Benedetto XIV
Prospero Lambertini nacque a Bologna il 31 marzo 1675 da Marcello e Lucrezia Bulgarini. Educato dai Somaschi a Bologna e poi, dal 1688, a Roma nel Collegio Clementino, si laureò in teologia e diritto nel 1694. La sua preparazione giuridica gli spianò la carriera curiale, finché raggiunse, nel 1720, la carica di segretario della Congregazione del Concilio. Una grande esperienza delle Congregazioni romane (tra l'altro di quella dei Riti, nella quale sarà, dal 1708, promotore della fede) e una particolare sensibilità per gli aspetti istituzionali della vita ecclesiastica contrassegnano questo primo periodo di attività del futuro pontefice. Si delineano già in lui taluni atteggiamenti che restarono costanti: un impegno semplificatore nell'alveo della intricata legislazione postridentina, che espresse nei pareri per la Congregazione del Concilio, raccolti più tardi nelle Quaestiones canonicae et morales in materiis ad Sacram concilii congregationem spectantibus, ab eodem propositae ac discussae [...] (Bassano 1767); una tendenza alla moderazione, che permise all'esperto canonista di condurre a termine gli spinosi negoziati con Carlo VI d'Asburgo per la Monarchia Sicula e con Vittorio Amedeo II di Savoia quelli per il concordato del 1727; il tenue rigorismo e le simpatie per gli orientamenti maurini, che lo spinsero a pronunciarsi, lo stesso 1727, nella Congregazione dei Riti, contro la nuova devozione al Cuore di Gesù.
Vescovo titolare di Teodosia nel 1724, il Lambertini divenne arcivescovo di Ancona il 20 gennaio 1727. Cardinale il 30 aprile 1728, passò alla più importante arcidiocesi della città natale il 30 aprile 1731. La sua personalità si arricchisce intanto della diretta esperienza pastorale, che egli modella sulle linee della riforma tridentina e sull'esempio del Borromeo e del Paleotti.
Fondamentale per la comprensione e il commento della sua attività bolognese resta la Raccolta di alcune notificazioni, editti ed istruzioni pubblicate per buon governo della sua diocesi [...], I-V, Bologna 1733-40; Venezia 1740; Roma 1742 e ancora Venezia 1773 e 1778. Fin dalla prima notificazione il Lambertini dichiara di non voler "far novità, ma di rimettere in piedi lo stabilito dalle sacre leggi ed il praticato altre volte in questa nostra diocesi, con aggiugnervi ancora qualche moderazione e qualche segno di ogni maggiore equità" (I, Roma 1742, p. 5). Egli insisterà, in generale, sul potenziamento dell'attività parrocchiale e sul dovere di residenza per gli ecclesiastici beneficiati con cura d'anime, sulla vita spirituale e la sana amministrazione dei conventi femminili, sul riordinamento della materia beneficiaria, sui problemi attinenti al foro ecclesiastico, sulla utilità delle missioni popolari, con cui concluderà la visita della città il 21 marzo 1733. Di qui la simpatia con cui da pontefice accompagnò le missioni di s. Leonardo da Porto Maurizio e di s. Paolo della Croce. Alla conferma unitaria delle singole disposizioni pastorali attraverso un sinodo diocesano il Lambertini pensò presto, se nella prefazione ai De Synodo dioecesana libri tredecim [...], editi a Roma solo nel 1748, egli allude all'esperienza bolognese e all'intento di farla culminare nel sinodo, alle difficoltà avanzate dai difensori di una troppo rigida ossequienza "romana", e alla prima stesura dell'opera nata come pacato riesame della questione e lasciata imperfetta al momento dell'ascesa al soglio papale. Determinanti nella genesi dello scritto dovettero essere il richiamo al Tridentino, la fioritura dei sinodi diocesani durante il pontificato di Benedetto XIII e la diretta partecipazione del Lambertini, come canonista, al celebre sinodo romano di papa Orsini del 1725. Completato più tardi e rimaneggiato nelle successive edizioni (Romae 1755; Ferrariae 1760; Romae 1767, ecc., sino all'edizione di Roma del 1806), esso assume importanza centrale, se colto in prospettiva negli orientamenti del Lambertini, proponendo il suo ideale pastorale di vescovo e di pontefice, in un'ultima duttile sistemazione della tradizione tridentino-borromeiana. Egli mira a recuperare aspetti della vita ecclesiastica e religiosa che si erano come cristallizzati nella prassi curiale e a ridare soprattutto valore e spontaneità all'esperienza pastorale diocesana. In complesso dal De Synodo scaturisce una posizione equilibrata, coerentemente sviluppata dal Lambertini negli anni di pontificato, stimolante fermenti e suggestioni di vita ecclesiastica e religiosa, per "liberare" quelle forze che sembravano soffocate dalla istituzionalizzazione e dall'eccessivo monopolio curiale configuratosi con la piena età della Controriforma. Ancora in ambiente bolognese maturano le altre opere del Lambertini, arricchite in successive edizioni: le Annotazioni sopra le feste di nostro Signore e della beatissima Vergine [...], Bologna 1740, di carattere liturgico-devozionale (Padova 1747; Venezia 1767; Napoli 1772, ecc.; in latino, Patavii 1745; Romae 1786), e il "trattato istruttivo" Della S. Messa, anch'esso di carattere liturgico-devozionale, con un'appendice critico-agiografica (Padova 1747; in latino, Romae 1748 e 1783; Venetiis 1783, con commento del gesuita E. de Azevedo; Magonza 1879, con note del padre J. Schneider).
Ma l'opera che doveva dare fama grandissima al Lambertini e dalla quale, come dal De Synodo, si dipartono altre linee prospettiche del pontificato benedettino è il De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione, I-IV, Bononiae 1734-38 (ediz. ampliate: Patavii 1743; Venetiis 1766; Neapoli 1773-75, in 15 voll., ecc.; una riduzione e traduzione francese del cappuccino Joseph d'Audierne, con il titolo di Lettres curieuses, utiles et théologiques sur la béatification des serviteurs de Dieu [...], I-VI, Rennes 1758-64; una sinossi elaborata da E. de Azevedo, Venetiis 1790-92).
In questo scritto il Lambertini riversa un'esperienza ventennale maturata nella Congregazione dei Riti, presentando una "summa" della prassi venuta formandosi da Urbano VIII in poi, ma insieme volge lo sguardo a tutta la tradizione ecclesiastica, dalle collezioni degli Atti dei martiri, con relativi problemi di critica storica, all'ufficio e messa dei santi, con i problemi connessi alla riforma del Breviario romano, che saranno affrontati negli anni di pontificato. Nello sfondo sono compresenti le suggestioni della più matura cultura cattolica del primo Settecento, dall'opera dei Bollandisti, alla critica maurina, alle posizioni muratoriane (cfr. vol. VII, Neapoli 1774, capp. 49-52 sulle estasi e i rapimenti mistici, le visioni, le rivelazioni, i miracoli, i fenomeni abnormi, ecc.). Anche i rapporti con medici bolognesi furono, sotto questo profilo, di grande significato, come egli stesso accennerà più tardi in una lettera al cardinale de Tencin (3 novembre 1745, in Le lettere, I, p. 285). Non mancheranno favorevoli ripercussioni dell'opera nel mondo protestante attraverso un'ampia recensione apparsa sugli Acta eruditorum di Lipsia (1° ottobre 1740; 1° gennaio e 1° agosto 1741; 1° gennaio 1742). Nell'impossibilità di elencare qui le singole edizioni delle diverse opere di B., si rinvia alle edizioni complessive: Opera, I-XII, Romae 1747-48; Opera omnia, I-XV, Venetiis 1787; Opera omnia, I-XVII, Prati 1839-56; Opera inedita, a cura di F. Heiner, Friburgi Br. 1904.
Al conclave, apertosi il 19 febbraio 1740, dopo la morte di Clemente XII, il Lambertini non si presentò, nonostante la duplice esperienza curiale e pastorale, come uno dei cardinali "papabili". La sua candidatura si impose quale compromesso, dopo sei mesi di estenuanti trattative e di giochi di forza tra i partiti di Curia (il gruppo corsiniano e l'ala di opposizione capeggiata dal camerlengo A. Albani) e le potenze politiche, commisuranti attraverso uno dei più lunghi conclavi della intera storia della Chiesa romana a qual grado di crisi fosse giunto il papato non solo dopo gli ultimi anni di pontificato del vecchio papa Corsini, ma con l'esaurirsi di quelle condizioni politico-religiose che avevano caratterizzato la prima metà del secolo. Solo il 17 agosto, al duecentocinquantacinquesimo scrutinio, sbloccatasi la situazione, il Lambertini vide convergere su di sé, di colpo, cinquanta voti: prese il nome di Benedetto XIV per gratitudine verso Benedetto XIII, cui doveva la porpora. I primi anni del pontificato lambertiniano sono segnati da uno slancio eccezionale, che indica in B. la precisa volontà di rinvigorire e ringiovanire le strutture e le istituzioni ecclesiastiche, di recuperare rapidamente posizioni perdute, di creare possibilità nuove per la Chiesa romana. Sciolse dubbi e incertezze sul piano canonistico e dell'attività missionaria; mirò a portare un soffio animatore nell'intero mondo cattolico, trasferendovi le ansie pastorali del suo episcopato bolognese, procedendo a numerose riforme, ma soprattutto accogliendo esigenze che erano venute maturando e imponendosi in larghi settori, dall'opera muratoriana tesa ad una "regolata devozione", alla pietà benedettina e agostiniana sviluppatasi nel mondo tedesco, ecc.; riprese con fermezza le fila di discussioni interrotte o giunte a punti di rottura, come fu per la politica concordataria iniziata sotto i pontificati di Benedetto XIII e di Clemente XII.
Se grande è il fervore di B., difficili sono le condizioni entro cui la sua opera prende a svolgersi, e scarsi gli appoggi su cui egli poté contare: donde, come più volte scrisse al Tencin (il carteggio col quale è una fonte di particolare interesse per la conoscenza dell'animo di B. e di molti momenti del suo pontificato), quella sua diffidenza per il Sacro Collegio, la cui configurazione non riuscì mai a modificare sostanzialmente, per il peso di una tradizione che egli stesso in fondo avvertiva e per le pressioni esercitate dalle potenze cattoliche a favore di cardinali nazionali, o quel suo fastidio per il lento funzionamento delle Congregazioni e per gli interessi politici dei più alti esponenti di Curia; donde la tendenza non ad incidere duramente - il che non era nella sua natura e nelle sue possibilità di azione - su forze e consuetudini solidissime, ma ad aggirare le situazioni e a trascurare piuttosto la prassi delle Congregazioni per volgersi a ristretti gruppi di consiglieri o di esperti di fiducia. Ed in questo, soprattutto per gli aspetti diplomatico-politici del suo pontificato, B. incontrerà collaboratori di eccezione, da quel brillante diplomatico che fu S. Valenti Gonzaga, che impronterà la politica papale come segretario di Stato sino al 1751 e in parte sino al 1756, all'Aldrovandi, che B. nominò prodatario e che, con il Valenti Gonzaga, contribuì a tracciare le grandi linee di un rinnovato ed efficace sistema concordatario.
Tale orientamento costituisce in effetti l'aspetto più sintomatico del papato lambertiniano, al suo aprirsi, e trova il suo centro nel lucido spirito conciliativo di B., nella preminenza di interessi più propriamente religiosi di fronte a quelle preoccupazioni istituzionali ed ecclesiastiche che apparivano ormai superate dalla logica dell'azione statale e nella coscienza dei contemporanei, nella presa di consapevolezza di nuove realtà politiche e nell'impegno di far uscire la Chiesa cattolica da un isolamento pericoloso, da una subordinazione alle potenze cattoliche, cui una sostanziale debolezza la condannava.
