Berlino
Ich bin ein Berliner
Venti anni dopo la caduta del muro
di Angelo Bolaffi
9 novembre 2009
Nella capitale tedesca decine di capi di Stato e di governo presenziano, insieme a 100.000 persone, alla rievocazione del momento in cui, il 9 novembre 1989, si aprì la prima breccia nel Muro che divideva le due Germanie. Tra gli eventi più significativi dei festeggiamenti, il concerto del maestro Daniel Barenboim, seguito dalla performance di Placido Domingo, e il gigantesco ‘domino’ formato da mille blocchi di polistirolo alti 2,5 m disposti lungo un percorso di 1,5 km, fatti cadere tra musica e fuochi d’artificio per rappresentare l’abbattimento del Muro.
Mito Berlino
In un interessante saggio apparso sulla monografia pubblicata dall’edizione tedesca di Lettre International, in occasione delle celebrazioni a vent’anni dal 9 novembre 1989, un critico d’arte russo, emigrato ai tempi della guerra fredda nell’allora Repubblica federale tedesca che aveva per capitale Bonn, ha sostenuto con nostalgica ironia che «Berlino prima della caduta del Muro era la capitale del mondo mentre dopo la caduta del Muro è diventata la capitale della Germania».
Un’affermazione intelligentemente provocatoria ma profondamente fuorviante. Infatti oggi Berlino rappresenta prima di tutto la nuova mecca planetaria dell’arte, la città che vanta la maggiore produzione artistica mondiale e nella quale i giovani creativi di tutta Europa e del mondo del ‘dopo guerra fredda’ sognano di poter andare a vivere (secondo le stime più recenti oggi sarebbero già oltre 5000). Una grande metropoli della cultura tollerante e cosmopolita destinata in questo secolo di inizio millennio a occupare, grazie alla più spettacolare opera di ricostruzione urbana dell’età moderna, il ruolo che nella prima metà del Novecento fu di Parigi, la città in cui Marc Chagall incontrò liberté et lumière, e che dopo il 1945 fu di New York.
Berlino è l’unica capitale al mondo con ben tre teatri dell’opera, nella quale capita che si esibiscano contemporaneamente Simone Rattle sul podio della Philarmonie e Daniel Barenboim su quello della Staatsoper e dove teatri come la Schaubühne, la Volksbühne o il Berliner Ensemble si fanno una vivace concorrenza, una città il cui profilo è stato ridisegnato dai maggiori architetti viventi e in cui, per la prima volta dal 1939, sono tornati a essere accessibili tutti e cinque i musei sulla Museumsinsel. Qui sorge anche il più grande museo ebraico d’Europa, progettato da Daniel Libeskind, e a pochi passi dalla Porta di Brandeburgo, monumento ai fasti del prussianesimo trionfante, si stende l’angosciante campo di steli del Memoriale della Shoah, opera di Peter Eisenman.
Questa Berlino, impastata di memorie di un passato spesso terribile e tragico ma anche di realizzazioni nel nome di una grande progettualità aperta al futuro, ambisce a rappresentare per tutta l’Europa un modello non solo dal punto di vista culturale ma anche da quello urbanistico e sociale. Per questo è legittimo parlare di un nuovo ‘mito Berlino’ analogo a quello fugace e illusorio dei dorati anni 1920 della Berlino weimariana: un mito che prima la barbarie nazista e poi la tragedia della Seconda guerra mondiale sembravano avere definitivamente consegnato agli archivi della storia. Fa una certa impressione leggere sulla Berlino odierna commenti e osservazioni che ricalcano talvolta alla lettera quelli pieni di ammirato stupore di scrittori e commentatori di quasi un secolo fa. Agli occhi di Georg Simmel, lo studioso che insieme a Walter Benjamin ha scritto le pagine più acute su Berlino, questa rappresentava il prototipo della «bellezza nervosa della metropoli». Al punto che l’endiadi Berlino-metropoli è diventata nella letteratura sociologica e urbanistica successiva una sorta di luogo comune di cui talvolta si è persino abusato.
Anche negli anni 1920, come oggi, si volle vedere il fascino di Berlino nella sua condizione di assoluta precarietà, di città in perenne movimento e in continua trasformazione: «Berlino è condannata sempre soltanto a diventare, mai a essere», ha annotato Karl Scheffler. Un giudizio che solo qualche anno dopo tornò a ribadire Bertolt Brecht: «C’è un motivo per cui si può preferire Berlino ad altre città (…) perché cambia continuamente. Quello che oggi è negativo può domani essere migliorato».
Insomma come negare che ciò che è accaduto dopo il 9 novembre 1989, quando un muro che sembrava destinato a durare in eterno crollò nel volgere di qualche ora trascinando con sé l’intero equilibrio geopolitico nato dalla pace di Yalta, debba essere letto come l’ennesima conferma della diagnosi secondo la quale Berlino è l’unica capitale al mondo mai solamente ‘stata’ ma anche sempre ‘post’? Mai completamente ‘diventata’ perché sempre in divenire? Insomma l’opposto di una urbs aeterna? «Il significato di Berlino nella storia – ha scritto nel 1929 Ernst Kaeber – lo può comprendere solo chi concepisce l’essenza dell’accadere storico non nella stabilità ma nella turbolenza, non nell’identità ma nel mutamento»: inevitabilmente, dunque, capitale inachevée, secondo la formulazione usata dal quotidiano francese Le Monde. Eppure le apparenze ingannano.
Certo Berlino oggi è anche una città assolutamente eccentrica rispetto non solo all’Europa ma alla stessa Germania, il cui fascino sprigiona dall’essere attraversata, anzi innervata, da tensioni e contraddizioni culturali e sociali «una vera Babele moderna» come ebbe a notare Corrado Alvaro dopo il suo soggiorno berlinese tra il 1928 e il 1929. Da sempre luogo di libertinaggio dei costumi e di libertà del pensiero. E tuttavia sarebbe profondamente errato credere che per capire la Berlino di oggi, vent’anni dopo la caduta del Muro, basti far scorrere di nuovo le immagini di quel classico dell’espressionismo cinematografico che porta il titolo programmatico di Berlin: die Sinfonie der Großstadt, di Walter Ruttmann.
La Berlino di oggi, «città sexy ma povera» come l’ha definita il suo attuale sindaco Klaus Wowereit, è, nonostante le ingannevoli apparenze e le seducenti analogie, una realtà agli antipodi di quella celebrata nel secolo scorso. E non solo per il motivo tanto semplice quanto ovvio che da allora ne è passata tanta di storia (e quale storia!), ma anche perché la Berlino odierna, la città che attrae e affascina le generazioni nate alla fine o addirittura dopo la fine della guerra fredda, di quella storia porta i segni, non solo sul piano urbanistico. La Berlino di cui parliamo è una città del dopo Novecento, non solo in senso puramente cronologico. Per capire e amare la Berlino di oggi occorre avere criticamente archiviato cultura e politica del 20° secolo, avere fatto i conti con il passato, con le sue tragedie e le sue illusioni.
La ricostruzione della Berlino post-1989 presuppone, per così dire, la decostruzione delle ideologie totalitarie della prima metà del 20° secolo, il cui scontro si era alla fine letteralmente pietrificato nel Muro di Berlino. Da questo punto di vista dobbiamo prendere atto che la grande rinascita del Mitte d’Europa e del suo cuore berlinese ha un significato molto diverso rispetto a quanto accadde dopo il 1870 e la Reichsgründung di Otto von Bismarck. Anzi, questa rinascita è il prodotto della fine di quella storia: «La decisione a favore di Berlino – ha commentato Wolf J. Siedler, forse l’ultimo dei grandi testimoni delle vicende tedesche del secolo scorso – si giustifica solo con un nuovo concetto di Europa oppure non ha senso […]. In effetti non tornerà mai a essere il centro della Germania e quelle illusioni che per un breve momento Berlino ha coltivato non giustificano alcun trasloco. Quella che conta è la prospettiva europea e non quella tedesca».
