BRASILE
(Estados Unidos do Brazil: A. T., 149-150, 151, 152, 153-154, 155-156, 157-158).
Sommario. - Geografia: Esplorazioni (p. 701); Geologia e morfologia (p. 702); Clima (p. 706); Idrografia (p. 709); Vegetazione e flora (p. 711); Fauna (p. 713); dati demografici generali (p. 714); Le popolazioni indigene (p. 717); Etnologia della popolazione immigrata (p. 723); Suddivisioni storiche e amministrative (p. 725); Condizioni economiche (p. 726); Comunicazioni (p. 737); Distribuzione e densità della popolazione (p. 739); Emigrazione interna ed esterna (p. 740). - Gl'Italiani nel Brasile (p. 742). - Ordinamento dello stato: Ordinamento costituzionale, amministrativo e giudiziario (p. 746); Organizzazione eccelsiastica (p. 747); Forze armate (p. 748); Finanze (p. 749). - Cultura (p. 749). - Storia (p. 751). - Lingua (p. 765). - Letteratura (p. 766). - Arti figurative (p. 770). - Musica (p. 773).
Geografia.
Il Brasile è il primo fra gli stati dell'America Meridionale per area (8 milioni e mezzo di kmq.) e per popolazione assoluta (39.695.000 abitanti, secondo la valutazione del 1° gennaio 1929; 30.635.605 abitanti secondo il censimento del 1° settembre 1920); esso è il solo stato terrestre che estendendosi nei due emisferi, boreale ed australe, per più di 39° (da poco più di 5° N. a poco più di 34° S.), oltrepassi notevolmente in quest'ultimo i limiti del tropico. Repubblica federativa dal 15 novembre 1889, comprende 20 stati, 1 distretto federale e 1 territorio: confina con tutti gli stati sudamericani, eccettuati il Chile e l'Ecuador. Quarta fra le unità politiche terrestri (dopo la Federazione delle repubbliche socialiste dei Sovieti, la Republica cinese, il Dominio del Canada) per estensione di territorio continuo, comprende nella sua massa compatta circa il 43% dell'area e il 49% della popolazione dell'America Meridionale; è quinto per densità di popolazione fra gli stati sudamericani (4,6 al 31 dicembre 1927). Costituito essenzialmente da un ampio massiccio antichissimo e da un esteso bassopiano recente, complementari sotto il riguardo economico, il Brasile è caratterizzato da grande ricchezza e varietà di prodotti che, come hanno contribuito ad attrarre sul suo suolo nel periodo 1821-1920 più di 5 milioni d'immigrati, fra cui predominarono decisamente i lavoratori italiani, hanno accresciuto grandemente, negli ultimi anni, la sua importanza politica.
Nome. - Tanto in opere letterarie quanto in documenti ufficiali appaiono due forme: Brazil e Brasil. La grafia Brazil, adottata dalla Directoria Geral de Estadistica, appare preferibile a quella di Brasil, poiché essa figura in atti solenni che si riguardano come fondamentali nella storia della nazionalità brasiliana, quali la legge del 16 dicembre 1815 che fece dell'antica colonia portoghese un regno, e la legge del 24 febbraio 1891 che fissò la denominazione della repubblica. Pochi nomi hanno subito, nel corso dei secoli, una variazione di valore territoriale paragonabile a quella subita dal nome Brasile. Applicato dapprima a un tratto della costa orientale del vastissimo paese, il nome finì col comprendere tutto il dominio portoghese nell'America Meridionale, dominio i cui confini, per tanto tempo solo teoricamente fissati, andarono aumentando progressivamente verso occidente, nello spazio di quattro secoli, dai primi anni della scoperta sino alla sistemazione pressoché definitiva della questione relativa al territorio di Acre avvenuta nel 1903 col trattato di Petropolis (v. acre).
L'origine del nome è nota. Ancora oggi col nome di "legno brasile" (pau brazil, Brazil wood, Cesalpinia brasiliensis) si indicano in commercio varie specie di piante tintorie appartenenti al genere Cesalpinia (ordine delle Leguminose), il cui legno ha la proprietà di colorare l'acqua in rosso. Il nome di braxil (brasil), applicato negli ultimi secoli dell'età medievale a piante tintorie dell'Asia tropicale, dato poi a isole dell'Atlantico nuovamente scoperte o riscoperte, le quali presentavano precisamente alberi caratteristici per la tinta rossastra del loro legno, fu, fin dai primi anni del Cinquecento, esteso alla zona più orientale dell'America Meridionale. Secondo Jonathas Serrano, il nome Brasil, applicato per la prima volta al territorio brasiliano dal Roteiro di Gonneville del 1503, acquista carattere ufficiale non più tardi del 1511, come appare dalla relazione del viaggio compiuto dalla nave Bretõa. Forse da qualche ulteriore ricerca negli archivî italiani, spagnoli e portoghesi, potrà desumersi definitivamente la data in cui il nome di Brasil si è sostituito a quello di Vera Cruz, assegnato al paese su cui approdavano, verso la fine di aprile del 1500, P. Alvares Cabral e i suoi compagni, dopo che le sue coste erano state tuttavia già toccate l'anno precedente da una spedizione guidata dal fiorentino Vespucci.
Delimitazione. - La grande Confederazione sud-americana offre, nei riguardi della sua posizione politica, condizioni non meno caratteristiche di quelle offerte dalla sua posizione geografica, poiché essa è una delle unità politiche terrestri a superficie continua che presenta il maggior numero di vicini, cioè 7 stati autonomi: 3 possedimenti coloniali.
Limitata a settentrione dalla Colombia, dal Venezuela, dalle tre Guiane (britannica, olandese, francese) e dall'Atlantico (dal capo Orange, a SE. di Caienna, sino al capo San Rocco), e verso levante esclusivamente dall'Atlantico, la grande Confederazione termina verso mezzogiorno con una ristrettissima zona che ha carattere di vera e propria punta, presso il confine uruguayano. Lungo la frontiera occidentale, che presenta un andamento irregolare, riflesso di tutta una serie di contestazioni territoriali regolate in questi ultimi tempi da accordi pacifici, il Brasile confina con l'Uruguay, con l'Argentina, col Paraguay, con la Bolivia, col Perù, con la Colombia; pertanto qualora possibili accordi tra il Perù e l'Ecuador assegnassero a questo il territorio in contestazione che costituisce ora l'estrema zona nord-est del Perù, il Chile sarebbe il solo stato sud-americano non contiguo al Brasile.
Il confine brasiliano-uruguayano, che si stende dalla foce del Chuy nell'Atlantico sino alla foce del Quarahim nell'Uruguay (riva sinistra), è stato definito dal trattato del 1851 e dalle convenzioni degli anni 1852, 1853, 1909, 1917. La linea divisoria che decorre, anzitutto, lungo il corso del Chuy, attraversa, nel senso longitudinale, la Lagõa Mirim (piccola laguna); quindi segue il corso del Jaguarão Chico (Piccolo), del Mina, del São Luiz, e del Quarahim. Il confine brasiliano-argentino, il cui andamento generale fu stabilito con le convenzioni del 1857 e del 1898 (dopo la sentenza arbitrale del presidente degli Stati Uniti d'America, sul territorio in contestazione compreso fra il Rio Uruguay e l'Iguassú), e con l'accordo del 1910, segue il corso dell'Uruguay dalla foce del Quarahim sino alla foce del Rio Peperi-Guassú, quindi questo fiume e il Rio S. Antonio affluente dell'Iguassú. La demarcazione sul terreno lascia in territorio argentino buona parte delle cateratte grandiose del Salto Grande do Iguassú. Il confine brasiliano-paraguayano, definito al principio del 1872, decorre, nel tratto meridionale, lungo il Rio Paraná, quindi raggiunge, lungo il corso dell'Apá, la riva del Paraguay presso Confluencia, e risale il gran fiume sino alla foce dell'Otuquis (Bahia Negra).
Il confine brasiliano-boliviano fu stabilito coi trattati del 1867, del 1903 (trattato di Petropolis) e del 25 dicembre 1928. Esso, decorre, nel suo tratto meridionale, lungo il Rio Paraguay, che abbandona a 9 km. dal forte Coimbra, mantenendosi dapprima in direzione generale NO. e poi in quella N. attraverso la zona lacustre a cui appartiene lo specchio di Uberaba, per raggiungere quindi le sorgenti del Rio Verde, affluente del Guaporé, e poi la corrente del Mamoré e quella del Madeira a valle di Villabella. Dalla foce dell'Abuná, affluente di sinistra del Madeira, la linea divisoria decorre lungo vari corsi fluviali sino a raggiungere Tacna, sulla destra dell'Acre (v.).
Il confine brasiliano-peruviano, definito generalmente sin dal 1851 e fissato definitivamente dopo la convenzione del 1909 - che chiuse lunghe discussioni a proposito di contestazioni territoriali fra la Bolivia e il Perù - si svolge da Tacna fin presso Tabatinga sull'alto Amazzoni. Esso segue dapprima l'alto corso dell'Acre quindi piega verso nord sino alla foce del Santa Rosa nel Purús (riva sinistra) e nuovamente a S. fino al 10° parallelo australe, per raggiungere poi in direzione di NO. il corso del Javary, che segue sino alla foce presso Tabatinga.
Il confine tra il Brasile e l'Ecuador, stabilito col trattato del 1904, con riserve per le richieste del Perù, decorre in direzione generale NE., da Tabatinga alla foce dell'Apaporis nel Japurá o Caquetá. Questo confine è stato ora accettato anche dalla Colombia, che in seguito alle trattative di Washington (1925) ha abbandonato le sue rivendicazioni sul territorio triangolare compreso tra l'Amazzoni e lo Japurá, in cambio della libertà perpetua di navigazione sui fiumi comuni ai due paesi concessa dal Brasile.
Nel tratto compreso tra la riva sinistra dello Japurá e la granitica Pedra de Cucuhy - dominante dai suoi 400 m. la pianura alluvionale tra il Rio Negro e il Cassiquiare - il confine fu così definito dal trattato del 1907: tracciato anzitutto lungo il Rio Apaporis, taglia il Rio Tiguis, per raggiungere quindi l'alto corso del Negro nell'isola di S. José fronteggiante la Pedra de Cucuhy.
Da questa ha inizio il confine brasiliano-venezolano che, definito dal trattato del 1859 e dai protocolli del 1905 e del 1928, corre sulle serre Tapirapeco, Parima e Pacaraima e raggiunge il Monte (o Cerro) Roraima. Di qui s'inizia il confine con la Guiana Britannica che l'arbitrato di Vittorio Emanuele III, re d'Italia, del 6 giugno 1904, fissò dalle sorgenti del Tacatú (alto Rio Branco) a quelle del Corentyne lungo lo spartiacque tra l'Amazzoni e l'Essequibo.
Dal bacino sorgentifero del Corentyne a quello del Maroni, nella Serra di Tumuc-Humac (Tumucumaque), è il confine con la Guiana Olandese (trattato del 1907). Dalla stessa Serra sino alla foce dell'Oyapock (a 4°13′ 16″ lat. N.), in cui furono ravvisate caratteristiche di frontiera sin dal principio del sec. XVIII, si svolge il confine colla Guiana Francese definito dall'arbitrato del presidente della Confederazione Svizzera del 1900.
Estensione. - Fra l'estremità settentrionale rappresentata dal monte Roraima (m. 2628 s. m.) sul confine con la Guiana Britannica, posto a 5° 9′40″ lat. N., e l'estremità meridionale, rappresentata dalla foce del fiume Chuy al confine con l'Uruguay, intercede la distanza di 4307 chilometri: essa è di pochissime decine di chilometri inferiore a quella che corre fra l'estremità occidentale, rappresentata dalla principale sorgente dello Javary, presso la frontiera peruviana a 73° 47′ 31″ long. O., e l'estremità orientale rappresentata dalla punta Tambahú (a 13 miglia a sud del capo Branco o Bianco nello stato di Parahyba) che, secondo la media delle determinazioni geodetiche, è da collocarsi a 34° 47′48″, long. O.
Secondo il calcolo planimetrico eseguito sulla Carta Geral do Brazil l'area totale risulta pari a kmq. 8.511.189 (cifra adottata nelle pubblicazioni della Direzione generale della Statistica brasiliana). È questa cifra che qui considereremo come basilare, se anche nel quadro relativo alle divisioni politiche dell'America Meridionale (v.) ricorre un dato leggermente diverso: 8.497.000 kmq. Spesso si cita la cifra di 8.522.000 kmq. che risponde al calcolo di Henrique Morize, il quale ottenne la cifra precisa di 8.521.857,47 Il Morize incluse nel calcolo la fascia delle 3 miglia marine di acque territoriali. La cifra da lui calcolata risulta alquanto inferiore, non solo alla cifra di Behm (8.558.020), ma anche a quella della Divisão Administrativa (8.524.777). I dati areometrici generali, riferiti in opere della fine del sec. XIX e dei primi del XX, presentano notevoli variazioni per varie cause, tra cui le modificazioni dovute ai nuovi trattati circa la delimitazione delle frontiere.
Quanto allo sviluppo costiero, esso viene variamente valutato (6609 km., secondo Delgado de Carvalho; 7476 secondo Horacio Scrosoppi), a seconda dei criterî adottati nel calcolo, oltre che a seconda della scala della carta presa a base di questo. La cifra di 5864 km., corrispondenti a 3164 miglia marine, rappresenta propriamente lo sviluppo della linea teorica di riva (linea poligonale avvolgente), prescindendo dalle insenature minime.
Esplorazioni. - Il problema dei primi viaggi alle coste brasiliane si presenta tuttora molto controverso. Sembra che nel suo viaggio del 1499 Amerigo Vespucci, provenendo dal litorale delle Guiane, abbia seguito con navi spagnole la costa dell'America Meridionale fino a circa 60 di latitudine sud; egli avrebbe anche scoperto e risalito per breve tratto l'Amazzoni e il Pará. Dopo di lui Vicente Yáñez Pinzón, sarebbe giunto il 26 gennaio 1500 a un capo posto a oltre 8° di lat. S. che per la sua bellezza egli chiamò Rostro Hermoso (il capo Sant'Agostino dei Portoghesi) e che troviamo registrato nella carta di Juan de la Cosa del 1500. Certo è che il 22 aprile di quello stesso anno 1500 una flotta portoghese comandata da Pedro Alvares Cabral e diretta alle Indie orientali giunse in vista della costa brasiliana in un punto assai più meridionale, presso un monte "mui alto e redondo" chiamato dallo scopritore Monte Paschoal; il suo approdo avvenne il 23 aprile nella baia oggi chiamata Cabralia (a circa 16° lat. S.): e la nuova terra, ritenuta isola, fu dal Cabral occupata in nome del re del Portogallo e chiamata Terra di Vera Cruz. Secondo il Magnaghi, il Vespucci, invitato dal re del Portogallo, al cui servizio era passato, dall'agosto 1501 al gennaio 1502 avrebbe compiuto l'esplorazione di tutta la costa brasiliana dal capo S. Rocco a Cananea e oltre: testimonierebbero il viaggio i nomi dati alle varie località costiere toccate e "che sono compresi in alcune carte marine costruite nel 1502, nomi tratti dalle ricorrenze del calendario e che non si accordano col tempo di nessun'altra spedizione all'infuori che con quello della spedizione del navigatore fiorentino".
Il Portogallo, legittimamente considerandosi possessore di queste terre giacenti a levante della linea di partizione assegnata da papa Alessandro VI, si limitò in un primo tempo a tenere occupati solo alcuni punti costieri e a sfruttare il legno brasil, cercando d'impedirne il contrabbando. Solo nel 1530 si cominciò a pensare alla colonizzazione, tentata con la concessione di capitanerie fatta a nobili portoghesi. Nel 1549, con la fondazione della città di Såo Salvador, sulla riva della baia di Todos os Santos, si instaurò un governo generale per tutta la colonia. L'occupazione però rimase sempre limitata alla costa; nell'interno penetrarono solo i gesuiti che predicarono il Vangelo agl'Indiani, e pochi avventurieri in cerca di pietre preziose. Dal 1580 al 1640, nel periodo cioè in cui il Portogallo passò sotto la corona Spagnola e nel Brasile si svolsero i tentativi di occupazione olandese, scarsissimi furono i progressi della conoscenza geografica, giacché tutte le energie dei coloni furono rivolte a mantenere l'indipendenza. Anche nel periodo successivo, durante il quale la scoperta dei campi auriferi e diamantiferi e le numerose imprese dei Paulisti (bandeiras) fecero percorrere in tutti i sensi l'interno del Brasile, la conoscenza scientifica rimase sempre assai scarsa, anche perché il geloso governo portoghese impediva l'accesso agli studiosi stranieri. Vanno qui ricordati i viaggi nel Brasile centrale del brasiliano Alexandre Rodrigues Ferreira (1788-92).
Si giunge così al sec. XIX quando, dopo il ritorno di Humboldt dall'America, cominciò l'alflusso dei viaggiatori europei al Brasile, dove il governo di dom João VI e poi quello imperiale accolsero e facilitarono le esplorazioni. L.W. von Eschwege (1811-14), il principe Massimiliano Wied-Neuwied (1815-17), Agostino Saint-Hilaire (1816-22), Pohl e Natteres (1817-20) furono i primi, seguiti da J.B. Spix e C.F. Filippo von Martius i quali, inviati dai (governi bavarese e austriaco, compirono un viaggio di grandissima importanza geografica attraverso le provincie centrali e settentrionali del Brasile, da San Paolo a Minas Geraes, da Bahia a Maranhão e anche lungo l'Amazzoni, risalito fino a Tabatinga (1819-22).
I francesi D'Orbigny (1826) e De Castelnau (1843-45) visitarono, il primo la parte meridionale e l'altro le regioni centrali da Goyaz a Matto Grosso, e lo svizzero J. von Tschudi (1857-61) percorse e studiò le regioni centrali e meridionali da Bahia fino a Santa Caterina. Il quadro geografico del Brasile fu completato con le esplorazioni dei tributari meridionali dell'Amazzoni, dovute sopratutto a Karl von der Steinen (1887-88) e a Henri-Anatole Cudreau (1895-97); von der Steinen e P. Ehrenreich studiarono anche la etnografia degl'Indiani del Brasile e dell'Amazzonia. Nell'ultimo decennio del secolo passato fu iniziato il rilievo topografico del Brasile, limitato però agli stati di San Paolo e di Minas Geraes. Studî di prevalente natura geologica sono stati eseguiti in numerosissime regioni da Orville A. Derby e da J. C. Branner, che alla geologia del Brasile hanno dedicato per varî decennî tutta la loro attività di studiosi.
Geologia e morfologia. - Caratteristica saliente del rilievo brasiliano è il contrasto fra la zona d'alte terre, antichissima, alla quale si assegna comunemente il nome di Altipiano Brasiliano, e la regione di basse terre, in massima parte di origine più recente, indicata con la denominazione di Bassopiano Amazzonico. Ma un esame anche sommario della carta porta ben presto a distinguere nell'area brasiliana altre due zone d'alte terre, i tavolati delle Guiane e le catene lungo l'Atlantico, e altre due zone di terre basse, la depressione del Paraguay e la pianura costiera.
Delle tre zone d'alte terre, è di gran lunga più estesa quella che, per la sua struttura e per la sua posizione geografica, vien detta massiço central ("Brasilia", massiccio o scudo dell'America Meridionale). Costituito prevalentemente nella sua parte centrale e nelle sue sezioni orientale e meridionale di rocce arcaiche (gneiss o graniti), che attestano la sua appartenenza a un primordiale conitinente "brasiletiopico" (v. america meridionale), il massiccio centrale, esteso su un'area di circa 3 milioni di kmq., offre in prevalenza nelle sue sezioni occidentale, settentrionale e grecale, montagne tabulari formate pressoché esclusivamente di arenarie. Chapadas o chapadões son dette appunto le estensioni di arenarie poco inclinate che riposano sopra rocce cristalline e depositi primarî a pieghe, qua e là emergenti in torres e torrinhas, individuate nettamente dall'erosione. I limiti del massiccio o complesso di tavolati che, nella sua parte più elevata, presenta altitudini oscillanti fra 800 e 1400 metri, e si estende per più di 3200 km. da ponente a levante e per circa 2750 da settentrione a mezzogiorno, sono quasi sempre nettamente segnati da scarpate che determinano nei corsi d'acqua salti e cascate, come quelle del Madeira lungo l'orlo occidentale, e quelle dette di Paulo Affonso, sul São Francisco, lungo l'orlo orientale La ragione del contrasto fra le distese pianeggianti prevalenti nel massiccio e le ripide scarpate ai suoi orli va rintracciata nella coesistenza di forme di varie età in un terreno di eguale struttura geologica.
Tanto il massiccio centrale quanto il rialto delle Guiane riposano sullo stesso zoccolo cristallino di graniti antichi e di gneiss, onde si può parlare d'un rialto guiano brasiliano (l'antipaese orientale dei geologi, estrema regione occidentale del continente di Gondwana), che solo in tempi assai recenti ha raggiunto, in seguito a spinte verticali, il suo attuale livello. Il rialto della Guiana presenta caratteristiche morfologiche tali da rendere assai difficile una delimitazione tra l'azione di successivi cicli d'erosione e quella di fratture che hanno dislocato e alterato la primitiva superficie continua. Esso è separato dal bacino delle Amazzoni da una serie di massicci isolati, di rocce granitiche e gneissiche, divisi da soglie poco elevate attraverso alle quali si passa dal versante del Rio Branco a quello dell'Essequibo; tali massicci, che presentano altezze diverse non molto notevoli (1500 m. Serra de Acarahy, 800 m. M. Tumuc-Humac), cedono il posto verso occidente a uno strato enorme di arenaria che copre le rocce arcaiche. S'incontra qui il tavolato del Roraima che si eleva, secondo i calcoli più recenti, a 2620 m. e che è un caratteristico blocco tabulare di arenaria rosa, la cui parete meridionale scende precipite sull'estremo confine settentrionale del Brasile.
Morfologicamente costituisce una regione a sé, all'orlo SE. del massiccio centrale, il complesso dei rilievi con direzione generale SO.-NE., in alcuni tratti sorgenti direttamente dal mare, in altri tratti orlati da una pianura costiera di pochi chilometri e al quale si dà il nome di sistema marittimo od orientale, mentre viene chiamato sistema centrale o goyano l'insieme dei vasti tavolati della zona di displuvio fra l'Amazzoni, il Tocantins e il Paraguay e tra il S. Francisco e il Paraná.
Col nome di sistema marittimo si sogliono indicare in complesso la Serra do Mar e quella da Mantiqueira.
La prima denominazione in senso stretto è propria di una breve zona fra il 25° e il 26° parallelo, ma in senso lato si applica a indicare anche le Serre do Paranapiacaba, Cadia e Geral, cioè tutta la scarpata esterna dell'altipiano nella sezione sud-orientale tra lo stato di Rio de Janeiro e quello di Rio Grande do Sul, ossia fra il 22° e il 30° parallelo, dove i rilievi costieri assumono effettivamente carattere di catena impervia, giustificando il nome di serra con cui sono comunemente distinti, per quanto in Brasile siano chiamate serra anche i chapadões o taboleiros dell'interno, che non hanno affatto carattere di catena.
La Serra da Mantiqueira sorge a nord del tropico con direzione OSO.-ENE., separata dalla Serra do Mar dalle valli del Tieté e del Parahyba do Sul: la sezione grecale si congiunge alle propaggini meridionali della Serra do Espinhaço (che costituisce l'orlo orientale dell'alta valle del S. Francisco), mentre nella parte libecciale comprende il massiccio dell'Itatiaya, importante nodo idrografico, che culmina nelle Agulhas Negras, scalate nel 1871 dal botanico Ghasiou che assegnò al picco supremo la quota di 2713 metri, mentre si eleverebbe a 2979 m. secondo Orville Derby; calcoli recenti gli assegnerebbero invece un'altezza di 2790 m. Il masso montuoso di Itatiaya, ch'era ritenuto finora culmine dell'intero Brasile, è superato, secondo recenti misure, dal Pico da Bandeira (M. Caparão: m. 2861) nella cosiddetta Serra Geral, prolungamento della Serra da Mantiqueira, a circa 20° 30′ di latitudine S. presso il confine fra gli Stati di Minas Geraes e di Espiritu Santo.
Al sistema marittimo si collega il sistema goyano per mezzo del rilievo chiamato impropriamente Serra das Vertentes, bassa soglia o meglio frazione dell'altipiano limitata e incisa a nord dalle valli sorgentifere del S. Francisco e a sud dalla valle del Rio Grande (Paranȧ), che si estende tra la Serra da Mantiqueira a SE. e quella da Canastra (1287 m.), quest'ultima continuata a N. dalle Serre Matta do Corda e dos Pilões che dividono il S. Francisco stesso dal bacino del Paranahyba.