Il primo ad essere concluso sarà il concordato con il Regno di Sardegna. Entrato in crisi da tempo il concordato del 29 maggio 1727, B. riaprì le possibilità di un accordo mediante passi diretti presso il ministro marchese d'Ormea e il sovrano, adottando cioè quel metodo che preferì spesso in analoghe trattative di politica ecclesiastica di avviare o facilitare le discussioni con un personale intervento e di deferirle poi, per la conclusione, a collaboratori di fiducia. Il 5 gennaio 1741 il Valenti Gonzaga da una parte e dall'altra il cardinale Alessandro Albani, come protettore della Corona, con il plenipotenziario sardo de Rivera, poterono firmare due convenzioni circa i feudi pontifici in Piemonte e la materia beneficiaria. Rimasti insoluti i punti riguardanti la giurisdizione e l'immunità ecclesiastica, il pontefice, per superare gli scogli del rigido giurisdizionalismo sabaudo, emanò una particolare istruzione, il 6 gennaio 1742, intorno alla quale, modificata e ulteriormente estesa dallo stesso B. (1750), da Clemente XIII (1763), Clemente XIV (1769 e 1770), Pio VI (1776, 1779, 1782, 1786) sino a Leone XII (1826), ruotarono per lungo arco di tempo i rapporti tra Santa Sede e Regno di Sardegna. Maggiore importanza assunse, nella politica concordataria lambertiniana, la definizione del concordato con il Regno di Napoli, dove non si trattava di operare revisioni, ma di superare essenziali difficoltà scaturite da opposte intransigenze. Già nel gennaio 1741, contemporaneamente alle trattative con la Sardegna, l'Aldrovandi presentò a B. un piano completo di compromesso, ma i negoziati tra il Valenti Gonzaga, l'Aldrovandi, il Gotti, il Corradini da una parte e il cardinale T. Acquaviva e Celestino Galiani, l'uno come ambasciatore spagnolo, l'altro come rappresentante napoletano, dall'altra, si prolungarono, per la rigidezza del Corradini, il quale impersonò le più strette vedute curiali e la politica del vecchio entourage corsiniano. Tuttavia, il 2 giugno 1741, il Valenti e l'Acquaviva sottoscrissero il documento che apparve favorevolissimo allo Stato nei delicati settori dell'immunità reale, locale e personale. Per facilitare gli accordi, che nelle ultime tre Congregazioni furono discussi alla sua stessa presenza, B. si piegò a talune estreme richieste regalistiche napoletane, come al riconoscimento dell'"exequatur" regio per bolle papali, brevi, ecc.; due bolle, del 1741 e del 1745, secondo le promesse di B. al momento della firma del concordato, ampliarono le competenze del cappellano maggiore. I nuovi rapporti, seppure mantennero una situazione di equilibrio, non eliminarono tuttavia gli antichi attriti tra Roma e Napoli, durante il pontificato lambertiniano, ma la crisi dei rapporti concordatari incominciò a maturare, auspice il Tanucci, nel 1761, scomparso ormai Benedetto XIV. Un particolare concordato con il Portogallo (30 agosto 1745) definì il concordato del marzo 1736 e una convenzione del 1738. La nuova convenzione intendeva compensare la Dataria di numerose pensioni ecclesiastiche divenute di patronato regio. In questa occasione B. riconobbe di essersi dovuto piegare ad "esorbitanti concessioni" (a Tencin, 25 agosto 1745, in Le lettere, I, p. 267), ma, nei non facili rapporti con l'aggressivo regalismo portoghese, respinse poco più tardi la richiesta di istituire vescovadi di nomina regia nelle Indie, stanti i tradizionali diritti e interessi della Francia in quelle terre di missione. Amplissime concessioni da parte della Santa Sede presenta il concordato con la Spagna, stipulato nel 1753, la cui lunga elaborazione risale però al dicembre 1740, ai primordi cioè del papato lambertiniano. Il concordato clementino del 1737 era stato subito posto in discussione da parte spagnola, le cui tendenze regalistiche, fomentate anche da alti ambienti ecclesiastici, e particolarmente dal cardinale Belluga, accompagnandosi alla situazione internazionale nel corso della guerra di successione austriaca, resero impossibile ogni intesa sino al 1750. Il metodo delle trattative dirette dette, anche questa volta, risultati positivi, con la formale sanzione del concordato l'11 gennaio 1753. B. cedette nel timore di una rottura con la Spagna e di un isolamento totale tra l'Austria infida e la Francia travagliata dal problema giansenista, accordando al re il richiesto diritto di patronato universale su dodicimila benefici sino ad allora in contestazione, mentre solo cinquantadue uffici ecclesiastici minori rimasero di libera collazione pontificia. La Spagna versò in compenso consistenti indennizzi, ritenuti inferiori tuttavia al totale delle rendite perdute dalla Camera apostolica. Ma B., nonostante le opposizioni curiali, poté finalmente operare una drastica riforma della Dataria, eliminando infiniti abusi sviluppatisi intorno al traffico e all'accaparramento delle prebende spagnole e allo scandaloso fenomeno delle cedole bancarie, che era il sistema di cauzione per i proventi riservati sui benefici di collazione papale. L'ultimo concordato benedettino, in ordine di tempo, stipulato con Maria Teresa d'Austria per la Lombardia (17 dicembre 1757), regolò la tassazione dei beni ecclesiastici, allorché venne data esecuzione al catasto teresiano.
Mentre viene cercando nuove intese con gli Stati italiani ed europei, lo slancio iniziale del pontificato lambertiniano si volge ai settori della vita religiosa ed ecclesiastica. Una delle prime encicliche benedettine, la Ubi primum del 3 dicembre 1740 - B. usò frequentemente questa forma di "colloquio" con l'episcopato, attribuendo all'enciclica il carattere tipico assunto nell'Età moderna -, raccomandò ai vescovi la formazione del clero, le visite pastorali, l'obbligo della residenza, confermato poi dalla bolla Ad universae christianae reipublicae del 3 settembre 1746. Per la scelta di elementi idonei all'episcopato B. istituì una speciale Congregazione, mentre delegò un'altra (23 novembre 1740) per il sollecito disbrigo di complessi quesiti inoltrati dalle diocesi a Roma. Nel 1742 si preoccupò di definire in generale le modalità dei concorsi sanciti dal Tridentino per adire cariche ecclesiastiche. Tra il 1741 e il 1742 intervenne in materia di disciplina sacramentale riguardo al matrimonio, emanando per i Paesi Bassi (4 novembre 1741) un importante decreto di deroga alla legislazione tridentina circa la validità dei matrimoni tra protestanti e dei matrimoni misti, qualora i coniugi o il coniuge acattolico fossero passati al cattolicesimo, e limitando, con altre disposizioni, la possibilità dei matrimoni di coscienza e la facilità con cui venivano concesse le dispense.
Nel 1741 avviò i lavori per la correzione del Breviario romano, improntati ai risultati della critica storico-erudita maurino-muratoriana e a quelle preferenze biblico-patristiche proprie della cultura rigorista. La commissione, che venne costituita tra gli altri dal Valenti, dal Tamburini, dal Besozzi, con la partecipazione esterna del Muratori (1743), non condusse a termine la riforma, nonostante le sollecitazioni del Tencin presso B., che riflettono gli orientamenti dell'episcopato francese sul problema del Breviario, e il personale impegno del pontefice. Ma l'interesse venutosi a creare concorse allo sviluppo degli studi agiografici e di storia ecclesiastica e alla diffusione del clima muratoriano soprattutto durante il primo decennio del pontificato benedettino. Suggestioni delle "moderate" aspirazioni riformatrici muratoriane sono ben avvertibili infatti in altre disposizioni di B., in questo torno di tempo: egli proibì nel 1740 l'uso delle trombe nelle chiese, eliminando dalla musica ecclesiastica un tipico strumento "barocco", e la pratica delle flagellazioni pubbliche; nel 1742 accordò, secondo le richieste muratoriane, la diminuzione del numero dei giorni festivi, attuata gradualmente in Italia e in vari paesi europei tra il 1748 e il 1754; con una enciclica ai vescovi dello Stato pontificio insistette, nel 1746, per la presenza del Crocifisso sugli altari e per una "regolata devozione" delle immagini dei santi.
Le nuove esigenze devozionali si affiancano in questi anni a diverse riforme liturgiche, che denotano, tra l'altro, la particolare attenzione volta da B. alle Chiese orientali: la revisione del Martyrologium, conclusa nel 1748; la revisione dell'antico messale glagolitico per i paesi slavi, compiuta nel 1754; l'edizione dell'eucologio greco, cui si lavorava in Roma sin dai tempi di Urbano VIII, prescritto ad uso dei greco-uniti nel 1756. A tali orientamenti non corrispose un analogo, parallelo impulso per gli studi di esegesi biblica, gravati dalle tradizionali proibizioni postridentine delle traduzioni della Scrittura nelle lingue nazionali: proibizioni che B. confermò nel 1748, respingendo le istanze rivoltegli da ambienti rigoristi e giansenisteggianti, e che abrogò solo con un decreto del 13 giugno 1757, compiendo un passo tardivo e neppure completo verso il superamento di antiche barriere. Nel settore missionario, nel 1741, con un breve diretto ai vescovi portoghesi dell'America Meridionale, B. prese posizione a favore dei diritti umani degli Indios. Ma provvedimenti decisivi riguardarono le missioni in Cina e in India.
Con la bolla Ex quo (11 luglio 1742) B. pose fine alle acute polemiche divampanti tra Gesuiti da un lato e Francescani e Domenicani dall'altro, a proposito dei "riti cinesi" (sulla liceità o meno, e sotto quale forma, per i convertiti, di celebrare riti tradizionali, legati al culto degli antenati, ecc.) variamente affrontati dai predecessori, e in ultimo da Clemente XII, con conseguente incertezza interpretativa delle norme. La decisione benedettina sembrò suonare - e fu sfruttata da parte di rigoristi e di giansenisti, tenaci fautori della condanna dei "riti cinesi" - quale espressione di sfiducia nel metodo missionario "accomodante" gesuitico. In realtà B. non fece che confermare, sia pure con spiccata venatura rigorista, un atteggiamento abbastanza costante seguito sino ad allora da Roma. Ma B. stesso parve di lì a poco riequilibrare la situazione per le missioni dell'India meridionale, dove, anche dopo le recenti proibizioni di Clemente XII (1734 e 1739), persisteva l'analoga prassi dei "riti malabarici", cioè di un adattamento del metodo missionario, soprattutto gesuitico, a tradizioni, costumi e usi locali. La bolla Omnium sollicitudinum (12 settembre 1744) ha un suono più mite che non la condanna dei "riti cinesi", concedendo una ulteriore dilazione decennale per la prassi "accomodante" e accogliendo la proposta gesuitica di destinare un apposito gruppo di missionari per il ministero tra i paria.
Tale tendenza mediatrice ed equidistante, in cui si riflettono e si compenetrano le diverse e spesso contrastanti forze ed esigenze del cattolicesimo, è visibilissima, ancora in questi anni, nell'enciclica Vix pervenit sull'usura (1° novembre 1745), indirizzata ai vescovi italiani.
Occasionata, come sembrò, dall'opera De usuris licitis et illicitis (1743) del giansenista utrettino N. Broedersen e soprattutto da quella dell'erudito veronese S. Maffei, Dell'impiego del denaro (1744), di ispirazione "latitudinaria", contro le quali si erano accese le reazioni gianseniste e rigoriste, queste rappresentate in Italia dal domenicano Concina e dai concittadini del Maffei, i fratelli Ballerini, in effetti una decisione papale in merito fu sollecitata dallo stesso Maffei. Contro il Maffei l'enciclica ribadisce la tesi dell'intrinseca sterilità del denaro e vieta, sulla base della tradizione canonistica, la percezione di un interesse anche modico "ex ipso mutuo [...] ipsius ratione mutui"; ma, contro la tendenza rigorista e accogliendo una prassi ormai diffusa, menziona la legittimità di titoli estrinseci (di danno emergente e di lucro cessante) per la lecita percezione di un interesse. La lettura "estensiva" e quella "restrittiva" del documento papale permisero che si perpetuasse tuttavia, tra teologi e canonisti delle due parti, la discussione nel corso della seconda metà del secolo. Lo slancio iniziale andò attenuandosi ora che si procedeva nel primo decennio di pontificato. La guerra di successione austriaca, i problemi della politica internazionale e la stessa sorte del pur neutrale Stato pontificio, percorso dalle armate austriache e spagnole in lotta, distolsero o almeno affievolirono l'attenzione di B. dall'impegno pastorale e dalle riforme ecclesiastiche e disciplinari per volgerla agli inquieti orizzonti europei. Qui la politica benedettina appare incerta e contraddittoria, subordinata com'era necessariamente al gioco politico-diplomatico delle potenze, a sanzione di quel ruolo secondario e passivo nello scacchiere politico europeo che il papato aveva dovuto assumere dalla pace di Vestfalia.