Berlino è sicuramente oggi la capitale spirituale d’Europa, ma non nel senso che affascinò gli artisti, capeggiati da Tommaso Marinetti, che non a caso la scelsero come ribalta per la terza uscita europea, dopo Parigi e Londra, della mostra del Futurismo, organizzata nell’aprile 1912 dalla galleria ‘Der Sturm’ di Herwarth Walden, allora marito della poetessa Else Lasker-Schüler. Lo spiritus loci di quella Berlino era quello del ‘modernismo reazionario’ nel segno del binomio velocità-guerra nel quale, per quanto possa oggi suonare paradossale, si riconoscevano sia l’ideologia del fascismo sia quella del comunismo e quanti credettero o sperarono, illudendosi, che quella della rivoluzione e dell’ipermodernismo fosse l’unica via per sovvertire l’ordine dello stato di cose esistente. Oggi, all’opposto, Berlino è diventata la capitale di quella che Ulrich Beck definisce la ‘seconda modernità’, quella modernità riflessiva che, pur senza cedere a ingannevoli illusioni passatiste, considera con sobrio e disincantato scetticismo sia le magnifiche sorti e i progressi della tecnica sia i miti dell’individualismo possessivo e del narcisismo edonistico postmoderno.
Quello che colpisce e affascina chi arriva a Berlino oggi è la percezione di una città nel segno del ‘tempo ritrovato’, una metropoli che potremmo definire slow: ottimamente organizzata da un punto di vista funzionale («la città meglio amministrata al mondo» si è scritto, forse esagerando) e per questo facilissima da vivere, ma nella quale la ricerca del lusso ha lasciato il passo a un nuovo equilibrio negli stili di vita e a nuove priorità nel modello dei consumi. È la vittoria postuma della critica del neocapitalismo di matrice francofortese ma senza estremismi ideologici: sull’entrata del ristorante più cool di Berlino campeggia la scritta capitalism kills love. Berlino, la città testimone della fine dell’ideologia del socialismo reale, ci appare oggi, ennesimo paradosso della sua storia: il luogo in cui forse è rinata la pratica di un socialismo light. La città che ha assistito entusiasta, verrebbe da dire, alla liquidazione del socialismo reale nella segreta speranza di salvare l’ideale del socialismo, grazie al quale coniugare tutela dei bisogni collettivi e difesa delle libertà individuali, spesa pubblica a sostegno del welfare ma anche grandi sussidi per promuovere la produzione artistico-culturale. Da sola Berlino assorbe oggi oltre il 58% di quanto lo Stato tedesco investe complessivamente a favore della cultura.
La capitale della nuova Germania
Dunque Berlino. Ma non certo per la sua ‘bellezza’: da questo punto di vista, infatti, quella tedesca occupa sicuramente uno degli ultimi posti di una ideale classifica delle capitali europee. La storia, al contrario di quanto è capitato a Roma o Parigi, Madrid o Praga, ha lavorato almeno dal punto di vista estetico contro Berlino. Semmai il fascino di questa città consiste in quello che potremmo chiamare il suo magnetismo spirituale. Berlino è un luogo dell’anima, tornato a vivere alla fine di una eroica resistenza contro tutto e tutti: la storia e la geografia, gli orrori del nazismo, mezzo secolo di guerra fredda e l’ottusa crudeltà del socialismo prussiano. Sia pure, come abbiamo detto, in un senso completamente diverso di come lo era stata negli anni dell’età di Weimar.
Il giorno che segnò veramente il ritorno della storia a Berlino, è bene ricordarlo, non coincide con quello di portata storico-universale che segnò la fine della guerra fredda; anche se, ovviamente, tra le due date esiste un nesso inscindibile. Il Muro di Berlino (la cui costruzione era iniziata il 13 agosto 1961 e che, ampliato a più riprese, arrivò a raggiungere la lunghezza complessiva di 155 km, di cui 111,9 dividevano Berlino Ovest dalla Repubblica democratica tedesca e 43,1 le due parti della città) cadde, infatti, il 9 novembre 1989, mentre la decisione di eleggere Berlino a capitale della Germania riunificata venne presa quasi due anni dopo. Si trattò di una scelta difficile e molto sofferta, presa dal Parlamento tedesco con pochi voti di maggioranza (18 su 660) alla fine di un drammatico dibattito che lacerò partiti e opinione pubblica non solo in Europa ma in primo luogo nella stessa Germania. Determinante a favore di Berlino fu l’appassionato e lungimirante intervento di colui che ne era stato il borgomastro più amato: Willy Brandt ebbe il coraggio di schierarsi contro la maggioranza del suo partito, l’SPD. Lo stesso coraggio fu dimostrato anche da parte di altri grandi leader della politica tedesca. Agli argomenti dei fautori del trasferimento della capitale da Bonn a Berlino, di natura storica, morale e geopolitica, gli oppositori furono capaci solo di contrapporre la brutale ragione economica di un calcolemus dei costi (indubbiamente stratosferici) che il trasferimento avrebbe comportato. Quella contro Berlino capitale fu l’ultima battaglia condotta (e perduta) da quanti in precedenza si erano opposti alla riunificazione del paese avvenuta un anno prima.
Il 26 giugno 1991, dunque, iniziò, tra mille dubbi e paure dell’opinione pubblica europea, e molti ‘mal di pancia’ di quella tedesca, il più grande trasloco della storia della Germania. Oggi, a vent’anni di distanza, possiamo dire che quella operazione è riuscita, e non soltanto dal punto di vista urbanistico-organizzativo, grazie a una metamorfosi architettonica e demografica che riempie di interesse e stupore i milioni di visitatori che affollano le strade della capitale tedesca, ma soprattutto dal punto di vista politico: Berlino è diventata una sorta di centro di gravità attorno al quale si è andata ricostruendo l’identità spirituale della nuova Germania a cui, dalla maggior parte dell’opinione pubblica tedesca, viene oggi riconosciuto il ruolo di indiscusso centro politico del paese. Ancora dieci anni or sono, alla fine degli anni 1990, la maggioranza della popolazione era di tutt’altro parere ed era molto diffuso il dubbio se quella di scegliere Berlino come sede definitiva del governo fosse stata davvero una scelta opportuna. Solo la popolazione delle ex regioni dell’Est giudicò, per ovvi motivi identitari, tale decisione come corretta, mentre nei Länder dell’Ovest molti restavano fortemente scettici, gli stessi che oggi non riescono neppure lontanamente a immaginare che possa esistere una credibile alternativa a Berlino.
Durante quest’ultimo decennio, dunque, Berlino è diventata davvero la capitale riconosciuta di tutti i Tedeschi, un’affascinante metropoli dalla forte capacità di attrazione per i giovani e gli artisti provenienti da mezzo mondo. E questo per una semplice quanto evidente ragione oggettiva: in nessun’altra grande capitale si sono resi disponibili vastissimi spazi inutilizzati nel cuore stesso della città (Potsdamer Platz è diventata famosa in tutto il mondo) come è accaduto a Berlino, il cui centro storico era rimasto congelato per mezzo secolo esattamente nello stato in cui si trovava dopo le distruzioni della Seconda guerra mondiale. A prezzi accessibilissimi, se non addirittura irrisori se comparati con quelli del resto della stessa Germania, per non parlare dell’Europa, sono diventate disponibili aree inutilizzate e interi quartieri in condizioni di totale degrado. Un vero e proprio eldorado urbano per architetti, urbanisti, giovani artisti e creativi provenienti da ogni parte del mondo (moltissimi gli italiani) che hanno valorizzato realtà critiche potenziandone gli elementi dinamici. Dove imprenditori alla ricerca del profitto economico non avevano avuto il coraggio di investire subito dopo la caduta del Muro, spiriti giovani e indipendenti hanno investito nel loro futuro. In particolare gli artisti hanno funzionato da veri e propri apripista, anche grazie al sostegno offertogli da un programma mirato dell’amministrazione della città, che ha messo gratuitamente a disposizione oltre 700 atelier proprio per consentire la realizzazione di mostre e manifestazioni ‘performative’.
