ANDROMACA ('Ανδρομάχη, Andromăcha)
Moglie di Ettore, una delle figure, se non principali, più amabili dell'Iliade. Figlia di Eezione ('Ηετίων) re di Tebe ipoplacia in Cilicia, dopo la morte del padre e di sette fratelli uccisi da Achille, quand'egli distrusse quella città e dopo che la madre riscattata è morta anch'essa di malattia, ha concentrato tutti gli affetti domestici nel marito. L'addio di Ettore a lei presso la porta Scea, che in uno strato più antico della tradizione doveva essere l'ultimo, è meritamente celebre; celebre la scena nella quale ella accorre al lamento, ancora a tempo per vedere il cadavere del marito trascinato intorno alle mura di Troia; celebre il lamento sul corpo di Ettore. Molto più che a sé, pensa al marito e al figlio unico, Astianatte, che crescerà orfano, e, com'è destino degli orfani in società relativamente primitive, sarà ingiustamente trattato dai compagni del padre, o anche saprà la schiavitù.
Nell'Iliade A., la sposa fedele, operosa, affettuosa, è tratteggiata in visibile contrasto con la frivola Elena. Il poeta forse recente al quale queste parti appartengono, aveva la mano tanto più libera, in quanto A., senza vera leggenda, di nome perspicuo e non caratteristico (nonostante la coincidenza con il nome di Amazone più comune su vasi attici), era libera creazione della poesia, non eredità del mito (che suo padre sia invece figura mitica, non importa qui).
Quel che i Ciclici narrarono di lei, pare sviluppo delle tristi e sobrie predizioni che sul fato di lei fanno essa stessa e il marito, e documenta quanto presto l'Iliade divenisse poema canonico. La Piccola Iliade (fr. 13 Bethe) narrava come A. toccasse in sorte a Neottolemo, che la portava con sé a Ftia. Un'eroica difesa di lei, contro i Greci invasori, dei quali uccide uno con un pestello, è dipinta in due celebri vasi. La separazione di lei dal figlio, destinato a morte, è delineata da Euripide nelle Troadi.
Secondo leggende posteriori, che noi conosciamo specialmente dall'Andromaca di Euripide, A. partorisce a Neottolemo un figliolo. Nella tragedia di Euripide la moglie legittima, Ermione, ch'è rimasta sterile, cerca, durante un'assenza del marito, con l'aiuto del padre Menelao, di toglier di mezzo concubina e figliolo, salvati solo dall'intervento di Peleo: è probabile che molto di questa favola sia invenzione di Euripide, che al principio della guerra archidamica scriveva drammi tendenziosi, in cui gli Spartani (Menelao ed Ermione) facevano cattiva figura già in tempi mitici. A. è anche qui rappresentata come sposa e madre esemplare.
Anche secondo Euripide, ma già secondo Pindaro (Nem., VII, 38), il figliolo di Neottolemo e di A. diviene il progenitore della casa reale dei Molossi; vale a dire, questa dinastia cercava di ricongiungersi per mezzo di finzioni genealogiche alla stirpe di Achille. Invenzione di Euripide sarà, inoltre, che A. sposi in terze nozze il cognato Eleno, e con questo e il figliolo si rechi in Molossia.
Virgilio che segue una tradizione diversa nei particolari, canta che Enea incontrò a Butroto in Caonia A. con il marito Eleno, re appunto di Caonia. Anche Ennio scrisse una tragedia Andromacha.
La mitografia di A. dopo la partenza da Troia è ancora incerta per la perdita di molte fonti (specie tragedie attiche e mitografi ellenistici).
Bibl.: Buoni articoli di Wagner, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., I, col. 2151 e Klügmann, in Roscher, Ausführliches Lex. d. griech. u. röm. Mythol., I, col. 1944; maggiori particolari e in forma più scientifica, in Robert, Griech. Heldensage, pp. 985, 1259 segg., 1275 segg., 1453 segg.