B. compì un primo errore, per lo meno di tempestività, allorché nonostante le interessate opposizioni francese e spagnola, ma soprattutto i consigli di attesa dell'accorto segretario di Stato, si affrettò a riconoscere il diritto ereditario di Maria Teresa (20 dicembre 1740). Su di lui pesò, in questa situazione, la visione più tradizionale della diplomazia pontificia, che continuò a scorgere nell'Austria l'antemurale del cattolicesimo in Germania e il baluardo nei Balcani contro i Turchi. Ma B., nell'incertezza degli eventi e nel desiderio di una rapida composizione del conflitto, finì con l'adeguarsi, anche troppo sollecitamente, a nuove situazioni di fatto, operando un revirement con il riconoscimento dell'elezione imperiale di Carlo Alberto di Baviera (Carlo VII), il 28 febbraio 1742 a soli sedici giorni dalla incoronazione. Le invocazioni di B. alla pace risuonarono sempre più fievoli, dopo che la neutralità dello Stato pontificio venne violata da Austriaci e Spagnoli nello stesso febbraio 1742 e dopo la dura reazione di Maria Teresa di fronte al "tradimento" papale. Sbloccata improvvisamente la difficile situazione dalla morte di Carlo (20 gennaio 1745), B. poté riassumere un più convincente atteggiamento neutrale, seppure, stando alla parte austriaca, non fossero mancate questa volta simpatie pontificie per la candidatura dell'elettore di Sassonia e re di Polonia Federico Augusto, mentre la parte francese avanzò il sospetto che l'orientamento papale fosse adesso favorevole a Francesco Stefano di Lorena: sospetto che B. respinse in una lettera indirizzata al Tencin (29 settembre 1745, in Le lettere, I, p. 278) con atteggiamento che fu senza dubbio sincero, poiché Francesco Stefano, come granduca di Toscana, e in generale come sovrano, impersonò sempre ai suoi occhi, per i legami massonizzanti e giansenisteggianti intrattenuti a raggio europeo, un sistema di governo sottilmente antiecclesiastico e "antiromano", di astiosa e puntigliosa diffidenza giurisdizionalistica e regalistica che egli si sforzava di superare nell'alveo della politica concordataria. Tuttavia B. dovette piegarsi al riconoscimento di Francesco Stefano nell'allocuzione concistoriale del 15 dicembre 1745 e, formalmente, il 25 novembre 1746.
I rapporti con Vienna si normalizzarono lentamente. Già nel 1751 si delineò un'intesa, quando B., dopo lunghe trattative, provvide a sopprimere il millenario patriarcato di Aquileia e a creare i due arcivescovadi di Gorizia e di Udine, per ovviare alla difficile situazione pastorale del territorio, diviso tra la giurisdizione austriaca e quella della Repubblica di Venezia. La soluzione, gradita a Vienna, comportò per converso una ripresa del tradizionale anticurialismo veneziano (1754), e perciò stesso un ulteriore riavvicinamento tra B. e gli Asburgo Lorena. Nel 1754 fu risolta in Toscana la crisi aperta nel 1739 con il processo dell'Inquisizione contro il poeta T. Crudeli e perpetuata dalla politica della Reggenza. Il concordato del 1757 per la Lombardia, di cui si è detto, concluse questo corso filoaustriaco della politica benedettina, in implicita funzione antiprussiana all'aprirsi della guerra dei Sette anni. La guerra di successione austriaca però non tanto spostò i termini dei rapporti tra Roma e Vienna, quanto aprì sullo scacchiere tedesco nuovi problemi per la politica pontificia, dopo l'occupazione della cattolica Slesia da parte di Federico II di Prussia.
Con una patente per gli affari ecclesiastici (15 gennaio 1742) il sovrano mirò subito ad assorbire la giurisdizione ecclesiastica cattolica nella struttura giuridica e amministrativa statale. L'arcivescovo di Breslavia, cardinale Sinzendorf, la massima autorità cattolica nei territori occupati, elaborò due piani di compromesso per la costituzione di un vicariato apostolico nell'ambito della monarchia prussiana (1742-1743), che B. respinse risolutamente, il primo nel fondato timore che si venisse a creare una Chiesa nazionale tedesca sottoposta al sovrano di Prussia, il secondo denunciando il radicale sovvertimento dello status quo che Federico aveva promesso di rispettare per i diritti della Chiesa cattolica in Slesia (preliminari di Breslavia tra Austria e Prussia, 11 luglio 1742). Chiusasi in un'impasse questa prima fase di rapporti, la soluzione dei problemi fu avviata paradossalmente da un altro motivo di attrito tra la Santa Sede e la Prussia, dopo il rifiuto da parte di B. di convalidare la nomina del canonico F.G. di Schaffgotsch, prelato mondano, massonizzante e "libertino", scelto da Federico quale coadiutore "iure successionis" dello Sinzendorf (1743). Una base di trattative si configura dopo il 1747, quando lo Schaffgotsch, succeduto allo Sinzendorf, inviò a Roma un plenipotenziario per sollecitare la conferma papale. La diplomazia pontificia e gli ambienti di Curia abbinarono facilmente la questione della conferma con quella riguardante, nel loro insieme, i rapporti con la politica prussiana. La prima fu risolta con rapidità, dopo che il nunzio in Polonia, A. Archinto (che divenne, nel 1756, segretario di Stato, a conferma dell'interesse di B. per i problemi del mondo tedesco), incaricato di un'inchiesta sulla persona del neoeletto arcivescovo di Breslavia, si pronunziò favorevolmente (1748). Le discussioni sul secondo ordine di problemi erano destinate, invece, per la loro stessa complessità, a prolungarsi, ma dettero occasione ad un fatto assolutamente nuovo nella storia dei rapporti tra papato e paesi protestanti: per la prima volta, dal tempo della Riforma, rappresentanti di un principe protestante (al plenipotenziario si era affiancato l'agente del Palatinato a Roma, nominato, seppure non pubblicamente, nello stesso 1747, agente prussiano) condussero negoziati diretti con la sede romana. Le punte più aspre si smussarono di fronte alla nuova realtà delle cose, e gli stessi contatti prepararono il terreno per un modus vivendi, sciogliendo il raggelato inviluppo politico-ecclesiastico creatosi in Germania da Augusta alla pace di Vestfalia. La composizione dei rapporti fu sanzionata, tramite l'Archinto, con un accordo generale sui problemi della legislazione matrimoniale e della materia beneficiaria, nel 1748. Non mancarono in seguito contrasti su quei punti su cui inevitabilmente dovevano collidere le esigenze del dispotismo illuminato federiciano e la flessibile resistenza di B., soprattutto in materia testamentaria, riguardo a lasciti e legati pii, o nel settore delle doti monastiche. Nei quali momenti B. ricorse ancora a tutti i mezzi e a tutte le mediazioni possibili - e non solo a mediazioni politiche - per ammorbidire l'intransigenza di Federico, a volte sollecitando, come avvenne per la questione della coadiutoria di Breslavia, l'intervento dello scienziato Maupertuis, amico personale del sovrano, e più spesso quello dell'Algarotti, amatissimo da Federico: si vedano, ad esempio, una lettera dell'Algarotti al re, del 19 febbraio 1751, insieme alla quale egli trasmette una lettera indirizzatagli da B., e la risposta del re di Prussia, che - quale ne sia il velato intento "politico" - suona elogio altissimo di B. ed espressione della fama cui ormai la sua moderazione e la sua "saggezza" erano giunte nella considerazione del mondo protestante e dei più disincantati politici (cfr. Federico ad Algarotti, 20 febbraio 1751, in Correspondance de Frédéric, pp. 150 s.).
Fu questo, dal 1748 al 1756, dalla pace di Aquisgrana all'inizio della guerra dei Sette anni, il periodo di massimo splendore del pontificato lambertiniano, così come si presentò agli occhi dei contemporanei, in un secondo slancio di rinnovamento, questa volta diretto non già alle riforme ecclesiastiche, semmai continuate e perfezionate, ma piuttosto alla riforma interna dello Stato pontificio e alla cultura e alle istituzioni culturali. L'asse della politica e degli interessi benedettini si spostò dunque, riprendendo le fila di tentativi appena abbozzati negli anni di guerra ed ora più facilmente perseguibili nel raccoglimento della pace europea.
Già dal decennio 1740-1750 era apparso chiaro come il risanamento della gravissima situazione finanziaria dello Stato fosse il presupposto di qualsiasi riforma sul piano economico ed amministrativo. Provvedimenti parziali e discontinui erano stati adottati durante il periodo di guerra, per limitare le spese dell'amministrazione, incrementare le entrate e ridurre il deficit perpetuato dall'ineliminabile peso del debito pubblico cresciuto paurosamente sotto Clemente XII. Ad un piano più organico pensò B., all'indomani della pace di Aquisgrana. Anche qui egli ravvivò e stimolò una tradizione, ed anche qui, per B., poco esperto in materia, saranno da analizzare i rapporti con consiglieri ed esperti, dall'Aldrovandi all'Argenvilliers al Valenti Gonzaga - alla cui ispirazione risalirebbero i tentativi per intaccare la rete dei pedaggi, dei monopoli e dei privilegi locali o professionali, e il favore di B. per lo sviluppo dei traffici di Ancona e Civitavecchia - al banchiere e finanziere romano Belloni, amministratore generale delle dogane durante il pontificato benedettino. Ma saranno da sottolineare il salto qualitativo che ora si compie, e l'impegno personale del pontefice, che cercò di seguire da vicino il dibattito delle idee e le voci di riforma e di rendersi conto dei suggerimenti e delle proposte. Ad un giurista ordinatore e semplificatore qual era B. non sfuggì l'esigenza di un deciso intervento sull'apparato finanziario pontificio: la costituzione Apostolicae Sedis aerarium (18 aprile 1746) definì un metodo unitario di amministrazione, ordinando la registrazione delle entrate e delle uscite della Camera apostolica, la formazione di bilanci annuali e il rendimento dei conti. Tale linea sfociò nel "motu proprio" del 29 giugno 1748, confermato con bolla dell'8 luglio, tendente a liberalizzare non soltanto il commercio interno del grano, ma anche il commercio interno in generale. La libertà di commercio dei grani non è una novità benedettina: provvedimenti in tal senso erano stati adottati da Clemente XI, Innocenzo XIII, Benedetto XIII e soprattutto da Clemente XII, ma B. volle dare ad essi un carattere costante, ispirato da una esigenza più organica di libera circolazione delle derrate e delle merci. Le disposizioni di papa B. escludevano però il distretto di Roma, la Sabina, e in genere i luoghi sottoposti alla Grascia di Roma. È evidente il compromesso, cui il pontefice e i suoi consiglieri si erano dovuti piegare, e il divario tra le più ricche regioni del Bolognese e del Ferrarese e le più povere zone meridionali dello Stato, gravate per di più da un centro di consumo dell'importanza di Roma. Seguirono (12 luglio e 3 settembre 1749) un editto e un "motu proprio", volti a favorire le precedenti disposizioni di libertà commerciale e richiedenti perciò i titoli di legittimità di chi vantava o godeva esenzioni e franchigie. Si profilò dunque un più vasto impegno di riforma e di riorganizzazione dell'amministrazione e dell'economia dello Stato. Il 12 maggio 1750 un editto Sopra il libero commercio de' cenci e stracci per uso delle cartiere dello Stato pontificio liberalizzò questa importante branca del commercio statale, ma, esistendo da parte di molte comunità una privativa di incetta, il cui introito costituiva una voce normale dei bilanci, il provvedimento fu ridimensionato da una dichiarazione del successivo 28 settembre. In questa stessa direzione si pose l'abolizione della privativa dei tabacchi (1757), vigente sin dall'epoca di Alessandro VII. Un piano generale di riforma è rappresentato dalla Constitutio super bono regimine communitatum, sotto il titolo di Gravissimarum sollicitudinum (1° ottobre 1753), che investe, con la nomina di un'apposita Congregazione, non solo i problemi del commercio interno ed estero, ma quelli dello sviluppo dell'agricoltura e delle arti. Alla elaborazione del piano collaborò certamente l'Argenvilliers (cfr. A.S.V., Fondo Benedetto XIV, 22, cc. 298 ss.). Lo stesso 1° ottobre 1753 B. promulgò la costituzione Ad coërcenda delinquentium flagitia, prescrivente un piano di riforma della procedura penale. Per un bilancio dei tentativi e delle riforme benedettine andrà notato tuttavia che, se furono colpiti molti abusi e disfunzioni esistenti prevalentemente sul piano amministrativo e finanziario, non furono intaccate le strutture economico-sociali dello Stato pontificio. Si giunse, ad esempio, alla fine del pontificato lambertiniano senza aver nulla concluso riguardo ai rilievi catastali iniziati sotto Benedetto XIII, per la provincia di Urbino, "ragguagliati a stima e misura con un metodo solo ed uniforme in tutti i luoghi, comprendendo nel nuovo appasso indistintamente i beni di qualunque sorta di ecclesiastici e privilegiati [...]", come suona la pressante richiesta del visitatore L. Merlini, delegato del pontefice (5 aprile 1758). Di per sé però le riforme del pontefice B. sprigionarono forze ed esigenze nuove e misero in luce le profonde antinomie dello Stato: non solo appaiono evidenti le antitetiche possibilità di sviluppo tra le parti settentrionale e meridionale del paese, ma si viene distinguendo l'orientamento liberistico per il commercio interno da quello protezionistico per il commercio estero, in armonia con il programma mercantilistico patrocinato dal Belloni.
Uno straordinario impulso alla cultura e alle arti caratterizzò altresì in questi anni di pace il pontificato benedettino. Fu il periodo più fervido della cultura romana, prima del mecenatismo superficiale e fastoso dell'età di Pio VI. La tramontante erudizione maurino-muratoriana, che si esplicò nelle Accademie fondate da B., dei concili, della storia ecclesiastica, della liturgia e dei riti, si accompagnò alla reviviscenza archeologica, romana, dove l'antiquaria classicistica incominciò ad avvertire le prime suggestioni del neoclassicismo estetizzante winckelmanniano, e cristiana, esprimentesi nell'Accademia per la storia e le antichità, nell'arricchimento delle collezioni dei palazzi capitolini e nella costituzione del Museo di antichità cristiane. Sono gli anni in cui maturano le opere e l'attività di R. Venuti, e in cui appaiono le Magnificenze di Roma di G. Vasi (1747-1761), le Vedute di Roma (1748) e le Antichità romane (1756) di G.B. Piranesi.