Al centro del sistema goyano si trova la Chapada dos Couros ("piana dei cuoi"), o Serra dos Pyreneos, posta nel cuore dell'altipiano brasiliano (fra 15° e 16° lat. S.) e da cui scendono il Corumbá affluente del Paranahyba (Paraná) verso S. e il Maranhão (Tocantins) verso N. Secondo un articolo della costituzione votata nel 1891, su questa Chapada dovrebbe essere trasportato il Districto Federai (cfr. il rettangolo, a levante di Pyrenopolis, i cui lati, di circa 150 e 100 km. rappresentano i limiti del Distretto federale: A. T., 155-156). I rilievi che dal nodo orografico dos Pyreneos si protendono verso il nord, prendono successivamente i nomi di Serra do Paraná, São Domingos, Taguatinga, das Mangabeiras, fino al 10° parallelo australe: alla Serra das Mangabeiras si raccorda poi la serie di rilievi che, con i nomi di Serra do Gurgueia, do Piauhy e dos Dous Irmãos, seguono il corso medio del S. Francisco dividendone il bacino da quello del rio Parnahvba e, a nord dell'8° parallelo, volgono decisamente a oriente fino a raggiungere il complesso di alture note col nome di Planalto da Borborema, ossatura arcaica della cuspide nord-orientale del Brasile. A occidente della Serra dos Pyreneos si allarga il pianalto del Goyaz meridionale (spartiacque tra il bacino del Paranahyba e quello dell'Araguaya) e poi il pianalto del Matto Grosso che ha un'altezza media tra 600 e 900 metri e che verso sud si estende fino oltre al tracciato della ferrovia S. Paolo-Corumbá, e verso nord costituisce la regione sorgentifera del Paraguay e. del Cuyabȧ da un lato, del Tapajóz e dell'Araguaya dall'altro. Il pianalto del Matto Grosso si prolunga in direzione di NO. fiancheggiando tutto il corso del Guaporé (Madeira) sulla cui riva destra scende con un pendio assai brusco, formando la cosiddetta Serra o Cordilheira dos Parecis, costituita da arenarie rosse che tra il 12° e il 10° di lat. S. lasciano il posto ai micascisti, ai gneiss e graniti delle medie valli del Tapajóz, del Rio Roosevelt e del Gy-Paraná (affluenti del Madeira).
Considerevolmente varia appare l'azione esercitata dall'erosione in ognuna delle tre zone d'alte terre e nelle singole parti di esse, data la diversità di costituzione geologica e la diversità di clima Essa è evidente soprattutto nelle aree di umidità costante, caratterizzate da grande precipitazione atmosferica e da conseguente decomposizione chimica delle rocce cristalline. Questa decomposizione dà prodotti così minuti, così fini, che cessano di essere avvertibili a una prima considerazione: ciò avviene per il Pão de Assucar che domina con la Gavia e il tipico Corcovado le azzurre acque della Baia di Guanabara, e in altri rilievi isolati a cupola dei dintorni di Rio de Janeiro. Tale decomposizione chimica si riscontra talvolta sino alla profondità di 100 metri dalla superficie del suolo (parte meridionale dello stato di Minas). Di qui la presenza d'un vero e proprio suolo argilloso a notevole profondità, per cui l'Agassiz poté supporre che su gran parte dell'area brasiliana si fosse esercitata l'azione della glaciazione; di qui anche la esigua resistenza al vento opposta dalla foresta di pendio, dove le radici non raggiungono la roccia in posto.
Le tre zone di basse terre si stendono, una presso l'orlo SO., l'altra (di gran lunga più vasta) a settentrione del massiccio centrale, mentre l'ultima ne contorna il pendio marittimo.
La prima, che può dirsi una continuazione delle grandi pianure argentine e del Gran Chaco (v. argentina), è la pianura del fiume Paraguay, limitata a nord e a est dal pendio del pianalto del Matto Grosso e a sud dalla Serra da Bodoquena: è una pianura alluvionale pressoché orizzontale: l'altitudine della pianura a Porto Esperança a sud di Corumbá è appena di 107 m. e oltrepassa di poco i 150 m. sia al limite settentrionale, a S. Luiz de Cáceres, sia al margine di SE. presso Aquidauana. Questa depressione del Paraguay è formata di depositi terziarî e quaternarî che hanno ricoperto il massiccio arcaico del Matto Grosso, che affiora al limite settentrionale nella Serra Tombador e a occidente del fiume, in territorio boliviano, nell'altipiano gneissico dei Chiquitos. Il Pantanal de Xaraes che offre una spiccata analogia con la zona triangolare lacustre circoscritta dall'Amazzoni, dal Negro e dallo Japurá, ci ricorda che questa depressione è il resto di un grande mediterraneo cretacico.
La zona di depressione fra il rialto delle Guiane e il massiccio centrale, ossia la depressione amazzonica, interposta fra il pendio orientale del rilievo andino e l'Atlantico, può apparire tutta una vastissima pianura alluvionale solo ad una superficiale considerazione, giacché nel vastissimo bacino amazzonico (calcolato dal Le Cointe pari a 5.594.000 kmq., prescindendo dal Tocantins, e del quale più della metà - circa 3.600.000 kmq. - è in territorio brasiliano) le formazioni antiche risultano considerevolmente rappresentate. La piattaforma gneissica sulla riva destra del corso inferiore del Rio delle Amazzoni (v. amazzoni) coperta, fra Pará e Gurupí, da una leggiera coltre di arenarie e di argille terziarie, quaternarie, alluvionali, attesta la continuità geologica coi gneiss e coi graniti della riva sinistra spettanti al rialto delle Guiane, e protesi sino a Carvoeiro e a Moura, non lungi dalla confluenza del Rio Branco col Negro.
Nella Serra di Paranaquara, non lungi dalla confluenza del Parú (riva sinistra, presso Almeirim), arenarie e argille terziarie e quaternarie sono state sollevate in blocco sino a 300 metri, costringendo il fiume ad approfondire il suo letto sotto le alte terrazze della riva sinistra. Risalendo il Trombetas, che raggiunge il gran fiume a ponente della tipica stretta di Obidos, si incontrano dapprima arenarie, calcari e scisti carbonici, mentre a 100 km. appaiono i gneiss, e affioramenti di dioriti e di diabasi determinano dighe rocciose nel letto del fiume. Infine, sempre sulla riva sinistra, presso Monte Alegre, si eleva il massiccio di Ereré, che comprende un gruppo di catene formate di scisti devonici i quali raggiungono l'altezza di 350 metri nella Serra de Tajuri.
Il sollevamento tettonico dell'Amazzonia orientale, portando l'azione erosiva alla superficie dei dossi terziarî di sabbia e di arenarie, ha avuto come conseguenza, che a valle della foce del Madeira il volume del materiale detritico non va diminuendo progressivamente, a misura che la grande corrente fluviale si avvicina all'Atlantico. Grosse sabbie sono infatti nell'estuario, a monte del quale appaiono le alte terre, emergenti di qualche metro, o anche solo di qualche piede, sul livello delle acque in piena nel periodo in cui la varzea, o pianura alluvionale, viene più o meno allagata (essa è stata inondata interamente dalle piene degli anni 1857, 1898, 1904, 1909, 1918).
Si ha un trapasso insensibile dai depositi quaternarî a quelli più antichi di natura analoga nell'Amazzonia centrale, dalla foce del Madeira al confine peruviano, dove Tabatinga sorge a 80 m. sul livello del mare (v. amazzoni) e dove il suolo, inciso da numerosi solchi fluviali, s'innalza, generalmente, in direzione SO. e O. Ondulazioni collinose, che constano di sabbie, argille e arenarie cementate da ossidi di ferro sotto l'azione del clima tropicale, sono fra il bacino del Juruá, che sbocca a valle di Fonte Bôa, e quello del Javary, che segna per tanta parte del suo corso la frontiera col Perù, e si alzano per circa 200 m. sul fondo della valle le groppe collinose le quali dividono il bacino dell'Acre (v. acre) da quello dell'Abuná, che segna la frontiera con la Bolivia.
Nell'area dell'Amazzonia brasiliana si possono distinguere varie regioni naturali: la pianura del Solimões, tra la frontiera peruviana e la foce del Madeira, dominio della "foresta per eccellenza", come suona la denominazione caa-eté (in lingua tupi); il bacino del Rio Negro, con la tipica area pastorale del Rio Branco; la pianura del basso Amazzoni, dalla foce del Madeira alla riva dell'Atlantico, area di pesca e d'agricoltura, e anche di allevamento del bestiame nelle isole dell'estuario; la zona costiera caratterizzata da depressioni pescose e da linea di riva bassa, sabbiosa, acquitrinosa e generalmente di modellamento instabile, che rappresenta, a nord dell'estuario, l'orlo orientale del rialto delle Guiane.
Dal limite estremo meridionale della pianura del basso Amazzoni sino alla baia su cui sorge Rio de Janeiro si stende la terza zona di basse terre, cioè la pianura costiera, variamente ampia che presenta solo di rado formazioni relativamente estese di dune litoranee (Stati di Sergipe e di Ceará). Talvolta, come nella sezione meridionale dello Stato di Bahia (dove non mancano rilievi di 500-600 metri, come il monte Paschoal) è nettamente riscontrabile un abbassamento della costa rispetto al livello del mare, abbassamento a cui ha fatto seguito un lieve innalzamento, fenomeno di particolare importanza economica, per il suo influsso sulla creazione di porti naturali. Nella sezione orientale dello Stato di Rio de Janeiro, dalla foce del Parahyba sino in prossimità di C. Frio, da cui s'inizia l'andamento generale della costa in senso NE.-SO., si trovano numerose lagune, tra cui la vasta e tempestosa Feia Nella sezione più meridionale della pianura atlantica emergono, a guisa di isole, numerosi dossi granitici che in grande prevalenza sono arrotondati; questi valgono a conferire varietà e ricchezza a uno dei più mirabili paesaggi terrestri.
Si calcola che degli 8 milioni e mezzo di chilometri quadrati che costituiscono l'area del Brasile, circa 3 milioni si trovino ad un'altitudine inferiore ai 200 metri e circa 5 milioni e mezzo ad una altitudine variante, approssimativamente, fra i 200 e i 3000 metri. Un tempo s'inclinava ad assegnare un'altitudine maggiore al rilievo interno, e si parlava anche di un'elevazione media di 2000-3000 metri, mentre ora l'altitudine media è valutata oscillare fra i 1000 e 1200 metri, o al più, fra i 1000 e i 1400 metri. Otto Bürger assegna al complesso delle basse terre una superficie di 3.485.000 kmq., alquanto superiore alla cifra poc'anzi riferita, accettata invece da Theodoro Sampaio (v. Idrografia del Brasile, nel Diccionario dell'Instituto Historico e Geografico Brasileiro, 1922), secondo il quale, la isoipsa di 200 metri partendo dal Capo S. Rocco va alla Cachoeira (cateratta) de São Antonio do Madeira, segue la valle del Guaporé e quella del Paraguay: quindi, passando per Cuyabá, Miranda, Villa Rica, Salto Grande do Uruguay, São Borja e San Leopoldo, si avvicina alla costa atlantica verso il 30° parallelo australe, s'incurva successivamente, con direzione generale NE., fra i rilievi della Serra do Mar e la costa, e infine a nord del capo Frio lascia a levante verso l'Oceano, una fascia di terre basse larga da 60 a 100 chilometri.
La costa è generalmente bassa e lagunosa in tutta la vastissima zona dove si congiungono l'estuario del Rio delle Amazzoni e quello del Tocantins-Pará, divisi dall'isola di Marajó ampia come la Svizzera, fronteggiata a N. dalle isole di Caviana e di Mexiana e nella quale affiora l'imbasamento roccioso, nonché nella sezione a nord dell'estuario stesso, fino al Capo d'Orange, e a SE. sino alla foce del Gurupí. Poi essa, meno spoglia, incisa da piccoli seni, contornata da piccole isole, si fa più alta, sino al golfo di S. Marcos, che l'isola di S. Luiz de Maranhão divide da quello di S. Josè.
Prosegue quindi per più di 150 km. monotona e sterile, sino al delta del Parnahyba, e pure senza caratteristiche salienti è il rimanente tratto costiero degli stati di Ceará e di Rio Grande do Norte sino al Capo Calcanhar, a NO. di Capo S. Rocco, dove cessa la direzione generale ESE. Dal Capo Calcanhar al Porto de Pedras, negli stati di Rio Grande do Norte, Parahyba, Pernambuco e Alagôas, l'andamento generale della costa, pur incurvandosi leggermente verso levante, non si allontana dalla direzione del meridiano, così come in seguito, sino all'estremità meridionale: della Confederazione, essa non si discosta dalla direzione generale di SSO. Dopo la foce del S. Francisco il terreno appare più accidentato, più frequenti sono le insenature, fra cui non manca un vero e proprio grande golfo: la Bahia de Todos os Santos, semiellittica, che, in parte sbarrata verso mezzogiorno dall'isola di Itaparica, si addentra per circa 80 km. fra le terre (v. Bahia). Fronteggiano la sezione meridionale della costa bahiana il gruppo corallino di Itacolomí (Itacolomis) che nella sua estremità meridionale raggiunge la latitudine del M. Paschoal, e l'arcipelago anulare degli Abrolhos ("scogli a fior d'acqua") che, vasto circa cento chilometri quadrati, emerge di fronte a Caravellas. Poi la costa si fa bassa e paludosa tra la foce del Rio Doce e la Bahia de Victoria o de Espirito Santo, per ritornare accidentata e irregolare sino alla foce del Parahyba (a nord del Capo di S. Thomé) e quindi nuovamente bassa e lagunosa (lagune Bananeiras, Salgada, Feia, Carapebús), fino al capo Frio. E un altro festone di lagune (Araruama, Saquarema, Maricá) si stende lungo l'orlo sottile e sterile compreso fra C. Frio e la Baia di Rio de Janeiro. Questa è Guanabara vasta 400 kmq., ricca d'insenature, come quelle di Juruiuba e Armaçào nella sezione orientale, di Botafogo e di Sacco do Caiú in quella occidentale: vero e proprio "lago nascosto, incastonato di isole", fra cui quelle do Governador e Paquetá, das Cohras, Villegaignon e Lage "con la sua strana fortezza simile a un gigantesco cetaceo che vigila l'ingresso". Dopo un breve tratto di terre basse, altri bracci di mare che simulano aspetto di laghi fra promontorî, e scogli e isole pittoresche, come la montuosa Ilha Grande; poi un gruppo di isole minori intorno alla maggiore e alta isola di São Sebastião (m. 1300) di fronte alle estreme propaggini meridionali della Serra do Mar. Più a sud la costa appare tipicamente bassa dove si apre, fra isole basse e sabbiose, il Mar Pequeno de Iguapé nello Stato di S. Paolo mentre ritorna alta e frastagliata nello stato di Paraná, dov'è la vasta insenatura che ha nome da Paranaguá, collegata da ferrovia alla capitale Curityba. Lungo la maggior parte del litorale di Santa Catharina, fronteggiato dalle isole di S. Francisco e di Santa Catharina, l'andamento generale è nella direzione del meridiano, sin quasi alla Punta di Santa Martha Grande da cui si riprende la direzione generale di SO. Nello stato di Rio Grande do Sul la costa è arida, monotona, orlata di lagune, fra cui la lunga e bassa Lagoa dos Patos, che uno stretto orlo sabbioso divide dal mare e un canale (Rio de S. Gonçalo) mette in comunicazione con la Lagôa Mirim.
Nel complesso, mentre non mancano vaste isole fluviali (di Sant'Anna, fra due rami dell'Araguaya, affluente occidentale del Tocantins, di Tupinambarana nel Rio delle Amazzoni, non lungi dalla foce del Madeira, ecc.), e a tacere di quelle degli estuarî dell'Amazzoni e del Pará, l'area delle isole costiere appare assai limitata, ed anche più esigua è quella delle isole cosiddette oceaniche. Tra queste è il gruppo che forse dai primi scopritori ebbe il nome di S. Giovanni, per assumere poi, ben presto, quello di Fernando de Noronha, a circa 3° 50′ lat. S. L'isola principale del gruppo, vasta circa 15 kmq. e mezzo, sorge a 500 miglia marine NE. dalla costa di Pernambuco: vulcanica, orlata da dune d'arena vermiglia, ricca di fosfati, con una produzione agraria in stretta relazione con la precipitazione, ebbe soltanto valore strategico e funzione di area di deportazione, finché i recentissimi progressi dell'aeronautica non le assegnarono un compito nuovo. A NE. di Fernando de Noronha, e propriamente a circa 0° 55′ lat. N. e 29°15′. long. O., si trova un gruppo di rocce coniche, alte appena 20 metri (Penedo do S. Pedro e do S. Paulo), mentre quasi alla stessa longitudine, ma a circa 21° S., è il gruppo che ha nome dall'isola maggiore di Trinidade (640 miglia dal litorale dello stato di Espirito Santo), e poco lontano il gruppo di Martin Vaz, formato di tre isolotti.
Sulle condizioni del litorale esercitano il loro influsso le correnti costiere, in diretta relazione con la grande corrente oceanica equatoriale, di fondamentale importanza per la navigazione. Com'è noto, la grande corrente equatoriale si scinde, in prossimità della costa brasiliana, in due rami. Il principale si dirige a nord, verso le coste della Guiana, correndo a non grande distanza dalla costa: la sua velocità varia, in prossimità della spiaggia, fra tre quarti di miglio e un miglio e mezzo, mentre è di due miglia e mezzo fra 40-50 chilometri dalla costa. Il ramo secondario si dirige, in prossimità del Capo S. Rocco, verso il sud, assumendo il nome di corrente brasiliana: questa si mantiene a una distanza maggiore dalla costa, raggiungendo, a 250-400 chilometri da essa, una velocità non superiore a tre quarti di miglio. L'onda di risacca si fa talvolta pericolosa per la navigazione, come avviene durante l'inverno anche per il porto di São Salvador. Particolare importanza hanno talora le correnti di marea. A più di 3 km. dall'Ilha das Oncas (Isola delle pantere), nell'estuario del Pará, l'onda di marea, detta "pororoca", che risale il fiume, raggiunge, nei periodi sigiziali, un'altezza superiore ai tre metri. Le maree più alte del Brasile (massima osservata: m. 8, 16) si registrarono lungo la costa del Maranhão, in prossimità della baia di S. Marcos. Nella costa cearense l'altezza di marea raggiunge il valore medio di m. 2,80 (oscillando fra m. 1,50 nelle quadrature e m. 3,50 nelle sigizie).
Il declivio del fondo marino si presenta talvolta assai uniforme, come lungo la costa dell'Alagôas dove, nei periodi sigiziali, emergono appena sulle acque basse banchi corallini. Banchi e scogliere vere e proprie costituiscono talvolta un pericolo grave per la navigazione; due cordoni paralleli di scogli sono, ad es., presso il porto di Natal. Più a mezzogiorno, in prossimità del Capo Branco è una stretta scogliera corallina, a circa 1100 m. dalla penisola su cui sorge Parahyba: l'isobata dei 9 metri decorre alla distanza di 1200-2800 m. dalla scogliera.
La varietà delle condizioni del suolo, le quali esercitano un influsso immediato e mediato sull'intensità e sulle modalità degli stanziamenti umani e sulla prevalenza di determinate occupazioni, rende assai difficile la divisione dell'area brasiliana in vere e proprie regioni geografiche o regioni naturali complesse. Una suddivisione proposta da C. M. Delgado de Carvalho distingue le quattro seguenti regioni geografiche, o grandi regioni naturali del Brasile: Brazil Amazonico, NE. subequatoriale, Vertente oriental dos planaltos, Brazil platino. Ognuna di queste si divide in regioni naturali minori; così il Brazil Amazonico, la regione più vasta e meno popolata e che corrisponde approssimativamente alla sezione brasiliana del bacino dell'Amazzoni, comprende: la "regione serrana" o boreale, costituita dai tavolati arcaici delle Guiane da cui discendono, con una serie di cascate, impetuosi affluenti; la depressione amazzonica, grande pianura centrale di terre basse coperte di dense foreste che corrisponde alla rete delle vie fluviali naturali, presso cui si concentra la popolazione; il "chapadão septentrional do planalto brasileiro" (regione dei pianalti settentrionali nella carta) e l'area acrense.
Il nord-est subequatoriale, esteso dalla bassa valle del Pará a quella del San Francisco e bagnato dall'Atlantico, corrisponde alla zona di colonizzazione antica, è tuttora discretamente popolato, e comprende quattro regioni naturali: il golfo maranhense; l'area del Parnahyba, altipiano collinoso, cinto da pianure; le catene e le terrazze del versante nord-orientale, dominanti le regioni semiaride del Brasile, e infine la costa, con la foresta antica, nell'area incolta di Pernambuco.
Il versante orientale degli altipiani, fra le terrazze del rilievo interno bahiano il grande solco del San Francisco e l'Oceano, comprende cinque regioni naturali: la regione costiera, protetta dai venti, popolata nella sua parte settentrionale, pantanosa e disabitata nella parte meridionale, su cui si estendono gli stati di Bahia e di Espirito Santo; l'alta regione delle pianure, generalmente coperta di foreste, ricca di minerali e pietre preziose; la valle del San Francisco, a cui convergono i principali rilievi del sistema centrale, e che corrisponde alla parte centrale del Minas Geraes; la zona mineraria del sud, dove le condizioni climatiche favoriscono l'addensarsi e la prosperità della popolazione, e da ultimo il bacino del Parahyba do Sul, regione fluminense o di Rio de Janeiro, coi suoi rilievi di rocce arcaiche ed eruttive, esteso dalla pianura di Campos alle valli boscose che raggiungono l'Oceano ricco di isole.
Il Brazil platense, fra la valle del Paraguay e l'Atlantico, è zona di colonizzazione per eccellenza, generalmente alta, con ottime condizioni climatologiche e agrarie: si estende negli stati di S. Paolo, Santa Catharina, Paraná, nella parte meridionale del Matto Grosso e del Goyaz e nel così detto triangolo mineiro. Comprende cinque regioni naturali: la costiera, di tipica produzione tropicale, ristretta fra l'Atlantico, la Serra do Mar e la Serra Geral; la serrana, costituita dalle due serre predette, caratterizzata da ricca piovosità e da scarsa popolazione; quella dell'altipiano (solcata dai tributarî del Paraná) dove si alternano colture e foreste, dove la terra rossa offre il miglior terreno per il caffè, dove la pollicoltura, l'allevamento del bestiame e i più progrediti metodi industriali moderni permettono risultati economici eccellenti; la cosiddetta campanha riograndense, tipica regione di allevamento; infine l'altipiano interno nella sezione meridionale del Matto Grosso e del Goyaz, dove la colonizzazione avanza rapidamente.
Clima. - Un giudizio generale sul clima brasiliano è reso complesso e difficile dalla vastità del territorio, che appartiene a tre diverse zone climatiche e presenta una grande varietà di condizioni altimetriche onde risulta alterata la distribuzione dei dati meteorologici in dipendenza della latitudine. Si aggiunga che soltanto poche stazioni ci possono offrire elementi termici, barici, udometrici per un periodo trentennale, e che esse sono in massima parte costiere e subcostiere, mentre per vaste regioni interne possediamo soltanto elementi sporadici e saltuarî, dovuti a qualche viaggiatore o a recenti installazioni di osservatorî. Solo quando le osservazioni saranno molteplici e regolari si potrà, con sufficiente approssimazione, stabilire quali siano le caratteristiche salienti del clima amazzonico, del clima di altipiano, e del clima di montagna, e avremo la possibilità di costruire la carta climatologica del Brasile.
Così pure, mentre possiamo dire di conoscere, insieme con quanto ha riferimento alle correnti marine subcostiere e alle correnti di marea, il regime dei venti delle varie zone portuarie, e siamo in grado di fissare, con sufficiente approssimazione, nella stessa valle del Solimões, il limite del vento geral, la scarsità delle nostre cognizioni sulle condizioni bariche di tanta parte dell'interno non concede conclusioni sicure sulla formazione delle aree cicloniche e anticicloniche e, in genere, sul regime dei venti, da cui può dipendere in misura notevolissima l'industria agraria e dell'allevamento.
Nei riguardi del clima amazzonico poi si deve ricordare che, oltre al dissenso teorico sull'influsso esercitato sulle condizioni igieniche, esiste una grande diversità nei risultati delle osservazioni e nei giudizî degli studiosi e dei viaggiatori: certamente questa discordia è dovuta in gran parte alla grande varietà delle condizioni delle singole zone, condizioni che favoriscono od ostacolano l'acclimazione dell'europeo immigrato. Occorrerà quindi che anche in questo senso si amplino e si moltiplichino gli studî perché possano essere sicuramente stabilite le effettive condizioni igieniche di molte zone del Brasile: per ora merita di essere riferita la conclusione meditata d'un geologo, a cui sono dovuti lavori fondamentali relativi all'area brasiliana: "In alcune parti del Brasile il clima è buono come in qualsiasi parte del mondo: tali sono gli altipiani di Minas Geraes, Goyaz e degli Stati del sud, S. Paolo, Paraná, Santa Catharina, Rio Grande do Sul. Le regioni elevate e aride dell'interno sono piacevoli e salubri, ma le aree acquitrinose dell'Amazonas, del Pará, del Matto Grosso devono essere evitate sempre quando non si sia immunizzati dai disturbi intestinali e dalle febbri maligne" (J.C. Branner, 1919).