In anni ancora recenti, dopo la riunificazione tedesca, e successivamente alla decisione di trasferire la capitale da Bonn a Berlino, emersero forti preoccupazioni in ampi settori dell’opinione pubblica dentro e fuori la Germania sul fatto che la Berliner Republik potesse cadere preda di una rinnovata volontà di potenza. Oggi è possibile constatare che quei timori si sono dimostrati infondati. La costituzione mentale di questa Repubblica riflette invece la realtà della sua capitale, caratterizzata, come qualcuno ha detto, da una tranquilla «consapevolezza di sé senza hybris». Berlino capitale di un paese che davvero ha fatto i conti con il passato. «Io credo» ha affermato l’architetto inglese David Chipperfield in occasione della riapertura del Neues Museum, di cui ha curato la ristrutturazione, «che la Germania abbia attualmente raggiunto il più elevato livello culturale quando si tratta di riflettere su sé stessa. Ma sappiamo anche da dove ciò proviene: dalla guerra e dalla necessità di riflettere criticamente su tutte le ombre buie a essa collegate. Sebbene la Germania sia oggi oltre questa linea d’ombra, il paese ha conservato la capacità di rimettere continuamente in discussione le cose. Da questo fatto altri paesi potrebbero trarre insegnamento».
Del resto, che il ritorno simbolico di un edificio come il Reichstag al centro della vita politica di Berlino, nuovamente capitale della Germania riunificata, nulla avesse a che fare con quanto accaduto in passato divenne chiaro nell’estate del 1995 allorché, proprio alla vigilia dell’inizio dei lavori di ristrutturazione secondo il progetto di Norman Forster, l’edificio scomparve dietro i teli di Christo e di sua moglie Jeanne-Claude: questo evento, come ebbe a notare il quotidiano spagnolo El País, rappresentò da un punto di vista simbolico la conferma più clamorosa dell’avvenuta resa dei conti con il proprio passato storico e politico da parte della nuova Germania: la conferma che quella con capitale Berlino «non è più una Germania che si aggira per il mondo sempre a denti stretti».
Città dei giovani
Attualmente il numero degli abitanti di Berlino, che da sola ne ha quanti Francoforte, Colonia, Stoccarda e Monaco messe insieme, è di pochissimo superiore a quello di quando la città era divisa: quasi 3,5 milioni (Amburgo, che è la seconda città tedesca per abitanti, ne conta 1.780.000). E la tendenza è a una costante crescita. Ma l’elemento forse ancora più rilevante è che rispetto a vent’anni fa è radicalmente cambiata la composizione demografica: in questi due decenni, infatti, ben 1,5 milioni di berlinesi, per lo più anziani e pensionati, hanno lasciato la città. Al loro posto sono arrivati stilisti, galleristi, pubblicitari, designer, artisti ed esponenti delle nuove professioni e dei settori di ricerca d’avanguardia. Uniti tutti da un elemento: la giovane età. Lo conferma la riduzione del numero delle famiglie tradizionali pur in presenza di un vero e proprio baby boom e questo non solo, come avviene generalmente, nei quartieri popolati da immigrati, ma anche in quelli chic abitati dai ‘nuovi giovani ricchi’, che hanno letteralmente ‘gentrificato’ zone come Kreuzberg, Mitte e Prenzlauerberg. Berlino è così diventata la capitale dei single con figli (un nucleo familiare su tre ricade sulle spalle di una donna che vive da sola).
La città richiama in modo particolare donne tra i 20 e i 35 anni (questo segmento negli ultimi 10 anni è cresciuto rispetto al complesso della popolazione del 16,5% mentre la componente maschile è cresciuta solo dell’11%). Una spiegazione di questo trend va sicuramente individuata nell’abbondanza di buone infrastrutture per donne sole con figli. Come in nessuna città tedesca (e tanto meno europea) a Berlino è densissima l’offerta di quei tre servizi che consentono alle donne di tenere insieme lavoro e figli: asili, reti d’assistenza di quartiere e luoghi di socializzazione, come i caffè o gli spazi culturali. Certo, a Monaco di Baviera, che ha un reddito medio quasi doppio rispetto a quello di Berlino (ma dove anche la struttura sociale è mediamente più omogenea), anche la crescita della componente compresa tra i 20 e i 35 anni è quasi doppia rispetto a Berlino, ma il trend sta cambiando e la distanza tra le due città, una, Monaco, da sempre ricchissima al centro del sun belt industriale tedesco e l’altra, Berlino, cronicamente deficitaria e indebitata, si sta rapidamente colmando. Secondo gli ultimi rilevamenti statistici l’occupazione a Berlino sta crescendo molto meglio che altrove.
La capitale tedesca, dunque, attrae molti giovani che, dopo un periodo di formazione, restano perché trovano lavoro e inoltre, a partire dal 2005, ha conosciuto un tasso di crescita economica mediamente più elevato rispetto a quello di tutte le altre grandi città tedesche. Proprio perché il suo reddito non dipende strutturalmente da industrie legate all’export o all’attività di grandi imprese multinazionali, Berlino ha superato la recente crisi economico-finanziaria mondiale molto più brillantemente degli altri Länder tedeschi. Certo non tornerà mai più a essere la maggiore città industriale della Germania, ma non è detto che questo sia necessariamente un male, visto che l’industria tradizionale non è più competitiva a livello globale. La crescita economica è piuttosto legata alla ricerca, al turismo e al settore creativo: dunque il futuro di Berlino sta nella combinazione di centri di eccellenza universitari, nella ricerca legata all’industria farmaceutica (secondo il direttore di una multinazionale farmaceutica la città tedesca ha preso il posto di Londra) e nelle attività nel settore dell’editoria e dei servizi.
A Berlino trovano lavoro ingegneri e specialisti di computer, consiglieri d’impresa e analisti economici, collaboratori di agenzie pubblicitarie e aziende legate alla comunicazione. Ma a tirare è soprattutto quello che viene chiamato il settore creativo, formato da un mix di ricerca avanzata e creatività artistica. Emblematico di questa nuova alleanza di economia e arte, la cosiddetta Kreativwirtschaft, è l’incarico ottenuto da una piccola società berlinese formata da 120 collaboratori dalle più disparate competenze: studiosi di letteratura e matematici, architetti e sociologi, artisti ed esperti di marketing e generici ‘tuttologi’. Questa società, la Triad Berlin, ha sconfitto la concorrenza di mezzo mondo, compresa quella di un colosso chiamato Walt Disney, ottenendo l’incarico di realizzare per l’Expo di Shangai un progetto di urban planet, vero e proprio modello di Ökotopia nel segno di una ritrovata sintonia tra Zivilisation e Natur.
Sostenibilità e multietnicità
In conclusione, anche se continua a essere una città fortemente indebitata e bisognosa di assistenza da parte dello Stato centrale (solo nel 2010 entreranno nelle casse comunali 3,9 miliardi di euro provenienti dal fondo di riequilibrio finanziario dei Länder, ai quali si andranno ad aggiungere 1,6 miliardi provenienti dal fondo di solidarietà per le regioni dell’Est), Berlino si è ormai avviata a saltare la linea d’ombra del passato per diventare anche sul piano economico e produttivo un fondamentale punto di riferimento per la Germania e per tutta l’Europa. Questo sviluppo economico ha avuto delle conseguenze anche sulle trasformazioni urbanistiche e sulla stratificazione demografica. Un tempo, infatti, i lavoratori più qualificati e meglio retribuiti dell’industria tradizionale tendevano a lasciare il centro della città e a trasferirsi in zone residenziali lontane. Oggi questo trend si è rovesciato: vive in periferia solo chi è molto ricco o molto povero. I lavoratori dei nuovi settori dell’economia creativa sono particolarmente attenti ai valori della compatibilità ambientale, delle tradizioni culturali e delle possibilità di socializzazione e per questo tendono a ripopolare e a riqualificare i quartieri storici e quelli una volta abitati dalla classe operaia tradizionale. Tale rinascita della città può funzionare da antidoto rispetto ai processi di ghettizzazione e rappresentare quello che gli studiosi chiamano ‘vantaggio creativo’, prodotto dalla ibridazione sociale e culturale. In questo senso è davvero paradigmatico il caso di un quartiere come quello di Kreuzberg (la ‘città turca’ più grande al di fuori della Turchia), in cui si è prodotto un circuito virtuoso tra presenza di immigrati e subculture alternative di artisti e studenti.