In questo clima la Biblioteca Vaticana ebbe eccezionale incremento, paragonabile solo al periodo di Leone XIII. B. curò l'acquisto della biblioteca del marchese A.G. Capponi, e, dopo la morte dell'ultimo Ottoboni (1748), quello della biblioteca Ottoboniana, la più notevole raccolta privata di Roma. Fu sotto il pontificato di B. che iniziò la descrizione dei manoscritti vaticani (tra il 1756 e il 1759 apparvero tre volumi del catalogo dei manoscritti orientali curati dall'Assemani), ripresa solo al tempo di Leone XIII. Alla Biblioteca si aggiunse, nel 1755, il Museo di antichità cristiane, secondo un'idea proposta dal Maffei nel 1749, riproposta dall'archeologo G.G. Bottari l'anno successivo e resa possibile dalle fortunate campagne di scavi condotte nelle catacombe romane nel 1749-1752. Una riforma dell'Università di Roma fu effettuata su proposta dell'Argenvilliers, che ne era rettore, nel 1746, ma cura particolare B. dedicò all'Università e alle istituzioni culturali bolognesi: dando impulso agli studi di anatomia, fondando una cattedra di chirurgia, contribuendo, nel 1752 e nel 1757, alla costituzione di un Museo anatomico, e destinando all'Istituto delle Scienze, mentre era in vita, la propria biblioteca privata che aprì, nel 1756, ad uso pubblico. Restauri di antichi edifici, come il Colosseo, e di edifici sacri, come le basiliche di S. Maria Maggiore e di S. Maria degli Angeli, il Pantheon, ecc., completamenti di opere pubbliche, come la fontana di Trevi, l'amicizia e la protezione accordata ad uomini di cultura come il Maffei e il Muratori, il Genovesi, l'Amort, il Boscovich, la corrispondenza con Fontenelle, Algarotti, Maupertuis, La Condamine, la tanto discussa, allora e dopo, corrispondenza con Voltaire, la fama di tolleranza e di cristiana indulgenza, l'antinepotismo, la pietà personale "non ispida e crucciosa e severa, ma compassionevole e umana e ridente", come scrisse con felice incisività F. Galiani, il fervore religioso culminato nell'Anno santo 1750 - che fu l'apice del pontificato di B. sotto questo profilo e che il papa regolò nei termini tuttora vigenti, unificando le norme per estendere il giubileo a tutto il mondo cattolico - le riforme ecclesiastiche e i tentativi di riordinamento dello Stato raccolsero intorno al nome di B. un coro europeo di ammirazione. Persino il mondo anglicano, così accesamente antipapista, dedicò per la penna di H. Walpole un'epigrafe celebrativa al papato benedettino.
Eppure in tanto splendore, negli stessi anni tra il 1748 e il 1756, un'inquietudine incominciò a velare l'animo di B.; fu la preoccupazione con cui egli guardò alla cultura razionalistica e illuministica all'inizio di quella battaglia che doveva colpire a fondo la vita e le istituzioni della Chiesa romana. La seconda condanna della massoneria segnò lo spartiacque tra una fase di rapporti tolleranti e il momento in cui si aprì la lotta che raggiunse il suo culmine durante il pontificato di Clemente XIII.
B. promulgò la bolla Providas Romanorum pontificum (18 maggio 1751) contro la massoneria, rinnovando la condanna di Clemente XII del 1738, deciso a condizionare, anche con sorprendente durezza, i fermenti politico-ideologici dei "lumi", allorché la diffusione della "setta" a Napoli, oltre che in Francia, gli presentò il pericolo vicino, in tutta la sua drammaticità. Seguì la condanna dell'Esprit des lois di Montesquieu, pubblicata il 13 marzo 1752, non senza esitazione e discussioni, risalenti al dicembre 1750, per il grandioso successo dell'opera, il dichiarato favore verso l'autore dei cardinali Querini, prefetto dell'Indice, e Passionei, le pressioni dell'ambasciatore francese a Roma duca di Nivernais, che soltanto come grazia personale poté ottenere da B. la non pubblicazione di un decreto specifico di condanna e il semplice inserimento dell'opera nell'elenco annuale dell'Indice. Ogni compromesso parve superato dalla solenne condanna delle celebri tesi sorboniche dell'abate M. de Prades, che diedero avvio, com'è noto, alla prima soppressione dell'Encyclopédie. B. emanò, il 22 marzo 1752, un breve speciale, in concomitanza con l'atteggiamento che si andava assumendo in Francia contro i "philosophes" e stimolato dagli ambienti di Curia. Ma il Passionei presentò presto a B. un'"apologia" e una lettera del de Prades, che aveva trovato rifugio presso Federico di Prussia (A. de Tencin, 31 gennaio 1753, in A.S.V., Misc., Arm. XV, 156, c. 249r-v). B. esitò a lungo prima di concedere la richiesta assoluzione, ma la protezione accordata al de Prades dal sovrano finì col vincere la riluttanza del pontefice, che accolse la ritrattazione del celebre fuggiasco, soprattutto in vista del mantenimento dei buoni rapporti con Federico II. Un capitolo a parte, in quest'ordine di problemi, è costituito dai rapporti che B. intrattenne con Voltaire e dalla famosa dedica del Mahomet al papa. Quando la pièce fu ritirata dalle scene, dopo la terza rappresentazione, per le proteste dei "dévots" e dei parlamentari di Parigi, Voltaire, che aveva pensato di dedicare la tragedia "du phanatisme" a Federico II, dirottò la dedica alla persona di B., nell'intento di far tacere la "cabale" e di non chiudersi definitivamente le porte dell'Académie: egli stesso chiarì i retroscena di questa "petite affaire" e delle sue "coquetteries" con il papa in una importante lettera al marchese d'Argenson (in Voltaire's Correspondence, nr. 2900). Il 17 agosto 1745 (ibid., nr. 2949) lo scrittore presenterà "al capo della vera relligione questa opera contro il fondatore d'una falsa e barbara setta". I cardinali Passionei, Querini e Acquaviva, il rappresentante francese a Roma Canillac, e l'archiatra pontificio Leprotti, con le loro mediazioni e le loro pressioni, appaiono nello sfondo della risposta che B. indirizzò a Voltaire, il 15 settembre 1745 (ibid., nr. 2967), lusingato "per così singolare bontà verso di Noi, assicurandoLa che abbiamo tutta la dovuta stima del suo applaudito valore nelle lettere". Voltaire non si lasciò sfuggire l'occasione per diffondere la lettera "du plus joufflu saint père que nous ayons eu depuis longtemps" (ibid., nr. 2945) e per sfruttare il nome del pontefice, con spregiudicato funambolismo, nella lotta tra il gesuitico "Journal de Trévoux", di cui sollecitò l'appoggio, contro le giansenistiche "Nouvelles ecclésiastiques". Di fronte alle reazioni dell'opinione pubblica cattolica, e in specie francese, e alle preoccupate richieste di notizie da parte del Tencin, B. precisò che la lettera a Voltaire era stata "concepita su le pedate di S. Girolamo, che redarguito d'aver lodato ed esaltato Origene, scrisse commendavimus philosophum, non dogmatistam" (Le lettere, I, pp. 314 s.), ma assicurò di aver vietata la stampa di una traduzione italiana del Mahomet e la sua rappresentazione in un collegio romano. E allo stesso Tencin indicò, poco più tardi (ibid., p. 331), non senza qualche candore, i motivi della sua benevolenza verso Voltaire, nell'intento di tenere in qualche modo legato alla Chiesa romana uno scrittore i cui meriti era impossibile disconoscere, "avendo la Sede apostolica avuti danni considerabili da persone poste in fuga, e che se fossero restate fra noi, non avrebbero poi fatto quel danno che poi fecero". Era un'illusione che si sarebbe assai presto dileguata: la censura del consultore Ganganelli (poi Clemente XIV) dell'intero corpus volterriano nell'edizione di Dresda (28 agosto 1752) fu la base per le condanne delle opere di Voltaire, che il nome dell'autore, le protezioni di cui godeva in Curia, gli stessi compromettenti passi compiuti da B. avevano procrastinato e che si succedettero dal 1753 al 1757.
Dinanzi a questi episodi e al crescere e all'irrobustirsi del movimento dei "lumi", B. mostrò di avvertire sempre più acutamente, tra il 1748 e il 1758, l'importanza di un compatto fronte apologetico, preoccupandosi delle polemiche tra le varie scuole teologiche e delle divisioni e delle debolezze all'interno del mondo cattolico. Egli aveva sempre mirato a garantire alle discussioni dottrinali un clima di grande libertà; e di questa capacità estrema di mediazione lambertiniana sono esempio le prese di posizione contro gli antigesuiti (condanna dell'opera del cappuccino Norberto di Lorena sui "riti malabarici", nel 1745), o contro i Gesuiti (condanna del Benzi, difesa degli agostiniani Bellelli e Berti e del Noris, condanna della gesuitica "Bibliothèque janséniste"), oppure l'atteggiamento salomonico assunto nelle polemiche tra il rigorista domenicano Concina e la Compagnia di Gesù.
Ma la "tolleranza" benedettina non aveva potuto impedire che le polemiche, soprattutto tra Domenicani e Gesuiti, già tra il 1744 e il 1746 toccassero momenti durissimi. Era maturato perciò, intorno al 1746, il progetto, che poi non era stato realizzato, di una bolla che proibisse generalmente gli attacchi personali e limitasse le tendenze controversistiche tra i regolari (cfr. A.S.V., Fondo Benedetto XIV, 22, cc. 180-90). Come che sia, tale posizione del pontefice, piuttosto alieno dalle discussioni propriamente teologico-morali, per la sua formazione giuridico-canonistica, aveva contribuito a sollecitare quella pluralità di orientamenti e quei fermenti nel mondo cattolico che egli riteneva indispensabili per un organico sviluppo del suo patrimonio dottrinale. Non atteggiamento oscillante, dunque, questo di B., o tendenza al compromesso, secondo la tradizione storiografica perdurante dal Pastor ai giorni nostri, ma determinazione programmatica, anche se da un lato essa, al momento della svolta del pontificato negli anni Cinquanta, si trovò a dover far leva su schieramenti tutt'altro che univoci e ancora alla ricerca di un difficile equilibrio, e storicamente finì col portare al rafforzamento di quelle correnti filogianseniste o comunque antigesuitiche, non identificantisi necessariamente con le posizioni giansenistiche, e a riproporre - anche per una serie di esterne vicende politico-ecclesiastiche - l'intero problema dell'atteggiamento di Roma nei riguardi del movimento giansenista-quesnellista. Con equanimità e prudenza B., sin dall'inizio, aveva affrontato la questione, allorché, eletto pontefice, si era trovato a dover estendere alla Francia la consueta bolla per il giubileo straordinario in occasione dell'elezione papale: diversamente dalla bolla per il giubileo di Clemente XII, B. aveva evitato nel documento riferimenti espliciti all'esclusione dei giansenisti dall'indulgenza giubilare e analogo atteggiamento, volto a non provocare reazioni dei Parlamenti francesi, in adesione ai suggerimenti del Tencin e della Corte, adottò in occasione dell'estensione alla Francia (1745) del giubileo straordinario per la pace promulgato nel 1744. Indubbiamente l'orientamento di B. era condizionato dalla particolare situazione francese e dai buoni rapporti personali con Luigi XV, tanto è vero che, nel caso dei giansenisti olandesi, respinse un tentativo di "concordia", patrocinato da alti esponenti di Curia, tra cui il segretario del Sant'Uffizio cardinale Corsini, e fondato solo sull'"abiura dei dogmi di Giansenio" e non, come egli richiese, sull'accettazione "pura e semplice" della Unigenitus (Le lettere, II, pp. 91, 102 s., 159). La posizione sostanzialmente moderata di B. fece tuttavia rapidamente nascere le "ciarle" (ibid., pp. 235 s.) che egli simpatizzasse per il movimento: il che smentì più volte, lamentando la strumentalizzazione che le parti in contrasto, per opposte ragioni, venivano facendo del suo atteggiamento equidistante. Il quale si enuclea con particolare evidenza da un giudizio sull'opera di Quesnel, nella quale scorse "un positivo dolo ed una velenosa zizania, che va spargendo insensibilmente per sempre mantenere il giansenismo ed il bajanismo", senza tacere però una critica di fondo al sistema seguito nella condanna delle Réflexions morales, cioè al modo stesso con cui si era giunti alla Unigenitus, e al comportamento di Clemente XI in quella occasione: "[...] condannò le proposizioni di Quesnello contenute ne' suoi libri, senza averlo voluto sentire. Noi in verità abbiamo tutta la stima di quel gran pontefice, ma non possiamo negare di non esserci mai potuti appagare della di lui condotta in quel punto" (ibid., I, pp. 371 s.). Si rafforzò, in questo tempo, in B. la convinzione profondamente giuridica, profilatasi nei primi due anni di pontificato e confermata da vari episodi di polemiche o di condanne, di ammettere alla difesa l'autore cattolico dell'opera sottoposta all'esame dell'Indice: convinzione che culminò nella riforma della Congregazione del 1753 e nella revisione dell'Indice dei libri proibiti compiuta nel 1757. La costituzione Sollicita ac provvida (9 luglio 1753), che prescrive la nuova procedura notevolmente liberale dell'Indice, fu elaborata personalmente da B., con la collaborazione del segretario della Congregazione, il domenicano T. Ricchini: il documento accolse anche i pareri formulati da un gruppo di consiglieri, Giorgi e Bottari e i padri Tamburini e Baldini, sulla gradualità del processo e le garanzie per l'accusato (cfr. A.S.V., Fondo Benedetto XIV, 22, cc. 59-81, 104r-v, 151-52), ma la più celebrata disposizione sulla diretta difesa dell'autore fu quasi certamente introdotta, nel dettato finale, dallo stesso pontefice. La costituzione, non più rispettata nel clima di irrigidimento del papato che seguirà alla morte di B., sarà menzionata e, per il punto della difesa dell'autore dell'opera "sub indice", espressamente ripresa solo nel "motu proprio" di Paolo VI Integrae servandae del 7 dicembre 1965, sulla riforma della Congregazione del Sant'Uffizio.