Secondo gli studiosi più recenti sembra opportuno dividere tutto il Brasile in tre zone basandosi sulla temperatura media annua: A, zona di clima equatoriale con temperatura media annua superiore a 25° (zona tropical); B, di clima subequatoriale con temperatura media annua tra 20° e 25° (zona subtropical); C, di clima temperato (zona temperada) con temperatura media tra 10° e 20°. Ciascuna di queste zone va suddivisa in sezioni a seconda dell'andamento annuale della piovosità, cosicché si può adottare la seguente classificazione del Morize, accolta anche dall'Eredia:
A1. Clima equatoriale molto umido hanno la costa del Maranhão e del Piauhy nonché gran parte della vallata dell'Amazzoni: la temperatura è calda, ma non torrida, e costante con pochissime variazioni durante tutto l'anno; è molto umida, e perciò debilitante e snervante, ma non eccessivamente insalubre. A Belem la media del mese più freddo è 25°,1, quella del mese più caldo 26°,5; a Manáos, il mese più freddo ha una media di 26°,7, il mese più caldo di 28°,3; a Porto Velho il mese più freddo ha una media di 27° e il mese più caldo di 29°,3. Anche le variazioni fra le temperature estreme assolute sono piuttosto lievi. La piovosità che è abbondante e va da un minimo di mm. 1312 a un massimo di mm. 3137, non è distribuita uniformemente durante tutto l'anno, ma si notano una stagione delle piogge e un periodo asciutto. Presso la costa la stagione asciutta dura da 4 a 5 mesi e si estende in genere da luglio a novembre, ma si riduce man mano che si ascende il corso del fiume tanto per la durata quanto per l'intensità. L'epoca delle massime piogge cade sempre tra il marzo e l'aprile e per tutte le località; nelle località più interne il periodo piovoso s'inizia in ottobre e perdura fino a maggio. Complessivamente si può dire: nell'Amazzonia piove molto, la pioggia cade in un gran numero di giorni distribuiti durante l'anno, e a sud dell'equatore l'epoca piovosa corrisponde all'estate e all'autunno australi. Il vento dominante lungo il corso dell'Amazzoni è l'aliseo che soffia con provenienza dal NE. fino oltre Manáos e quindi in direzione est-ovest. Nell'alto Amazzoni e specialmente nel bacino degli affluenti meridionali l'azione dell'aliseo è contrastata da un vento di S. o di SO. proveniente dalla Cordigliera, che fa abbassare notevolmente la temperatura producendo nel periodo da maggio ad agosto (inverno australe) il fenomeno noto localmente col nome di friagem.
A2. Nelle località dell'interno, tanto a nord quanto a sud del Rio delle Amazzoni, e precisamente negli stati di Amazonas e di Pará nonché nella parte meridionale del Maranhāo, nel Goyaz e nel Mato Grosso si è osservato il tipo di clima equatoriale indicato come umido-continentale nella nostra tabella. La temperatura per effetto della maggiore distanza dalla costa, subisce nell'anno variazioni più notevoli: così nel Maranhão, a Barra da Corda, sul Rio Mearim, le temperature estreme assolute variano fra 39°,4 e 12° mentre vicino alla costa, a S. Bento, tali estremi divengono 36°,4 e 18°,5; così nel Matto Grosso a S. Luiz de Cáceres furono osservate le temperature estreme di 40°,8 e 3°,8 e a Corumbá 40°,6 e 0°,8.
La temperatura media mensile subisce variazioni assai minori (da 3 a 4 gradi) e presenta un massimo nei mesi di novembre e dicembre e un minimo nei mesi di giugno e luglio, seguendo la declinazione del sole e indipendentemente o quasi dall'andamento della piovosità.
In queste regioni, benché la quantità di pioggia annuale sia talora inferiore a quella registrata dalle stazioni litoranee, la pioggia è ben distribuita nell'anno e la siccità vi è sconosciuta. Nella distribuzione annuale della pioggia si distinguono però un massimo in gennaio e febbraio e talora in marzo e un minimo nei mesi di giugno e luglio. Anche l'umidità relativa come la nebulosità presentano un andamento analogo a quello della piovosità.
A3. Nella vasta regione nord-orientale del Brasile che, partendo dalla zona meridionale del Piauhy, si estende negli stati di Ceará, di Rio Grande do Norte, di Parahyba e nell'interno di Pernambuco e di Bahia fino alla sezione settentrionale del Minas Geraes, la quantità annua di piogge e la loro distribuzione determina il terzo tipo del clima equatoriale chiamato semi-arido. La temperatura media nei diversi mesi dell'anno si mantiene sempre elevata, cosicché la differenza tra la media del mese più freddo, giugno o luglio, e la media del mese più caldo, dicembre, non supera 1 o 2 gradi.
Immigrazione europea. - Non conosciamo quale fosse il numero della popolazione indigena esistente nel Brasile all'epoca della scoperta, come assai scarsi sono i dati che possediamo sulla entità dei due elementi ben distinti, il bianco portoghese e il negro africano, che vi convennero durante tutto il periodo coloniale: solo verso la fine del sec. XVIII cominciano le prime statistiche, non generali però, ma riferentisi a singole provincie o a singole città. Cetto si è che le tre razze fondamentali si mescolarono nel territorio brasiliano in proporzioni molto varie: in certe regioni rimasero preponderanti gl'indigeni mescolati coi Bianchi; in altre, e specialmente intorno a Bahia e nello stato di Rio de Janeiro, l'elemento negro è ancora fortissimo. Le correnti migratorie di Europei, che in gran numero affluirono al Brasile nella seconda metà del sec. XIX, aumentarono l'importanza dell'elemento bianco che tende sempre più ad assorbire o a limitare gli altri componenti. Il più recente quadro etnografico della popolazione brasiliana è quello del censimento del 1890 dal quale rileviamo come i Bianchi e i Negri coi loro Meticci fornissero l'89% della popolazione mentre gl'indigeni costituivano appena l'11%. (v. etnografia).
Dopo il 1890 le variazioni non possono essere state di grande entità e sempre a favore della popolazione bianca. È evidente l'importanza dell'elemento immigrato nella composizione etnica del popolo brasiliano, ma lo studio statistico deve limitarsi necessariamente alle correnti immigratorie fornite dalla razza bianca mancando i dati per l'elemento negro. Si può dire che il grande flusso migratorio abbia inizio con l'indipendenza del Brasile, per quanto già qualche anno prima si fosse pensato ad attirare coloni dall'Europa; il movimento, dapprima modesto, andò man mano crescendo specialmente nell'ultimo cinquantennio con prevalenza numerica di elementi mediterranei e specialmente d'Italiani.
Secondo i dati raccolti ed elaborati dalla Direzione generale di statistica, nello spazio d'un secolo (1820-1919) immigrarono nel Brasile circa 3.600.000 persone quasi tutte del ramo indoeuropeo. Secondo questo calcolo, il primo posto è tenuto dagl'Italiani che diedero 1.378.876 individui, mentre i Portoghesi furono 1.021.271 e gli Spagnoli 501.378. Seguono a notevole distanza i Tedeschi con 127.000, i Russi e Polacchi con 105.000, gli Austriaci con 80.000 (compresi i Trentini), i Francesi con 30.000, gl'Inglesi con 20.000, gli Svizzeri con 12.000. Si aggiungono 245.000 immigranti diversi e 55.000 compresi sotto la denominazione di Turco-Arabi (in gran parte Siriaci).
Nel primo anno del periodo considerato (1820) l'elemento straniero è rappresentato soltanto dagli Svizzeri (1682) fondatori della colonia di Nuova Friburgo, ma in tutto il secolo successivo la Svizzera non invia che altri 10.000 immigrati. Più costante è il flusso dei Portoghesi che con una media annua di oltre 6000 immigrati tengono il primo posto nel periodo 1850-1879 e, superati dagl'Italiani negli anni dal 1890 al 1904, riprendono il loro posto dal 1905 con una media annua di oltre 30.000 immigranti compreso il quinquennio della grande guerra. Anche gli Spagnoli, come gl'Italiani, cominciano a giungere dopo il 1880 con una media annua che oscilla da un minimo di 2.900 persone nel decennio 1880-1889, ad un massimo di 28.697 nel quinquennio 1910-1914. Meno regolari sono le altre correnti. Nel primo quinquennio post-bellico (1919-1924) su una media annua complessiva di 74.625 immigrati, i Portoghesi dànno una media di 27.524 persone, gl'Italiani 12.349, gli Spagnoli 8.981, i Tedeschi 9.499 e i Turco-Arabi 3581.
L'immigrazione italiana. - Il primo nucleo d'Italiani immigrati (180) risale al 1836, solo dopo il 1860 comincia però la vera corrente immigratoria. Nel decennio 1860-69 giungono 4916 persone, ma già nel decennio successivo gl'Italiani sono 47.100 con una media annua di 4710 individui, quindi dal 1880 al 1889 salgono a 276.724 e nel decennio 1890-1899 raggiungono la cifra massima di 690.365 fornendo oltre il 50% dell'immigrazione totale. Nel 1901 arrivano al Brasile ancora 60.000 Italiani, ma nel 1902, anche per effetto del provvedimento preso dal governo italiano di vietare la partenza di emigranti con viaggio pagato, solo 32.000 e quindi la cifra annua scende fino a 13.000 per risalire ancora a più di 30.000 nel 1912 e nel 1913. La diminuzione è ancora maggiore nel periodo della guerra mondiale (media annua sotto a 5000).
Nella ripresa dell'immediato dopoguerra, cioè nel quinquennio 1920-24, allorché la media annua dell'immigrazione totale sale a 74.625, gl'Italiani tengono il secondo posto con una media annua di 12.349 persone, e conservano il secondo posto nel triennio successivo con una media annua di 7940 persone. Nel 1928, quando l'immigrazione totale sale a 82.061, gl'Italiani (5496) risultano al terzo posto, essendo superati non solo dai Portoghesi (33.883), ma anche dai Giapponesi (11.169), e superando a lor volta di poco la quota dei Polacchi (4708), degli Spagnoli (4436) e dei Germanici (4228). La diminuzione degl'immigranti italiani è intimamente connessa alle nuove direttive demografiche del governo italiano e ai provvedimenti della bonifica integrale.
Se il contributo dato dagl'Italiani all'immigrazione in Brasile è in assoluto superiore a quello fornito da ogni altra nazionalita per tutto il periodo 1820-1924, è però da osservare che il periodo classico dell'immigrazione italiana può dirsi rappresentato dal cinquantennio 1875-1924, poiché nel primo decennio di questo periodo l'immigrazione italiana oscilla fra 1171 (anno 1875) e 15.724 (1883), nel secondo fra 10.102 (1884) e 132.326 (1891), nel terzo fra 104.510 (1897) e 12.857 (1904); nel quarto (1905-1914) fra 13.668 (1909) e 30.886 (1913) e infine nel quinto decennio si va da un minimo di 1050 (1918) a un massimo di 15.839 nel 1923.
Tutti questi dati hanno per base, come si è detto, le cifre offerte dalla statistica brasiliana, spesso divergenti da quelle calcolate, su una base diversa, dal Commissariato italiano dell'emigrazione. Dove il contrasto fra dette cifre diventa apertissimo, è nel calcolo relativo all'intera popolazione italiana residente in Brasile, poiché, mentre il censimento brasiliano novera, nel 1920, circa 550.000 Italiani (aventi cioè nazionalità italiana, esclusi, quindi, i figli degli Italiani nati su suolo brasiliano e, perciò, giuridicamente Brasiliani), secondo il calcolo (1927) del Commissariato italiano dell'emigrazione gl'Italiani risultano pari a circa 1.840.000.
Ma lo studio sull'elemento italiano in Brasile deve tener conto di una grande quantità di elementi, oltre a quello demografico, di difficile e complessa valutazione: elementi che vanno studiati stato per stato, e più ampiamente per gli stati di San Paolo e di Rio Grande do Sul, dove gl'Italiani prevalgono per numero e importanza su tutti gli altri immigrati stranieri. Appunto trattando dello stato di San Paolo sarà possibile valutare la questione dell'emigrazione italiana; rimandiamo perciò ai relativi articoli.
Le popolazioni indigene. - Antropologia. - L'antropologia delle stirpi indigene del Brasile è, si può dire, appena allo stato iniziale. Il lavoro fondamentale per la conoscenza della forma esterna sul vivente, quello dell'Ehrenreich, citato qui sotto, prende in considerazione meno di 200 individui, di regioni lontane l'una dall'altra e ciascuna estesissima.
Il materiale osteologico che dell'immenso territorio brasiliano è consegnato nella letteratura, è costituito da cranî, per lo più non numerosi. Pochissimi scheletri sono stati studiati nei loro caratteri; e con metodi invecchiati. Tuttavia si può tentare un abbozzo antropologico di questa regione sul materiale esistente, quando si tenga presente che si tratta d'un tentativo che le ricerche ulteriori devono correggere e perfezionare. Si sono potuti già raccogliere, invero, alcuni fatti fondamentali i quali costituiscono indicazioni generali per la risoluzione della questione.
Dall'elaborazione dei dati dell'Ehrenreich, e soprattutto dall'applicazione ad essi fatta (Sera) d'un nuovo metodo per apprezzare rigorosamente l'altezza del cranio cerebrale (considerato come un corpo solido tridimensionale; v. cefalici, indici), risulta in primo luogo come gli etni diversi appartenenti alle tre grandi divisioni culturali Cariba, Arawak, Tupi (così dette culture intermediarie), siano caratterizzati da un cranio dolico-meso-cefalico e basso (platicefalico). Per dir meglio, la platicefalia si presenta più accentuata, cioè più frequente, nei gruppi etnici appartenenti alle dette divisioni, sebbene possa presentarsi, allo stato sporadico, anche in gruppi etnici diversi per la loro appartenenza etnografica e linguistica. Quest'ultimo fatto non deve recar meraviglia, giacché, sebbene nei territorî del Brasile la scarsa densità della popolazione debba essere stata relativamente favorevole al mantenersi dei caratteri di gruppi, qui, come altrove, sono avvenute mescolanze, onde elementi platicefali sono entrati in gruppi a cranio elevato.
La caratteristica della platicefalia si deve però considerare, nella regione, come un buon criterio distintivo, e come un buon caso di parallelismo etnografico-antropologico (Sera). Fanno eccezione appunto a questo parallelismo le stirpi del Purús, che linguisticamente sono arawak o forse ne hanno subito l'influenza; ma lo stesso Ehrenreich dice che culturalmente sono alquanto divergenti.
Riguardo alle caratteristiche facciali dei platicefali, esse sono alquanto diverse fra i gruppi, ma tutto sommato non sono mai accentuatamente mongoleggianti, come troveremo nei Bororó, ad es., mentre al contrario talvolta raggiungono aspetti europeizzanti marcati, come ad es. nei Paressi (Arawak) o nei Nahaqua (Caribi; fig.1). Per lo più, hanno il tipo comune in America, ad occhio non così aperto come nell'Europeo e nel Negro. Presentano caratteri di affinamento, avendo nasi stretti ed alti, faccia alta, ovale, cioè con scarsa larghezza bigoniaca (fra gli angoli delle mandibole). Il colore della pelle è piuttosto scuro in genere. Fra i Bacairi si trovano capelli fortemente arricciati.
Aggiungiamo alcuni dati metrici dei gruppi che hanno il tipo più puro: 9 Paressi maschi hanno dato un indice cefalico orizzontale medio di 77,5, una statura media di 160,5, un rapporto della lunghezza dell'arto inferiore (altezza trocanterica, cioè distanza dal suolo del trocantere del femore) alla statura, di 1,85, cioè di mesatischelia (proporzioni medie) ma rivolta alla macroschelia (proporzioni a gambe lunghe); 10 Bacairi un indice orizz. medio di 79, una statura di 160,8, un rapporto dell'arto inferiore alla statura di 52,1, cioè di macroschelia iniziale.
Ora è molto interessante notare, per lo scopo di stabilire l'origine geografica e morfologica di questo tipo platicefalo, che uno dei due tipi andini, l'Aymará, è caratterizzato dal cranio basso (Sera), mentre è noto da tempo (Rivet), che una grande massa di platicefali (per lo più Arawak) nella parte settentrionale dell'America Meridionale (Venezuela), ha una sede assai prossima alle Ande. L'origine andina dei platicefali in genere è perciò probabile.
Ciò è tanto più interessante, in quanto si crede da alcuni (Torres), che almeno elementi d' alcune di queste culture intermediarie, dimostrino affinità con la cosiddetta cultura di Tiahuanaco, che probabilmente è la cultura propria degli Aymará.
Comunque, questi platicefali sono talvolta ad enormi distanze dalle Ande, ma ciò non deve far meraviglia, data la configurazione del bacino idrografico dell'Amazzonia, e dato il carattere di pescatori e navigatori di queste genti, che dovette permettere loro di allontanarsi dalle testate dei fiumi affluenti del Rio delle Amazzoni sulle Ande, in un tempo relativamente breve.
I dati sul vivente e i dati craniologici permettono di pensare probabile che i platicefali invasero regioni abitate da due tipi a cranio alto, ma che avevano caratteri facciali assai diversi, e cioè l'uno a caratteri europeizzanti accentuati, l'altro a caratteri mongoleggianti. Noi non possiamo indurre l'esistenza di questi due tipi che dal fatto di trovarli ben caratterizzati, cioè allo stato relativamente puro, in territorî geografici molto distanti l'uno dall'altro. Il primo tipo è più occidentale e ad esso appartengono alcune stirpi del Purús (e soprattutto gli Yamamadi), ma esso appare come respinto verso il sud dai platicefali settentrionali, poc'anzi ricordati, del Venezuela, in guisa che dobbiamo pensare a un'origine settentrionale e occidentale. La sua morfologia facciale ci porta al tipo centro-americano, ma allo stato di rozzezza, tuttavia non eccessiva.
Il secondo tipo è fortemente mongoleggiante e potrebbe dirsi orientale, almeno rispetto al primo. Esso è rappresentato, allo stato puro relativamente, dai Bororó. Ma per lo più questi due tipi li vediamo fusi l'uno con l'altro. Ciò è assai evidente ad es. negl'Ipurina.
Il primo tipo, che chiamiamo Yamamadi, ha carattari facciali che approssimativamente possiamo dire europeizzanti, ma avvertendo che si usa questa parola per contrasto all'altra di mongoleggiante, giacché, in verità, da un lato in Europa esistono tipi simili fra loro, ma non identificabili, dall'altro lato tipi simili agli europei esistono in molte altre regioni del globo.
Questo tipo (fig. 2) è caratterizzato da un cranio facciale basso e largo, squadrato, per una distanza bigoniaca sensibile; la radice nasale è bene saliente, il naso diritto o lievemente convesso, con la punta spiovente in basso, punta così detta papuasoide.
Il colore della pelle è grigio-giallo chiaro. I capelli sono spesso ondulati e arruffati.
Aggiungiamo alcuni dati metrici del gruppo etnico che presenta i caratteri del tipo allo stato più puro: 4 Yamamadi hanno dato un indice orizz. medio di 81,8, una statura media di 159,8, un rapporto dell'arto inferiore alla statura di 50,2, vale a dire di quasi brachischelia (cioè di proporzioni a gambe corte). Il numero degl'individui però è troppo scarso.
Il tipo Yamamadi si presenta spesso con aspetto basso, ma certamente può presentarsi con aspetto di affinamento; è probabile che una forma di affinamento di questo tipo siano ad esempio i Carajá dell'Araguaya. Il tipo Bororó è uno dei più interessanti, se non il più interessante dell'America (fig. 3). È fra i più mongoleggianti di questo continente. La singolarità del suo aspetto è però aumentata dal costume della epilazione. La radice del naso è mediocremente saliente, il dorso scarsamente prominente, retto e largo. Le narici rivolte verso l'innanzi. La punta del naso è all'estremo opposto del tipo precedente, cioè può dirsi quasi assente. Il setto nasale ha spesso la singolarità di non arrivare in basso al livello delle ali. La piega palpebrale superiore si prolunga talvolta all'interno con una vera piega mongolica. La larghezza facciale è forte, ma è forte anche l'altezza, onde una faccia grande. Il cranio è alto, la convessità frontale regolarmente saliente. I capelli presentano la minore frequenza di ondulati, fra tutte le serie studiate. La pelle è piuttosto scura.
20 Bororó maschi hanno un indice orizzontale medio di 81,2, una statura di 173,7, un rapporto dell'arto inferiore alla statura di 50,9, cioè di mesatischelia.
Recentemente, Baptista e Roquette-Pinto sezionarono un'Indiana Ipurina, che, forse, appartiene antropologicamente a questo tipo o in cui, almeno, la predominanza dei caratteri di questo tipo è riconoscibile. I suddetti autori trovarono particolarità anatomiche assai speciali. Per questo soggetto e per altri speriamo che le ricerche si moltiplichino, data la loro grandissima importanza.
Il tipo Bororó deve certo la sua individualizzazione all'isolamento in cui è rimasto nel cuore del Brasile nell'Altipiano del Matto Grosso, la regione meno aperta ai movimenti etnici. E un tipo d'una grandissima importanza per le questioni generali relative al popolamento dell'America e all'antichità dell'uomo in questo continente. Ma di tali questioni non può essere qui parola. È invece necessario notare come il tipo Bororó dimostri d'essere lo stesso tipo che si riscontra nei sambaquis (Sera), depositi di conchiglie sulla riva del mare, che alcuni credono residui di pasti, altri formazioni naturali di spiaggia, almeno in qualche caso. Molto diffusa l'opinione che il tipo umano craniense che si trova nei detti sambaquis appartenga al tipo Tupi, ma come si è visto, in realtà le genti di questo nome sono caratterizzate da cranio mesocefalico al più e soprattutto basso, mentre i cranî dei sambaquis sono brachicefalici dichiarati, e alti. I caratteri facciali sono assolutamente diversi, giacché è bene evidente nei cranî dei sambaquis un forte grado di appiattimento facciale, sebbene non tale come si riscontra nel tipo mongolico propriamente detto, ma come si ha in quel tipo umano che il Sera denominò primo o polinesiano. È molto importante notare che detto tipo, assai probabilmente, si presenta in unico esemplare nei cranî della razza subfossile di Lagoa Santa (v. paleoantropologia), cranio che è stato spesso trascurato da coloro che hanno preso in considerazione la serie di Lagoa Santa e che invece dimostra la presenza di mescolanze in serie già abbastanza antiche.
La presenza di questo tipo Bororó, a caratteri evoluti, ad alta statura e a forte capacità cranica, è uno degli argomenti più forti, per ritenere che l'uomo americano sia prodotto da mescolanze di più elementi indipendenti l'uno dall'altro: non solo, ma il trovar questo tipo allo stato sporadico e quasi obliterato da altri tipi sopra un'estensione di spazio enorme, fa pensare che un tempo avesse il dominio di gran parte del continente americano. Esso dimostra strette affinità col tipo Patagone.
Nell'oriente del Brasile, abbiamo poi altre genti che, antropologicamente, formano un'unità intorno al gruppo etnico che vien detto dei Botocudo i quali sono forse i più primitivi fra tali genti; molto probabilmente tutti i gruppi etnici di lingua Gés, almeno, appartengono a questo tipo, il quale però probabilmente è anche proprio o predominante in gruppi etnici tupizzati o guaranizzati, per la lingua e l'ergologia. Abbiamo dato i caratteri di questo tipo alla voce speciale ed è inutile ripeterli. Molto probabilmente questo tipo ha avuto verso le zone australi del continente un'estensione assai grande nei periodi preistorici. Una questione assai importante ad esso relativa è quella dei suoi rapporti col tipo Jamamadi. Sotto il rispetto antropogeografico i rapporti non sono diretti, essendo interposto fra l'uno e l'altro il tipo Bororó, almeno nella direzione ovest-est. Ma in quali rapporti morfologici sono l'uno e l'altro? Essi sono certo simili, ma forse non strettamente affini. È questa una delle più grosse questioni che ci presenta l'antropologia dell'America Meridionale, giacché alcune note del tipo Botocudo ci fanno pensare ad affinità negroidiche, e quindi verso l'altra sponda dell'Atlantico (Sera). Ad ogni modo l'Ehrenreich insiste molto sulle differenze tra la forma generale, l'aspetto complessivo del cranio del tipo Botocudo (a proposito dei suoi cranî Cayapó) e il tipo del cranio Carajá, che a lui appaiono due forme assai distinte. E sono appunto molti dei caratteri descrittivi presi in considerazione dall'Ehrenreich (pp. 160-161), che entrano in gioco a determinare le differenze fisionomiche del vivente. Anche l'Ehrenreich, rilevando le forti somiglianze per il cranio facciale fra Cayapó (brachicefali) e Botocudo (dolicocefali), non esita ad avvicinarli strettamente, affermando lo scarsissimo valore che si deve attribuire alle differenze dell'indice cefalico orizzontale. È questa un'osservazione che ci fa considerare che assai probabilmente gruppi etnici assegnati ad un tipo antropologico Tupi o Guarani non siano tali, ma da ricondurre al tipo Botocudo-Cayapó. A questo certamente sono da ricondurre i cranî preistorici di Lagoa Santa, di cui si parlerà altrove.
