest'epoca si possono situare anche gli affreschi della cappella di Montesiepi presso l'abbazia cistercense di S. Galgano, nella quale peraltro L. risulta presente nell'agosto del 1334 (Firenze, Arch. di Stato, Arch. Diplomatico, Cestello, 1334). La cappella, che fu costruita dopo il 1340, porta dipinta su tre pareti una figurazione unitaria distribuita su tre lunettoni; in quello centrale la Vergine in maestà con ai piedi Eva e le personificazioni della Carità temporale e spirituale, nei laterali Davide e un gruppo di santi astanti e i Ss. Galgano e Michele Arcangelo con altri santi. Al di sotto della Maestà l'Annunciazione, immaginata in un vano prospetticamente definito e mirabilmente scorciato; sotto di essa venne rinvenuta la sinopia che mostra in diverso atteggiamento la Vergine colta da spavento, che si sorregge a una colonna. L'insolita iconografia, che mostra il genio drammatico dell'artista, che dovette peraltro consegnare i disegni preparatori per l'esecuzione a diretti collaboratori, corrisponde a una tradizione agiografica locale che, verosimilmente giudicata troppo ardita, venne successivamente modificata in una versione più consueta (Borsook, 1966).Connessa con l'abbazia di S. Galgano appare inoltre l'Annunciazione (Siena, Pinacoteca Naz.), dipinta per l'Ufficio della Gabella del Comune di Siena, che reca l'iscrizione: "[X]XVII di dice(m)bre MCCCXLIIII fece Ambruogio Lore(n)çi questa / tavola era camerle(n)go do(minus) Fra(n)cesco monaco di Sa(n) Galgano / e assegutori Bi(n)do Petrucci Giovan(n)i di Meo Baldino / tti Mino D'A(n)dreoccio scrittore A(n)gnolo Locti". Gli stessi nomi dei committenti dell'Annunciazione compaiono nella copertina miniata del registro di Entrata e Uscita, datato 1344 (Siena, Arch. di Stato, Gabella del Comune di Siena), raffigurante l'allegoria del Governo. L'analogia del soggetto con l'allegoria del Buon Governo del Palazzo Pubblico ha reso possibile l'ipotesi (Van Marle, 1924; Mostra delle Tavolette, 1950) che essa possa testimoniare l'unico saggio conosciuto di un possibile stile miniaturistico dell'artista.
L'Annunciazione del 1344 è l'ultima opera datata di L. e costituisce, in coerenza con le sue sperimentazioni spaziali, il più antico esempio di rappresentazione con un unico punto di fuga prima dell'avvento della prospettiva rinascimentale. La perfetta impostazione prospettica delle formelle del pavimento anziché condurre a un limite spaziale si interrompe contro l'oro del fondo, negando la spazialità della rappresentazione, che l'artista ha immaginato nel momento successivo all'apparizione dell'angelo, cioè nel momento dell'accettazione della Vergine del mandato divino.
Nel 1344 (Sigismondo Tizio, Historiarum Senensium) è datata un'opera famosa di L. ricordata da Ghiberti e distrutta nel Settecento: la Cosmografia, con la rappresentazione "di tutta la terra abitabile", dipinta nella sala maggiore del Palazzo Pubblico di Siena (Commentari, II, 10). Essa consisteva in una grande immagine topografica, su pergamena o su tela, incassata in un'armatura circolare ruotante su un perno fissato sulla parete sotto l'affresco di Guidoriccio di Simone Martini. A questi interessi topografici e di rappresentazione del reale, quali si palesano anche negli affreschi del Buon Governo, si legano due tavolette raffiguranti un castello in riva al mare e una città sul mare (Siena, Pinacoteca Naz.). I due dipinti sono stati oggetto di un vivace dibattito concernente sia la loro originaria destinazione sia la loro attribuzione. Si è supposto che le due rappresentazioni potessero aver fatto parte del citato Mappamundus volubilis dipinto da L. per la sala maggiore del Palazzo Pubblico di Siena, detta ancora oggi del Mappamondo (Ragghianti, 1961), oppure che esse, opere di L. di altissima qualità, ritenute i primi saggi di paesaggio puro di tutta la pittura occidentale, avessero in origine fatto parte come sportelli di un armadio in cui erano rappresentati tutti i possedimenti della Repubblica senese (Brandi, 1933; Carli, 1981). Si è ipotizzato inoltre - più plausibilmente - che esse, ora ridotte a frammenti, avessero fatto parte di una vasta pala di Giovanni di Paolo (Ronen, 1961-1963), oppure che costituissero parte integrante del paesaggio inserito nella pala dell'Arte della lana dipinta da Stefano di Giovanni, detto il Sassetta, negli anni 1423-1426 (Zeri, 1973).Gli ultimi ricordi documentari sull'artista risalgono al 1347, quando L. figura come membro del consiglio dei Paciari del Comune di Siena (Siena, Arch. di Stato, Deliberazioni del Concistoro, c. 91, 1347), e al 9 agosto 1348, quando, nel pieno infuriare della peste, fa testamento in favore della moglie, delle figlie e della Compagnia della Vergine Maria (Siena, Arch. di Stato, Società di Esecutori di Pie Disposizioni, Memorie ed Entrate, 1348; Wainright, 1975).
Nel 1349 L. risulta già morto.La pittura di L., lodato da Ghiberti (Commentari, II, 10) e da Vasari, per il quale i costumi e le inclinazioni di Ambrogio furono "più tosto di gentiluomo e di filosofo che di artefice" (Le Vite, II, 1967, p. 182), appare ricca di intuizioni e di precorrimenti nella vigile apertura verso i più diversi aspetti del mondo contemporaneo.
Bibliografia
Fonti inedite. - Sigismondo Tizio, Historiarum Senensium ab initio urbis Senarum usque ad annum MDXXVIII (ms. del sec. 16°), Siena, Bibl. Com. degli Intronati, B III 6.Fonti edite. - Agnolo di Tura del Grasso, Cronaca senese, a cura di A. Lisini, F. Jacometti, in RIS2, XV, 6, 1931-1935, pp. 1-564; Lorenzo Ghiberti, I Commentari, a cura di J. von Schlosser, Berlin 1912, I, pp. 40-42; G. Vasari, Le Vite de' più eccellenti pittori scultori ed architettori, a cura di G. Milanesi, I, Firenze 1878; K. Van Mander, Het Schilder-Boech [Il libro dei pittori], Haarlem 16182 (1604); G. Mancini, Considerazioni sulla pittura, a cura di A. Marucchi, L. Salerno (Accademia Nazionale dei Lincei. Fonti e documenti inediti per la storia dell'arte), 2 voll., Roma 1956-1957; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi, Pistoia 1649; F. Bocchi, Le bellezze della città di Firenze, a cura di G. Cinelli Calvoli, Firenze 1677 (rist. anast. Bologna 1973); G. Della Valle, Lettere sanesi, II, Roma 1785 (rist. anast. Bologna 1975).
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