Il 23 dicembre 1757 apparve, obbedendo alla stessa ispirazione, la nuova edizione dell'Indice, che resterà in vigore sino al tempo di Leone XIII. Destò scalpore, e sembrò espressione perfetta dell'età lambertiniana, la cancellazione (16 aprile 1757) della proibizione di scritti in difesa del sistema copernicano, e perciò stesso di quelli galileiani, sulla base delle risultanze dei nuovi studi fisico-astronomici e, come pare, di un intervento del gesuita Boscovich. Attraverso questo clima generale di distensione, silenzi e azioni indirette, tolleranze e resistenze, la linea benedettina nei confronti del giansenismo tese dunque a non provocare le ostilità dei Parlamenti francesi e a sgretolare e ad assorbire gradualmente i nuclei più consistenti del movimento: così, nel 1746, B. ottenne l'accettazione della Unigenitus dall'Oratorio di Francia, seppure dovette lamentare sul piano disciplinare che avesse riferito "il motivo [...] unicamente nel comando del Re, e nell'esser essa fatta già legge del Regno", ripromettendosi di intervenire "senza tradire la verità, ma con termini tali che non siano irritativi, per non accendere maggior fuoco, e far saltare nel precipizio chi va ballando nell'orlo" (Le lettere, I, p. 379). Realmente si era sull'orlo di quel contrasto politico-religioso che travagliò la Francia dell'Ancien Régime, di quella prova di forza tra Corona e Parlamenti, che si concluse con l'umiliazione della monarchia, intorno all'affaire dei "biglietti di confessione" rilasciati da sacerdoti di provata fede antigiansenista e pretesi dall'arcivescovo di Parigi Beaumont per l'amministrazione dei sacramenti ai moribondi. B. resistette, in un primo tempo, fidando nei "buoni amici di Francia", a pressioni che gli vennero da taluni settori di Curia e si astenne dall'intervenire anche quando la situazione precipitò nel 1750-1755. Fu il suo, in questa situazione, un atteggiamento politico ponderato, come i fatti dimostrarono, e l'unico atto a non alimentare le già violente passioni gallicane dei parlamentari francesi. Eppure, tale orientamento di B. fu solo in apparenza timoroso o neutrale, in attesa che gli avvenimenti di per sé trovassero quasi un naturale e placido sbocco. Resasi più che mai palese la titubanza di Luigi XV nella lotta, B. indirizzò al sovrano una lettera privata perché il suo silenzio non venisse inteso come noncuranza, o addirittura come connivenza con le posizioni parlamentari. La risposta del re, evasivamente sdrammatizzatrice, non apparve al pontefice "troppo cautelata", lasciandolo "in qualche sollecitudine" (a Tencin, 23 agosto 1752, in Le lettere, II, p. 502). Ancor più sollecitato a pronunciarsi pubblicamente, B. dové, a questo punto, affrontare in qualche modo un problema centrale della Unigenitus, che definì "sanctissima atque omnium plausu excepta", e per la quale assicurò il proprio "attacco" e il proprio "doveroso impegno" (ibid., pp. 518, 530 e 535): dietro le quali espressioni piuttosto anodine traspaiono i prudenti suggerimenti dei più "muratoriani" fra i cardinali di Curia, il Tamburini e il Besozzi, che accompagnarono il pontefice nella difficile corrispondenza con l'episcopato francese. Ma in altri settori di Curia si avanzarono forti riserve su quella che era ritenuta condiscendenza eccessiva di B. e si temé che per amor di pace egli fosse disposto a chiedere agli "appellanti" meno di quanto la Santa Sede avesse preteso nel passato (cfr. una lettera del cardinale Querini al Corsini, 18 agosto 1752, in E. Dammig, p. 386). Tra contrastanti influenze e di fronte ad una situazione giunta al limite di rottura, B. vide scaturire la soluzione del drammatico contrasto dalla stessa parte francese. Nell'Assemblea del clero del 1755 maggioranza e minoranza, raggiunto un accordo sulla opportunità del rifiuto dei sacramenti agli avversari notori della Unigenitus, diversero sui criteri con cui dovesse caratterizzarsi tale "notorietà". Non rimase che appellarsi ad una decisione papale.
Trattative tra B. e la Francia erano state avviate già dal 1754, con la presenza in Roma, quale ambasciatore straordinario, del conte Choiseul Stainville. Istituita nel gennaio 1756 una speciale Congregazione, B., secondo le richieste francesi, chiamò a farne parte cardinali non solo "moderati", antigesuiti o francofili, ma già noti per la loro esperienza in materia: principalmente Galli, Tamburini, Spinelli e Landi. Un importante materiale sinora sfuggito all'attenzione degli studiosi e appena menzionato dal Dammig ci permette di stabilire come in un primissimo abbozzo della enciclica Ex omnibus Christiani orbis (16 ottobre 1756) B. intendesse qualificare la Unigenitus non quale "regola di fede", secondo le pressioni degli zelanti, - "non essendo mai stata chiamata tale che nel Concilio romano, e Noi ch'eravamo nel Concilio pur troppo sappiamo come andò l'affare [...]", egli commenta, con implicita conferma della voce, levatasi più volte negli ambienti giansenisti, di un unicum interpolato negli atti sinodali -, ma definirla indubbiamente quale "giudizio dogmatico, irreformabile" della Chiesa. Tale atteggiamento di B., oltre che dalle istanze francesi, potrebbe essere stato modificato soprattutto dall'ascoltatissimo Tamburini che suggerì al pontefice di non dare alla Unigenitus una qualifica precisa, ma di mantenerne semplicemente, ad esempio dei predecessori, "ferma e inconcussa l'autorità": la qual proposta veniva a circoscrivere tutta la discussione sul piano esclusivamente disciplinare (cfr. A.S.V., Segr. di Stato, Francia, 671, "Unigenitus 1735-76", cc. n.n., in partic. il fasc. "Scritture dell'E.mo Card. Tamburini sopra l'Enciclica [...] con osservazioni sopra le medesime"). Progetti, proposte e controproposte rimbalzarono tra Roma e Parigi: B. cedé su molti punti non solo formali, ma tenne fermo sulla questione del "giansenismo notorio" che Luigi XV e i consiglieri desideravano limitare al caso di una esplicita sentenza della magistratura (il che era condiviso dal Tamburini) o di una confessione da parte dell'infermo, e che il pontefice volle invece estendere anche ad una "condotta di fatto" (non però sulla base di dicerie o sospetti), nel senso già espresso dall'Assemblea del clero. È indubbio che l'enciclica papale, accettata all'unanimità dall'Assemblea del clero del 1760, liquidò gli aspetti del contrasto nei suoi termini religiosi ed ecclesiastici, poiché, soppresso il "bollettino di confessione", ebbe termine quella "guerra ai moribondi" che tanto colpì lo spirito umanitario e i "lumi" del secolo (un'amara satira in Voltaire, Traité sur la tolérance, cap. 16). Soprattutto essa pose in moto forze maturate nell'ombra dei dissensi teologico-disciplinari e sviluppatesi per effetto della liberalità e della "tolleranza" benedettine. Come quasi vent'anni prima, con l'inizio del pontificato di B., la cultura e le istanze riformatrici maurino-muratoriane avevano informato di sé posizioni ufficiali al centro del cattolicesimo, così si aprivano nuove prospettive per le correnti gianseniste o giansenisteggianti o "agostiniane" ora che il movimento, attraverso gli stessi esponenti della cultura muratoriana, come il Tamburini, era giunto a farsi sentire negli ambienti della Curia romana e trovava in qualche modo risonanza in un importante, favorevole documento papale. Già durante l'elaborazione dell'enciclica il Tamburini aveva sollecitato B. a cogliere l'occasione per "svelare il senso della Costituzione [Unigenitus] per solo impulso di sua carità". All'indomani del documento si ripropose negli ambienti giansenisti italiani in rapporto con taluni esponenti più aperti del giansenismo francese e olandese - quest'ultimo rappresentato dal Clément, che compirà in Italia un apposito viaggio - l'antico progetto di una "spiegazione" della Unigenitus. Il tentativo, bloccato dalla morte di B., venne ripreso, senza alcun risultato, agli inizi del pontificato di Clemente XIII, ma tutte le vicende del giansenismo nella seconda metà del Settecento sono comprensibili soltanto ove si tengano presenti le condizioni che si erano andate configurando durante il pontificato di B., e in particolare attraverso questo che è uno dei suoi ultimi momenti di maggior rilievo.
Così come il problema "gesuitico", che improntò i pontificati di Clemente XIII e di Clemente XIV, prende significato alla luce dell'ultimo atto del pontificato di B.: la nomina del visitatore e riformatore dei Gesuiti portoghesi nella persona del patriarca di Lisbona F. Saldanha (1° aprile 1758), dopo che la corte e il ministro Pombal avevano intensificato quella lotta che, ampliatasi rapidamente anche nei Regni borbonici, doveva portare alla soppressione della Compagnia. B. mitigò il breve elaborato dall'antigesuita cardinale Passionei, ma vi lasciò contraddittorietà di norme esecutive, in quanto il Saldanha figurava al tempo stesso come visitatore dai poteri limitati e come riformatore cui era attribuita discrezionalità assai ampia, sebbene in una istruzione al patriarca B. raccomandasse un prudente procedere soprattutto riguardo all'accusa di abusivo esercizio di commercio da parte dell'Ordine. In effetti B. dovette pensare a un possibile intervento di riforma dell'organizzazione interna della Compagnia, come aveva già effettuato in qualche singolo caso (Le lettere, I, pp. 380 s.); ma anche questa volta sembra che forze nuove o rimaste lungo tempo latenti abbiano preso la mano sul vecchio pontefice destinato a scomparire il 3 maggio 1758.