Bibl.: P. Ehrenreich, Anthropologische Studien über die urbewohner Brasiliens, ecc., Braunschweig 1897; K. E. Ranke, Anthrop. Beobacht. aus Zentralbrasilien, in abhandl. math.-physik. Kl. k. bayer. Akad. d. Wiss., XXIV, i; Monaco 1907; G. L. Sera, L'altezza del cranio in America, in Archivio per l'Antrop. e l'Etnol., XLII-XLIII, Firenze 1912-1913; G. L. Sera, I caratteri della faccia ed il polifeletismo dei Primati, in Giornale per la Morfologia dell'Uomo e dei Primati, II, Pavia 1918; B. Baptista e E. Roquette-Pinto, Contribution è l'Anatomie comparée des races humaines. Dissection d'une Indienne du Brésil, in Archivos do Museu Nacional Río de Janeiro, XXVI (1929).
Etnologia. - Al tempo della scoperta dell'America la regione costiera era abitata principalmente dai Tupi-Guarani, chiamati collettivamente Tupinambá, dal nome della tribù principale. Delle loro abitudini e dei loro costumi si hanno fin dal sec. XVI eccellenti relazioni che Métreaux ha di recente riunito in un suo esauriente studio comparativo. Tribù Guarani vivevano anche nei distretti interni, specialmente lungo il Rio delle Amazzoni. Durante il sec. XVI esse migrarono in varie direzioni spingendosi anche assai lontano ed è probabile che molte delle tribù appartenenti a questo gruppo etnico che vivono attualmente nell'interno, discendano dai Tupi della costa. Migrazioni notevoli ebbero luogo da parte di alcune orde Tupi attraverso il continente in cerca della Terra Beata "dove nessuno mai muore". L'importanza dei Tupi-Guarani è resa soprattutto evidente dal fatto che la lingua Guarani è, in gran parte dell'Amazzonia, una specie di lingua franca, chiamata localmente lingua geral, e l'esame della toponomastica brasiliana ci rivela come da questi popoli abbiano avuto origine moltissimi nomi anche nei distretti dove essi presentemente non risiedono.
Fu con i Tupi che Cabral venne in contatto quando per primo approdò sulla costa del Brasile. Una tribù assai potente in passato, stabilita sul corso superiore del Rio delle Amazzoni, fu quella degli Omagua, la cui cultura, contrariamente a quella della gran maggioranza degl'Indiani del Brasile, pare avesse subito una forte influenza dal Perù. Fra l'altro essi deformavano il cranio dei loro bambini, comprimendo la fronte e l'occipite, finché il capo assumeva la forma di una mitria. Pare tuttavia che né la salute né le facoltà mentali risentissero alcun danno da questo duro trattamento. Una forte e bellicosa tribù Tupi, stabilitasi al principio del sec. XIX sul Rio Tapajóz fu quella dei Mundrucú della quale però non rimangono oggi che pochi avanzi. Altre tribù dello stesso gruppo vivono ancora sparse nel Brasile ma nessuna di esse raggiunge qualche importanza. I Parentintin (Cawahib) del Rio Madeira, una volta assai bellicosi, sono stati di recente pacificati da Curt Nimuendajú, un tedesco-brasiliano il quale ha anche pubblicato un'eccellente monografia sui loro usi e costumi. Nessun altro gruppo d'Indiani ha partecipato così largamente alla formazione d'una popolazione meticcia quanto i Tupi, la lingua dei quali ha anche fornito al portoghese un contributo di parole più forte di qualsiasi altra lingua indiana. Di queste tribù pochissime hanno vissuto o vivono a nord del Rio delle Amazzoni.
Ampiamente distribuite in tutto il Brasile sono varie tribù Arawak (Aruacos) quali i Baniva, i Baré, i Siusi, i Vabichana o Vapisiana e altre del nord-ovest, i Paumari, gli Yamamadi e gli Ipurina sul Rio Purús, i Paressi nel Matto Grosso, i Mehinacú e i Custenau sul Rio Xingú. Al tempo della scoperta ve n'erano anche delle importanti nell'Amazzonia inferiore alle quali è probabile sia dovuta una gran parte delle belle ed originali ceramiche quivi rinvenute. Nell'isola Marajó, per es., sono state scoperte urne antropomorfe per sepolture secondarie, e, alla foce del Rio Tapajóz, ciotole sorrette da specie di cariatidi. Sono stati rinvenuti anche idoli di pietra e di giada, di fogge strane, raffiguranti animali e demoni. Tali reliquie di un'antica cultura indiana si collegano molto più strettamente alla civiltà dell'America Centrale che non a quella del Perù. Avanzi di antiche città indiane non sono stati ancora rinvenuti né è probabile lo siano in avvenire. Ma dalle narrazioni dei viaggi compiutì sul Rio delle Amazzoni dai primi esploratori risulta evidente che gl'Indiani di quel tempo possedevano un grado di cultura più elevato di quello degl'Indiani d'oggi ed è quindi assai probabile che gli avanzi cui sopra si è accennato siano in parte da attribuirsi a tale periodo.
Numerose sono le tribù Caribe, una delle quali, i Bacairi, del Rio Xingú, è ben nota per gli studî dell'esploratore Karl von den Steinen che la scoprì nel 1884. I Bacairi erano allora all'età della pietra, per niente influenzati dalla civiltà dei Bianchi, non possedevano animali domestici né piante coltivate; non conoscevano, per es., il banano, che, importato in America dal Mondo Antico, è divenuto per gl'Indiani di tutta la zona tropicale la coltura più importante. Al gruppo dei Caribi appartiene pure la tribù dei Macusci e altre della regione limitrofa alla Guiana britannica, i Carijona del Rio Japurá, ecc.
Al tempo della scoperta vivevano nel Brasile orientale, oltre ai Tupi, alcune popolazioni d'un livello culturale inferiore, in massima parte designate collettivamente col nome di Gēs. La loro area di distribuzione tocca il bacino del Rio delle Amazzoni soltanto lungo il Rio Xingú. Di questo gruppo, le tribù più note sono i Botocudo (v.) del Rio Doce ed i Cayapó (v.) del Rio Araguaya. Si ritiene che i Gēs, i quali di regola non praticano l'agricoltura ma vivono della raccolta dei prodotti della foresta, della caccia e della pesca, costituiscano la più antica popolazione indigena della regione. Per la maggior parte essi non possiedono imbarcazioni ed i loro spostamenti devono essere quindi avvenuti non per via fluviale ma per terra. Qualche affinità coi Gēs, nei modi dell'esistenza materiale, hanno i Bororó (v.) del Matto Grosso, intorno alla cultura dei quali un italiano, P. Antonio Colbacchini della locale Missione salesiana, ha scritto un interessantissimo libro. Oltre ai gruppi etnici ricordati vi sono numerose tribù appartenenti a gruppi linguistici distinti, dei quali uno dei più importanti è quello dei Tucano nel Brasile nord-occidentale comprendente i Cobeua, i Tucano e altre tribù che sono state accuratamente studiate da Koch-Grünberg. I Carajá (Karayá) che vivono sul Rio Araguaya sono stati, come i Bacairi, bene esaminati lEhrenreich e Krause). Essi sono linguisticamente isolati e, come molte altre tribù specie del Brasile orientale, sono noti per i loro magnifici ornamenti di penne, per le maschere, ecc.
Molti missionarî cattolici hanno scritto interessanti relazioni sugli usi e costumi degl'Indiani del Brasile: fra le altre sono da notarsi quella del padre Claude d'Abbeville sui Tupinambá e quelle dei gesuiti Maroni, Chantre y Herrera e altri sugl'Indiani dell'Amazzonia superiore. Qui come altrove, i missionarî hanno sempre cercato di proteggere gl'Indiani dalle violenze dei coloni bianchi, le quali avevano raggiunto, in passato, forme di persecuzione e di sfruttamento intollerabili, specie nei distretti della produzione della gomma. Uno speciale dipartimento governativo per la protezione degl'Indiani è stato veramente organizzato sotto la direzione del generale Randon, ma la ristrettezza dei fondi e l'insufficienza del potere amministrativo hanno sinora limitato a pochi e piccoli distretti l'applicazione delle misure umanitarie progettate.
Il Brasile non possiede un vero "problema indiano" come è avvenuto nella Bolivia e nel Perù, dove gran parte del lavoro agricolo è compiuto da Indiani; pur tuttavia il problema dell'avvenire degl'Indiani è assai importante, dato che in alcuni vasti territorî la popolazione è in gran parte composta da Indiani, e che questi, essendosi così mirabilmente adattati alle condizioni fisiche e climatiche della regione, vi sono quasi indispensabili. Così dove i fiumi sono navigabili solo con canoe la loro abilità come rematori li rende spesso assolutamente necessarî. Perciò, anche dal punto di vista della sua economia nazionale è necessario che il Brasile protegga gl'Indiani dalla decimazione e dall'estinzione.
Civiltà indigene. - I confini del Brasile racchiudono un numero di tribù indigene molto maggiore di ogni altro stato sudamericano, e parte di esse si trova ancor oggi pressoché incontaminata dalla civiltà dei Bianchi; questi due caratteri bastano a spiegare l'importanza che a partire dal sec. XVI fino ai giorni nostri hanno conservato gli studî dell'etnografia brasiliana. Fino da quei remoti tempi sorse in primo luogo il problema d'una classificazione degli etni, problema che ha oggi una lunga storia e annovera molteplici tentativi. Le cosiddette razze, o nazioni, o, più modernamente gruppi d'indigeni vennero volta a volta definiti sulla base dei caratteri corporali, etnografici, sociali e linguistici. Naturalmente nessuno di questi caratteri, adoperato esclusivamente, può costituire un criterio di discriminazione, per i complicati fenomeni di dominazione e migrazione interna dei gruppi e la conseguente acculturazione, cui dobbiamo la presenza di tribù che hanno patrimonio etnografico misto, o che appartengono ad un gruppo per l'etnografia e ad un altro per la lingua, o che, essendo rimaste già da lungo tempo separate dal nucleo centrale, acquistarono aspetti di profonda variazione, o, infine, si presentano a distanza amplissima di spazio dal foco originario, e racchiuse in un'area completamente estranea, a guisa di gocce d'olio. Sconfortati da queste difficoltà pratiche, gli autori ricorsero anche alla classificazione puramente geografica, la quale, a dir vero, sorpassa i problemi or ora accennati, ma senza risolverli.
Qualunque sia l'importanza teorica da attribuire ai mezzi economici e al sostentamento materiale nell'esistenza d'una società, ricorreremo a questo criterio per isolare fin d'ora una prima grande massa di etni, sulla cui unità, del resto, sono d'accordo tanto i linguisti quanto gli etnografi. Si tratta d'una trentina di tribù aggruppate sull'altipiano del Brasile, che costituiscono una grande massa quasi omogenea, chiamata gruppo Gēs o dei Puri-Coroados, e il cui Carattere economico distintivo è l'assenza d'una vera agricoltura. Tutti gli altri aborigeni del Brasile entreranno in una vasta divisione, quella dei popoli agricoltori, che suddivideremo più tardi in un certo numero di gruppi speciali.
Vivono i Gēs di caccia, pesca, e raccolta dei frutti silvestri, e se qualche tribù presenta tracce agricole, queste sono scarse, rudimentali, e probabilmente acquisite assai tardi. Alla loro vita nomade si connette l'abitazione precaria, il cui tipo è la capanna cupolare emisferica o il semplice paravento. Nelle armi sono rappresentati l'arco con le frecce e il palo da getto, ma il carattere negativo più saliente, che basta da solo a distinguere questa cultura da quella degli agricoltori, è che i Gēs non conoscono affatto la navigazione, mentre l'altra è una vera "cultura del canotto". Per descrivere con un certo sistema il patrimonio di detti cacciatori-pescatori del massiccio orientale, sceglieremo una tribù caratteristica del gruppo Gēs o Puri-Coroados: i Crenak, ottimamente illustrati dal Manizer. Per l'abitazione, i Crenak costruiscono varî tipi di paravento, uno con semplice pertica orizzontale appoggiata a due pali piantati nel suolo, e che sostiene foglie di palma o rami e Cortecce d'albero, e l'altra formata d'un vero intreccio di grandi foglie su di un telaio rettangolare. Nella marcia si cammina in fila indiana per sentieri impraticabili; le donne trasportano i loro bimbi e lo scarso corredo domestico sospesi al dorso mediante fasce e sacchi a reticella; giunti alla nuova stazione diradano il terreno e rizzano i paraventi, allineati in un ordine rudimentale, ma costante, con i vecchi riuniti in uno degli estremi. A ogni tribù viene assegnata la sua zona per la caccia, pesca e raccolta, considerata come proprieta inviolabile. La raccolta è affidata alle donne, e consta dei frutti silvestri della Lecythis, alcune ortiche, baccelli, ananas spontanei, tubercoli, punte di liane e germogli di bromeliacee. Si aggiunga, per poche tribù, una temporanea coltura di mandioca, banane e patata dolce, che al massimo produce l'alimento per due mesi dell'anno. Il compito di provvedere la carne è riservato agli uomini: piccoli animali, come uccelli e lucertole, ed anche scimmie, cinghiali e cervi, presi a mano o con bastoni da getto i primi, con l'arco gli ultimi. È praticata l'affumicazione delle carni; per la cottura adoperano marmitte ed altri recipienti di bambù. Si raccoglie il miele silvestre e si mesce con acqua, come bevanda cerimoniale. Non conoscono bevande eccitanti, né il tabacco; fumano bensì nella pipa foglie di erbe diverse. L'arco è di legno di palma, alto come un uomo o più, la corda di fibre di palma ritorte; le frecce di varie forme, secondo la destinazione, più comune quella di bambù tagliata a forma di coltello. I bimbi portano il pene rialzato e legato al prepuzio. Gli uomini portano i capelli corti, le donne e i fanciulli pettinature di varie fogge; non sono sconosciuti collari e braccialetti; i caratteristici grossi bottoni labiali ed auricolari (botocos in portoghese) che originarono il nome Botocudos, sebbene alquanto in disuso, sono ancora conservati. I Crenak, uomini e donne, vanno nudi; in cambio è generale l'uso della pittura del corpo col succo vegetale rossiccio dell'urucú, come protezione contro il freddo e gl'insetti. Rara, ma permessa, è la poliginia, più spesso si pratica il cambio capriccioso delle mogli; vi è tuttavia interdizione matrimoniale per varî membri della famiglia. Il matrimonio si effettua col consenso dei parenti o d'una persona influente, a cui il pretendente fa dei regali. Il gruppo sociale è una piccola orda, con un capo la cui autorità è molto limitata, e proviene dalle sue doti personali. Le donne partoriscono con facilità in un recesso del bosco; l'allattamento si prolunga molto tempo dopo che i bimbi hanno imparato a camminare e parlare. I malati non ispirano compassione, tuttavia si tenta curarli con erbe medicinali ed incantamenti. Le pratiche funebri sono semplici e si riducono all'abbandono del cadavere nella propria capanna, con un piccolo corredo funerario. È temuto l'influsso maligno dei morti. La spiegazione dei fenomeni naturali, così come varie costumanze sociali, vengono ricollegate ad un essere soprannaturale, il vecchio Maret, un gigante la cui ira è temuta e a cui pare si facciano offerte propiziatorie. Le canzoni dei Crenak sono semplici nenie ripetute a sazietà. Questo abbozzo etnografico d'una speciale tribù vale a dare un'idea sufficiente del grado di civiltà di tutto il gruppo Gēs, denominazione sotto la quale vanno compresi i popoli ad economia parassitaria dell'altipiano. L'unità etnografica di questi coincide interamente con l'unità linguistica, poiché tutto il gruppo parla lingue classificate sotto un solo titolo, delle lingue Gēs-Tapuya, con i cinque sottogruppi nord-occidentale, meridionale, orientale, Botocudo e Goytacȧ.
Passando ora alle altre forme più elevate di economia, ossia ai popoli agricoltori, si deve per lo meno far menzione d'uno stadio intermedio, rappresentato dai Bororó e da altri scarsi esempî; sono cacciatori di tipo superiore, sprovvisti di agricoltura, ma con una civiltà materiale e spirituale molto superiore al gruppo Gēs, e che tende invece verso quella dei popoli decisamente agricoltori.
Di agricoltori è formata tutta la restante popolazione indigena del Brasile. È sorprendente il fatto che in un'area così vasta da comprendere i bacini dell'Orinoco e dell'Amazzoni, ossia la metà del continente (eccettuando il solo altipiano orientale che è sede dei Gēs) si trova diffuso un complesso di elementi culturali uniformi che a prima vista induce a delineare un'immensa unità etnografica, che nei varî autori prende il nome di "cultura amazzonica" o "delle foreste tropicali". Questo complesso si definisce per mezzo dei suoi componenti: lavori agricoli sufficientemente progrediti, canotti scavati in un solo tronco d'albero, amaca, ceramica, cerbottana, bottone labiale, casa con armatura di travi, mazze-sciabole, legature ornamentali del braccio e della gamba, ornamenti e diademi di piume, flauto d'ossa umane, trofei umani di capelli o di cranî, sonagli di cucurbite, uso del miele e della cera, cannibalismo, danze con speciali mascherature, la couvade, cerimonie di flagellazione per iniziare gli adolescenti, frecce ottuse per gli uccelli: un complesso, infine, veramente formidabile, che ha indotto alcuni autori a considerarlo come un gigantesco fenomeno di acculturazione (Wissler). E certamente l'uniformità dell'ambiente e il mezzo materiale degli spostamenti umani nell'Amazzonia (attivissima circolazione di canotti in un intricato e vasto reticolo fluviale) devono esser tenuti, se non come la causa, almeno come il mezzo diffusivo dei diversi elementi. Ma sotto questa apparente uniformità, uno studio più approfondito discerne un certo numero di modalità distinte, riconoscibili, in maniera più concreta, mediante il criterio linguistico, cui si deve la terminologia di questa classificazione della popolazione agricola: gruppi Arawak (Aruaco) e Caribe (principalmente al nord dell'Amazzoni e ad oriente del Rio Negro) e gruppo Tupi-Guarani (principalmente al sud dell'Amazzoni e ad oriente del Madeira) rimanendo un terzo gruppo, di lingue inclassificate (lingue isolate dello Schmidt) il cui nucleo più denso si trova ad occidente della linea Orinoco-Rio Negro-Madeira. Esistono più o meno accentuate differenze etnografiche che distinguono ciascuno di questi gruppi schematici, ma i più recenti studî (Métraux) hanno avvicinato considerevolmente i Tupi-Guarani ai Caribi, di tal maniera che è decaduto il valore di alcune antiche classificazioni che separavano troppo nettamente la "razza" amazzonica settentrionale dalla meridionale.
Riferendoci al settore occidentale, o delle lingue inclassificate e dissimili, è evidente che quando ad ovest del limite Orinoco-Rio Negro-Madeira si trovano nuclei di Tupi, Arawak e Caribi, questi si presentano come invasori, mentre il resto della popolazione del triangolo suddetto, pur non conservando l'unità linguistica, ha ritenuto tracce d'una certa uniformità culturale. Oltre ai caratteri comuni di tutti gli agricoltori, che sono anche cacciatori e pescatori, troviamo qui il seguente patrimonio: si coltiva, oltre alla mandioca e al tabacco, anche la coca, e in minore scala il granturco, cucurbite e canna da zucchero; si dissoda la terra con un palo, non con la zappa; si addomesticano le api; la mandioca si comprime in stuoie; si mastica la coca, si usa il tabacco come bevanda cerimoniale; frecce avvelenate con curaro; mazze a forma di paletta; la pesca si effettua non solo con veleno, ma anche con trappole, ami, reti e lance a tridente, tamburi da segnali; tamburi dispari, maschio e femmina, con decorazioni falliche; amaca tessuta con fibre di palma ritorte. Tutta la comunità abita una sola casa grande e rotonda, con accesso recondito, labirintico; non usano vestiti; perizonio di corteccia per gli uomini; collari di denti umani; perforazione del setto nasale, sonagli alle gambe; pittura del corpo molto elaborata; per le decisioni importanti di guerra e pace, parlamentari durante i quali si fa circolare una bevanda nerastra di tabacco; esclusione delle donne da ogni riunione cerimoniale o festa di cannibalismo; interdizione dei nomi personali e dei mitici; sciamanismo invadente. Due cerimonie di raccolta, per la mandioca e l'ananas; zampogna; castagnette; tamburo; sonagli di zucche. Ogni gruppo monoico è esogamo, con discendenza patrilineare; famiglia monogamica: ogni casa ha il suo capo, e i maschi adulti formano il consiglio; si adora il sole e la luna; sepoltura in fosse.
Rimane ora da illustrare la zona più ampia della cultura amazzonica, la quale, come si è detto, riunisce al nord i due gruppi linguistici Arawak e Caribe e al sud i Tupi-Guarani. Si presentano come proprî della divisione settentrionale le palafitte, la casa piccola con tendenza a formar villaggi, l'amaca tessuta in cotone, la mandioca amara, la cassava compressa con lo speciale filtro a sacco, pesca con veleno, canotto d'un sol pezzo di corteccia, vasi quadrangolari, paniere con coperchio, doppia sepoltura, con la custodia secondaria dei resti in urne di terracotta; si fuma il tabacco avvolto a guisa di sigaro, si pratica la coltivazione del cotone e la filatura, è assente l'uso della coca e del tamburo da segnali. Nella divisione meridionale invece il tabacco si fuma in pipa di pietra. Le case sono disposte a villaggio, benché pare che questo carattere si sia acquistato di recente, per influenza dell'uomo bianco, mentre in origine la dimora era collettiva e la società monoica. I villaggi sono circondati da palizzate. La sepoltura in urne di terracotta è diretta, non già secondaria.
Ma per dare un'idea concreta e vivente della coltura amazzonica sarà bene analizzare il patrimonio d'una determinata tribù: abbiamo scelto quella dei Vapisiana, magistralmente descritta dal FarabecCurtis, sita nell'area settentrionale, e che fa parte d'un nucleo Arawak circondato da ogni lato da Caribi. I villaggi dei Vapisiana si compongono di poche case aggruppate irregolarmente nella savana aperta, presso la selva; dette case sono di pianta rettangolare, circolare od ovale, e hanno due porte, una per le donne e una per gli uomini; sono senza finestre; l'armatura è di tronchi d'albero e rami di vario spessore, le pareti di foglie di palma o di fango, il tetto di foglie di palma, e la sua forma può essere a due versanti, o conica, o a guisa di canotto rovesciato. I Vapisiana sono principalmente agricoltori; i loro campi sono situati nel bosco a gran distanza dai villaggi, in luoghi appositamente diradati durante la stagione secca; usualmente piantano patata dolce, canna da zucchero, e grani, nello stesso campo, insieme con mandioca; intercalano anche ananas, cucurbite, banane, tabacco e papaya. Comprendono il valore d'una selezione attenta dei semi. Gli uomini aiutano a seminare, ma pochissimo a coltivare e raccogliere, che sono compiti delle donne. Caccia e pesca somministrano una certa varietà alla dieta essenzialmente vegetale dei Vapisiana; usano amuleti di caccia e sortilegi speciali per ogni genere di animali da catturare; certe specie di mammiferi ed uccelli si prendono con trappole. Le armi dei cacciatori sono l'arco e la cerbottana con frecce avvelenate. La pesca si fa con arco e frecce, amo, trappole ed avvelenamento delle acque. Gli acuti denti del piranha (Serresalmo) limitano l'uso della lenza. Le trappole presentano gran varietà di forme, ma il metodo di maggior rendimento nella pesca è l'avvelenamento delle acque con succhi vegetali, e richiede la partecipazione d'un gran numero d'individui, diretti da un capo; s'impiega durante la stagione secca. Gli alimenti si preparano con l'arrostirli o lessarli. Con la cassava si prepara una specie di pane; gli utensili di detta manipolazione: forno, grattugie, setacci e madie, sono tenuti in gran conto presso i Vapisiana, che sogliono custodirli in speciali costruzioni del villaggio. Si estraggono dalla cassava i succhi velenosi col caratteristico filtro a forma di lunga manica, tessuto di fibre vegetali; mediante un dispositivo semplicissimo, detta manica riduce il suo diametro e comprime la polpa posta all'interno, provocando l'uscita dei succhi malefici. Usano anche mortai con pestelli di legno. Contrariamente alla generalità degli Arawak, i Vapisiana non sono grandi vasai; fabbricano marmitte ed altri recipienti per cuocere e conservare i liquidi, in terracotta, col sistema della trecciuola spirale, seccano all'ombra e poi cuociono i vasi a fuoco aperto; la decorazione è dipinta. Per trasportare i liquidi usano invece le zucche. Gli uomini portano un cinto che sostiene davanti e di dietro gli estremi d'una fascia che passa fra le gambe, le donne un piccolo grembiule. Gli uomini usano talora sandali con suola di cuoio o di legno, ma solo per attraversare terreni sassosi. Capelli lunghi, acconciati in varie foggie; rare le mutilazioni corporali: aguzzano gli incisivi superiori e perforano il setto nasale. Usano il tatuaggio del volto e della lingua. Gli uomini portano diademi di piume di vivi colori. Alle gambe e caviglie, alle braccia e ai polsi uomini e donne portano avvolte fasce di cotone; altre fasce e corde di cotone pendono dalle spalle, a mo' di doppia bandoliera. Per proteggersi dagli insetti dipingono il corpo con urucú (Bixa Orellana), ma per le danze le donne adornano il corpo con veri disegni decorativi. Tessono i loro vestiti, amache, reti, sacchi, ecc. filando varie fibre vegetali, principalmente il cotone, ma anche fibre di palma e bromeliacee. Ogni tipo di fibra richiede un processo di preparazione lungo e complicato. I Vapisiana sono esogami e poligami, l'eredità patrilineare; le donne vanno ad abitare insieme con lo sposo nel villaggio del padre di questo. Non è escluso il divorzio, consistente nella semplice separazione, senza cerimoniale, ma in genere la vita matrimoniale e le relative interdizioni tengono molto in conto il rispetto dell'opinione pubblica. I figli sono allattati per tre o quattro anni. Alla nascita d'un bimbo, il padre resta a giacere nell'amaca per un mese, soggetto ad una dieta speciale (couvade). Ogni villaggio ha un capoccia che dirige gli affari della comunità specialmente le danze e le partite di caccia e pesca. Non c'è castigo definito per i delitti. La morte è attribuita ai cattivi spiriti; il cadavere si seppellisce sotto il pavimento della propria capanna, accumulandovi sopra gli utensili del morto, e il tutto, insieme con la casa, si abbrucia; la famiglia si trasporta in altro luogo vicino. Quando si tratta d'una donna, la famiglia continua ad abitarvi, ma più spesso le donne, e così i bimbi, si seppelliscono, come esseri di minore importanza, in un apposito luogo esterno. Non adorano il sole, né la luna, ma l'ecclissi di questa è temuta. Spiriti disincarnati popolano il loro quadro soprannaturale, ma anche la vita è funzione dell'unione con lo spirito. L'immagine del creatore è molto antropomorfizzata. Lo sciamanismo è diffuso. I Vapisiana non eccellono nella musica; usano flauti e sonagli. Si celebra con la danza ogni avvenimento, ma una importanza speciale ha la gran danza che si pratica quando un campo di mandioca è giunto alla maturità; in tal caso si fanno lunghi preparativi, e prendono parte alla cerimonia individui mascherati. Fanciulli e fanciulle non giocano mai insieme. I primi si divertono con archi e frecce. Si conoscono i giuochi di fili intrecciati.
