Schonberg, Arnold
Dalla crisi della tonalità alla dodecafonia
Compositore austriaco della prima metà del Novecento, Arnold Schönberg espresse con profonda partecipazione la crisi e la tragicità del suo tempo. A partire dall’esasperazione delle esperienze tardoromantiche e dalla dissoluzione della tonalità, egli arrivò a elaborare il metodo dodecafonico, cioè una nuova organizzazione razionale del linguaggio musicale atonale
Arnold Schönberg nacque a Vienna nel 1874 in una modesta famiglia ebrea che non incoraggiò la sua inclinazione alla musica. Egli pertanto si formò come autodidatta, a eccezione delle lezioni avute dal direttore d’orchestra e compositore Alexander von Zemlinsky, tramite il quale ottenne nel 1895 un incarico come direttore di un coro. Grazie a questo lavoro, all’insegnamento e alla direzione di un cabaret a Berlino dal 1901, poté lasciare il proprio impiego in banca per dedicarsi interamente alla musica e sposare la sorella di Zemlinsky.
Tra le composizioni più significative del primo periodo vi furono il sestetto Notte trasfigurata (1899), i Gurrelieder per soli, coro e orchestra (1900-11), il poema sinfonico Pelleas e Melisande (1903) e la Kammersymphonie op. 9 (1906); influenzate da Wagner e Mahler. Queste opere estremizzavano il linguaggio tardoromantico tedesco in direzione espressionista, con l’intento di esprimere non l’apparenza della realtà, ma l’interiorità, le emozioni e gli stati d’animo più profondi dell’uomo.
Nel 1904 Schönberg iniziò a riunire alcuni allievi, tra cui Alban Berg e Anton Webern, insieme ai quali successivamente costituì la cosiddetta seconda scuola di Vienna, che ebbe un’enorme influenza sui musicisti del secondo dopoguerra.
Gli anni 1907-13 videro una intensa attività compositiva, con lavori quali i Quindici Lieder op. 15 (1908), i Sei piccoli pezzi per pianoforte op. 19 (1911) e i due lavori teatrali Attesa op. 17 (1909) e La mano felice op. 18 (1908-13), incentrati sul tema della disperata solitudine dell’uomo. Queste composizioni inaugurarono il periodo dell’atonalità, che Schönberg preferiva chiamare pantonalità: il linguaggio musicale non obbediva più alle regole dell’armonia tonale tradizionale, ma non ne costruiva ancora di nuove (musica, grammatica della). La produzione di questi anni rifletteva inoltre gli ideali espressionisti dell’avanguardia pittorica viennese: insieme all’amico pittore Vasilij Kandinskij, Schönberg fu infatti tra i fondatori del gruppo Il cavaliere azzurro, e teorizzò tra l’altro nel suo Manuale d’armonia (1911) la Klangfarbenmelodie, «la melodia di suono-colori» caratterizzata dalla timbrica strumentale.
Il culmine della produzione di questi anni si ebbe con il celebre Pierrot Lunaire op. 21 (1912), per voce recitante e otto strumenti, manifesto dell’espressionismo musicale. In esso Schönberg sperimentò una nuova forma di canto, lo Sprachgesang, una sorta di recitazione intonata, in cui il ritmo è rigoroso, mentre le inflessioni della voce parlata sono suggerite dagli intervalli della melodia.
Nel 1923 Schönberg giunse alla definizione della dodecafonia, o «metodo di composizione con dodici suoni non in relazione tra loro»: i dodici suoni della scala cromatica vengono organizzati in ‘serie’, in cui nessuno di essi viene ripetuto, ha una predominanza o costituisce un centro d’attrazione.
Dopo diversi tentativi preparatori, la dodecafonia fu applicata compiutamente nella Suite per pianoforte op. 25 (1921) e soprattutto nelle complesse Variazioni per orchestra op. 31 (1926-28).
I principi dodecafonici sono alla base anche dell’opera in un atto Dall’oggi al domani (1929), una satira feroce dei tempi moderni. Rimase invece incompiuta l’opera Mosè e Aronne (1930-32).
Con l’avvento delle persecuzioni razziali, nel 1932 Schönberg decise di recarsi negli Stati Uniti – dove rimase fino alla morte, avvenuta a Los Angeles nel 1951 – proseguendo il suo lavoro di compositore e l’attività di docente presso prestigiose università.
Al periodo americano risalgono alcune importanti partiture, come il Concerto per violino e orchestra op. 36 (1934-36) e il Concerto per pianoforte e orchestra op. 42 (1942). Significato sociale ed emozionale rivestono inoltre l’Ode a Napoleone op. 41 (1942), appassionata invettiva contro la tirannia, e Un sopravvissuto di Varsavia op. 46 (1947), che rievoca lo sterminio nazista avvenuto nel ghetto di Varsavia.