L’obiettivo dichiarato in un documento strategico pubblicato dall’amministrazione della città è proprio quello di fare di Berlino non solo una città modello per l’epoca della sostenibilità, ma addirittura la capitale europea delle produzioni innovative orientate al futuro dell’economia ecologicamente consapevole; la capitale è una delle città tedesche con il più basso numero di automobili pro capite: 300 ogni 1000 abitanti, mentre Monaco e Stoccarda ne hanno tra 600 e 700 e Roma 699, cui vanno aggiunti moto e motorini. Gli spostamenti in bicicletta coprono il 15% del volume del traffico totale, arrivando al 25% nei quartieri centrali.
Con un tasso di presenza di immigrati mediamente del 15% e in certi quartieri anche superiore al 30%, Berlino è anche una città che sta cercando di andare oltre il semplice multiculturalismo della tolleranza reciproca tra ghetti giustapposti, in nome di un riconoscimento attivo in cui individui con differenti origini culturali, geografiche e religiose non si limitino a convivere pacificamente ma cerchino di integrarsi e arricchirsi a vicenda mediante il confronto politico e culturale: una città già sociale che cerca di diventare anche città solidale.
Questa metamorfosi di Berlino in metropoli della cultura è la conferma più clamorosa di quella che potremmo chiamare inversione centripeta in direzione Berlino, che ha direttamente a che fare con le fratture storiche che la città ha conosciuto durante il Novecento. Conferme di questo mutamento sono certamente la decisione della casa editrice Suhrkamp, la cui attività aveva accompagnato la rinascita culturale e la formazione della coscienza critica della Germania occidentale nel secondo dopoguerra, di trasferire la sua sede da Francoforte a Berlino. E la scelta della costruzione dell’ultimo museo berlinese, quello della ‘topografia del terrore’, soprattutto in considerazione del luogo in cui esso sorge: la stessa area era stata usata durante il nazismo dalla Gestapo che vi aveva stabilito il suo comando e le camere di tortura. Lì, dopo la guerra infatti, passò, assolutamente per caso, anche il confine tra le due Berlino e fu poi costruito il Muro. La storia ama evidentemente tornare come fanno gli assassini sul luogo del proprio delitto.
Dal Medioevo alla caduta del Muro
Due borghi sulla Sprea
La campagna di riconquista dei vasti territori della pianura compresa tra l’Elba e l’Oder, abbandonati dai Germani all’epoca delle invasioni barbariche e occupati da popolazioni slave nei primi secoli del Medioevo, fu avviata dagli imperatori della casa di Sassonia, i quali sottomisero le popolazioni slave, vi fondarono città e promossero la cristianizzazione e la germanizzazione del paese. Con la presa nell’inverno 927-28 da parte dell’imperatore Enrico I del sito fortificato slavo di Brennabor, su cui fu costruita la città di Brandeburgo, eretta a sede di vescovado nel 948, il processo di germanizzazione giunse a toccare il territorio posto alla confluenza dei fiumi Sprea e Havel su cui sarebbe sorta la città di Berlino. La lotta contro gli slavi proseguì con alterne vicende fino alla prima metà del 12° secolo, quando l’imperatore Lotario conferì la Marca settentrionale ad Alberto l’Orso, della famiglia degli Ascani, il quale riusì a sconfiggere definitivamente gli Slavi e fu il primo a ottenere il titolo di margravio del Brandeburgo, dal nome della città in cui aveva stabilito la residenza. Alberto assicurò ai suoi successori un paese vasto e pronto per la colonizzazione e il Brandeburgo, grazie all’immigrazione di molti coloni tedeschi, attraversò un periodo di notevole fioritura economica. In questo contesto si situa l’origine di Berlino.
La città sorse da due centri abitati preesistenti, il più antico dei quali, Cölln, era situato sull’isola formata dai due bracci della Sprea; il secondo, denominato Berlino (nome di incerta etimologia), fu fatto edificare da Giovanni I e Ottone III degli Ascani sulla riva destra del fiume. La data ufficiale di fondazione della futura capitale viene fatta risalire al 1237, anno in cui Cölln è menzionata per la prima volta, ma ritrovamenti archeologici suggeriscono di anticipare la data di almeno mezzo secolo. Nel 1307 le due città, pur mantenendosi autonome sul piano amministrativo, decisero di unirsi per difendere e allargare i propri diritti contro le pretese dei margravi del Brandeburgo, soprattutto dopo che l’estinzione della casa degli Ascani, nel 1320, aprì la lotta per il controllo del paese. Ancora insieme e sempre per tutelare la propria autonomia e le proprie attività commerciali, Berlino e Cölln aderirono nel 1361 alla Lega anseatica guidata di Lubecca.
All’alba del 15° secolo Berlino-Cölln contava circa 8500 abitanti. Risale a quell’epoca anche la stabilizzazione politica della regione, con il passaggio del Brandeburgo sotto il dominio degli Hohenzollern, che sarebbe durato ininterrottamente per i successivi cinque secoli. Nel 1415 il re Sigismondo di Germania elevò Federico VI di Hohenzollern al rango di elettore (Kurfürst) del Sacro Romano Impero e margravio di Brandeburgo con il nome di Federico I. La volontà di espansione degli Hohenzollern era destinata a scontrarsi con lo spirito di autonomia dei cittadini di Berlino-Cölln. Quando nel 1443 Federico II ‘dente di ferro’, dopo aver sciolto l’amministrazione cittadina, iniziò la costruzione sull’isola della Sprea del castello destinato a sua residenza, i Berlinesi si ribellarono. Domata la rivolta, nel 1486 il palazzo di Cölln diventò la sede ufficiale degli elettori del Brandeburgo: i Berlinesi perdevano le libertà comunali e i privilegi economici, ma Berlino-Cölln si trasformava da modesta città commerciale in autorevole centro amministrativo, politico e militare. All’inizio del 1500 la sua popolazione era salita a 12.000 abitanti.
Nascita di una capitale
Nel 1539 l’elettore Gioacchino II, convertitosi al luteranesimo, introdusse la Riforma nel Brandeburgo. Sugli equilibri demografici della capitale brandeburghese ebbe gravi ripercussioni la partecipazione degli Hohenzollern alla guerra dei Trent’anni (1618-48). Nel 1640 gli Svedesi saccheggiarono e incendiarono la città, colpendo una popolazione già fiaccata da un’epidemia di peste esplosa dieci anni prima: alla fine della guerra la popolazione risultava dimezzata. La rinascita avvenne nel segno del grande elettore Federico Guglielmo (1640-88). Su suo impulso, le due città furono trasformate in un’unica grande fortezza entro una vastissima cinta fortificata inglobante due nuovi quartieri: il Friedrichswerder e la Dorotheenstadt, servita da spaziose arterie, tra cui la famosa Unter den Linden.
Nel 1670 veniva riconosciuta ufficialmente la comunità ebraica, che si sarebbe notevolmente accresciuta nel corso del 18° secolo, e nel 1685, con l’editto di Potsdam, il grande elettore favorì l’afflusso in città di migliaia di ugonotti francesi costretti a lasciare la Francia dopo la revoca dell’editto di Nantes. Anche grazie all’apporto dei nuovi immigrati non soltanto la popolazione tornò a crescere, ma si intensificarono in maniera significativa le attività economiche e commerciali. La città prese a estendersi anche fuori delle mura e l’affermazione del suo prestigio politico e militare andò di pari passo con la forza crescente della Marca di Brandeburgo nella regione. Nel 1701 l’elettore Federico III si incoronò con il titolo di re Federico I in Prussia. Si chiuse così sostanzialmente la storia vera e propria del Brandeburgo ed ebbe inizio la storia del Regno di Prussia, nella cui politica interna comunque l’antica marca godé sempre di una posizione particolare come terra d’origine della dinastia.