Non si può chiudere questa breve rassegna senza far cenno dei risultati affatto recenti della etnologia generale, che, sulle orme di Foy, Gräbner e principalmente W. Schmidt, è riuscita a diagnosticare, mediante il metodo comparativo, i patrimonî di ciascuna di queste aree, giungendo a stabilire che ognuna di esse rappresenta nell'America del Sud il prolungamento di aree culturali ben definite nell'Oceano Pacifico. Lasciando da parte le culture più elementari, che riassumono le forme correlative del vecchio mondo, troviamo la cultura amazzonica corrispondere alla melanesiana (matriarcale libera di Schmidt), alla quale si aggiunsero elementi della polinesiana (patriarcale libera), funzionando il triangolo occidentale come una specie di serbatoio della cultura totemistica oceanica (Gräbner), mentre la quarta cultura del Pacifico (la esogamica patriarcale) resta fuori del nostro compito, avendo partecipato alla formazione d'un complesso più elevato, sulla fascia andina del continente.
Bibl.: C. D'Abbeville, Histoire de la Mission des Pères Capucins en l'isle de Maragnan et terres circonvoisines, Parigi 1614; J. B. von Spix e C. F. von Martius, Reise in Brasilien, Monaco 1823-1831; G. Soares de Souza, Tratado descriptivo do Brazil em 1587, in Revista do Instituto historico e geographico brazileiro, XIV, Rio de Janeiro 1851; C. F. von Martius, Beiträge zur Ethnographie und Sprachenkunde Amerikas zumal Brasiliens, Lipsia 1867; J. de Léry, Histoire d'un voyage fait en la terre de Brésil, Parigi 1880; Maroni, Noticias auténticas del famoso río Marañon, in Boletín de la Soc. Geogr. de Madrid, XXVI-XXXIII (1889-1892); P. Ehrenreich, Beiträge zur Völkerkunde Brasiliens, Berlino 1891; K. von den Steinen, Unter den Naturvölkern Zentral-Brasiliens, Berlino 1894; J. Chantre y Herrera, Historia de las Misiones de la Compañia de Jesus en el Marañon español (1637-1767), Madrid 1901; P. Ehrenreich, Die Ethnographie Südameriches im Beginn des XX. Jahrhundert unter Besonderer Berücksichtigung der Naturvölker, in Archiv für Anthropologie, III, Brunsvick 1905; M. Schmidt, Indianerstudien in Zentralbrasilien, Berlino 1905; H. von Ihering, The Anthropology of the of S. Paulo, Brazil, S. Paolo 1906; T. Koch-Grünberg, Zwei Jahre unter den Indianern, Berlino 1909-10; id., Vom Roroima zum Orinoco, 1917-1928; F. Krause, In den Wildnissen Brasiliens, Lipsia 1911; W. Schmidt, Kulturkreise und Kulturschichten in Südamerika, in Zeits. für Ethnologie, 1913; Farabec-Curtisa, The Central Arawaks, 1918; H. H. Manizer, Lẹs Botocudos, 1919; C. Wissler, The American Indians, 1922; C. Nimuendajú, Os Indios Parintintin do rio Madeira, in Journal de la Soc. des Américanistes de Paris, XVI (1924); A. Colbacchini, I Bororos Orientali, Torino 1927; A. Métraux, La civilisation materielle des tribus Tupi-Guarani, Göteborg 1928.
Etnologia della popolazione immigrata. - I componenti della popolazione attuale del Brasile possono aggrupparsi in tre maggiori divisioni: I, gli aborigeni; II, gl'immigrati; III, i meticci. Alla loro volta gli immigrati dal punto di vista raziale si scindono in due grandi masse: 1. i Negri africani; 2. i Bianchi d'Europa. La proporzione reciproca è la seguente:
Queste cifre sono dedotte dal censimento del 1890, ma le pubblicazioni ufficiali del Brasile ammettono che non possono essersi prodotte variazioni molto importanti. È impressione di varî osservatori che la popolazione negra in parecchi stati superi la bianca (Denis), ma, in mancanza di dati esatti, ci atteniamo al criterio ufficiale, secondo il quale in tutta la confederazione i Negri rappresentano qualcosa più del quarto della popolazione bianca.
È facile dedurre che un'influenza di gran lunga importante spetta alla popolazione che è derivata dalla mescolanza degli elementi primarî, ossia ai meticci. I quali meticci alla loro volta possono ridursi a varî tipi d'incrocio, essendo prodotti dell'indiano col bianco (mameluco), del bianco col negro (mulato) e del negro con l'indiano (cafuso). Ciascuno di questi tipi misti, produce un'indicibile complessità di variazioni negli incrociamenti ulteriori, di maniera che, con molta ragione, nell'occuparsi del problema del tipo brasiliano lo scrittore F. J. Oliveira Vianna si domanda: "Quale di cotesti tipi rappresenta il tipo nazionale? Tutti e nessuno, da ciò l'impossibilità di parlare d'un tipo brasiliano". Data questa complessità di elementi costitutivi, molto difficile è stato il cammino percorso dagli studiosi del Brasile, demografi ed etnografi, per tracciare, sia pure approssimativamente, un quadro della popolazione attuale, tanto dal punto di vista della razza, che da quello del patrimonio culturale e dell'indagine psicologica.
Il primo passo verso una relativa chiarezza si è raggiunto osservando le regioni d'addensamento delle varie masse, il che equivale anche al porre in luce le facoltà, gli abiti mentali e l'attitudine economica di ciascuna divisione. La massa degli schiavi neri ebbe com'è noto, durante l'epoca della Colonia, la missione di fornire la mano d'opera alle industrie, si diffuse perciò in un primo tempo lungo la fascia della costa atlantica (stati di Bahia, Pernambuco e Rio de Janeiro), dove fiorirono, nei grandi latifondi coloniali, la piantagione della canna e l'estrazione dello zucchero. In un tempo più recente fu attratta anche da alcuni stati interni (Minas, Goyaz e Matto Grosso), dove, per la scoperta di giacimenti metalliferi, si apriva l'era dello sfruttamento minerario. Se si tien conto, inoltre, della coltura del caffè nello stato di San Paolo, si ha un criterio globale sulla funzione economica e sulle zone di diffusione della popolazione negra, giacché dopo la liberazione definitiva degli schiavi, proclamata dall'Impero nel 1888, i Negri sono rimasti su per giù nei medesimi luoghi dove li trovò insediati il decreto abolizionista. A causa, dunque, di ragioni storiche, insieme con la sua proverbiale inerzia ed assenza d'iniziativa, l'elemento negro si trova oggi riunito nelle zone di maggior vitalità della nazione, ossia nei centri dell'agricoltura e dell'industria. Il suo spiccato "urbanismo", accentuatosi con l'abolizione della schiavitù, fa sì che gran numero di Negri si trovi nelle capitali, dove si stratificano nelle basse sfere dell'attività cittadina, in qualità di braccianti, facchini, servitori, camerieri; gli stivatori dei porti brasiliani si reclutano quasi esclusivamente fra i Negri ed i loro meticci, i mulatti. Strana mescolanza di forza fisica ed accidia, disciplina e insubordinazione, fedeltà e vizio offrono, in massa, questi contingenti melanoidi.
È da premettere che l'estrema complessità delle origini dà ai contingenti africani un aspetto già molto vario, che non può certo definirsi con una qualificazione unitaria. L'Oliveira Vianna distingue per il loro carattere dolce e sommesso, leale ed onesto, i Negri delle tribù Mina, Fellanin, Fulla, Yoruba ed Egba, i quali mostrano di possedere attitudini al miglioramento sociale, visibili nel loro amore all'economia ed al benessere. Gli Haussa ed Efan sono invece Negri altezzosi e indomabili, e tra le loro fila si reclutano sempre i caporioni delle rivoluzioni negre del Brasile. Un terzo gruppo, caratteristico per l'assenza di moralità e d'integrità di carattere è formato da Angola e Gegi, e nel suo seno si sono plasmati i tipi del meticcio socialmente meno desiderabili, per l'incorreggibile oziosità e immoralità, come i capadocios dell'interno.
Ma, astrazion fatta da queste differenze, è necessario riconoscere che la popolazione di colore di formazione meno recente, la quale comprende i Negri meno impuri, offre, in generale, delle qualità di sommissione, sobrietà e morigeratezza di costumi che contrastano vivamente con l'insubordinazione ed aggressività dei mulatti. Siamo arrivati al vero punto doloroso della demografia brasiliana: il mulatto. Storici e politici del paese riconoscono che questo elemento sociale, ribelle ed esplosivo, ha dato il coefficiente principale al disordine e all'anarchia nelle vicende della storia brasiliana. Giudichi chi vuole sulla forza che apportano questi fatti alla dottrina dell'eredità psicologica raziale, od invece al pervertimento d'una malintesa libertà di educazione ed ambiente: il fatto è che di fronte a un negro puro o semipuro obbediente e servizievole, si trova un meticcio di fresca data, suscettibile, arrogante e irriflessivo. Questo quadro non offre di certo prospettive molto rosee sull'avvenire della popolazione, ma, ad onor del vero, son da registrare due altre circostanze meno fosche: la prima, che l'indice di accrescimento del negro è negativo (− 0,62); la seconda, che l'indice dei mulatti, benché positìvo, è controbilanciato da un miglioramento sensibile che si produce per mezzo dell'incrociamento progressivo. Gli scrittori brasiliani conoscono uno strato di "mulatti superiori" la cui indole e condotta sociale è senza dubbio migliore, in funzione della quantità di sangue europeo iniettata e del conseguente eugenismo che attenua le stesse forme fisiche, nel senso caucasico.
Dal punto di vista etnografico, non è possibile isolare uno speciale patrimonio della popolazione negra o mulatta, nel suo insieme, perché l'attitudine decisamente urbanistica delle sue agglomerazioni la rende pedissequa imitatrice del sistema di vita degli europei. È poi degna di studio l'influenza inversa, ossia quella esercitata sul folklore e persino sull'arte, dai modi e costumi dei Negri. Essa si mostra soprattutto in alcuni balli (coco e samba) e in composizioni ritmiche della letteratura popolare (modinhas).
Se si passa a studiare la diffusione dell'indigeno brasiliano, si trovano le maggiori densità nel Matto Grosso, e negli stati del nord, Piauhy, Maranhão, Pará, Ceará, e principalissimo l'Amazonas, dove, secondo cifre ufficiali, dovrebbe rappresentare il 50%, ma è facilmente qualche cosa di più, dato il valore approssimativo dei censimenti degl'Indiani, che, per la loro vita nomade e in parte per la loro inaccessibilità, sfuggono tuttora al rigore della statistica. Abbandonato dagl'impresarî della Colonia nella loro ricerca di mano d'opera, e sostituito con lo schiavo negro, l'Indiano andò ritirandosi progressivamente dinanzi alle avanguardie degli uomini che organizzavano il territorio ai fini dell'agricoltura e dell'industria, per ridursi dove attualmente permane, ossia nella vasta zona delle foreste e delle estensioni a pastorizia. Molti nuclei praticano ancora la vita originaria (piccoli cacciatori e raccoglitori), altri, specialmente quelli formati da Meticci, partecipano debolmente alla vita economica del paese, nella forma più elementare, della estrazione di prodotti nativi, quali il caucciù, la china, la salsapariglia, l'ipeca ed altre sostanze medicinali o industriali. L'indigeno, dunque, è l'abitante caratteristico dei luoghi non organizzati a vita economica, ossia della selva e del sertão. Con questa parola intraducibile (leggi: sertón) i Brasiliani designano il paese senza case né strade, dove, secondo la sintesi del Denis, la circolazione non ha prodotto alcuna specie di "conforto", dove ogni incontro è un avvenimento, e spesso si viaggia con la bussola; dove si vive delle provviste che si portan seco e della caccia, si dorme con la testa sulla sella.
Gl'indigeni che vivono completamente a sé sono trattati a parte (v. sopra). Ma non manca d'interesse l'Indiano semicivilizzato, e più ancora il meticcio dell'Indiano. Mameluco è il nome che in genere si dà in Brasile a questo meticcio, prodotto della mescolanza col bianco. Si adopera talora anche il nome caboclo che altre volte si estende a tutta la popolazione indiana, ma, più propriamente, indicherebbe, più che un aggregato raziale, un tipo economico: quello dell'indigeno che vive di una sua embrionaria agricoltura. Un tipo più strettamente definito è il sertanejo, o uomo del sertão, che abbonda nelle provincie del nord meno forestali, come il Ceará; prodotto della mescolanza dell'europeo (specialmente il portoghese) e dell'Indiano, già nell'epoca relativamente remota della Colonia, il sertanejo presenta dei tratti sufficientemente fissi, specie nella fisionomia leggermente mongoloide e piatta, nei neri e grossi capelli e nel colorito bronzeo. Può dirsi che il sertenejo, ancor più che il gaucho di Rio Grande do Norte ed ogni altra formazione particolare del Brasile, mostri una vera unità, tanto culturale che somatica, solidamente fissata dall'ambiente economico. Il Museo nazionale di Rio de Janeiro, sito nell'antica reggia di Don Pedro (Quinta da Boa Vista), ha provveduto intelligentemente a raccogliere i documenti etnografici per lo studio del sertanejo in parecchie sale ricchissime di armi, vesti, carri e strumenti.
Diametralmente opposta alla tendenza urbanista del Negro è la condotta generale dell'Indiano e suoi derivati. Anche quando hanno stabilito dei contatti più o meno estesi con la vita civile, essi rifuggono dalle città, e i loro nuclei maggiori sono rurali; anzi, in sostanza, la loro vita è dissociata. È vero che i meticci della pianura talora s'ingaggiano negli stabilimenti dove si alleva il bestiame in qualità di garzoni (vaqueiros). Ma in generale essi formano, piuttosto che un elemento di miscela e compenetrazione, qualche cosa come un cordone liminare, rifuggente passo a passo, sempre più ritirantesi all'interno, irriducibile e torvo, benché passivo, di fronte all'avanzare della civiltà. Togliamo dalla letteratura brasiliana una descrizione di questo tipo sociale: "Uomo fuggiasco, seminomade, inadattabile alla civilizzazione, sebbene viva al margine di essa, nella penombra della zona di frontiera. A misura che il progresso si espande con l'arrivo della strada ferrata, dell'Italiano, dell'aratro e della valorizzazione della terra, quegli va rifuggendo silenzioso, portando con se il suo cane e gli annesi caratteristici (il pilão, la picapau e o isqueiro), conservando cosi sempre la sua attitudine marginale, sorniona e muta. Strettamente legato ai suoi abiti di vita, preferisce rinculare piuttosto che adattarsi".
Da quel che precede è facile dedurre le qualità psicologiche del contingente di sangue americano: meno immorale del negro, è però anche meno adatto alla fatica ed alla domesticazione. Già si è detto che la sua precaria partecipazione alla vita economica del paese si svolge nella pastorizia e nelle industrie estrattive, dove può meglio soddisfare l'innata tendenza all'autonomia ed al nomadismo. Difficilmente sì riduce ad altra esistenza più metodica e di maggior controllo. Più che intelligenza, dimostra una forza di carattere tutta speciale, che è fatta di riserbo, vanità, passività e disprezzo verso tutto ciò che noi chiamiamo il "vivere civile". Mentre i Negri coi loro discendenti ammirano e desiderano i beni della civiltà bianca, benché l'inerzia e mancanza di disciplina, unite all'impossibilità di risparmiare li rendano inadatti a raggiungerli, nessuno invece ha mai visto l'indipendente e riservato caboclo (e nessun altro indigeno o meticcio americano, in altre contrade del continente) rendere ossequio ed ammirazione ai beni dell'uomo occidentale.
Diverse psicologie, dunque, e diverse attitudini. Ma in una cosa coincidono infallantemente i due grandi contingenti di colore: l'infingardaggine, congiunta all'imprevidenza. Vivono entrambi d'un minimo di beni reali, anche se ci riferiamo solamente al cibo ed all'abitazione. Capanna di caboclo e casa di negro sono egualmente squallide. Questa è poi, specialmente nella campagna, orribilmente sudicia. In entrambe si vive alla giornata, seuza sentire lo stimolo di migliorare la propria sorte, e tanto meno di capitalizzare energie o mezzi: di qui un'azione negativa che fa risentire il proprio peso nello svolgimento della vita delle grandi masse che abitano il paese e si propongono di metterlo integralmente in valore.
Il vero nucleo attivo è formato dai Bianchi, e sue sono tanto le già ottenute conquiste di benessere, quanto le promesse di future vittorie, almeno in quanto dipendono da energia di carattere, costanza, volontà, intelligenza coordinativa ed organizzatrice e capitalizzazione di forze. Il numero dei Bianchi non costituisce certo una maggioranza, ma ciò nulla toglie alla sua efficacia di gruppo direttivo. Accoglie nel suo seno tanto i nuovi venuti, ossia le masse emigrate dall'Europa nel periodo d'un secolo (1820-1920) tra cui primeggiano i Portoghesi (2.116.108) gli Spagnoli (1.021.028), i Tedeschi (262.882) e sopra tutti gl'Italiani, con 2.777.762, quanto le famiglie portoghesi coloniali, che formano qualcosa come un'aristocrazia storica, ed anche i gradi eugenici dei più antichi incroci, la cui origine è pressoché irriconoscibile, e la cui immedesimazione nella vita civile è completa. Politicamente, anzi, le due categorie elencate per ultimo svolgono un certo predominio, in nome della tradizione. Commercialmente invece, così come nelle industrie e nella proprietà urbana, primeggiano i figli degli ultimi immigrati, o addirittura gli stranieri giunti nel paese in data recente. È degno di menzione il fatto che nella massa creola brasiliana si è formato, in un ambiente relativamente concentrato, uno speciale tipo rappresentativo, che, per le sue qualità energetiche e l'attitudine agli affari può dirsi un fenomeno unico rispetto agli altri popoli dell'America latina. Si tratta del paulista, la cui tradizione rimonta fino ai secoli XVII e XVIII, all'epoca, cioè, dei Bandeirantes, che furon nuclei scorazzanti nell'interno del territorio in cerca di filoni metalliferi, che si indurirono alle fatiche durante un lungo periodo di vita avventurosa, piena di pericoli ed astinenze. Da essi discendono i Paulisti d'oggi, ed è innegabile che la tenacia del loro spirito di progresso, associata alle condizioni che offriva il terreno (la "terra violacea" di San Paolo) per la coltura del caffè, e alla mano d'opera costruttiva e intelligente delle famiglie italiane stabilitevisi dopo il 1880, hanno fatto di questo stato la porzione più intensamente valorizzata dell'intero Brasile, e che marcia in prima linea nello svolgimento economico e intellettuale del paese.
I bianchi, tanto italiani che tedeschi e slavi o portoghesi e spagnoli, convivono sotto le medesime leggi con indigeni, Negri, mamelucos, mulatti e cafusos. La guerra di razze non è mai esistita, ed un liberalismo senza limiti attenua legalmente ogni differenza. Forse sotto l'aspetto sociale e morale non è la stessa cosa, benché nessun cittadino tenti di nascondere la particola di sangue misto che per avventura scorre nelle sue vene. Quanto alle previsioni del futuro, che furono cosi fosche nelle pagine di Lapouge (per il quale la nazione brasiliana sarebbe divenuta una nazione di Negri), oggi sono più ottimiste in virtù del segreto che l'esperienza e l'osservazione degli ultimi decennî è andata discoprendo, e cioè, il potere dominante ed assorbente che esercita il sangue del bianco sulla popolazione mista che fu prodotta dal passato coloniale. L'ortogenia che deriva dalle progressive iniezioni di contingenti leucodermi, mentre gli strati inferiori restano numericamente su per giù immutati, apre agli antropologi e politici brasiliani una prospettiva di più sorridenti speranze. Ciò dal punto di vista somatico, ed anche da quello, forse per essi più importante, della energia di lavoro e del carattere morale. Sembra che già si possa intravvedere in un certo grado l'effetto della commistione finale, nel tipo umano alquanto longimorfo e melanoide che si presenta diffuso nelle maggiori città e il cui melanismo è visibile per capelli più o meno intensamente arricciati, iride oscura, pelle color mate o abbronzata: un uomo cioè a fondo caucasico, ma vestito con la "livrea dei nostri climi tropicali", come pittorescamente dice il citato demografo brasiliano, che più d'ogni altro s'è dedicato allo studio di questi fenomeni di popolazione.
Bibl.: Fl. J. Oliveira Vianna, O typo brasileiro, seus elementos formadores, 1922; id., Populações meridionaes do Brasil; Assis Moura, As tribus negras importadas; A. Tavares de Lyra, Immigração e colonisação; Instit. Historico e Geographico Bras., Diccionario Hist. Geogr. e Ethnogr. do Brasil, I, 1922; P. Denis, Le Brésil au XXe siècle, 1909.
Suddivisioni storiche e amministrative. - Per re Manuel, "il Brasile non era che una fattoria sulla strada dell'Atlantico senza altro valore"; il nuovo possedimento doveva acquistare importanza alcuni anni dopo la scoperta quando si iniziò un vero e proprio procedimento colonizzatore e solo da allora data la prima organizzazione amministrativa della colonia. Infatti dopo la spedizione affidata a Martin Alfonso de Souza, nominato nel 1530 logar tenente de el rey, si pensò di attuare nel Brasile la divisione in 12 capitanie che viene riportata generalmente al periodo 1532-1535. La vastissima regione fu divisa in fasce o zone parallele che dalla costa si protendevano verso l'interno sin dove si estendeva il dominio regio. Evidentemente il limite occidentale di queste zone non poteva essere ben determinato, come pure mal definiti e soltanto teorici erano i limiti settentrionale e meridionale di ciascuna zona, date le insufficienti conoscenze intorno all'effettiva estensione della costa brasiliana. Cosi l'ordine di assegnare tra Pernambuco e il Río de La Plata 50 leghe di costa ad ogni capitania, non venne seguito alla lettera, perché in pratica le particolari condizioni fisiche consigliarono di spostare diversamente i limiti delle zone: queste che furono effettivamente quindici, si estesero verso il sud solo fino a circa 28° 20′ di latitudine S., senza raggiungere cioè la costa di Rio Grande do Sul. L'estensione effettiva costiera di ciascuna di queste zone oscillò fra le 30 e le 50 leghe portoghesi, di 17 e mezzo al grado; la Capitania del Maranhão poi, comprendendo 3 zone, ebbe uno sviluppo costiero di 225 leghe.