Non è facile formulare un giudizio complessivo sulla figura e sul pontificato di B., per lo stato attuale degli studi e per il perdurare di una polemica configuratasi lungo la seconda metà del Settecento e variamente atteggiatasi in sede storiografica sino ai giorni nostri. A grandi linee, da una parte incontriamo un bilancio negativo dell'opera di B., pur nel riconoscimento di meriti personali e di indubbie buone intenzioni: è la posizione che, modulata su di un metro rigidamente moralistico ed "ecclesiastico", va dalle Memorie di M. Fantuzzi (1800), che codifica le riserve curiali, tradizionaliste, espresse ancora vivente B., sui "cedimenti" del pontificato lambertiniano, alla Storia dei papi del cattolico conservatore L. von Pastor. Posizione che è ulteriormente schematizzata nella più recente opera di E. Dammig sul giansenismo romano settecentesco. Di contro - ed è certo la tendenza storiografica più fortunata e suggestiva - avrà esito e risonanza tra gli storici protestanti (Th. Macaulay, L. von Ranke), liberal-moderati (J.-Ch.-L. Simonde de Sismondi, C. Botta), negli ambienti cattolico-liberali e in quelli modernisti (A. Loisy) il mito di origine illuministico-giansenistica del pontefice illuminato e tollerante, la cui ansia religiosa viene collegata alla parentesi "benedettina" del papato di Clemente XIV e contrapposta ai papati "politici" e "gesuitici" di Clemente XIII e di Pio VI. Già nel Delle lodi di papa Benedetto XIV. Orazione (Napoli 1758), F. Galiani traccia, nonostante l'occasionalità dell'elogio funebre, le linee principali di questo più noto ritratto di B., come laddove coglie nel pontefice, in armonia con la preoccupazione tutta settecentesca per la "felicità", la sensibilità più etica che teologica quale risposta all'attesa di un'epoca, e quella "ragionevole" serenità cristiana che egli impersonerà tra i contemporanei, raccomandandosi, per essa, alla leggenda e alla storia. Il Galiani in effetti enuclea un elemento che rimarrà acquisito nella successiva letteratura storiografica: il nuovo costume di vita portato da B. sul soglio di Pietro, facilitante un diverso, aperto modo di "dialogare" col proprio tempo. Il qual motivo il Botta amplierà e arricchirà nella sua Storia d'Italia (XLI). Ma il Botta aggiunge al profilo di B. due toni che mancano, o almeno non appaiono così espliciti nell'"elogio" del Galiani, quelli della tolleranza e dell'ecumenismo di papa Lambertini. I quali motivi sono elaborati piuttosto nell'ambiente giansenisteggiante franco-italiano più moderato che si era espresso nell'enciclica del 1756 e nei successivi tentativi di spiegazione della Unigenitus. Il Cerati e il Bottari, i diretti collaboratori del pontefice, dal Ricchini al Bouget, ecc., forniscono al giansenisteggiante apologeta francese del cattolicesimo settecentesco, L.A. Caraccioli, prezioso materiale per la Vie du pape Benoît XIV (Liège 1766; Paris 1783), che sviluppa un Abrégé della vita di B. apparso a Roma già nel 1759. Nello scritto, che ha perciò carattere di opera di collaborazione e di tendenza, rifluiscono, con evidenti forzature, intorno all'opera e alla figura di B., tutti i temi cari al riformismo giansenistico con i suoi particolari richiami tardosettecenteschi tolleranti ed ecumenistici. Non v'è dubbio che tale mito, che pure ha scaturigini storicamente configurabili e storico significato, ha finito con lo spostare i termini di un concreto discorso storiografico; come, d'altronde, la polemica più generale che ha investito la valutazione dell'arco di vicende politico-ecclesiastiche e religiose dal pontificato benedettino alla Rivoluzione, ha stravolto, con le preoccupazioni che si è detto, le prospettive di un dibattito. Sinora in sostanza si sono affrontati due antitetici modi di intendere, soprattutto all'interno della Chiesa cattolica, l'essenza stessa della sua compagine ecclesiastica e della sua responsabilità religiosa. Mancato un approfondimento in sede di indagine storica, l'interesse per la figura di B. si è indirizzato verso quel più modesto e superficiale filone aneddotico-letterario riscontrabile nelle opere di R. Giovagnoli, di F. Cantoni, di T. Valenti o nella nota e garbata commedia di A. Testoni, Il cardinal Lambertini (1905).
Qualche provvisoria indicazione che potremo qui offrire permetterà forse di avviare la formulazione di un giudizio storico su B. fuori da mitizzazioni o polemiche. Se è facile far cadere definitivamente, per B., la tesi di un papa e di un pontificato "religioso" contrapposto ai pontificati "politici" dei successori - poiché, come si è potuto variamente sottolineare, preoccupazioni religiose e politiche in B. si intrecciano e strettamente si condizionano -, meno facile, ma opportuna si presenta l'esigenza di ridimensionare storicamente la celebrata tolleranza lambertiniana. La quale trova i suoi limiti in una valutazione pur sempre "ecclesiastica" e istituzionale dei rapporti tra le confessioni cristiane o in "politici" adattamenti a situazioni di fatto. B. avvertì con realistico acume l'inconsistenza dei tentativi irenici del cardinale Querini nei riguardi del mondo protestante tedesco, destinati ad agire nella limitata direzione di classi auliche e colte, e continuò a considerare i luterani secondo gli schemi tradizionali quali "perfidi protestanti" ed "eretici della Germania", reagendo agli orientamenti di effettiva tolleranza religiosa patrocinati dal cardinale Sinzendorf: "[...] il dire poi com'esso fa generalmente parlando, che la religione cattolica non si può né si deve difendere coll'armi, ma col solo aiuto delle prediche e delle preghiere, sembra una proposizione più che temeraria [...]" (Le lettere, I, p. 318). Una conferma di tale atteggiamento va vista nel particolare modo col quale B. guardò al problema, acutizzatosi in Francia, dei relapsi al calvinismo e nell'approvazione della dura politica repressiva di Luigi XV al riguardo: anche qui, in analogia con il problema della tolleranza in Germania e dei rapporti con il Sinzendorf, l'orientamento papale verso i calvinisti in genere contrastò singolarmente con l'accorato appello irenico ed ecumenico che fu rivolto a B. (1° marzo 1755) dal vescovo giansenista di Soisson, Fitz-James (cfr. E. Appolis, pp. 231 ss.).
Neppure nei riguardi degli israeliti B. innovò rispetto agli orientamenti e alla prassi dei predecessori, mantenendo il tradizionale linguaggio antiebraico (Le lettere, I, p. 250) e la legislazione restrittiva in vigore nello Stato pontificio. È probabile l'instaurarsi di un tipo di predicazione più tollerante - stando ad una testimonianza del Caraccioli, da accogliere con cautela -, ma una riforma più "liberale" della legislazione antiebraica si ebbe solo, momentaneamente, durante il pontificato di Clemente XIV. Più viva e feconda di risultati fu invece l'attenzione volta da B. alle Chiese orientali, facilitata da una tradizione unionistica che aveva antiche radici e da una personale propensione del pontefice per la liturgia e i riti delle comunità orientali: durante il suo pontificato sorse il patriarcato degli Armeni di Cilicia in unione con Roma. Con queste osservazioni, se si vuole suggerire da un lato una valutazione più attenta di taluni orientamenti religiosi e politico-ecclesiastici di B., su cui sinora si è maggiormente insistito, non si intende dall'altro non porre in rilievo l'importanza della sua personalità e della sua opera nella storia della Chiesa cattolica lungo il corso del Settecento: esse restano centrali e come la chiave di volta, tra prima e seconda metà del secolo, per la comprensione degli avvenimenti e degli orientamenti del papato e del mondo cattolico sino alla Rivoluzione. È che B. lasciava ai successori le linee ancora incerte, ma spesso consapevolmente tracciate, di un nuovo volto della Chiesa romana e, insieme, grandi possibilità e alternative: la possibilità di liquidare, o almeno di ridurre considerevolmente, senza lacerazioni, il peso del monopolio controriformistico-gesuitico e di effettuare, su basi per così dire tridentino-muratoriane, una riforma interna della Chiesa, nell'efficace mediazione di tradizione ed esigenze nuove; la possibilità di continuare una fase elastica di rapporti concordatari e di accompagnare un equilibrato sviluppo delle diverse correnti del mondo cattolico, consolidandole di fronte alla cultura e agli ideali dei "lumi"; l'alternativa di risolvere pacificamente il problema giansenista e di perseguire le riforme dello Stato pontificio nell'alveo del movimento illuministico. Era un programma di vasto respiro, che includeva tuttavia difficoltà e contraddizioni, già avvertite ma contemperate da una personalità che trovava rispondenza migliore nel clima "moderato" e preilluministico, allorché immise di slancio il mondo cattolico nelle sorgenti ancora tenui del riformismo e del cosmopolitismo della prima metà del secolo, ma che andava gradatamente svelando, all'interno del suo immenso sforzo mediatore e propulsore, la immaturità, le profonde incrinature e le carenze del cattolicesimo settecentesco. Era comunque l'estrema carta religiosa e politica che il papato giocava, in quel contesto storico e con quelle forze, per armonizzare aspirazioni divergenti e proporre una diversa considerazione, che pure rampollava da esigenze profonde, degli orientamenti religiosi, ecclesiastici e politici della Chiesa di Roma. I successori di B., di fronte all'urgenza dei problemi ecclesiastico-religiosi (dal problema "gesuitico" ai contrasti con la politica del dispotismo illuminato, ecc.), compirono una scelta procrastinata, ma inevitabile, chiudendo però presto, quasi totalmente, le ricche prospettive aperte dal suo pontificato.
fonti e bibliografia
Manca una biografia articolata e completa su Benedetto XIV. Per notizie sul pontificato, indicazioni archivistiche e bibliografiche bisogna ancora rifarsi in generale a L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, XVI, 1, Roma 1933.
Rapidi profili in: E. Morelli, Benedetto XIV uomo e pontefice, in Id., Tre profili: Benedetto XIV, Pasquale Stanislao Mancini, Pietro Roselli, ivi 1955; L. Dal Pane, Benedetto XIV e una memoria inedita del conte Marco Fantuzzi, Bologna 1958; R. Reinhardt, Zur Kirchenpolitik Papst Benedikts XIV., "Römische Quartalschrift", 60, 1965, pp. 259-68; A. Vianelli, Profili di bolognesi illustri, Bologna 1967; G. D'Arrigo, Papa Lambertini, "Strenna dei Romanisti", 29, 1968, pp. 121-29; M. Fanti, Prospero Lambertini (Benedetto XIV) nel terzo centenario della nascita, "Il Carrobbio", 1975, nr. 1, pp. 117-33.
Inoltre costituiscono utili approfondimenti: R. Haynes, Philosopher King: The Humanist Pope Benedict XIV, London 1970; T. Bertone, Benedetto XIV (1740-1758) e la gerarchia ecclesiastica, "Salesianum", 38, 1976, pp. 475-558; Id., Benedetto XIV (1740-1758) e la Chiesa missionaria, in In Ecclesia, Roma 1977, pp. 181-95; Id., Il governo della Chiesa nel pensiero di Benedetto XIV (1740-1758), ivi 1977; nonché gli interventi in Benedetto XIV (Prospero Lambertini).
Convegno Internazionale di studi storici [...] Cento, 6-9 dicembre 1979, a cura di M. Cecchelli, I-II, Cento 1981-82; E. Garms-Cornides, Benedikt XIV. Ein Papst zwischen Reaktion und Aufklärung, in Ambivalenzen der Aufklärung. Festschrift für Ernst Wangermann, a cura di G. Ammerer-H. Haas, Wien-München 1997, pp. 169-86.
Insufficiente, per più lati, L.-P. Raybaud, Papauté et pouvoir temporel sous les pontificats de Clément XII et Benoît XIV (1730-1758), Paris 1963.
Tra le fonti inedite merita particolare attenzione A.S.V., Fondo Benedetto XIV, 29 tomi, dove è raccolto prezioso materiale sui principali documenti del pontificato di Benedetto XIV.
Di grande importanza l'edizione de Le lettere di Benedetto XIV al cardinale de Tencin, a cura di E. Morelli, I, 1740-1747, Roma 1955; II, 1748-1750, ivi 1965; III, 1751-1758, ivi 1984, che supera la vecchia Correspondance de Benoît XIV (1742-1756), I-II, a cura di E. de Heeckeren, Paris 1912. Altre lettere di B. a vari, di importanza minore, in Lettere inedite di Santi, Papi, Principi, Illustri Guerrieri e Letterati, a cura di L. Cibrario, Torino 1861 (29 lettere di B. al cardinale delle Lanze), pp. 251-84; Briefe Benedicts XIV. an dem Canonicus F. Peggi in Bologna (1707-1758), nebst Benedicts Diarium des Conclaves von 1740, a cura di F.X. Kraus, Freiburg i. B.-Tübingen 1884 (l'ediz. Freiburg i. B. 1888² è arricchita dalla biografia di B. di F. Scarselli e dall'elenco delle opere); Lettere di Benedetto XIV all'arcidiacono Innocenzo Storani di Ancona, a cura di M. Moroni, "Archivio Storico per le Marche e per l'Umbria", 2, 1885, pp. 715-96; Lettere inedite di Benedetto XIV al card. A.M. Querini (1740-1750), "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 9, 1909, pp. 5-93, 279-300; 10, 1910, pp. 159-215 (si cfr. però B.A.V., Vat. lat. 10960); Lettere inedite di Benedetto XIV al card. F. Tamburini, a cura di B. Trifone, "Archivio della Società Romana di Storia Patria", 34, 1911, pp. 35-73; A. Andreoli, Per una nuova edizione dell'epistolario muratoriano. Importanti autografi venuti alla luce, "Giornale Storico della Letteratura Italiana", 143, 1966, pp. 481-502; P. Elli, Un biglietto inedito di papa Benedetto XIV al card. Tamburini riguardante il Muratori, "Atti e Memorie. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi", 7, 1972, pp. 257-69; G. Pistoni, Intorno ad una sconosciuta lettera di Benedetto XIV al Muratori, "Memorie dell'Accademia Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti", ser. VI, 17, 1975, pp. 103-11; Due carteggi inediti di Benedetto XIV, a cura di I. Folli Ventura-L. Miani, con un saggio storico di C. Casanova, Bologna 1987; L. Miani Belletti, Benedetto XIV e la Biblioteca dell'Istituto delle scienze nel carteggio con Filippo Maria Massi, "Archiginnasio", 82, 1987, pp. 245-54.