Al centro del regno di Prussia
Nel 1709 re Federico I rinnovò l’amministrazione della città, decretando l’unificazione definitiva dei vari distretti in cui si era sviluppata negli ultimi decenni, facendo di Berlino, la cui popolazione superava ormai ampiamente i 50.000 abitanti, la capitale e la residenza reale del Regno di Prussia. Alla fine del 17° secolo risale la costruzione del palazzo destinato da Federico a residenza della moglie Sofia Carlotta, a cui alla morte della regina, nel 1705, fu attribuito il nome di Charlottenburg. Sofia Carlotta impresse grande impulso alla vita artistica e culturale della città, promuovendo fra l’altro nel 1696 l’istituzione dell’Accademia di Belle Arti. Nel 1700, su consiglio del filosofo e scienziato Gottfried Wilhelm Leibniz, fu fondata l’Accademia prussiana delle Scienze, di cui lo stesso Leibniz fu presidente a vita.
Con il progressivo espandersi della città, nel 1737 fu abbattuta la cinta muraria eretta nel secolo precedente, sostituita da un alto muro daziario che racchiudeva un’area di urbanizzazione assai più ampia, rimasta poi sostanzialmente intatta fino alla metà circa del secolo successivo. Negli stessi anni la città si dotò di imponenti opere di urbanizzazione, specie lungo l’asse dell’Unter den Linden.
Ma fu soprattutto durante il regno di Federico II il Grande, salito al trono nel 1740, che Berlino assunse l’aspetto di grande capitale europea, arricchendosi di edifici che ancora oggi caratterizzano la città, dal Palazzo dell’Opera (Staatsoper), commissionato da Federico come prima parte del Forum Fridericianum, alla cattedrale di santa Edvige (Sankt Hedwigs-Kathedrale), la prima chiesa cattolica edificata, su modello del Pantheon romano, dopo l’introduzione della Riforma a Berlino, al Palazzo del principe Enrico (Prinz Heinrich-Palais), tra i più eleganti dell’Unter den Linden. Protettore di artisti, filosofi, letterati, cultore egli stesso di filosofia e di musica, Federico elesse a sede dove coltivare i suoi interessi la residenza estiva di Sanssouci, nella cittadina di Potsdam, prossima a Berlino ma lontana dalla pompa e dall’ufficialità di corte. Costruito tra il 1745 e il 1747 su disegni architettonici e decorativi ispirati dallo stesso Federico, il palazzo di Sanssoucci ospitò, tra gli altri, il filosofo Voltaire, che si trattenne alla corte prussiana nel triennio 1750-53.
Federico il Grande fu anche il primo a promuovere a Berlino attività di tipo industriale, con particolare riguardo alle industrie della seta e della porcellana (risale al 1763 la fondazione della Königliche Porzellanmanufaktur). Nel 1791, a pochi anni dalla sua morte, fu aperto al pubblico al limite occidentale dell’Unter den Linden il monumento-simbolo più evocativo della città, la Porta di Brandeburgo, coronata nel 1793 dalla celebre quadriga opera dello scultore Johann Gottfried Schadow.
Tra la fine del 18° e l’inizio del 19° secolo Berlino con i suoi vivaci cenacoli romantici fu il centro principale del rinnovamento letterario e spirituale tedesco. All’inizio del nuovo secolo la popolazione berlinese aveva raggiunto i 170.000 abitanti e la città continuava a espandersi. Nell’ottobre 1805, in occasione della visita a Berlino dello zar di Russia Alessandro I, alleato dei Prussiani contro Napoleone, la vasta area a ridosso della cinta muraria adibita a mercato del bestiame e piazza d’armi prese il nome di Alexanderplatz. Un anno dopo, il 27 ottobre 1806, le truppe francesi di Napoleone, dopo aver battuto a Jena gli eserciti della quarta coalizione, entravano in città attraverso la Porta di Brandeburgo; vi sarebbero rimaste fino al dicembre 1808.
Al termine dell’occupazione, il 1° aprile 1809, le riforme promosse nel Regno di Prussia dal barone von Stein restituirono a Berlino l’autonomia amministrativa, basata sull’istituto del magistrato eletto dai delegati dei cittadini. Nel 1810 Federico Guglielmo III destinò il Prinz Heinrich-Palais a sede dell’Università. Fondata dal filosofo e uomo di stato Wilhelm von Humboldt, ispirata dalle idee di riforma del filosofo Johann Gottlieb Fichte e del teologo e filosofo Friedrich Schleiermacher, l’Università di Berlino (dal 1828 Freidrich-Wilhelms-Universität, poi, dal 1949, Humboldt-Universität) fu illustrata nel 19° secolo dall’insegnamento di grandi maestri, dal filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel, al giurista e fondatore della scuola storica del diritto Friedrich Karl von Savigny, al filologo e storico di Roma antica Theodor Mommsen. Fulcro ideale della rinnovata cultura tedesca, l’ateneo divenne attivo promotore del movimento liberale di rinascita nazionale.
Nel 1830, per opera dell’architetto Karl Friedrich Schinkel, fu eretto sull’isola della Sprea l’Altes Museum, il primo edificio espressamente disegnato per ospitare collezioni artistiche. Nel 1844 si inaugurò il Giardino zoologico, il primo in Germania e fino al 1900 il più grande del mondo, posto sul lato meridionale del Tiergarten, il parco reale che si estendeva oltre la Porta di Brandeburgo. Due anni dopo, quasi un equivalente popolare del Tiergarten, fu aperto al pubblico nella densamente popolata parte orientale della città, sul luogo di una vecchia vigna, il parco di Friedrichshain, area ricreativa destinata a tutte le classi sociali.
Berlino si pose all’avanguardia anche del processo di industrializzazione del Regno di Prussia. Risale al 1837, con l’apertura delle fabbriche Borsig, la fondazione dell’industria pesante e nel 1847 nacque con la Siemens l’industria elettrica. Nel 1838 la prima linea ferroviaria del regno collegò Berlino a Potsdam. La città diventò un polo d’attrazione e dalle vicine zone rurali un flusso ininterrotto di nuovi residenti, spinti soprattutto dalle opportunità di lavoro offerte dall’industria nascente, fece lievitare in pochi anni il numero degli abitanti a quasi mezzo milione. La mutata composizione sociale della popolazione, con la formazione dei primi nuclei di classe operaia, non solo comportò l’aumento della spesa sociale da parte del Comune, ma fece da detonatore al movimento insurrezionale democratico-borghese che, preparato dalle aspirazioni liberali e nazionali del ceto intellettuale, culminò nelle giornate del marzo 1848. Dopo un successo iniziale, nel novembre 1848 l’insurrezione fu repressa dall’esercito prussiano, che impose a Berlino lo stato d’assedio fino al luglio dell’anno successivo; molti dei caduti tra i rivoluzionari furono sepolti nel Friedhof der Märzgefallenen, nel parco di Friedrichshain. Sui riflessi dei moti del marzo, Federico Guglielmo IV acconsentì comunque a giurare fedeltà alla Costituzione del 31 gennaio 1850, che sarebbe rimasta in vigore fino al 1918.
Lo sviluppo economico della città era favorito da imponenti lavori di canalizzazione, iniziati nella seconda metà del 18° secolo con la costruzione del Müllroserkanal e proseguiti nel 1848 con quella del Landwehrkanal e in seguito del Luisenstädt Kanal e dello Spandauer Schiffkanal. Con la continua crescita dell’importanza commerciale della Sprea, a mano a mano che nuovi sobborghi venivano incorporati nell’area urbana, l’incremento delle opere di canalizzazione fece sì che molte zone potessero usufruire dei vantaggi del traffico fluviale. Per venire incontro alle esigenze di appovvigionamento idrico di una popolazione in rapida crescita, nel 1856 entrò in esercizio il primo acquedotto. L’imponente incremento della popolazione ebbe conseguenze non indifferenti anche sull’ordinamento edilizio di Berlino, nel cui tessuto urbano fecero la loro apparizione complessi costituiti da grandi edifici di abitazione, realizzati intorno a un cortile abbastanza ampio da permettere le manovre di una pompa antincendio. Simbolo monumentale dell’importanza raggiunta dal Comune di Berlino fu la nuova sede municipale, inaugurata nel 1869 e ancora oggi in funzione, denominata Rotes Rathaus dai mattoni rossi con cui fu costruita.