La divisione della colonia in 12 capitanie ereditarie, inalienabili, date in feudo a fidalgos portoghesi poté essere attuata solo dopo il 1540; così la carta che nel primo volume del Recenseamento do Brasil fissa i limiti delle 12 capitanie, si riferisce alla condizione di cose che si ha effettivamente nel 1549. Sopra queste divisioni venne costituito il governo generale del Brasile che doveva mantenere l'unione tra le varie capitanie. Il governo generale che ebbe sede nella nuova città di S. Salvador da Bahia fu retto successivamente da Thomé de Souza (1548-1552), Duarte da Costa (1553-1557) e Mem de Sá (1558-1572). Alla morte di questo governatore, la grande estensione della colonia, la diversità delle condizioni di vita fra le varie sue parti e le difficoltà contro cui doveva lottare l'amministrazione, consigliarono la divisione in due governi generali. La carta regia del 10 dicembre 1572 stabilì a Bahia il capoluogo del primo governo, il quale comprendeva le capitanie settentrionali da quella di Pernambuco a quella di Porto Seguro; mentre capoluogo dell'altro governo generale, che comprendeva le capitanie meridionali, fu Rio de Janeiro. Nel 1577 si ritornò a un governo unico che aveva per capoluogo Bahia, ma nel 1608 si procedette nuovamente alla divisione in due governi, che vennero ancora unificati cinque anni dopo, mentre nel 1621 fu staccato dal Brasile il territorio settentrionale (corrispondente approssimativamente agli stati attuali di Ceará, Piauhy, Maranhão, Pará, e parte dello stato di Amazonas) che col nome di "Estado independente de Maranhão" fu direttamente soggetto al governo metropolitano. Nel 1640 il governo di Bahia venne costituito in vicereame e nel 1642 si creò il "Consiglio ultramarino" che procedette alla ripartizione del paese in 10 capitanie, i cui limiti rimasero nel complesso gli stessi fino al sec. XVIII, e da cui hanno avuto origine, per successive differenziazioni, gli stati attuali.
L'attuale ripartizione politica, che nelle sue linee generali rispecchia quella amministrativa del periodo imperiale, è direttamente connessa con la costituzione repubblicana del 1891 quando il paese assunse la denominazione di Estados Unidos do Brazil, e col trattato del 1903, con cui fu risolta l'ultima questione dei confini. Dal 1926, ne è presidente Washington Luiz Pereira de Souza, cui succederà Julio Presters de Albuquerque. La confederazione comprende un distretto federale, 20 stati e un territorio. Fra gli stati che sono ufficialmente classificati in quattro serie: (marittimi, di frontiera, marittimi di frontiera, interni), il più vasto è quello interno di Amazonas la cui area corrisponde al 21,5% dell'area totale della confederazione, il minore è quello marittimo di Alagôas la cui area corrisponde a 0,34% dell'area totale, mentre il territorio di Acre corrisponde a 1,74%, e il distretto federale a 0,01%.
Per ciò che riguarda la popolazione dei singoli stati, da un massimo di circa 6 milioni d'abitanti noverati nel 1920 nello stato di Minas Geraes, si scende a un quarto di milione noverato nello stato di Matto Grosso. L'area media dello stato brasiliano risulta un po' superiore ai 400.000 kmq. (418.099); la popolazione media un po' inferiore a 1 milione e mezzo d'ab. (1.469.267).
Ogni stato si divide in un determinato numero di "municipios" di area variabilissima, e il municipio in vario numero di "districtos". Nel 1920, all'epoca del censimento, i primi erano complessivamente 1304; i secondi 3877. Prescindendo dal distretto federale costituito da un unico municipio (Rio de Janeiro) - il minimo numero di municipî si riscontrava in Matto Grosso (21), Amazonas (28), Santa Catharina e Sergipe (34); il massimo in S. Paolo (204), Minas (178), Bahia (136), Rio Grande do Sul (711). Analogamente il numero dei districtos era minore in Matto Grosso e Sergipe (36), Rio Grande do Norte (37) e Piauhy (39); maggiore in Minas Geraes (789), Bahia (406), S. Paolo (398), Rio Grande do Sul (311).
Tanto i municipî quanto i distretti sono più numerosi negli stati di più vecchia colonizzazione e di maggior popolazione: l'aumento nel numero degli abitanti e la messa a coltura di nuovi territorî provoca la costituzione di nuove unità amministrative: sappiamo infatti che nel 1927 i municipî erano 1421.
Condizioni economiche. - La ricchezza e la varietà della produzione del suolo, che già si rilevarono al tempo della scoperta europea, apparvero sempre maggiori con l'approfondirsi della conoscenza del paese.
Agricoltura. - Prodotti forestali. - Ai 325 milioni di ha. di area forestale del Canada e ai 200 milioni degli Stati Uniti si contrappongono talvolta i 400 milioni del Brasile; questa cifra è però notevolmente inferiore a quella dell'ultimo calcolo ufficiale esteso a tutto il territorio della confederazione (1911), secondo cui l'area forestale sarebbe dì circa 500 milioni di ha., corrispondente cioè a poco meno del 60% dell'area totale. Nel 1920 il censimento agrario fu esteso a poco più di un quinto dell'area totale, ma solo per meno d'un terzo dell'area censita (ha. 55.558.710), ossia per circa il 6,5% dell'intera confederazione, si hanno dati precisi sulla ripartizione delle colture: di questi 55 milioni e mezzo di ettari, poco più di 6 milioni e mezzo sono occupati da colture, mentre le foreste coprono circa 49 milioni di ha. Dal che appare l'immensa ricchezza forestale del Brasile. Nel vastissimo territorio occupato da foreste si sogliono distinguere tre zone, corrispondenti ai tre diversi tipi di adattamento climatico, la zona settentrionale o equatoriale con la caratteristica hylaea amazzonica, la zona centrale atlantica e delle catene costiere e la zona meridionale con le foreste di araucarie e quelle interne dell'altipiano. Certo la foresta così varia e così estesa non costituisce una caratteristica saliente solo sotto il riguardo del paesaggio, ma anche sotto quello produttivo. I progrediti mezzi di comunicazione e l'intensificazione dell'esportazione, dovuta a un sensibile aumento di prezzo sui principali mercati, hanno accresciuto, negli ultimi decennî, sia la produzione delle piante tintorie e medicinali sia quella del legname da ebanisteria e per le costruzioni navali, idrauliche e ferroviarie. Nella zona settentrionale, dall'Amazzonia alla sezione settentrionale di Bahia, hanno densità variabile fra 1,3 e 1,08 le piante seguenti: il Muirapinima o legno tartaruga (Brosimum discolor: Moracea, con legno di color cioccolato con vene nere), usato in ebanisteria al pari del "legno rosa" o Pão rosa (Physxocalymna floridum: di tinta giallastra, con linee rosee parallele); il Muirapiranga (Mimusops balata: una Sapotacea che fornisce una specie di guttaperca) è un legno di prima qualità per le costruzioni navali, come pure il Massaranduba (Mimusops alata) che possiede le stesse qualità del precedente ed è uno degli alberi più belli e più sfruttati della foresta amazzonica. Grande leggerezza presenta, invece, il Pão Jangada (Apeiba tibourbou): una tigliacea con tronco del diametro di 25-30 cm., che, mentre offre fibre per corde, è usato nelle costruzioni delle jangadas, imbarcazioni da pesca che esercitano la navigazione di cabotaggio fra il Ceará e la sezione settentrionale del Bahia.
Nella zona centrale (dalla sezione settentrionale di Bahia a quella di S. Paolo e al Minas Geraes) hanno densità variabile fra 1,4 e 1,03 i seguenti: il Jacarandatan (Machaerium Allemani, una leguminosa, a cui si deve una delle tre principali varietà di palissandro); il Pão Brasil (Caesalpinia echinata), leguminosa dal legno rossastro che nel primo periodo coloniale era esportata come pianta tintoria, mentre ora serve solo per lavori idraulici: il Pão ferro (Swartia tomentosa, altra leguminosa che dà materiale resistentissimo, come dice il suo nome); il Brauna o Guarauna (Melanoxylon brauna): che offre ottime traverse ferroviarie; il Sapucaia mirim (Lecytis minor): una mirtacea con legno ottimo da costruzione.
Nella zona meridionale (che comprende gli stati di Rio Grande do Sul, Santa Catharina, Paraná, San Paolo, Goyaz e Matto Grosso) ha densità pari a 1,2 l'Urundeuva o Aroeira do Sertão (Miracrodon Urundeuva, una Terebintacea), mentre è assai leggiero il Pino del Paraná (Araucaria brasiliana) dalla tinta bianco-giallastra, dalle pigne commestibili, alto anche 45 metri che cresce fra il 25° e il 300 parallelo, e specialmente nello stato di Paraná dove le foreste di araucarie coprono una superficie valutata a 10 milioni di ha.
L'esportazione del legname che nel 1913 fu di 116.842 tonn. per un valore di 1732 contos è andata lievemente aumentando nel dopoguerra raggiungendo nel quinquennio 1925-29 una media annua di 120.000 tonn. con un valore medio di 26.000 contos all'anno: il primo posto spetta sempre al pino del Paraná che rappresenta circa il 60% dell'intera esportazione.
Prodotto forestale per eccellenza è il caucciù, di cui le qualità più pregiate sono fornite dall'Hevea brasiliensis (v. amazonas), dal Mangabeira e dal Maniçoba. Il caucciù o gomma elastica costituì per alcuni anni uno dei principali prodotti dell'esportazione brasiliana e il fattore precipuo del progresso economico degli stati di Amazonas e di Pará, ma dopo il 1910 la produzione brasiliana fu soverchiata da quella delle piantagioni asiatiche e l'oro nero del Brasile perdette la sua importanza; ora però, con l'intervento delle grandi case automobilistiche nord-americane, si sono iniziate nell'Amazzonia alcune regolari piantagioni di hevea che impiegano mano d'opera giapponese.
Altri prodotti importanti sono il mate, costituito dalle foglie dell'Ilex paraguariensis, una ilicinacea che cresce nel Brasile meridionale e nel Matto Grosso, e le noci del Brasile fornite da due mirtacee che vanno sotto il nome di "castagni del Brasile": il Castanheiro do Pará (Bertlolletia excelsa) diffuso nella regione amazzonica, e il Sapucaia (Lecythis ollaria) che dalla regione amazzonica si stende fin oltre il confine meridionale del Minas Geraes.
Infine può dirsi che quasi tutte le piante medicinali di più largo uso sono rappresentate in Brasile; dalle varie specie di "quinas" di Rio de Janeiro, Goyaz, Matto Grosso e Marajó, alle varie specie di salsapariglia, ricino, rabarbaro, all'araroba che produce la "polvere di Bahia", detta anche "di Goa"; dalla marapuana, simile alla cola, ad altre varie specie di piante toniche, dalla sensitiva (Mimosa pudica) usata come rivulsivo, a varie specie di piante vomitive (quale l'Uragoga ipecacuanha, così diffusa nel Matto Grosso) e alla Copaifera officinalis che produce il balsamo di Copaive (v.).
Prodotti agrarî. - Dalle descrizioni che risalgono al sec. XVI risulta che sin dal primo periodo della colonizzazione erano noti agli indigeni il mais, il miglio, la mandioca, la batata, il cacao, la banana, il tabacco e il cotone. Non era noto il grano, come pure l'ipotesi che già vi si conoscesse la canna da zucchero, è lontana dall'essere dimostrata, se anche si può discutere intorno al tempo della sua introduz-one sul suolo del Brasile, che risale certamente ai primi tempi della colonizzazione. Assai tarda invece è l'introduzione del caffè (1727) che trova il suo ambiente più favorevole negli stati di San Paolo, Rio de Janeiro, Minas Geraes, Espirito Santo e Bahia.
Circa la metà dell'area agraria propriamente detta, censita nel 1920, risulta coltivata a cereali. Il valore annuo della produzione del mais (il principale prodotto agrario dopo il caffe) si avvicina a un quinto del valore annuo della produzione agraria totale.
Diffusa in quasi tutti gli stati è la coltura del riso (circa 1/10 della produzione agraria) che prospera particolarmente nella zona litoranea di S. Paolo, mentre quella del grano equivale a poco più di 1/100, pur avendo un'estensione superiore ai 70 mila ha. nel Rio Grande do Sul. In questo stato, come in quelli di Minas Geraes, S. Paolo, Rio de Janeiro, si va sempre più estendendo la coltura della vite: negli stessi stati e in varî altri può dirsi in aumento la produzione della frutta fresca, la cui esportazione si è più che raddoppiata dal 1913 al 1926 (68.000 tonn.).
Il caffè è il grande prodotto d'esportazione e il suo posto è preminente nella vita economica del Brasile. E coltivato, si può dire, in ogni regione del paese, ma ha il suo habitat preferito negli stati di S. Paolo, Minas Geraes, Rio de Janeiro ed Espirito Santo. Infatti dell'area coltivata a caffe, che raggiunge quasi 2.500.000 ettari, un milione spetta a S. Paolo, 400 mila ha. a Minas, 250 mila a Rio de Janeiro e 150 mila ha. ad Espirito Santo: così dei due miliardi e più di "piedi di caffè" calcolati per l'intero Brasile, oltre la metà crescono in S. Paolo, e un quinto nel Minas Geraes. La produzione, dovuta alla Coffea arabica, corrisponde in media a circa 7/10 della produzione mondiale: la media degli anni agrarî che vanno dal 1920-21 al 1924-25 fu nel Brasile di 781.320 tonnellate (cioè 13 milioni di sacchi da 60 kg.). La coltivazione di questa pianta, importata nel Brasile dalla Guiana (1727), trova condizioni particolarmente favorevoli nelle zone comprese fra le isoterme di 15° e 25°, con una precipitazione atmosferica oscillante fra 2200 e 3300 millimetri. La produzione media per ogni albero è valutata a 800-1200 grammi; ma, talvolta, essa risulta più che raddoppiata raggiungendosi i valori di 2000-2500 grammi per albero (v. caffè). La produzione del cacao, che trova condizioni particolarmente favorevoli nella parte meridionale di Bahia, assegna al Brasile il secondo posto nella produzione mondiale. La sterculiacea, con frutti a forma di baccello (Theobroma cacao), originaria dell'America era denominata dagli Indî "cacavaquahitl", spettando il nome di "cacahatl" ai semi e quello di "chocoatl" (acqua spumante) alla bevanda. Nello stato di Bahia la produzione è fornita dalle zone costiere di Ilheos e di Cannavieiras-Belmonte; ogni ettaro può fornire da 500 a 1200 kg. La coltura del cacao, dato il continuo aumento del consumo mondiale, va estendendosi non solo in Bahia ma anche in Espirito Santo. Nel 1928 la produzione brasiliana fu di oltre 70.000 tonn.
Anche la canna da zucchero, che si ritiene originaria dell'India, trova tuttora sul suolo brasiliano una tipica area di produzione. E se questo prodotto non ha più per il mercato mondiale l'importanza d'un tempo, il Brasile rappresenta tuttora delle grandi aree di produzione mondiale, venendo per la produzione del Saccharum officinarum, dopo Cuba, le Indie, Giava e le Hawaii, ma superando notevolmente le Mascarene, le Filippine, l'Australia di NE., Formosa, Portorico, ecc. Gran parte della coltivazione è fatta ancora con metodi arretrati, senza selezione delle varietà più adatte e la produzione arriva appena alla media di 50 tonn. di canna per ettaro. Ora è sorto, per iniziativa dello stato di Pernambuco che è uno dei maggiori produttori e possiede i migliori zuccherifici modernamente attrezzati, un Istituto di difesa dello zucchero che dovrà dar opera per risollevare questo ramo dell'economia nazionale. La produzione dello zucchero si aggira, secondo i calcoli del Ministero dell'agricoltura, sulle 600 mila tonn. annue, ma l'esportazione che raggiunse il massimo di 250 mila tonn. nel 1922 fu di appena 27 mila tonn. annue nel quinquennio 1924-1928.
Quanto al tabacco, che si considera originario dell'America, è coltivato negli stati atlantici e nel Minas Geraes, e trova condizioni favorevoli in alcune aree dello stato di Goyaz; la produzione brasiliana che è valutata variamente da 50 a 70 mila tonn. annue è fornita per quasi tre quarti (70%) da Bahia e Minas, donde si effettua anche l'esportazione che nel quinquennio 1924-28 fu di oltre 30 mila tonn. annue, rappresentanti un valore medio annuale di 75 mila contos di reis.
Originarie del suolo americano sono la patata dolce (Ipomaea batata) e quella che i Brasiliani chiamano patata inglese (patata comune o Solanum tuberosum, che non basta al consumo interno), e assai diffusa, anzi di fondamentale importanza per l'alimentazione indigena, è la manioca (mandioca), la quale ha per il Brasile un valore analogo a quello che ha il grano per l'Europa: le due varietà di mandioca coltivata (mansa) e di mandioca selvaggia (brava) sono rispettivamente caratterizzate da foglie rosse e da foglie verdi. Altro cereale, che si ha ragione di ritenere diffuso nell'età precolombiana, dalle rive del Solimões a quelle dell'alto Uruguay, è il miglio. La coltura del cotone (algodão), la cui produzione fu favorita durante la guerra di successione, ha ripreso nel dopoguerra un grande sviluppo per rispondere sia alle richieste del mercato interno, sia a quelle del mercato mondiale. Il Brasile è al sesto posto come produttore mondiale della preziosa fibra: la regione di NE. e particolarmente gli stati di Parahyba, Rio Grande do Norte, Ceará, Sergipe, Pernambuco, Maranhão, possiedono vaste zone assai adatte dove la cultura del cotone va estendendosi rapidamente. Anche S. Paolo ha intensificato la produzione, ma questa è insufficiente ai bisogni delle sue industrie tessili che già devono rivolgersi agli stati produttori di NE. Nel quinquennio agrario 1923-24-27-28 la superficie coltivata a cotone fu annualmente superiore a mezzo milione di ettari, e la produzione annua di 125 mila tonn. di cotone greggio, mentre l'esportazione nello stesso periodo non superò la media di 15 mila tonn. all'anno. Fra le piante tessili notiamo ancora la saggina e una malvacea diffusa nello stato di S. Paolo che sul luogo è chiamata "guaximi". Quanto alle piante oleaginose, oltre al ricino comune e alla Vanilla aromatica, va particolarmente ricordato il cocco così diffuso lungo la costa dove, si calcola, sorgono 100 milioni di piante.
Produzione agraria nel quinqumnio dal 1921-22 al 1925-26. - La tabella che riassume i dati medî annui durante il quinquennio agrario che va dal 1921-22 al 1925-26 mostra quale sia il contributo dei singoli stati nel totale complessivo della produzione annua dei raccolti agrarî più abbondanti e più diffusi, come il mais, lo zucchero, la farina di mandioca, il riso e i fagioli. Da essa si rileva che sono forniti da pressoché tutti gli stati il tabacco e il cotone, mentre manca la produzione del caffè nell'ampia zona settentrionale che comprende i quattro stati contigui di Amazonas, Pará, Maranhão, e Piauhy. Vengono in seguito i prodotti limitati a un numero di stati inferiore alla metà di quelli della confederazione, come la batatinha, che manca quasi interamente agli stati settentrionali, la noce di cocco o "cocco di Bahia", diffusa nell'area costiera dallo stato di Ceará a quello di Espirito Santo, e il caucciù raccolto oltreché negli stati amazzonici, nel Matto Grosso, e prodotto in misura notevole in Bahia, e in misura non trascurabile nei due stati di Ceará e di Rio Grande do Norte.
Il mais presenta, in S. Paolo e Rio Grande do Sul, una produzione media annua di circa 1350 e 1230 migliaia di tonnellate; mentre non raggiunge 4 migliaia di tonnellate in Amazonas. Alla testa della produzione dello zucchero sono Minas Geraes con 142 mila e S. Paolo con 112 mila tonn.; a quella della produzione di farina di mandioca sono Bahia con 97.000, Ceará con 82.000, Pernambuco con 73.000 e Rio Grande do Sul con 70.000, mentre nel Pará la produzione oscilla fra 5 e 29 mila tonnellate.
Il caffè raggiunge più di 530.000 tonn. in S. Paolo, quasi 200.000 in Minas Geraes, 54.000 in Rio de Janeiro, 41.000 in Espirito Santo e 27.000 in Bahia, mentre la produzione è minima negli stati di nord-est e nulla nell'Amazzonia. Il riso si avvicina a 300.000 tonn. in S. Paolo, raggiunge 146.000 tonn. in Rio Grande do Sul e 132.000 in Minas Geraes: ma nel Maranhão la produzione media non arriva a 10 mila tonnellate.
La produzione dei fagioli supera la cifra di 174.000 tonn. in S. Paolo e di 117.000 in Rio Grande do Sul, variando in Rio Grande do Norte fra 750 e 8300 tonn. La batatinha raggiunge in Rio Grande do Sul 137.000 tonnellate, oscillando nel Goyaz, fra 168 e 40 mila.
Il frumento sale a 130.000 in Rio Grande do Sul, dove si ha un'oscillazione fra 77 e 155.000 tonn.; il mate a 98.000 in Rio Grande do Sul, dove la produzionc oscilla fra 44 e 141 .000, mentre la produzione quasi costante del Paraná è di 66.000 tonn. Il cotone supera le 27.000 tonn. in S. Paolo e arriva a sole 283 tonn. in Rio de Janeiro, ma promettente e continuo sviluppo presenta questa coltura negli stati del nord-est. La noce di cocco s'avvicina a 22 mila in Bahia e supera le 20 mila anche in Parahyba; il tabacco s'avvicina a 27.000 tonn. in Bahia, a 13.000 in Rio Grande do Sul e supera le 8700 in Minas Geraes, ma oscilla fra 300 e 2200 in Sergipe, fra 218 e 1300 in Pernamhuco.
Il cacao è fornito quasi tutto da Bahia, giacché di fronte alle 55.000 tonn. ivi prodotte, sono ben poca cosa le 2500 offerte dal Pará. Il Maranhão e il Piauhy sono alla testa della produzione del cocco babassú (con 35 e 20 mila tonn.), mentre le 8900 tonn. del caucciù dell'Amazonas superano di poco la produzione del Pará.
Il contributo dell'agricoltura all'economia nazionale, nel senso stretto della denominazione (prescindendo, cioè dalla trasformazione industriale dei prodotti e della raccolta del mate e del caucciù), rappresenta attualmente un valore annuo oscillante fra 6 e 7 milioni di contos. Il caffè viene al primo posto giacché esso fornisce oltre il 25% del valore complessivo della produzione agricola; nel 1927-28 anzi la parte spettante al caffè raggiunse il 38% della produzione stessa.
Nell'anno agrario 1927-28, quando si superò la cifra complessiva di 8.800.000 tonn., rappresentanti un valore di circa 7 milioni e mezzo di contos (carta), i prodotti in ordine decrescente di peso erano così graduati: mais (un po' meno di 3700 migliaia di tonn.), farina di mandioca e caffè (tanto l'una come l'altro un po' meno di 950 migliaia), riso (meno di 900), zucchero (più di 650), fagioli (più di 550); invece riguardo al valore la graduazione era: caffè (più di 2800 migliaia di contos), mais (poco meno di 1050), riso (625), zucchero (525), fagioli (500), farina di mandioca (475).
Proprietà e conduzione agraria. - Il censimento federale del 1° settembre 1920 si rivolse anche all'agricoltura e, come si è detto, l'area agricola recensita fu di ettari 175 milioni, un quinto cioè dell'intero territorio dello stato. Tale enorme superficie era ripartita in 648.153 stabilimenti o fattorie delle quali più di 26.300 eccedono il limite di 1000 ettari (esse sono più di 8000 complessivamente, negli stati di Goyaz e di Minas Geraes, e più di 4000, complessivamente, in quelli di Matto Grosso e S. Paolo), e circa 160.000 possiedono un'area che varia fra i 100 e i 1000 ha.
Il numero minimo di fattorie (prescindendo dal distretto federale e dal territorio di Acre) si registra negli stati di Amazonas (4496 fattorie di cui poco più di 3000 con un'area inferiore a 100 ha.) e di Matto Grosso (3484 fattorie di cui appena 600 di area inferiore ai 100 ha., e 2000 con più di 1000 ha.) Solo la 27ª parte delle fattorie è data in affitto; quasi tutte (più di 577.000) sono condotte dai proprietarî; meno di 50.000 sono dirette da amministratori.
I proprietarî sono nella grandissima maggioranza Brasiliani (546.000, prescindendo dalle 950 proprietà spettanti a enti autarchici), mentre non giungono a 80.000 i proprietarî stranieri. Fra questi predominano di gran lunga gl'Italiani (poco meno della metà): seguono Portoghesi, Tedeschi, Polacchi, Spagnoli, Russi (esclusi gli Ucraini), Austriaci, Uruguayani e Giapponesi (più di 1150: i proprietari cinesi sono 8). Gl'Italiani sono al primo posto per il valore di immobili (più di 450 milioni di contos) e al secondo posto per area (circa ha. 2.750.000, mentre i Portoghesi posseggono 3.630.000 ha.), ma al 20° per area media di fattoria, che raggiunge il valore di appena 76 ha., mentre nelle 34 fattorie possedute da Peruviani l'area media supera gli 8400 ha., i 4150 nelle 87 possedute da Americani (Stati Uniti dell'America del Nord), i 1000 e i 450 ha. rispettivamente, nelle 110 e nelle 335 fattorie di proprietarî inglesi e francesi. Spetta ai Brasiliani l'83% dell'area e il 780%, del valore; agli stranieri il 6% dell'area e l'11% del valore.