Da consultare inoltre: F. Tagell, Relació de la mort de Climent XII i de l'elecció de Benet XIV (1740), Barcelona 1971; L. Felici, Il carteggio Galiani-Bottari (1751-1759), "Arcadia. Accademia Letteraria Italia. Atti e Memorie", 5, 1972, nr. 4, pp. 173-217; D. Corsi, Il governo di Lucca e la Bolla di Benedetto XIV del maggio 1754 (Dal carteggio ufficiale dell'agente lucchese presso la Corte di Roma F.M. Buonamici con l'Offizio sopra la Giurisdizione), "La Provincia di Lucca", 12, 1972, nr. 4, pp. 45-64; 13, 1973, nr. 1, pp. 28-46; E. Mass, Le marquis d'Adhémar: la correspondance inédite d'un ami des philosophes à la court de Bayreuth, Banbury 1973; L. Dosio, Notizie sul cardinale Querini. Dall'epistolario Muratori-Mazzuchelli, "Brixia Sacra", 9, 1974, pp. 188-96.
Infine solleva problemi minori, ma da non trascurare, Ch. Lefebvre, Le premier volume du Bullaire de Benoît XIV constitue-t-il une collection authentique?, "L'Année Canonique", 17, 1973, pp. 615-21.
Per quanto concerne le encicliche: Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740. 250 anni di storia visti dalla Santa Sede, a cura di U. Bellocchi, I, Benedetto XIV (1740-1758), Città del Vaticano 1993.
Sull'episcopato bolognese: M. Fanti, Il "pastorale governo" del cardinale Lambertini, "Strenna Storica Bolognese", 9, 1959, pp. 61-119.
E comunque per la sua attenzione alla città natale, A. Giacomelli, Le bolle pontificie relative alla Università di Bologna dal 1450 al 1800 con particolare riferimento a Benedetto XIV, in Ateneo e Chiesa di Bologna. Convegno di studi (Bologna, 13-15 aprile 1991), Bologna 1992, pp. 265-352.
Per un giudizio equilibrato sulle opere liturgiche di B. v. H. Leclercq, in Dictionnaire d'archéologie chrétienne et de liturgie, II, Paris 1910, col. 771, nonché L. Brandolini, Benedetto XIV di fronte ad alcuni movimenti riformistico-liturgici del secolo XVIII, "Ephemerides Liturgicae", 88, 1974, pp. 447-70, e J. Hermans, Benedictus XIV en de liturgie: Een bijdrage tot de liturgiegeschiedenis van de moderne tijd, Brugge-Boxtel 1979.
Altro materiale in: N. Pederzini, L'apporto di papa Benedetto XIV alla dottrina e alla disciplina del matrimonio, Roma 1961; A. Pereira da Silva, A questão do sigilismo em Portugal no século XVIII. Um abuso na confissão reprovado por Bento XIV, Braga 1964; A. Gauthier, Un mariage célébré après une seule déclaration de nullité est-il valide?, "Studia Canonica", 7, 1973, pp. 281-87; A. Casieri, La perfezione cristiana in Benedetto XIV con particolare riferimento all'età giovanile, Città del Vaticano 1979.
Sulle canonizzazioni: R. Haynes, Benedict XIV and Miracles, "The Month", 221, 1966, pp. 211-20; M. Muragi, Psichiatria e guarigioni miracolose nel trattato di Prospero Lambertini sulla canonizzazione dei santi, "Strenna Storica Bolognese", 27, 1977, pp. 195-216; J.L. Gutiérrez, Le prove sussidiarie nelle cause di canonizzazione (Opinioni di Prospero Lambertini e innovazioni di Benedetto XIV), "Ius Ecclesiale", 5, 1993, pp. 545-74; F. Gutiérrez Rodríguez de Mondelo, La prueba en las causas de canonización, con especial referencia a las pruebas subsidiarias en la doctrina de Benedicto XIV, diss., Athenaeum Romanum S. Crucis, Romae 1995.
Sono oggi particolarmente numerose le riflessioni sull'intervento per diminuire le feste di precetto: S. Marino, La situazione economico-religiosa italiana nelle risposte al questionario sulla riduzione delle feste di precetto del 1742, "Rivista di Storia della Chiesa in Italia", 31, 1977, pp. 454-81; C. Almansi Sabbioneta, Il papato di Prospero Lambertini e la "scrittura" sulla diminuzione delle feste di precetto, in Studi in onore di Ugo Gualadini, III, Milano 1986, pp. 151-84; N. Schöch, Die Frage der Reduktion der Feiertage bei Benedikt XIV. Eine rechtshistorische Untersuchung, Roma 1994; Id., Der Streit zwischen Kardinal Angelo Maria Querini und Antonio Ludovico Muratori um die Reduktion der Feiertage, "Antonianum", 70, 1995, pp. 237-97.
Sull'azione per migliorare la formazione ecclesiastica v. G.D. Gordini, La formazione dei futuri presbiteri nelle notificazioni del cardinale Lambertini, in Id., Storia e vita della Chiesa, Bologna 1993, pp. 347-82.
Per i rapporti con gli ambienti scientifici: G. Martinotti, P. Lambertini (Benedetto XIV) e lo studio dell'anatomia in Bologna, ivi 1911; J.D.B. Gorce, L'oeuvre médicale de Prospero Lambertini (pape Benoît XIV), 1675-1758, Bordeaux 1915.
Sulla politica concordataria di B. non esiste uno studio specifico, occorre perciò rifarsi direttamente all'ottima Raccolta di concordati su materie ecclesiastiche tra la S. Sede e le autorità civili, a cura di A. Mercati, I, Città del Vaticano 1954, pp. 330-443.
Per il concordato con il Regno di Napoli, cfr. A. Melpignano, L'anticurialismo napoletano sotto Carlo III, Roma 1965, passim, e M. Spedicato, "I requisiti de' promovendi agli ordini" nelle trattative tra S. Sede e Regno di Napoli per il Concordato del 1741 in un manoscritto della biblioteca De Leo di Brindisi, "Archivio Storico Pugliese", 28, 1975, pp. 175-218.
Per i rapporti con Napoli, v. anche S. Masella, Niccolò Fraggianni e il tribunale dell'Inquisizione a Napoli, Napoli 1972, e E. Del Curatolo, L'editto carolino contro la massoneria (1751) nel quadro dei rapporti tra Regno di Napoli e Santa Sede, "Clio", 23, 1987, pp. 35-54.
Anche sui rapporti con il Muratori e sul clima "muratoriano" dei primordi del pontificato di B. non esistono ricerche particolari: sarà utile una rilettura dell'Epistolario muratoriano, per gli anni compresi fra il 1740 e il 1750; qualche indicazione in: F. Callaey, La critique historique et le courant pro-janséniste à Rome au XVIIIe siècle, in Nuove ricerche storiche sul giansenismo. Studi presentati nella sezione di storia ecclesiastica del Congresso internazionale per il IV centenario della Pontificia Università Gregoriana, Roma 1954, pp. 185-94 (in partic. per i lavori sulla riforma del Breviario); E. Appolis, Entre jansénistes et zelanti. Le "tiers parti" catholique au XVIIIe siècle, Paris 1960, passim; E. Cochrane, Giovanni Lami e la storia ecclesiastica ai tempi di Benedetto XIV, "Archivio Storico Italiano", 123, 1965, pp. 48-73; L. Brandolini, La pastorale dell'Eucaristia di Ludovico A. Muratori, "Ephemerides Liturgicae", 81, 1967, pp. 333-75, e 82, 1968, pp. 81-118; E. Pattaro, Il pensiero giuridico di L.A. Muratori tra metodologia e politica, Milano 1974.
Sulla questione dei "riti cinesi": M. Rosa, Alessandro VII, in questa stessa opera; e The Chinese Rites Controversy. Its History and Meaning, a cura di D.E. Mugello, Nettetal 1994.
Sulla questione dell'usura cfr.: Dictionnaire de théologie catholique, XV, 2, Paris 1950, s.v. Usure, coll. 2377 s.; J. Noonan, The Scholastic Analysis of Usury, Cambridge 1957, pp. 356 s.; O. Capitani, Ballerini, Pietro, in D.B.I., V, pp. 575-87, in partic. per i rapporti tra B. e il Maffei a questo proposito; L. Dal Pane, I libri di economia di una biblioteca papale, "Rendiconti delle Sessioni dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna", classe di scienze morali, ser. V, 9, 1959, pp. 47-72, dove è pubblicata anche una lettera del Maffei a B. sfuggita alla edizione dell'Epistolario maffeiano, a cura di C. Garibotto, Milano 1955; C. Caffarra, Ermeneutica della "Vix pervenit" di Benedetto XIV, in Magistero e morale. Atti del 3° congresso nazionale dei moralisti (Padova, 31 marzo-3 aprile 1970), Bologna 1970, pp. 257-69; F. Venturi, Il problema dell'usura a metà del Settecento, in Scritti in onore di Vittorio De Caprariis, Roma 1970, pp. 85-101; G. Gambara, La supplica di Scipione Maffei a Benedetto XIV a proposito della controversia sul prestito ad interesse, "Economia e Storia", 24, 1977, pp. 71-5; P. Palattini, L'enciclica "Vix pervenit" (1 novembre 1745) e la dottrina della Chiesa sul mutuo ad interesse, in Atti dell'XI Convegno di Fonte Avellana, 1987, II, Urbino 1988, pp. 195-208.
È stata anche pubblicata la ristampa anastatica dell'edizione romana del 1746 di S. Maffei, Dell'impegno del danaro, Verona s.d. Sugli orientamenti politici di B. durante e dopo la guerra di successione austriaca: per i rapporti con Francesco Stefano di Lorena e la reggenza toscana, cfr. A. Zobi, Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848, I, Firenze 1850, pp. 241 ss., 317 e App., pp. 35, 41, 46 s.; N. Rodolico, Stato e Chiesa in Toscana durante la Reggenza lorenese 1737-1765, ivi 1910, e E. Garms-Cornides, Die Toskana zwischen Rom und Wien, in Italia-Austria. Alla ricerca del passato comune, a cura di P. Chiarini-H. Zeman, Roma 1995, in partic. pp. 477-82; per i rapporti con l'Austria e i contrasti con Venezia circa la soppressione del patriarcato di Aquileia, F. Seneca, La fine del Patriarcato aquileiese (1748-1751), Venezia 1954.
Per i rapporti con Venezia, vedi anche A.A. Bettanini, Benedetto XIV e la Repubblica di Venezia. Storia delle trattative per la difesa dei diritti giurisdizionali ecclesiastici. Decreto veneto 7 settembre 1754, Padova 1966.
Per i rapporti con l'Austria e il concordato del 1757, L. Sebastiani, La tassazione degli ecclesiastici nella Lombardia teresiana. Con una memoria di Pompeo Neri, Milano 1969.
Per i rapporti con la Prussia, oltre il Pastor, O. Hegemann, Friedrich der Grosse und die katholische Kirche in den reichsrechtlichen Territorien Preussens, München 1904; v. anche Correspondance de Frédéric Roi de Prusse avec le comte Algarotti [...], s.l. 1799, pp. 148 s., 150 s., 152.
Per i rapporti con la Polonia si trovano alcune indicazioni in M.R. Valensise, Le encicliche del XVIII secolo sulla Polonia (1740-1772): fonti, storiografia e analisi dei testi, "Sociologia", 22, 1988, nrr. 2-3, pp. 127-52.
Per i rapporti con la Spagna, cfr. A. Peconi, Il diario di viaggio di G. Gastone Marcolini, legato pontificio in Spagna (1755), "Studia Picena", 36, 1968, pp. 124-35; Id., Un legado pontificio en la España de Fernando IV, "Revista de Estudios Políticos", 1968, nrr. 159-60, pp. 237-65; D. Ozanam, Les débuts de l'abbé Begliardi en Espagne (Mai 1749), "Mélanges de la Casa de Velázquez", 5, 1969, pp. 343-61; A. Erriquez, Henricus Enriquez S.R.E. cardinalis. Liberatore di San Marino 1740, nunzio apostolico in Spagna 1743-1753, esarca di Ravenna 1753-1756, Galatina 1972; J. Macías Delgado, La Agencia de Preces en las relaciones Iglesia Estado Español (1750-1758), Madrid 1994.
In particolare sul concordato, R. Olaechea, Concordato de 1753, in Diccionario de Historia Ecclesiástica de España, a cura di Q. Aldea Vaquero-T. Marin Martínez-J. Vives Gatell, I, ivi 1972, pp. 579-81.
Per la questione portoghese, E. Sgreccia, Corrispondenza tra il P. Norberto Parisot et il card. Passionei, "Studia Picena", 37, 1969, pp. 149-81; D.M. Gomes dos Santos, O "abbé Platel", mercenário de Pombal, "Anaís. Academia Portuguesa da Historia", ser. II, 22, 1973, pp. 278-305.