Capitale dell’Impero
All’indomani della guerra franco-prussiana (1870-71) giungeva a compimento il processo di unificazione tedesca, realizzato dall’alto dal cancelliere Otto von Bismarck. Con l’incoronazione di Guglielmo I a imperatore di Germania (18 gennaio 1871) nacque il Secondo Reich e Berlino da capitale del Regno prussiano diventò capitale dell’Impero. Il nuovo status politico, unitamente allo sviluppo industriale ed economico dei decenni precedenti, fecero di Berlino un polo d’attrazione per tutta la Germania. Nei sette anni che vanno dal 1871 al 1877 la popolazione passò da 800.000 a oltre un milione di abitanti, che sarebbero diventati il doppio nel 1900, quando, insieme con i sobborghi, toccò i 2,5 milioni.
Il Parlamento trovò provvisoriamente sede presso l’ex sede della Manifattura reale di porcellane, prima della sistemazione definitiva nel nuovo palazzo del Reichstag, inaugurato ufficialmente, dopo dieci anni di lavori, nel 1894. In quello stesso anno presero il via i lavori per uno dei maggiori monumenti dell’età guglielmina: il Berliner Dom, disegnato in stile neobarocco dall’architetto Julius Raschdorff e completato nel 1905. All’Ovest della città sorgeva intanto una nuova zona, caratterizzata da abitazioni di lusso e prestigiosi edifici, sorti lungo l’asse di un grandioso viale, il Kurfürstendamm, ispirato al modello dei parigini Champs-Elyseés. Nel ‘nuovo Ovest’, in un edificio appositamente disegnato dall’architetto Emil Schaudt, avrebbero di lì a poco aperto i battenti i primi grandi magazzini della capitale, KaDeWe (Kaufhaus des Westens). Cominciava intanto l’elettrificazione della città con l’inaugurazione, all’esposizione industriale del 1879, della prima linea tranviaria elettrica realizzata dalla ditta Siemens & Halske. Nel 1883 fu fondata la società elettrica AEG (Allgemeine Elektrizitäts-Gesellschaft), che sarebbe diventata presto la più importante fonte di occupazione per i Berlinesi. Nel 1902 entrò in funzione la prima linea metropolitana, che correva sopraelevata su viadotti in ferro dalla stazione di Stralauer Tor a quella di Zoologische Garten. Per quanto riguarda l’organizzazione del territorio, nel 1912 si prepararono le basi dell’unione con i distretti e le cittadine circonvicine, da Charlottenburgh a Schöneberg, da Lichtemberg a Spandau, dando il via a un processo che sarebbe giunto a compimento nel 1920.
Gli anni della Repubblica di Weimar e del regime nazista
Durante il Primo conflitto mondiale Berlino non fu direttamente coinvolta nelle azioni militari; il suo apparato industriale si trovò comunque largamente impegnato nella produzione bellica. L’aggravarsi delle condizioni legate all’economia di guerra rese sempre più pesante il problema dell’approvvigionamento alimentare delle masse che andavano concentrandosi nella capitale, cui si cercò di far fronte almeno in parte con la creazione di mense popolari. La sconfitta militare e la fine del conflitto, segnata dall’abdicazione e dall’andata in esilio del re e imperatore, causò un pericoloso vuoto di potere. Per Berlino furono giornate drammatiche. All’indomani dell’abdicazione, il 9 novembre 1918, il cancelliere Maximilian von Baden trasferì i propri poteri al segretario del Partito socialdemocratico Friedrich Ebert. Lo stesso giorno un altro esponente socialdemocratico, Philipp Scheidemann, dal Reichstag proclamò la Libera Repubblica tedesca, mentre dal Castello reale Karl Liebknecht, fondatore insieme con Rosa Luxemburg della Lega di Spartaco (Spartakusbund), proclamava la Repubblica socialista sul modello dei soviet, promuovendo poco dopo la fondazione del Partito comunista tedesco (KPD, Kommunistische Partei Deutschlands). Il 5 gennaio 1919 scoppiò a Berlino l’insurrezione spartachista, repressa nel sangue dalla polizia con la partecipazione attiva dei cosiddetti Corpi franchi (Freiekorps), organizzazione di ufficiali dell’esercito formatasi con l’avallo del ministro della Difesa del nuovo governo Gustav Noske; arrestati il 15 gennaio, i promotori della rivolta Liebknecht e Luxemburg furono uccisi e i loro corpi abbandonati nel Tiergarten.
Negli anni della Repubblica di Weimar, dal nome della storica cittadina in cui si riunì l’Assemblea incaricata di varare la nuova Costituzione, Berlino conobbe una delle sue fasi di maggior splendore, trasformandosi in una grande città cosmopolita. La legge del 26 aprile 1920, entrata in vigore l’ottobre successivo, stabilì la formazione della ‘grande Berlino’, eretta a comune autonomo (Stadtgemeinende Berlin) e organizzata in 20 distretti amministrati da un borgomastro e da una commissione distrettuale. La nuova entità includeva 7 realtà urbane e 59 comunità rurali. All’enorme crescita del territorio corrispose l’incremento della popolazione, che arrivò a sfiorare i 4 milioni. Divenuta ormai la città più grande del continente, Berlino si trasformò soprattutto in uno dei centri culturali e artistici più vivaci d’Europa. I fermenti incubati nella cultura espressionista dei primi anni del Novecento esplosero nel clima di libertà e di sperimentazione politica, sociale, culturale e di modelli di vita, aperto dal tracollo della Germania guglielmina. Dalla letteratura alle arti figurative, dall’architettura all’urbanistica, dalla musica al teatro, dal cinema alla fotografia, dalla radio alle prime sperimentazioni televisive, dalla diffusione presso tutti i ceti della pratica sportiva alla cultura del corpo nelle forme del salutismo e del naturismo, la Berlino degli anni 1920 contribuì potentemente a fissare i canoni non solo dell’arte d’avanguardia ma anche della cultura di massa della società contemporanea. Quella che viene tramandata come la ‘mitica cultura di Weimar’ fu soprattutto la cultura che si andava organizzando a Berlino. Come scrisse nel 1923 il critico e saggista Herwart Walden sulla rivista da lui fondata Der Sturm, l’influente organo di diffusione in Europa dell’espressionismo tedesco, «Berlino è la capitale degli Stati Uniti d’Europa». Alla fine degli anni 1920 si pubblicavano a Berlino 147 tra giornali e settimanali.
Sull’onda dei fermenti rivoluzionari che agitavano il paese, alla fine del 1918 era nato il Novembergruppe dall’incontro di artisti legati alla sinistra radicale che si proponevano un rinnovamento nazionale attraverso la collaborazione tra arte d’avanguardia e pubblico. Il suo esponente più influente, il pittore Max Pechstain, fu tra i promotori nel 1919 del Consiglio dei lavoratori per l’arte (Arbeitsrat für Künst). Prima di sciogliersi, nel 1929, il gruppo promosse numerose esposizioni, formulando obiettivi ripresi poi dal Bauhaus. Il rinnovamento della scena teatrale che caratterizzò la Berlino di quegli anni reca il segno del regista Erwin Piscator, fautore di un teatro fortemente politicizzato nei contenuti e rivoluzionato nella messinscena grazie all’adozione delle più moderne novità scenotecniche (la piattaforma rotante, il tapis roulant, la scena multipla ecc.). Nel 1927 Piscator fondò la Piscator-Bühne, collettivo di scrittura teatrale del quale fecero parte Bertolt Brecht e Alfred Döblin. L’anno dopo Brecht mise in scena al Theater am Schiffbauerdamm L’opera da tre soldi (Die Dreigroschenoper). Döblin pubblicò nel 1929 il romanzo Berlin Alexanderplatz, quadro della vita quotidiana a Berlino negli anni di Weimar, capolavoro della letteratura espressionista e primo esempio in Germania di romanzo metropolitano. Nel cinema, la UFA (Universum Film Aktiengesellschaft), nata a Berlino nel 1917 per la realizzazione di filmati di propaganda bellica, si trasformò nella più importante casa di produzione cui sono legati i capolavori della cinematografia tedesca, dal Dr. Mabuse (1922) di Fiedrich Murnau a Metropolis (1927) di Fritz Lang, all’Angelo azzurro (1930) di Joseph von Sternberg, che consacrò la fama dell’attrice berlinese Marlene Dietrich.