Gl'Italiani posseggono l'1,6% dell'area censita, e quasi il 4,5% del valore: sotto quest'ultimo riguardo essi sono, come già fu detto, al primo posto fra gli stranieri. Seguono col 2,5% i Portoghesi, e con circa 0,7% Spagnoli, Uruguayani e Tedeschi.
Allevamento. - L'incremento che durante la guerra ha avuto la produzione di carne idonea all'esportazione (si calcola che fra il 1915 e il 1918 lo stato di S. Paolo abbia raddoppiata la ricchezza del suo bestiame) ha richiamato l'attenzione generale sulla possibilità di non pochi stati brasiliani del sud e dell'interno di trarre notevoli cespiti di ricchezza dall'allevamento del bestiame quando, in un avvenire non lontano, la rapidità dei trasporti potrà ovviare in qualche modo agli ostacoli frapposti dalle enormi distanze fra alcune aree di produzione e il mare. Le varietà di graminacee e di leguminose, caratteristica di non poche zone dell'altipiano, e alcune favorevoli condizioni climatiche sembrano assicurare un avvenire all'allevamento del bestiame bovino introdotto nel paese sin dagli inizî della colonizzazione.
Secondo il censimento federale del 1920 la consistenza e la distribuzione del patrimonio zootecnico è quella registrata nella tabella a pag. 733
Occupano di gran lunga il primo posto i bovini, che sono più numerosi nel Brasile meridionale e negli stati dell'altipiano centrale, mentre sono scarsi negli stati di nord-est e specialmente nel bacino amazzonico. Dei bovini le qualità più pregiate sono: il caracú dal pelo fino e corto, dalla coda lunga e sottile, dalle anche larghe e carnose, che troviamo rappresentato particolarmente in Goyaz, dove è diffuso anche il tipo pedreiro; il junqueiro o franqueiro nello stato di Minas (circa 7 milioni e un terzo); il pantaneiro o cuyabano nel Matto Grosso (2.830.000 capi); il crioulo in varî stati, fra cui nel Rio Grande do Sul, dove si ha la cifra massima di 8 milioni e mezzo di capi, a Bahia e in S. Paolo.
Il bestiame equino, anch'esso di origine iberica, risulta importato inizialmente dalle isole di Capo Verde; ma dopo il 1820 si importarono da varî paesi dell'Europa occidentale non pochi riproduttori, e tra questi qualche puro sangue arabo.
Nel 1920 vennero censiti 5 milioni e un quarto di capi; dei quali circa la metà nel Rio Grande do Sul (1.406.809) e nel Minas Geraes (1. 145.568). La cifra complessiva di asini e muli non raggiunse i due milioni di capi (1.865.259) e di questi un terzo vennero censiti nei quattro stati meridionali, un quinto nel Minas Geraes (384.862) che ne è maggiormente fornito, e un quarto negli stati di nord-est.
L'allevamento degli ovini si svolge in condizioni propizie negli stati meridionali e anche in qualche zona più elevata del Brasile centrale, tuttavia non si può considerare che abbia raggiunto tutto lo sviluppo che potrebbe avere. Anche gli ovini sono più numerosi sull'altipiano meridionale e specialmente nel Rio Grande do Sul che possiede da solo quattro milioni e mezzo di capi su un totale di quasi 8 milioni, mentre ne sono quasi sprovvisti gli stati amazzonici e quelli interni di Goyaz e di Matto Grosso. Invece dei caprini, che nel 1920 erano poco più di cinque milioni, la percentuale maggiore spetta agli stati semiaridi della cuspide nord-orientale, dal Maranhão al Sergipe con il 57,4 per cento, mentre lo stato più ricco è quello di Bahia con 1.400.000 capi.
Il bestiame suino è in parte di provenienza iberica, in parte indocinese: alle varietà asiatiche si dà in Brasile il nome di "Macao". Questo bestiame è il più numeroso dopo quello bovino: esso è diffuso specialmente negli stati meridionali e nel Minas Geraes i quali in complesso forniscono il 77,5% della cifra totale che ascendeva nel 1920 a 16 milioni di capi: Minas Geraes, Rio Grande do Sul e San Paolo sono, in ordine decrescente, i più forti produttori, mentre in proporzione della superficie il meno fornito è l'Amazonas (35.270 capi).
Per quanto riguarda il grosso bestiame cornuto, i tre stati di San Paolo, Rio Grande do Sul e Minas Geraes possiedono insieme più di 18 milioni di capi, cioè il 54% del patrimonio nazionale. E poiché questi tre stati posseggono anche il 57% dei cavalli, il 44% degli asini e muli, e, come si è detto, allevano il maggior numero di ovini e di suini, appare evidente come questa non trascurabile fonte di ricchezza contribuisca ad aumentare l'importanza economica dell'altipiano meridionale.
Pesca. - Particolarmente ricca è l'ittiofauna del Rio delle Amazzoni che presenta una specie caratteristica: il pirarucú (Arapaima gigas) che può pesare anche 100 Kg. e può dirsi fondamentale per l'alimentazione delle popolazioni rivierasche. Così può sostenere il paragone col Salmone il tucunaré (Cichla ocellaris), lungo oltre mezzo metro. Sono largamente diffusi il peixe boi o pesce bue (Manatus australis) erbivoro inoffensivo, e il pericoloso ginnoto elettrico (Electrophorus o Gymnotus electricus: poraqué degl'indigeni). Importanza relativamente esigua ha la pesca marittima. Si ricordino però la ricchezza dei molluschi (poco meno di 600 specie in tutto il Brasile), e l'importanza di alcuni crostacei come il granchio comune (Ucides cordatus) che predilige i terreni pantanosi, l'aragosta, il piccolo gambero di mare (Scyllarides aequinoctialis) e il grosso gambero o santola (Stenocinops poliacanta).
La pesca a vapore con reti di fondo data dal 1903; e solo da allora si sono iniziate ricerche sul plancton, e sulla mortalità relativamente elevata nei pesci della baia di Rio de Janeiro.
Prodotti minerali. - Le serie di rocce antiche, che costituiscono gran parte dell'imbasamento del vasto altipiano e gran parte delle zone più elevate (sistema marittimo e sistema goiano) si dividono in due gruppi: il più antico formato di gneiss, graniti, sieniti e micascisti appartiene al sistema laurenziano, mentre il più recente dove predominano gli scisti, il quarzo, l'itabirite unitamente al calcare, viene assegnato dai geologi al sistema huroniano. Questo gruppo, che è ben sviluppato nelle Serre do Espinhaço, de Canastra, de Matta da Corda e nel sistema goiano, contiene ricchissimi depositi minerali d'oro, di ferro, di manganese e di piombo. Questa ricchezza mineraria fu nota in epoca relativamente tarda, quando si intrapresero esplorazioni sistematiche in alcune regioni dell'interno (commissione geologica diretta da C. J. Hartt: 1867).
È certo che non poca parte dell'avvenire del paese è connessa allo sfruttamento dei minerali di ferro. Il Brasile contende agli Stati Uniti il primato della disponibilità di essi; tanto nell'uno come nell'altro stato, secondo O. R. Kunn (in The Iron Age, 1922), si trova il 23% dei giacimenti di ferro utilizzabile industrialmente; secondo una stima ufficiale i giacimenti di minerale di ferro rappresentano una riserva di circa 11 miliardi di tonnellate.
Non raramente il materiale forma una massa continua, anzi delle vere e proprie montagne, quali sono le masse compatte di oligisto (itabirite) nel Pico do Itabira do Campo e in quello do Itabira do Matto Dentro, nel Minas Geraes. I giacimenti maggiori si trovano in questo stato, e negli stati finitimi di Govaz, di S. Paolo, di Espirito Santo, di Bahia, e nei due stati più meridionali di Santa Catharina e di Rio Giande do Sul. I depositi, che raggiungono talora la potenza di 600 m. e contengono comunemente circa il 65% di metallo, sono per lo piùi dissimulati sotto il manto forestale; di qui le sconcordanze circa la loro entità.
Prevalgono gli ossidi di ferro e soprattutto il sesquiossido e il perossido, che nell'itabirite di Itabira costituiscono rispettivamente il 92 e il 97%. Ricco è pure il conglomerato d'argilla e di ferro detto sul luogo "ganga": si calcola, per il giacimento di Gandarella, nel Minas, la riserva di 100 milioni di tonnellate.
Importante prodotto minerario è l'oro, che s'incontra in quasi tutti gli stati del Brasile, e particolarmente nelle due catene di Mantiqueira e di Espinhaço e nella zona fra il versante del S. Francisco e quelli del Paraná e del Paraguay, ossia negli stati di Minas Geraes, Goyaz e Matto Grosso. Depositi auriferi esistono anche in S. Paolo, Rio Grande do Sul, Maranhão. La principale miniera aurifera attiva è quella di Morro Velho o di São João d'El-Rey, sfruttata dalla compagnia omonima nello stato di Minas Geraes; nel 1909-10 la produzione di questa miniera fu valutata a più di 200.000 lire sterline. E si ha ragione di ritenere che anche al Rio Grande do Sul possa essere riservato un vero e proprio avvenire per ciò che concerne la produzione aurifera. Scarsissima è la produzione dell'argento e quella del platino; ben più importante è quella del manganese il cui minerale offre più del 52% di metallo. Alla miniera di Morro da Mina, nel Minas Geraes, si assegna ora una produzione annua pari a 60.000 tonn. di minerale; ma nel 1915 essa raggiunse il milione. Così si calcola che due giacimenti presso Corumbá, possano fornire più di 100 milioni di tonnellate.
Il Brasile ebbe un periodo assai fortunato per la produzione dei diamanti: scoperti nel 1727, nel Caete-mirim (dintorni di Diamantina) essi costituirono per lungo tempo una caratteristica dello stato di Minas. Campi diamantiferi furono sfruttati nella regione cenirale dove sorse Diamantina, e in quella settentrionale dove è Grão Mogol; i preziosi cristalli si trovano soprattutto nelle alluvioni quatennarie, nel letto o sulle rive dei fiumi dette grupiaras e superano per limpidità e grossezza (l'Estrella do Sul, scoperta nel 1853, pesava 254 carati) i diamanti dell'Africa del Sud. Esemplari perfetti offre il Matto Grosso (dove sorge Diamantino); esemplari ambrati, d'un verde tenero, il Goyaz. Celebri sono i diamanti neri (carbonados) di Bahia, usati per i perforatori di gallerie: uno di essi, scoperto a Lenções nel 1895, pesava 3150 carati.
Corindone offrono le sabbie diamantifere di Salobro (Bahia); rubini di varia tinta e zaffiri si trovano nelle sabbie rispettivamente del Piuna, e del Rio Doce (nello stato di Espirito Santo). Granati i trovano in Bahia, Espirito Santo e in altri stati, ma soprattutto in Minas, dove, presso Ouro Preto, sono ricchi giacimemi di topazî.
Scarso è, per quanto si sa, il carbon fossile. Ma tuttavia negli stati di Rio Grande do Sul (dove la miniera di São Jeronimo produsse nel 1924 un quarto di milione di tonn.) e di Santa Catharina, possono offrire carbone bituminoso e lignite; il suo uso industriale è però ostacolato dalla notevole quantità di ceneri e di scorie. La lignite del bacino terziario di Gandarella (sezione meridionale di Minas Geraes) dà più de! 48% di carbone; il giacimento di Fazenda de Bomfim, con una potenza di due metri, diede, dopo la costruzione del tronco che lo allacciò alla rete ferroviaria, più di 100 tonn. al giorno. Estese torbiere sono negli stati di Bahia (rive del Marahú), dì S. Paolo e di Minas.
Notevoli quantità di combustibile liquido possono essere offerte dalle argille petrolifere degli stati di Bahia e di Alagôas e dall'argilla nera di cui si stende un ampio bacino fra S. Paolo e Rio Grande do Sul: miniere di salgemma sono nell'interno di Minas, Goyaz e Bahia, e grandi quantità di sale marino producono gli stati di Rio de Janeiro, di Ceará e di Rio Grande do Norte.
Anche l'importanza di alcuni prodotti minerali come quella dei marmi potrà aumentare, in un avvenire non lontano, con una più celere circolazione. E forse nuove esplorazioni permetteranno di accrescere, fra non molto, la produzione della mica in Goyaz, Bahia e Minas; la produzione del piombo in Minas, Rio Grande do Sul e Bahia, e quella di grafite in Minas e Rio de Janeiro.
Notevoli sono anche le sorgenti minerali. Fin dal 1908, il Centro Industrial do Brasil rilevava l'importanza delle "Aguas virtuosas" di Caxambú e della sorgente 15 novembro (acqua da tavola), che appartengono allo stato di Minas Geraes; e avvertiva: "Quasi tutti gli stati dell'Unione possiedono sorgenti... termali, ipotermali, fredde, alcaline, acidule, iodofeniche, solforose, arsenicali, ferrugginose". Effettivamente, notevoli sorgenti minerali sono ad es. in Ceará (Caldas: solforosa e termale), in Bahia (sulle rive dell'Itapicurú: termali), in Rio de Janeiro ("Salutaris", presso Parahyba do Sul: ferrugginosa e gazosa; "prototermale"), in Paraná (Xapecó: termale con più di 34°).
Industrie. - Lo sviluppo delle industrie nel Brasile è di data assai recente: solo dopo la proclamazione della repubblica e più ancora nell'immediato anteguerra si ebbe un movimento economico tendente a dotare il paese d'impianti industriali capaci di soddisfare ai bisogni interni. La guerra mondiale poi provocò un fervore di iniziative nei varî campi; la mancata o scarsa concorrenza dell'estero e la forte protezione doganale insieme con l'inflazione monetaria permisero alle varie industrie di superare la fase d'impianto e di affermarsi vittoriosamente nel mercato interno.
Certo però che l'industria brasiliana incontra notevoli ostacoli alla sua marcia: la deficienza di capitale aggravata dalla crisi finanziaria interna che ha per tanto tempo fatto pesare sull'economia brasiliana la fluttuazione dei cambî; la mancanza di tecnici e di personale addestrato; la difficoltà della circolazione fra i centri costieri e l'interno, infine e gravissima la scarsezza di combustibili fossili (non ancora sfruttati sono i bacini petroliferi). Per eliminare questa deficienza o almeno diminuirne gli effetti si conta molto sull'energia idroelettrica che le grandi risorse idriche possono offrire. Secondo un calcolo, fatto nel 1920 da Lindeman, in Brasile esistono in potenza 50 milioni di HP. Basti ricordare le cascate di Urubú-punga e di Sete Quedas (o di Guayra) sul Rio Paraná oltre a quelle numerose formate dai due rami sorgentiferi del Paraná stesso, Rio Grande e Rio Paranahyba, e dai principali affluenti come il Rio Tieté e il Rio Paranapanema. Celebri le cascate del Rio Iguassú, affluente anch'esso del Paraná, che sono brasiliane solo in parte. Ma anche tutti i fiumi costieri dal confine uruguayano fino al capo S. Rocco formano delle cascate utilizzabili: famose e imponenti in modo particolare quelle di Paulo Affonso sul Rio S. Francisco che sono parzialmente sfruttate. E grande copia di energia possono fornire i poderosi alfluenti del Rio delle Amazzoni, specie quelli di destra. Si tratta dunque di una somma veramente grandiosa di energie, ma la maggior parte delle cascate, per la loro situazione geografica e topografica, non sono utilizzate, mentre sono sfruttati solo fiumi minori in vicinanza dei centri più popolosi. Così la Rio de Janeiro Tramway, Light and Power Co. ricava 75.000 HP dal Pirahy, affluente del Parahyba, per gli usi di Rio de Janeiro, così delle cascate Tieté si utilizzano oltre 60.000 HP. per il servizio di S. Paolo, e 20.000 HP. del Rio Paraguassú per S. Salvador da Bahia, ecc.
L'industria principale è quella tessile, che ha fatto in questi ultimi anni rapidi progressi, anche rispetto al cammino compiuto nel primo quinquennio del secolo, quando dal 1899 al 1915 il numero delle fabbriche si era quasi quadruplicato, salendo da 70 a 240, mentre quello dei telai si era più che quintuplicato, raggiungendo nel 1915 il numero di 51.134. La produzione del cotone intensificatasi in alcuni stati meridionali (specie a S. Paolo) e soprattutto negli stati del nord-est (Parahyba, Pernambuco, Rio Grande do Norte, Ceará) con l'abbondanza della materia prima d'ottima qualità ha stimolato l'industria cotoniera che nel 1920, secondo il censimento federale, contava 357 stabilimenti con un capitale di 670 milioni di milreis e impiegava 102.952 operai.
Numericamente la metà degli stabilimenti è situata negli stati di S. Paolo e di Rio de Janeiro e nel distretto federale, ma le 178 fabbriche complessivamente esistenti in queste tre regioni concentravano, all'epoca del censimento, 375 milioni di milreis di capitale, 82.000 HP., 60.000 operai. Distretti cotonieri importanti si trovano anche nel Minas Geraes (Juiz de Fora), a Bahia, a Pernambuco e nel Rio Grande do Sul. In complesso nel 1926 gli stabilimenti cotonieri possedevano 2 milioni e 350 mila fusi e 65.000 telai e davano lavoro a 108.950 operai. Meno sviluppate sono l'industria della lana che ha il centro principale a Juiz de Fora (Minas Geraes) e quella della seta affatto recente creazione degl'Italiani di S. Paolo, mentre strettamente connesso con la produzione del caffè è lo iutificio che provvede i sacchi per la preziosa droga.
La mancanza di carbone ha sempre impedito lo sfruttamento dei giacimenti di minerale di ferro, cosicché l'industria siderurgica è rappresentata da pochi stabilimenti di S. Paolo (Ipanema) e di Minas Geraes (Sabara); invece importanza notevole hanno le industrie alimentari. Si tratta anche qui d'impianti relativamente recenti, creati spesso da immigrati, come l'industria molitoria del conte Matarazzo, quella delle paste, delle conserve, degli olî animali e vegetali. La più antica di queste industrie è quella dello zuccherificio: la lavorazione della canna da zucchero è fatta anche adesso in massima parte da piccoli impianti (engenhos) che producono lo zucchero greggio (rapadura) e l'aguardente per il consumo interno. Ma l'industria saccarifera ha anche grandiosi zuccherifici che lavorano per l'esportazione e che sono concentrati a Pernambuco, Sergipe e Alagôas, a Bahia, Rio de Janeiro e S. Paolo. Nel 1920 la produzione complessiva dello zucchero fu di tonnellate 695 mila, delle quali 455 mila fornite dagli engenhos e 240 mila dagli zuccherifici. Il mercato principale d'esportazione è Pernambuco (Recife) donde viene mandata in Inghilterra la qualità chiamata Demerara.
In complesso le industrie sopra ricordate, come le minori dell'abbigliamento, delle calzature, l'industria della carta, le industrie chimiche e quelle chimico-farmaceutiche lavorano quasi esclusivamente per il mercato interno.
Statistiche delle occupazioni. - Il numero totale degli operai addetti agli stabilimenti industriali nel settembre 1920 era di appena 296.672 che ripartiti nei 13.289 stabilimenti recensiti davano una media di 22 operai per stabilimento. Il numero maggiore degli operai si trovava in S. Paolo (103.629), veniva quindi il Distretto Federale con 56 mila e il Rio Grande do Sul con 24.600 operai. Si tratta di cifre in complesso molto modeste che testimoniano della importanza ancora relativa dell'industria nella vita nazionale.
Commercio e suo sviluppo. - Si può parlare di commercio brasiliano solo dal 1808, quando cioè i porti del Brasile vennero aperti a tutte le navi del mondo, mentre prima tutti gli scambî si effettuavano esclusivamente attraverso il Portogallo. Ma lo sviluppo fu dapprima assai lento: nel quinquennio 1840-1844 la media annua del commercio estero non raggiungeva i 100 mila contos di reis, e le importazioni superavano di un terzo le esporiazioni (rispettivamente 54 mila contos e 41 mila); 30 anni dopo il movimento complessivo presentava una media di 352 mila contos, ma l'esportazione era superiore all'importazione (rispettivamente 159 mila e 193 mila contos). Nel primo quinquennio del sec. XX la media annua del commercio complessivo raggiunse quasi un milione e un quarto di contos, con 474 mila contos all'importazione e 760 mila all'esportazione. Dopo il 1905, pur attraverso forti oscillazioni, il commercio continuò la sua marcia ascensionale come è naturle dato il progressivo aumento della popolazione, l'affusso costante degli emigranti, lo sviluppo delle vie di penetrazione verso l'interno e il conseguente progresso generale del paese.
La seguente tabella riporta, prendendole dalle pubblicazioni della Direzione federale di statistica commerciale, le cifre dei periodi quinquennali e le relative medie annue dal 1901 al 1925: per i valori sono indicate le cifre in migliaia di sterline dato che le fluttuazioni della carta moneta brasiliana furono in quel periodo, per varie ragioni, fortissime.
Tanto le importazioni quanto le esportazioni si mostrano in aumento in tutto il periodo: soltanto negli anni 1916-20 le importazioni subirono una contrazione per effetto della guerra europea, ma ripresero a risalire nell'ultimo quinquennio. Sempre superiore al valore delle importazioni fu quello delle esportazioni: in tutto il venticinquennio considerato, soltanto in tre anni la bilancia commerciale fu sfavorevole segnando un deficit di lire sterline 1.715.000 nel 1913, di 17.484.000 nel 1920 e di 1.888.000 nel 1921.
Al totale degli scambî internazionali concorrono in varia misura gli stati della Confederazione; le statistiche brasiliane forniscono i dati per i singoli porti. Rio de Janeiro tiene il primo posto per le importazioni mentre Santos è il primo per le esportazioni: il commercio del caffè che ha il suo mercato principale in Santos, spiega questa supremazia del grande porto paulistano. Un confronto interessante si può istituire fra il commercio annuo nell'ultimo quinquennio prebellico (1909-13) e nel primo quinquennio postbellico (1922-26), purché si tenga presente che mentre il Brasile importa soprattutto materie prime pesanti e relativamente di basso prezzo (il carbon fossile, il ferro, il cemento, il legname, la iuta greggia ecc. danno oltre il 50% del tonnellaggio) esporta invece merci di alto prezzo e particolarmente il caffè che da solo fornisce quasi costantemente il 70 per cento del valore totale delle esportazioni.
Nei riguardi della composizione del commercio brasiliano nei due periodi quinquennali predetti possiamo osservare: pressoché stazionaria rimane nella media l'esportazione del caffè (12.650.000 sacchi da 60 kg., 13.700.000); mentre quella del caucciù, in causa della concorrenza dei mercati dell'Asia di sud-est, si riduce a meno di un quarto dal primo al secondo periodo, scendendo il totale annuo da 39.200 tonnellate a circa 21.240 tonn. Un sensibile aumento presenta invece, insieme con quella del cacao che viene raddoppiata (da 31.650 tonn. a 61.450 tonn.) e con quella del cotone che risulta più che raddoppiata (da 18.000 tonn. a 36.900 tonn.), l'esportazione del tabacco che aumenta di circa un terzo (da 26.650 tonn. a 34.450 tonn.).
L'ordine con cui si seguono gli stati rispetto al massimo e al minimo dell'esportazione, non varia sensibilmente nei due quinquennî particolarmente considerati, almeno per quanto possiamo giudicare dalle statistiche che forniscono i dati degli stati interni di Goyaz e di Minas Geraes. Infatti, S. Paolo, Rio de Janeiro e Bahia si seguono in ordine decrescente, e Matto Grosso e Rio Grande do Norte, in ordine ascendente, nell'uno e nell'altro periodo. Così non varia grandemente l'ordine degli stati a cui spetta il massimo (Rio de Janeiro, S. Paolo, Rio Grande do Sul) e il minimo dell'importazione (Piauhy, Sergipe, Rio Grande do Norte nel periodo 1909-1913, e Sergipe, Piauhy, Matto Grosso in quello 1922-26). Varia, invece, grandemente l'aumento dell'esportazione e quello dell'importazione fra i varî stati. Mentre l'esportazione diminuisce lievemente nel Rio Grande do Norte ed ha un lievissimo aumento nel Matto Grosso e un lieve aumento negli stati di S. Paolo e di Alagôas, si quintuplica nel Ceará, si quadruplica nel Maranhão, si triplica nel Rio Grande do Sul, si raddoppia nell'Espirito Santo. Così, mentre l'importazione diminuisce di 9 decimi nell'Amazonas, di più che tre quarti nel Pará, nel Maranhão, nel Sergipe, essa quasi si decupla nel Pernambuco, aumenta di quasi la metà nel Piauhy, di più di un quinto e di meno d'un decimo, rispettivamente, negli stati di S. Paolo e di Rio de Janeiro.
