assolutismo
Un potere privo di vincoli e di controlli
Assolutismo è il potere esercitato da un sovrano libero di fare leggi senza vincoli che lo limitino, quindi legibus solutus "sciolto dalle leggi" (da ciò la parola assolutismo). In senso proprio, l'assolutismo è una forma di potere caratteristica delle monarchie europee tra il 16° e il 18° secolo, le cui origini risalgono alla fine del Medioevo, quando prese l'avvio la formazione dello Stato moderno
All'inizio dell'età moderna i sovrani erano intenzionati a far valere la propria volontà suprema nei confronti della nobiltà feudale, del clero, della Chiesa e dei loro relativi privilegi e poteri, considerati fonte di particolarismo, di disordine e di debolezza per la monarchia; procedettero perciò ad accentrare nelle proprie mani, e quindi dello Stato e dei suoi organi di governo, tutti i poteri. Attraverso questo processo, lungo e differenziato a seconda dei diversi paesi, il sovrano divenne così assoluto: libero di fare e di cambiare le leggi, deciso a essere la fonte unica della giustizia e dell'attività di governo.
L'assolutismo coincise con l'attuazione di un crescente processo di centralizzazione in campo giuridico, amministrativo e militare, e dunque con la costituzione di apparati giudiziari, burocratici e militari diretti e controllati dallo Stato. Esso non presentava però il carattere di un sistema dispotico, in quanto il sovrano era tenuto a rispettare, in obbedienza al comune sentire e ai valori condivisi, le leggi divine e naturali e le 'leggi fondamentali' del regno, a partire da quella della successione al trono.
I maggiori teorici dell'assolutismo furono il francese Jean Bodin nel Cinquecento e l'inglese Thomas Hobbes nel Seicento: quest'ultimo criticò in maniera radicale l'idea ‒ divenuta poi il caposaldo del liberalismo ‒ della separazione dei poteri in potere esecutivo, potere legislativo rappresentato da un Parlamento e potere giudiziario. In seguito l'assolutismo ha assunto, a opera dei suoi avversari, il significato di sinonimo di dispotismo o di potere arbitrario e incontrollato.
Le origini storiche dell'assolutismo vanno ricondotte alle lotte del Medioevo tra l'Impero, i cui rappresentanti sostenevano di non avere altra autorità sopra di sé che non fosse Dio (teoria del 'diritto divino' dei re), e la Chiesa. Quest'ultima era decisa ad affermare la sua autorità suprema fino al diritto di sciogliere i sudditi dalla fedeltà verso i loro principi, nel caso in cui questi violassero le leggi divine e naturali su cui deve fondarsi l'ordine politico e civile.
Grandi figure di sovrani assoluti furono, nella seconda metà del Cinquecento, Enrico VIII Tudor in Inghilterra e Filippo II in Spagna, a cavallo tra Sei e Settecento, Luigi XIV in Francia e Pietro il Grande in Russia.
L'assolutismo ha conosciuto la sua maturità nella seconda metà del Settecento a opera di grandi sovrani, esponenti di quello che è stato definito l'assolutismo riformatore. In questo periodo emersero in Prussia Federico II, nell'impero asburgico Maria Teresa e Giuseppe II, in Spagna Carlo III, nell'impero zarista Caterina II, nello Stato sabaudo Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III, nel Granducato di Toscana Pietro Leopoldo. Questi monarchi settecenteschi, molti dei quali subirono variamente l'influenza della cultura illuministica, procedettero a energiche riforme volte a modernizzare i loro paesi nei campi dell'amministrazione, della vita economica e sociale, della cultura e dell'istruzione. Importanti furono altresì le misure prese in vari paesi per favorire la tolleranza religiosa e una concezione laica dei rapporti tra potere politico e Chiese. Perciò il loro governo fu definito assolutismo riformatore e i sovrani vennero chiamati illuminati.
L'età dell'assolutismo ebbe fine con lo scoppio della Rivoluzione francese nel 1789, evento che mise in luce come le riforme dei regimi assolutistici non fossero valse a impedire un imprevisto, e gigantesco, sconvolgimento politico e sociale, che giunse a coinvolgere la maggior parte dei paesi dell'Europa continentale.