Nel 1921, dopo otto anni di lavori, fu inaugurato il prototipo mondiale di autostrada, la AVUS (Automobil Verkehrs und Ubung Strasse); due anni dopo aprì l’aeroporto di Tempelhof, sul luogo adibito fino alla Prima guerra mondiale a campo di parata. Nell’edilizia privata, il nuovo stile di vita berlinese trovò espressione esemplare nel complesso abitativo Hufeisen (ferro di cavallo), ideato e realizzato tra il 1925 e il 1927 dagli architetti Bruno Taut e Martin Wagner, assessore all’urbanistica del Comune di Berlino. Situato nel quartiere di Britz, dotato di ampie aree verdi, l’Hufeisen rifletteva l’idea di abitazioni in grado di assicurare agli inquilini «luce, aria e sole». Vetrina internazionale della modernità, Berlino organizzò nel 1924 la prima Grosse Deutsche Funkaustellung, esposizione dedicata alla radio, inaugurata alla sua terza edizione (1926) da un discorso di Albert Einstein, allora residente in città; la quinta edizione (1928) si segnalò per la presentazione al pubblico di un nuovo mezzo di comunicazione, la televisione.
Nel 1925 la popolazione berlinese aveva superato i 4 milioni di abitanti. Il sistema produttivo, già messo a dura prova da un’inflazione devastante che nel 1923 aveva raggiunto il punto più alto, precipitò con la Grande depressione. Nel 1929 fallirono 664 imprese e il numero dei disoccupati salì a 450.000. La reazione popolare esplose in manifestazioni e scontri nelle strade che causarono numerose vittime; nelle tragiche giornate del maggio 1929 restarono sul terreno 30 morti e centinaia di feriti. Il 17 novembre si tennero le elezioni comunali; per la prima volta entrarono nell’assemblea cittadina 13 rappresentanti di un partito, l’NSDAP (National-Sozialistische Deutsche ArbeiterPartei), formatosi nel 1919 e presieduto dal 1921 da un ex combattente di origini austriache, Adolf Hitler, che si proponeva l’abbattimento della repubblica di Weimar, i cui sostenitori venivano bollati come nemici della patria tedesca. Nel dicembre 1933 i disoccupati diventarono 630.000, mentre nelle strade di Berlino si moltiplicavano gli scontri tra i militanti di sinistra e le formazioni dell’estrema destra. Il 30 gennaio 1933 Hitler salì al potere; il 27 febbraio i nazisti incendiarono il Reichstag, simbolo della resistenza parlamentare, dichiarando lo stato d’emergenza; il 20 marzo furono rimossi tutti i membri comunisti del Parlamento e stessa sorte toccò ai socialdemocratici; il 21 marzo a Sachsenhausen, poco fuori Berlino, si aprì il primo campo di concentramento per gli oppositori del nuovo regime.
Per quanto riguarda più specificamente l’amministrazione della città, il 14 marzo il primo ministro Hermann Göring nominò un ‘commissario di stato per la città capitale’, formalmente per assistere il sindaco, di fatto per assumere il controllo diretto sulla città. In aprile cominciarono le azioni di boicottaggio contro gli ebrei e il 10 maggio, nella piazza antistante l’Alte Bibliothek, i nazisti si esibirono nella tragica messinscena del rogo dei libri, primo assaggio di una campagna diretta a colpire lo spirito antitedesco. Tra il 1934 e il 1935 furono messi al bando tutti i corpi eletti della città e allontanati dal lavoro centinaia di pubblici dipendenti. A dicembre 1935 il sindaco eletto Heinrich Sahm rassegnò le dimissioni.
Tra il 1° e il 16 agosto 1936 i giochi della XI Olimpiade, celebratasi a Berlino, offrirono l’occasione per un’imponente manifestazione di propaganda di regime. Non meno imponenti le manifestazioni che nel 1937 celebrarono i 700 anni dalla fondazione della città. La notte del 9 novembre del 1938 si scatenò il pogrom antiebraico noto come la ‘notte dei cristalli’ (Kristallnacht): furono date alle fiamme nove delle dodici sinagoghe della città e infrante vetrine e insegne di negozi di proprietà di cittadini di religione ebraica, oltre mille dei quali furono arrestati e, in buona parte, rinchiusi nel campo di Sachsenhausen. Mentre si avvicinava la guerra, i tigli che avevano dato il nome al più celebre dei viali berlinesi, l’Unter den Linden, venivano abbattuti per dare spazio alle parate militari della Wehrmacht.
La città divisa
A differenza di quanto era avvenuto nella Prima guerra mondiale, il tessuto urbano e la popolazione di Berlino subirono direttamente e pesantemente le conseguenze delle vicende belliche. I bombardamenti aerei angloamericani, iniziati su larga scala nel novembre 1943 e proseguiti fino all’aprile 1945 devastarono la città, distruggendone le industrie. Il 21 aprile l’Armata rossa varcò i confini urbani dando inizio alla cosiddetta battaglia di Berlino; dopo una settimana di combattimenti, che causarono migliaia di morti dall’una e dall’altra parte, il 2 maggio 1945 la città cadeva nelle mani delle truppe sovietiche. Hitler si era suicidato il 30 aprile, l’8 maggio la Germania firmò la resa. Quel che restava di Berlino era un ammasso di rovine: 50.000 edifici risultavano rasi al suolo e oltre 200.000 più o meno gravemente danneggiati; dei 4,3 milioni di abitanti che vi risiedevano prima della guerra se ne contavano in città poco più della metà. Secondo quanto era stato convenuto nella Conferenza di Yalta, Berlino divenne sede della Commissione di controllo alleata per la Germania e fu suddivisa in quattro zone di occupazione militare: russa, inglese, francese e americana, ma i crescenti disaccordi tra le potenze vincitrici sul destino della Germania posero presto in crisi il precario equilibrio su cui reggeva l’amministrazione della città.
La divisione del mondo in blocchi contrapposti si rifletté su Berlino assurta a simbolo della guerra fredda. Le tensioni precipitarono nel giugno 1948 quando i Sovietici decisero di isolare la parte occidentale della città, con il blocco totale delle comunicazioni stradali e ferroviarie. Gli angloamericani risposero con un imponente ponte aereo mediante il quale garantirono per circa un anno l’approvvigionamento del settore di loro competenza. Il blocco pose definitivamente fine all’amministrazione congiunta di Berlino. Alla fine del 1948 la diversificazione valutaria si accompagnò alla creazione di due distinti consigli comunali. Nel 1949 la divisione della Germania divenne un fatto compiuto: il 23 maggio fu fondata la Repubblica federale tedesca; a Berlino Ovest fu mantenuto lo statuto speciale di territorio sotto il controllo alleato, ma fu scelta Bonn come capitale provvisoria del nuovo Stato. Qualche mese dopo, il 7 ottobre, nacque la Repubblica democratica tedesca con Berlino Est come capitale.