Per i rapporti con la Francia infine D. Van Kley, The Refusal of Sacramental Controversy and the Political Crisis of 1756-57, in Church, State and Society Under the Bourbon' Kings of France, a cura di R.M. Golden, Lawrence, Kansas 1982, pp. 284-326.
Sulle riforme dello Stato pontificio: L. Dal Pane, Lo Stato pontificio e il movimento riformatore del Settecento, Milano 1959, pp. 47, 137, 138 ss., 148 ss., 239-53; cfr. la puntualizzazione complessiva di F. Venturi, Elementi e tentativi di riforme nello Stato pontificio del Settecento, "Rivista Storica Italiana", 75, 1963, in partic. pp. 782 ss.; e Id., Illuministi italiani, VII, Milano-Napoli 1965, pp. XXII ss., XXXV ss. e passim.
Sul versante storico-economico, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo manifatturiero e commerciale dello Stato della Chiesa: L. Dal Pane, La Congregazione economica istituita da Benedetto XIV e la libertà di commercio, "Rivista di Storia dell'Agricoltura", 5, 1965, pp. 371-418; A. Caracciolo, L'albero dei Belloni. Una dinastia di mercanti nel Settecento, Bologna 1982; P. Toscano, Roma produttiva tra Sette e Ottocento. Il San Michele a Ripa Grande, Roma 1996.
Per la riorganizzazione della burocrazia curiale: J. Gelmi, La Segreteria di Stato sotto Benedetto XIV (1740-1750), ivi-Trento 1975, e Id., Die Minutanten im Staatssekretariat Benedikts XIV. (1740-1758), in Papsttum und Kirchenreform. Historische Beiträge. Festschrift für Georg Schwaiger zum 65. Geburtstag, a cura di M. Weitlauff-K. Hausberger, St. Ottilien 1990, pp. 537-61.
Sulla cultura romana intorno alla metà del secolo e le Accademie istituite da B.: Notizie delle Accademie erette in Roma per ordine della Santità di N.S. papa Benedetto decimoquarto, Roma 1740, e E. Luque, Il tomismo romano nel Settecento. San Tommaso nel Bullario di Benedetto XIV, in Atti del IX Congresso Tomistico internazionale, VI, Storia del Tomismo (fonti e riflessi), Città del Vaticano 1992, pp. 231-45; sugli studi e le scoperte archeologiche: L. Hautecoeur, Rome et la Renaissance de l'antiquité à la fin du XVIIIe siècle, Paris 1912, pp. 10 ss., 43, 51, 52, 64, 92, 146, 184; C. Justi, Winckelmann und seine Zeitgenossen, I-III, Leipzig 1923.
Per l'incremento della Biblioteca Vaticana: G. Salvo Cozzo, I codici Capponiani della Biblioteca Vaticana, Roma 1897, pp. IX-XIX; per il fondo Ottoboniano, cfr. Memorie istoriche della Biblioteca Ottoboniana scritta dall'abate Costantino Ruggieri, in Codices manuscripti Graeci Ottoboniani Biblioteca Vaticana, a cura di E. Feron-F. Battaglini, Roma 1893, pp. XL-LX.
Per la bibliofilia del pontefice cfr. N. Vian, Il leone nello scrittoio, Reggio Emilia 1980, pp. 95-8, ma per quanto concerne la sua posizione rispetto alla censura sui libri, v. H. Paarhammer, "Sollicita ac provida". Neuordnung von Lehrbeanstandung und Bücherzensur in der katholischen Kirche im 18. Jahrhundert, in Ministerium Justitiae. Festschrift für Heribert Heinemann zur Vollendung des 60. Lebensjahres, a cura di A. Gabriels-H.J.F. Reinhardt, Essen 1985, pp. 343-61. Per i rapporti con l'ambiente bolognese: E. Gualandi, Il card. Filippo M. Monti, papa Benedetto XIV e la biblioteca dell'Istituto delle scienze di Bologna, Parma 1921.
Per i rapporti con il Genovesi: G.M. Monti, A. Genovesi e Benedetto XIV, "Archivio Storico per la Provincia di Salerno", 1, 1933.
Per l'orientamento di B. nei riguardi della cultura illuministica v. M. Rosa, Cattolicesimo e "lumi": la condanna romana dell'"Esprit des lois", in Id., Riformatori e ribelli nel '700 religioso italiano, Bari 1969, pp. 87-118. In partic.: per l'atteggiamento contro la massoneria, I. Rinieri, Della rovina di una monarchia, Torino 1906, soprattutto pp. 389 ss. e pp. 601 ss. (docc.); per la condanna di Montesquieu, oltre allo studio citato del Rosa: R. Shackleton, Montesquieu. A Critical Biography, Oxford 1961, pp. 370 ss.; Montesquieu, Oeuvres complètes, a cura di A. Masson, III, Paris 1955, pp. 647 s., 1278 ss., 1292, 1304 s., 1310, 1320 ss., 1330 ss., 1348 ss., ecc.; per i rapporti tra B. e Voltaire, P. Martino, L'interdiction du "Mahomet" de Voltaire et la dédicace au pape (1742-1745), in Mémorial Henri Basset, II, ivi 1928; ma cfr. anche Voltaire's Correspondence, a cura di Th. Bestermann, XIV, Genève 1956, pp. 157 s., 200 s., 203 s., 222 s. e passim; nonché P. Alatri, Voltaire e l'arcivescovo di Lione, in Id., Intellettuali e politica, Soveria Mannelli 1993, pp. 7-22.
Per la condanna delle opere volterriane: L. Macé, Les premières censures romaines de Voltaire, "Revue d'Histoire Littéraire de France", 1998, nr. 4, pp. 531-51.
Per l'atteggiamento di B. verso il giansenismo cfr.: E. Dammig, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del sec. XVIII, Città del Vaticano 1945, pp. 375-90 e passim; e contra il lavoro che è stato già citato dell'Appolis, nonché P. Palazzini, Il breve di Benedetto XIV del 16 ottobre 1756 nel contesto storico del giansenismo, in Girolamo Baruffaldi (1675-1755). Convegno Nazionale di Studi nel terzo centenario della nascita [...] Cento, 5-8 dicembre 1975, II, Cento 1977, pp. 665-78; e L. Gherardi, Papa Lambertini nella parola di Girolamo Baruffaldi, ibid., pp. 929-36.
Sulla missione dello Choiseul Stainville, M. Boutry, Choiseul à Rome. Lettres et mémoires inédites, 1754-1757, Paris 1895.
Su altre particolari questioni: L. Pérez Martínez, Intervención de Benedicto XIV en la causa Luliana, "Anthologica Annua", 14, 1966, pp. 179-241, e J.S. Spink, Un abbé philosophe: l'affaire de J.-M. de Prades, "Dix-huitième Siècle", 3, 1971, pp. 145-80.
Negli ultimi decenni sono enormemente aumentati gli studi sui rapporti del papa con Ordini e Congregazioni; tra gli altri v.: G. Sántha, P. Iosephus Oliva ab Angelo Custode Ordinis Scholarum Piarum praepositus generalis XVI (1686-1745), "Ephemerides Calasanctianae", 36, 1967, pp. 620-26, 677-87; 37, 1968, pp. 38-43, 164-70, 202-16; Id., P. Iosephus Augustinus Delbecchi a S. Nicolao. Collegii Calasanctii in Urbe fundator ac Ordinis Scholarum Piarum praepositus generalis XVII (1697-1777), ibid., 37, 1968, pp. 249-56, 299-313, 357-61, 391-405; 38, 1969, pp. 23-9; A. Sampers, Duo libelli supplices a S. Alphonso sociisque Summo Pontifici porrecti ad Instituti et Regularum approbationem impetrandam et ad Breve Apostolicum approbationis obtinendum, "Spicilegium Historicum Congregationis SSmi Redemptoris", 17, 1969, pp. 215-24; G. Sántha, P. Paulinus Chelucci a S. Joseph, Ordinis Scholarum Piarum praepositus generalis XVIII (1681-1754), "Ephemerides Calasanctianae", 38, 1969, pp. 129-40, 163-80, 205-21, 240-52; Id., P. Eduardus Corsini a S. Silvestro Ordinis Scholarum Piarum praepositus generalis XIX (1702-1765), ibid., pp. 312-19; 39, 1970, pp. 25-32, 68-73, 157-61, 191-204, 232-44, 302-17; 40, 1971, pp. 14-25; G. Zaccaria, Lo statuto dell'Arciconfraternita di S. Antonio di Padova a Roma, "Il Santo", n. ser., 10, 1970, pp. 79-142; S.S. Swidzinski, Wie der Pauliner-orden zum Mönchsorden wurde, "Studia Monastica", 13, 1971, pp. 321-29; S. Giner Guerri, El proceso de beatificación de San José de Calasanz, Madrid 1973; A. Sampers, Tre lettere postulatorie per l'approvazione della Congregazione del SS.mo Redentore dei vescovi di Salerno, Nocera de' Pagani e Montemarano, 1748, "Spicilegium Historicum Congregationis SSmi Redemptoris", 21, 1973, pp. 284-91; G. Orlandi, Benedetto XIV, s. Alfonso Maria de Liguori e i redentoristi, ibid., 27, 1979, pp. 279-97; A.M. Erba, Benedetto XIV e i barnabiti (Ricerca storica), Firenze 1980; D.F. Allen, Upholding Tradition: Benedict XIV and the Hospitaller Order of St. John of Jerusalem at Malta, 1740-1758, "The Catholic Historical Review", 80, 1994, pp. 18-35.
Sul versante storico-artistico, nonché su quello urbanistico: A. Lipinsky, Gli arredi sacri di Benedetto XIV per S. Pietro di Bologna, "Fede e Arte", 11, 1963, pp. 186-208; C. Facciolo, Gio. Battista Nolli (1701-1756) e la sua gran "Pianta di Roma" nel 1748, "Studi Romani", 14, 1966, pp. 415-42; J. Harris, Le Glay, Piranesi and International Neo-Classicism in Rome 1740-1750, in Essays in the History of Architecture Presented to Rudolf Wittkower, a cura di D. Fraser-H. Hibbard-M.J. Lewine, I, London 1967, pp. 189-96; R.P. Wunder, A Forgotten French Festival in Rome, "Apollo", 85, 1967, pp. 354-59; C. Faccioli, Di uno scultore estense a Roma alla metà del '700, in Antonio Corradini (1668-1752). Celebrazioni centenarie in onore dello scultore estense [...], Este 1968, pp. 47-68; J.D. Draper, "The Lottery" in Piazza di Montecitorio, "Master Drawings", 7, 1969, pp. 27-34; La raccolta delle stampe di Benedetto XIV Lambertini nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, a cura di A. Emiliani-G.G. Bertelà, Bologna 1970; A. Busiri Vici, Un inedito ritratto marmoreo di Benedetto XIV, "L'Urbe", 38, 1975, nr. 2, pp. 8-9; Id., Due vedute di ville romane dipinte da Claudio Giuseppe Vernet, ibid., nr. 6, pp. 26-8; A. Schiavo, Opere di Pietro Bracci in S. Antonio dei Portoghesi, "Studi Romani", 24, 1976, pp. 521-23; G. Morello, Il Museo "Cristiano" di Benedetto XIV, "Bollettino. Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie", 2, 1981, pp. 53-89; F. Boespflug, Dio nell'arte. "Sollicitudini Nostrae" di Benedetto XIV (1745) e il caso di Crescenzia di Kantbeuren, Casale Monferrato 1986; S. Borsi, Roma di Benedetto XIV. La pianta di Giovan Battista Nolli, 1748, Roma 1993.
Sulla fortuna di B., oltre alle indicazioni fornite in questa voce, cfr. L. von Pastor, pp. 455-62.
Sul filone aneddotico-letterario: R. Giovagnoli, Leggende romane. Papa Lambertini, ivi 1887; F. Cantoni, Lambertiniana, ossia i motti di papa Lambertini, Bologna 1920; T. Valenti, Papa Lambertini umoristico, Roma 1938.
Per le lodi coeve A. Pagano, De nonnullis inscriptionibus ad Benedicti XIV Lambertini laudes celebrandas a doctis Neapolitanis sacerdotibus exaratis, "Palestra Latina", 38, 1968, pp. 1-6.
Per profili rapidamente informativi cfr.: Dictionnaire de théologie catholique, II, Paris 1910, s.v., coll. 706-08; J. Carreyre, Benoît XIV, in D.H.G.E., VIII, coll. 163 ss.; A.C. Jemolo, Benedetto XIV, in Enciclopedia Italiana, VI, Roma 1949, pp. 612 ss.; Lexikon für Theologie und Kirche, II, Freiburg 1994³, s.v., col. 209; Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, I, Milano 1996, s.v., pp. 168-73; M. Rosa, La Santa Sede e gli ebrei nel Settecento, in Storia d'Italia, Annali, 11, Gli ebrei in Italia, Torino 1997, pp. 1069-87.