Le due metà di Berlino seguirono le sorti delle due nuove entità statuali e anche la ricostruzione post-bellica ebbe uno sviluppo nettamente divaricato. Berlino Ovest – dove già alla fine del 1948 era stata fondata la Libera università (Freie Universität) in opposizione a quella storica dislocata nel settore orientale, rimasta priva del centro situato nella zona orientale – polarizzò le attività finanziarie, culturali e amministrative lungo il nuovo asse direzionale del Kurfürstendamm, mentre le attività industriali si localizzavano nei quartieri settentrionali. Berlino Est, che aveva come nucleo il centro storico (Mitte), ebbe vari piani regolatori che evidenziarono l’asse urbano formato dall’Unter den Linden e dalla vecchia Frankfurter Allee (rinominata Stalin Allee e poi Karl Marx Allee). Nel 1950 uno degli edifici più rappresentativi del Mitte, il Castello, già seriamente danneggiato dai bombardamenti alleati, fu demolito quale simbolo del feudalesimo prussiano e il sito fu occupato dalla Marx-Engels Platz, intorno alla quale sarebbero sorti edifici pubblici tra i quali il nuovo Palazzo della Repubblica, inaugurato nel 1976. Proprio dai lavoratori edili addetti alla costruzione dei complessi residenziali in stile sovietico della Stalin Allee partì il primo segnale del profondo disagio economico e sociale in cui versava larga parte della popolazione della Germania orientale. Lo sciopero, indetto il 16 giugno 1953 contro un aggravamento delle condizioni di lavoro imposto dal governo, si trasformò il giorno successivo in una sollevazione generale che si estese ad altre città della RDT e fu repressa nel sangue dalle truppe sovietiche con centinaia di vittime e di arresti.
La ferita più profonda al tessuto urbano fu inferta dalla costruzione del Muro, che sancì plasticamente e drammaticamente la divisione tra i due settori di Berlino. Nel giugno 1961 il leader sovietico Nikita S. Kruscev consegnò a Vienna al presidente americano John F. Kennedy un memorandum, nel quale l’URSS invitava le potenze occidentali ad acconsentire entro la fine dell’anno a una sistemazione del problema berlinese, secondo uno schema di accordo che comportava, tra l’altro, la costituzione di Berlino Ovest in città libera e smilitarizzata e la fine dei diritti d’occupazione degli alleati a Berlino. Le preoccupazioni dei dirigenti comunisti erano dettate soprattutto dal flusso crescente di Tedeschi orientali che cercavano rifugio nella Germania federale attraverso i varchi ancora aperti nella città: è stato calcolato che nel corso del 1960 passarono a Ovest 200.000 persone, con un picco di oltre 30.000 nel solo mese di luglio. Nel clima di tensione determinato dal memorandum sovietico e dalla risposta negativa degli occidentali, il 13 agosto 1961 le autorità della RDT diedero inizio alla costruzione del Muro. Strade, piazze e gli stessi complessi di edifici posti lungo la linea di demarcazione furono separati da una barriera di cemento lunga 43 km, così come furono tagliate le linee metropolitane di collegamento. La tensione toccò l’acme il 25 ottobre 1961 quando carri armati sovietici e americani si confrontarono minacciosamente al Checkpoint Charlie, il varco di passaggio a Berlino Est riservato agli stranieri. Il Muro contenne il flusso migratorio, nonostante decine di migliaia di Tedeschi orientali cercassero ancora di riparare a Berlino Ovest: centinaia di essi persero la vita nei tentativi di fuga, molti abbattuti dalle guardie confinarie.
Nonostante le gravi difficoltà causate all’economia della città dall’innalzamento del Muro, il processo di ricostruzione andò avanti. A Berlino Est furono pianificati nuovi complessi abitativi soprattutto nelle zone più esterne della città e nuovi edifici di rappresentanza sorsero intorno ad Alexander Platz e a Marx-Engels Platz, simbolizzati dall’innalzamento della torre della televisione, alta 365 m, inaugurata nel 1969. Dall’altra parte del Muro, il rinnovamento edilizio e urbanistico di Berlino Ovest si pose al centro del dibattito architettonico internazionale, sia per le realizzazioni nel campo abitativo sia per alcune opere particolari, quali la nuova Staatsbibliothek (1963), su disegno dell’architetto Hans Scharoun, o la Neue Nationalgalerie (1968), progettata da Mies van der Rohe e inserita nel complesso del Kulturforum nel quartiere di Tiergarten.
La riunificazione
Un contributo notevole allo sblocco della situazione berlinese fu dovuto alla politica di apertura verso i paesi dell’Est (Östpolitik) avviata dal cancelliere socialdemocratico della RFT Willie Brandt. Dopo una serie di incontri, avviati nel marzo 1970, si giunse all’accordo quadripartito (USA, URSS, Gran Bretagna e Francia) del 3 settembre 1971, con il quale, prendendo atto dell’impossibilità di un’intesa sulla definizione giuridica dello status di Berlino, si cercò di pervenire a una sua regolamentazione di fatto; in particolare l’accordo regolò il transito fra le due parti di Berlino e fra Berlino Ovest e la RFT, creando una condizione che sarebbe rimasta invariata fino alla riunificazione. Pochi mesi prima, a gennaio 1971, per la prima volta dal 1952 erano state riattivate alcune linee telefoniche dirette tra le due parti della città.
Alla scadenza del 750° anniversario della fondazione di Berlino, nel 1987, tentativi di celebrazioni congiunte andarono incontro al fallimento. Frattanto, sull’onda della perestroika gorbacioviana, anche nella Germania orientale cresceva il movimento di protesta. Il 4 aprile 1986 fu ufficialmente inaugurato, nel cuore di Berlino Est, il complesso monumentale del Marx-Engels Forum, dominato dalle statue bronzee dei padri fondatori del comunismo; tre anni dopo, il 7 ottobre 1989, le celebrazioni del quarantesimo anniversario della fondazione della RDT si trasformarono in occasione di dimostrazioni di strada per chiedere riforme. Il montare della protesta popolare indusse il leader della RDT, Erich Honecker, a dare le dimissioni da tutte le sue cariche. Era il 18 ottobre 1989; il 4 novembre successivo oltre mezzo milione di Berlinesi si riunì in Alexanderplatz per chiedere il ripristino dei diritti civili fondamentali. Il 9 novembre, le autorità comuniste, cedendo alla pressione popolare, aprirono i primi varchi nel Muro di Berlino. Nei giorni e nelle settimane successive altri varchi furono resi agibili; tra il giugno e il novembre 1990 fu abbattuta la parte del Muro che isolava il centro della città.
L’apertura del Muro diede inizio al processo di assorbimento della RDT nella Repubblica federale, formalizzato il 3 ottobre 1990. Il 20 giugno 1991 il Parlamento tedesco decideva lo spostamento della sede del governo e del Parlamento stesso a Berlino, nuova capitale della Germania unificata; l’operazione sarebbe giunta a compimento tra il 1999 e il 2001, con la grandiosa ricostruzione del Reichstag e l’apertura della nuova Cancelleria federale. Il 3 ottobre 2002, in occasione della festa nazionale della riunificazione, veniva restituita alla città, con una solenne cerimonia di inaugurazione, la Porta di Brandeburgo completamente restaurata. Nei primi anni del nuovo millennio l’intera agglomerazione urbana di Berlino è tornata a superare i 4 milioni di abitanti, divenendo così la quinta città d’Europa, dopo Londra, Parigi, Madrid e Barcellona.
riferimenti bibliografici
Berlin auf der Couch. Autoren und Künstler zu 20 Jahren Mauerfall, «Lettre International», nr. 86, 2009; E. Kaeber, Das Wesen Berlins in der Geschichte, in Unsere märkische Heimat. Streifzüge durch Berlin und Brandenburg, a cura di R. Nordhausen, Leipzig, Brandstetter, 1929, p. 43; K. Martin, Die sokratische Stadt, in Merian. Das Monatsheft der Städte und Landschaften, Hamburg, Sonderheft Berlin, 1959, p. 3; K. Scheffler, Berlin - Ein Stadtschicksal: Nachdruck der ersten Ausgabe von 1910, Berlin, Fannei & Walz, 1989, p. 210; H. Schwenk, Lexikon der Berlin Stadtentwicklung, Berlin, Haude & Spener, 2002; W.J. Siedler, Phoenix im Sand: Glanz und Elend der Hauptstadt, Berlin, Propyläen, 1998, pp. 268-69.