Quanto agli scambî fra il Brasile e l'Italia, è da avvertire che nel primo quarto del secolo, la merci esportate dal Brasile in Italia hanno raggiunto un valore approssimativo di 63 milioni di sterline, e quelle importate dall'Italia in Brasile, il valore di circa 39 milioni di sterline. Il periodo bellico modifica profondamente i rapporti tra esportazione e importazione, nel senso che nell'anteguerra la bilancia commerciale si chiude con un saldo a favore dell'Italia un po' superiore agli 11 milioni di sterline, mentre nel periodo bellico e postbellico (1919-1925) la bilancia si chiude con un saldo a favore del Brasile, di circa 35 milioni di sterline. Nell'anno 1926 il Brasile importa in Italia più di 2100 tonnellate di cacao (quasi la ventesima parte del cacao importato in Francia) circa 2300 tonnellate di carne congelata in confronto delle 26.000 del 1928, più di 2400 tonnellate di caucciù (meno della metà di quello importato in Francia e quasi la terza parte di quello in Germania), e 35.000 tonnellate di caffè (mentre in Francia se ne importarono in quell'anno 107 mila tonn. e in Germania 42.000). Nello stesso anno 1926 l'Italia importa in Brasile più di 830 tonnellate di canapa greggia e di filati di canapa, più di 520 di formaggio, più di 400 d'olio d'oliva, 200 di conserva di pomodoro, e più di 115.000 ettolitri di vino in fusti e 13.000 in fiaschi, oltre a 650.000 bottiglie di marsala e vermouth e a circa 650.000 bottiglie di vino e 400.000 di liquori.
Nel 1926 l'esportazione italiana in Brasile raggiunse il valore di 295 milioni di lire, di cui circa la tredicesima parte fu rappresentata da automobili in numero di 791 macchine, mentre nel 1923 ne erano state esportate 222.
Distribuzione e densità della popolazione. - Dei 30 milioni e mezzo di abitanti censiti nel 1920, circa un milione e un settimo spettava al Distretto Federale, più di 28 milioni e mezzo agli stati, e meno di un decimo di milione al territorio di Acre. Dei 20 stati della Confederazione, 3 contavano una popolazione fra i 6 e i 3 milioni (1 interno, Minas Geraes, e 2 atlantici, S. Paolo, Bahia); 7 una popolazione fra 2 milioni e un quinto e un milione (tutti atlantici: Pernambuco, Rio Grande do Sul, Rio de Janeiro, Ceará, Pará, Alagôas, Parahyba), 7 oscillavano fra poco più di mezzo milione e poco meno di un milione (6 atlantici e 1 interno: Maranhão, Paraná, Santa Catharina, Piauhy, Rio Grande do Norte, Goyaz), 3 avevano meno di mezzo milione (1 atlantico e 2 interni: Espirito Santo, Amazonas, Matto Grosso). A prescindere dal Distretto Federale che aveva 983 ab. per kmq., la densità massima fu registrata nello stato di Rio de Janeiro con 37 ab. per kmq.; la minima in quello di Matto Grosso dove non si raggiunsero 2 abitanti per ogni 10 kmq. (0,17 per kmq.). In 8 stati (Alagôas, Sergipe, Pernambuco, S. Paolo, Parahyba do Norte, Rio Grande do Norte, Espirito Santo, Minas Geraes) la densità variò fra 34 e 10, e in 7 fra 9 e 2,5 (Ceará, Rio Grande do Sul, Santa Catharina, Bahia, Paraná, Maranhão, Piauhy). Nei 4 stati di Goyaz, Parȧ, Amazonas, Matto Grosso che insieme al territorio di Acre hanno un'area complessiva di quasi 5 milioni e mezzo di kmq., la densità non raggiungeva 1 abitante per kmq., onde per questi si può parlare di grandi estensioni pressoché spopolate. Questa grande varietà nella distribuzione della popolazione è il risultato sia delle particolari condizioni naturali e climatiche delle singole regioni, sia del procedimento secondo il quale si è svolta la colonizzazione nel periodo coloniale, quando l'elemento colonizzatore, bianco o di colore, costituiva una serie di nuclei costieri isolati da cui in tempi più recenti si è irradiata la penetrazione verso l'interno.
Questa notevole differenza nella densità e l'esistenza degli ora detti nuclei isolati, e perciò forniti di tradizioni e tendenze diverse o magari contrastanti, hanno sempre costituito il principale ostacolo all'unificazione del paese, e contro di esso hanno dovuto lottare nel periodo coloniale i governatori e i viceré, così come durante l'impero il governo di Rio de Janeiro ha opposto una politica accentratrice al movimento centrifugo delle varie provincie. E quando, caduto l'impero, le provincie divennero stati autonomi secondo il sistema federativo inaugurato con la costituzione repubblicana del 1891, una delle preoccupazioni fondamentali del governo dell'Unione è stata quella di reagire contro i varî elementi di dispersione della vita economica e politica del paese.
La densità della popolazione è, come si è detto, risultato e indice dei diversi fattori naturali e climatici: infatti l'esame anche rapido della distribuzione della popolazione nei singoli stati richiama al pensiero la differenza fondamentale tra le condizioni di vita presentate dall'Amazzonia brasiliana e quelle offerte dall'altipiano e dalle regioni costiere e subcostiere del sud, dove l'elevazione relativamente notevole attenua le condizioni del clima tropicale e subtropicale, permettendo un'intensità di produzione agraria e un'intensificazione dell'industria dell'allevamento, che solo limitatamente ad aree ristrettissime può trovare un riscontro in qualche stato del nord. Particolarmente tipico appare il contrasto fra la densità di popolazione degli stati di Rio de Janeiro (37) e di S. Paolo (19), la cui area complessiva inferiore ai 290.000 kmq. non corrisponde neppure al 3 e mezzo per cento dell'area totale, e la densità di popolazione degli stati interni di Goyaz (0,8) e di Matto Grosso (0,17), la cui area complessiva corrisponde invece al 25 per cento dell'intero territorio. Così notevolissimo è il contrasto tra la densità di popolazione degli stati di Alagôas (34) e di Pernambuco (22), la cui area complessiva corrisponde a poco più dell'uno e mezzo per cento dell'intero territorio, e la densità di popolazione degli stati amazzonici (Amazonas 0,2; Pará 0,7), la cui area complessiva corrisponde a più del 37 per cento dell'intero territorio.
Queste cifre valgono a rappresentare contrasti salienti fra aree ed aree: ma non possono che in minima parte dar conto del modo in cui effettivamente è distribuita la popolazione nella vastissima Confederazione; il che potrebbe ottenersi non prendendo a base del computo le unità politiche d'estensione così varia e spesso così vasta, ma regioni più piccole e con più precisi caratteri naturali. Così, lasciando da parte il Distretto Federale, ove nel 1920, la densità della popolazione terrestre raggiunse, come si è detto, il valore di 983 abitanti per kmq., la nostra attenzione può fermarsi particolarmente sulla distribuzione delle aree dove calcoli particolari, come quelli di Pierre Denis, permettono di verificare una densità superiore ai 60 abitanti o variabile fra i 30 e i 60 per chilometro quadrato. Appartengono alla prima serie la zona costiera degli stati di Pernambuco e di Alagoas nella cui parte settentrionale è Recife, e la zona costiera a nord e a ovest di Bahia (il cosiddetto Reconcavo). Appartengono alla seconda serie la zona interna a nord del 30° parallelo australe, che si estende ad ovest di Porto Alegre e abbraccia i territorî delle principali colonie tedesche e italiane del Rio Grande do Sul; parte della regione costiera di Santa Catharina e di Paraná; quella estesa essenzialmente a NO. di S. Paolo; quella che comprende la maggior parte dello stato di Rio de Janeiro, e quelle aree che orlano, rispettivamente, verso occidente o verso ponente e settentrione, le due citate aree di alta densità di Bahia e di Recife.
Distribuzione e caratteri generali dei centri abitati. - Il numero limitato delle cidades (795) e delle villas (505) noverate al tempo dell'ultimo censimento, ci richiama alla considerazione che, diversamente da quanto avviene negli Stati Uniti, la popolazione propriamente urbana, rappresenta una parte esigua dell'elemento demografico totale. È però da avvertire che circa la 27ª parte della popolazione dell'intero Brasile si addensa nella capitale della Confederazione.
Altri nuclei cittadini importanti si trovano negli stati costieri del sud dove si è intensificato, dopo la costituzione della repubblica, lo sfruttamento economico, e in qualcuno degli stati del nord (Bahia, Pernambuco) dove si affermò, sin dai primi tempi del periodo coloniale, la necessità di provvedere, con larga ed opportuna mano d'opera, alla coltura di tipici prodotti tropicali. Invece, la dispersione della popolazione in nuclei a cui non si può neppure assegnare il nome di villaggio, è una delle caratteristiche, non solo degli stati interni di Goyaz e di Matto Grosso, ma anche degli stati amazzonici dove, se si prescinde dalle strette zone lungo il Rio delle Amazzoni, i suoi canali e i suoi grandi affluenti navigabili, la popolazione appare eccezionalmente scarsa, e, in alcuni periodi dell'anno, quando si arresta la raccolta del caucciù e dei prodotti similari, addirittura mancante per aree considerevolmente estese.
Dei 1304 municipios numerati nel 1920 aventi aree diversissime (fra le capitali, il municipio di Fortaleza ha poco più di 40 kmq., quello di Nictheroy 71, mentre quello di Manáos conta 47.874 kmq. e quello di Cuyabá 181.883), oltre a Rio de Janeiro, solo 12 offrono una popolazione superiore ai 100.000 abitanti, e di essi quattro spettano allo stato di S. Paolo e tre a quello di Minas Geraes; mentre 84 hanno una popolazione variabile fra i 50 e i 100.000 abitanti, 408 contano da 20 a 50.000 abitanti, 450 da 10 a 20.000 abitanti, e 340 (fra cui 71 in S. Paolo, 28 in Ceará, 27 in Goyaz e Pará, 26 in Bahia, 20 in Minas Geraes, 5 in Rio Grande do Sul, 4 nello stato di Rio de Janeiro e 3 in quelli di Parahyba do Norte, Alagôas e Pernambuco) presentano una popolazione inferiore ai 10.000 abitanti.
A prescindere dalla capitale federale che conta 1.160.000 ab., fra le capitali dei varî stati si seguono, in ordine decrescente di popolazione, 1 con più di mezzo milione di abitanti, cioè S. Paolo (579,033), 3 con popolazione variabile fra i 300 e i 200.000 (São Salvador, capitale dello stato di Bahia; Recife, di Pernambuco; Belém, di Pará), 1 fra i 200 e i 100.000 (Porto Alegre, di Rio Grande do Sul), 9 fra i 100 e i 50.000 (Nictheroy, capitale dello stato di Rio de Janeiro; Curityba, di Paraná; Fortaleza, di Ceará; Manáos, di Amazonas; Maceió, di Alagôas; Therezina, di Piauhy; Bello Horizonte, di Minas Geraes; Parahyba, di Parahyba do Norte; São Luiz, di Maranhão), 6 fra i 50 e i 20.000 (Florianopolis, di Santa Catharina; Aracajú, di Sergipe; Cuyabá, di Matto Grosso; Natal, di Rio Grande do Norte; Victoria, di Espirito Santo; Goyaz, capitale dello stato omonimo).
Come suole avvenire in qualunque vasta regione ove siano avvertibili le tracce della stratificazione di civiltà diverse, e soprattutto quelle della trasformazione che il paesaggio ha subito in virtù dell'opera colonizzatrice, soltanto nell'interno del Brasile possono tuttora riscontrarsi caratteristici tipi di abitazione che sono in parte il risultato dell'imitazione di tipi indigeni e in parte riproduzione di tipi caratteristici delle varie patrie dei coloni, mentre le città costiere, e, in genere, i maggiori centri della vita economica vanno perdendo di giorno in giorno i segni di differenziazione, per acquistare la fisionomia comune di tante città d'America e d'Europa. Infatti nell'interno si possono riscontrare non difficilmente i cinque tipi di abitazione fissati dal Brandt; la semplice casa di pietra con le finestre rivolte verso la corte interna, che si trova a Manáos; la casa di tipo moresco, rappresentata così largamente nell'America spagnola; la tipica veranda dei tropici comune al Mediterraneo e all'India portoghese; la casa con due o più "dipendenze" caratterizzata da numerose finestre; la casa di tipo italiano nello stato di S. Paolo, di tipo germanico negli stati di Rio Grande e di Santa Catharina, di tipo olandese in Pernambuco, di tipo polacco nel Paraná. Tuttora in qualche grande città, come in Recife, sono chiaramente rintracciabili le forme della primitiva struttura, ma altrove nei centri vitali del paese, la necessità imperiosa di costruzioni ha mascherato la fisionomia primitiva, come è avvenuto nella parte antica di Rio de Janeiro.
Emigrazione interna ed esterna. - Paese vastissimo, con una densità media di popolazione che, pur dopo l'incremento demografico dell'ultimo cinquantennio, è di gran lunga inferiore alla potenzialità delle sue risorse, il Brasile è quasi esclusivamente paese di immigrazione; l'emigrazione esterna è circoscritta entro limiti così angusti, che si può dire d'importanza trascurabile. Anzi l'elemento brasiliano che ha varcato e varca tuttora il confine occidentale dello stato di Rio Grande do Sul, dirigendosi sul suolo argentino, se qualche volta si stanzia stabilmente nel territorio delle Misiones, non raramente riguadagna il suolo brasiliano, risalendo il corso del Paraná.
E neppure costituiscono area di emigrazione brasiliana le isole oceaniche poste a distanza relativamente non grande dalla costa orientale brasiliana, quali gli isolotti già ricordati di São Pedro e São Paulo, le isole di Trinidad e di Martim Vaz, a sud del 20° parallelo; tutte attualmente disabitate e sterili; colonizzata può dirsi solo l'isola principale del gruppo di Fernando de Noronha, vasta circa 15 kmq. e mezzo, abitata presentemente da un migliaio di persone (di cui più che la metà è costituita dalla guarnigione), coltivata prevalentemente a cotone, mentre dànno buoni risultati anche le colture del miglio, della mandioca e del banano.
Grande importanza invece ha l'emigrazione interna, collegata intimamente alla storia della colonizzazione del paese sin da quando Bahia era mercato di schiavi negri e San Paolo mercato di schiavi indî. Durante il sec. XVII la conquista della regione interna (indicata con la denominazione di sertão) di Bahia e di Pernambuco è compiuta dagli allevatori di bestiame che avanzano dalla costa; e la penetrazione nei territorî di Minas, Goyaz e Matto Grosso, durante lo stesso sec. XVII e quello successivo è compiuto dai Paulisti, cacciatori di schiavi. Nella seconda metà del sec. XVIII, i cercatori d'oro si spostano dal bacino del Rio Cuyabá nel Matto Grosso di SO., sino a raggiungere nella valle dell'Araguaya la latitudine di Leopoldina, al confine occidentale dello stato di Goyaz. Nel primo terzo del sec. XIX, quando possono dirsi sfruttati i campi auriferi, si inizia nella parte meridionale dell'attuale stato di Minas, una colonizzazione pastorale caratterizzata da una corrente che tende, a nord verso la valle del São Francisco, e a sud, verso i sertões di S. Paolo e di Rio Grande do Sul, quasi ripetendo in senso inverso la marcia dei coloni paulisti.
Solo impropriamente può farsi appartenere all'emigrazione interna lo spostamento di masse di schiavi negri che dallo stato di Bahia sono inviati al Maranhão (4500 all'anno, in media) nel decennio 1812-1821, o nella valle del Parahyba do Norte, fra il 1865 e il 1885. Caratteristico è lo spostamento di antichi coloni negli stati meridionali, verso la fine del secolo passato, quello dei coltivatori di caffè entro i limiti dello stato di San Paolo, e l'immigrazione in questo stesso stato, nell'immediato dopoguerra, da altri stati della Confederazione (10.000 immigranti nel 1920). Ma la zona che, sotto il riguardo dell'emigrazione interna può dirsi la più importante di tutto il Brasile, è nella parte settentrionale della Confederazione. Si calcola che circa un terzo della popolazione degli stati di Pará e di Amazonas sia da riguardarsi come originariamente cearense, ed è certo che la colonizzazione dell'Amazzonia è dovuta essenzialmente ai Cearensi, sospinti ad abbandonare le loro sedi specialmente quando una terribile siccità durata più di due anni (1877-1879) ha minacciato l'ultima rovina di quella provincia. La migrazione cearense si fa particolarmente intensa dopo di allora, e in special modo quando più arde la febbre del caucciù. Allora circa 20.000 Cearensi migrano ogni anno nella regione dell'Amazzoni. I Cearensi sono ora largamente rappresentati soprattutto nella sezione occidentale dello stato di Amazonas, interposta tra la frontiera peruviana e la valle del Madeira; ad essi è dovuta essenzialmente, oltre alla colonizzazione, la definitiva unificazione etnica e linguistica della regione amazzonica.
Bibl.: Saggi parziali della bibliografia brasiliana sono quelli di A. L. Garraux, Bibliographie Brésilienne, Parigi 1898; di P. H. Goldsmith, A brief bibliography of books relating to the Latin-American Republics, New York 1915; di T. P. O. Halloran, Bibliography of South America, Londra e New York 1913 e di R. Garcia, Bibliographia geographica brasileira, Rio de Janeiro 1919 (Revista do Instituto Hist. Geogr.). Si tratta di saggi parziali per integrare i quali si potrebbe oggi raccogliere la materia di varî volumi, date le numerosissime pubblicazioni di studiosi, viaggiatori e giornalisti europei e nord-americani, i molteplici lavori scientifici di studiosi brasiliani e le pubblicazioni ufficiali di indole statistico-economica venute alla luce nell'ultimo trentennio.
I volumi sul censimento del 1920 (Recenseamento do Brazil realizado em 1° septembro de 1920, I-VII) editi dalla Directoria Geral de Estatistica diretta da Bulhôes Carvalho; i primi due tomi del grande Diccionario Historico Geographico e Etnographico do Brasil pubblicati nel 1922; la Revista do Instituto Historico e Geographico Brasileiro offrono dati e studî interessantissimi ed importantissimi per la conoscenza del Brasile e dei problemi della vita brasiliana. Così per la parte cartografica sono da ricordare: F. Homen de Mello, Atlas du Brésil, Rio de Janeiro 1909; Sampaio Theodoro, Atlas dos Estados Unidos do Brasil, Bahia 1911; Mappa Internacional do Mundo: Brasil, organisada pelo Club de Engenharia do Rio de Janeiro, scala 1 : 1.000.000, in 40 fogli, stampati a Berlino nel 1922; nonché alcune carte di tipo corografico e topografico dello stato di S. Paolo e del Distretto Federale.
Rimandando all'art. esplorazioni per i nomi dei più importanti viaggiatori ed esploratori e relative relazioni, citiamo:
Per il Brasile in generale: Oltre ai volumi riguardanti l'America Meridionale compresi nelle opere generali di E. Réclus, di G. Marinelli, di W. Sieber, ecc., vedi: M. Bernardez, Il Gigante giacente, trad. e note di G. Alpi, Roma 1925; E. Bertarelli, Il Brasile meridionale, Roma 1915; F. Bianco, Il paese dell'avvenire, Milano 1922; G. J. Bruce, Brazil and the Brazilians, Londra 1915; O. Bürger, Brasilien, Lipsia 1926; Brazil, its Natural Riches and Industries, voll. 2, a cura dalla Brazilian Mission of Economic Expansion, Parigi 1910; Il Brasile, sue ricchezze naturali sue industrie, I, Milano 1909; M. da Veiga Cabral, Compendio de Chorographia do Brasil, Rio de Janeiro 1922; C. M. Delgado de Carvalho, Le Brésil Méridional, Parigi 1910; id., Geographia do Brasil, Rio de Janeiro 1913; P. Denis, Le Brésil au XX siècle, Parigi 1911; P. Denis, Amérique du Sud, I, Parigi 1927; F. J. De Santa Anna Nery, Le Brésil en 1889, Parigi 1889; id., The Land of the Amazons, Londra 1901; E. Dettmann, Das moderne Brasilien in seiner neuesten wirtschaftlichen Entwicklung, Berlino 1912; J. D. Mac. Ewan, Brazil, Montreal 1918; Os. Felici, Il Brasile com'è, Genova 1923; A. Fünke, Brasilien im 20. Jahrh., Amburgo 1927; K. Guenther, Das Antlitz Brasiliens, 1927 (ill.); H. G. James, Brazil after a century of Indipendence, New York 1925; Ihering, Landeskunde der Republik Brasilien, Lipsia 1918; O. Kende, Brasilien. Landeskundlich - wirtschaftsgeographische Übersicht, Amburgo 1926; F. Höhler, Brasilien heute und morgen, Lipsia 1926; Levasseur, Brésil, Parigi 1889; E. Malesani, Brasile, condizioni naturali ed economiche, Roma 1929; Nash Roy, The conquest of Brazil, New York 1926; J. C. Oakenfull, Brazil: past, present, and future, Londra 1920; id., Brazil: A Century of Indipendence (1822-1922), Friburgo 1922; H. Schüler, Brasilien, Stoccarda 1919; M. R. Wright, The new Brazil, Philadelphia 1920.
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Gl'Italiani in Brasile.
Storia. - Fin dalla prima spedizione colonizzatrice, quella di Martim Affonso voluta da don Giovanni III con rescritto del 20 novembre 1530, alcuni Italiani si trasferirono nel nuovo mondo e fra questi i tre fratelli Francesco, Giuseppe e Paolo Adorno, genovesi, che diedero origine ad una delle più illustri famiglie brasiliane. Paolo, passò nella città di Bahia dove sposò una delle figlie di Diego Alvares, detto Caramurú, mentre Giuseppe sposava Caterina Monteiro e fondava in Santos la cappella di Nostra Signora della Grazia, donata in seguito ai carmelitani e, nell'isola di Guaribe, la cappella di Santo Amaro. Morì più che centenario, in fama di santità.
A famiglie nobili italiane trasferitesi nel Brasile - come i Cavalcanti e gli Acciaiuoli; e si possono ricordare anche i Doria e i Fregoso - si accenna trattando della storia, dove si discorre pure degl'Italiani che parteciparono alle guerre contro gli Olandesi.
Consolidatosi il dominio portoghese, le spedizioni verso l'interno mirarono alla scoperta del territorio e soprattutto delle sue risorse minerarie. La grande cura con cui gli stranieri vennero esclusi da tali imprese fece sì che pochi Italiani fossero fra quei bandeirantes cui si deve la conquista del retroterra brasiliano. Antonio Dias Adorno - che in una spedizione trasse prigionieri ben 7000 indigeni - raggiunse la Serra das Smeraldas e il governatore Francisco de Souza si servì come esploratore, con la carica di ingegnere maggiore dello stato, del toscano Baccio da Filicaia che anche sotto il successore Don Diego Botelho continuò a svolgere delicati incarichi.
Importante in quest'epoca è l'opera svolta dai cappuccini italiani che nel 1679 si stabilirono in Brasile e nel 1708 riuscirono a soppiantare i cappuccini francesi sospetti di spionaggio a pro' dei loro connazionali. Frate Giuseppe da Bologna, che osò combattere apertamente la schiavitù, fu imprigionato ed espulso. Per contro un sacerdote di origine italiana Giovanni Perestrello Spinola, vicario di Villa Boa, si rese celebre per la sua violenza e per la sua avidità dando luogo a un episodio di rivolta.
Francesco Giovanni Roscio contribuì alla delimitazione dei confini fra i possedimenti portoghesi e quelli spagnoli, e per oltre trent'anni ebbe dal governo portoghese incarichi delicati e difficili. La sua opera servi di traccia allo stesso barone di Rio Branco che lo ricorda nei suoi Appunti circa i limiti fra il B. e l'Argentina. Comincia a fiorire, con lo stabilirsi delle prime comunità un'arte costruttiva anche in Brasile, ed è certo che le prime chiese siano sorte su piani di artisti italiani. Le influenze di Giacomo Cortesi, Andrea Pozzo, Giovanni Federico Ludovici sono evidenti se anche non esistono documenti della permanenza di tali artisti in Brasile. Vi lavorarono certamente invece il padre Organtino il quale non solo dava il disegno delle opere ma ne curava l'esecuzione, e il padre Primoli. Nella pittura di carattere sacro si ha notizia di Giovanni Francesco Muzi che si esercitò anche nella scenografia, mentre non è possibile precisare i nomi degl'Italiani, che pure dovettero essere numerosi, i quali contribuirono all'abbellimento di Rio de Janeiro, divenuta sede imperiale e centro di attrazione d'artisti di canto e di musici italiani. Proclamata l'indipendenza e riaperte le frontiere all'emigrazione europea, numerosi Italiani accorsero in Brasile. Figura preminente fra questi è quella del medico Giovanni Battista Badaro nato a Laigueglia nel 1793 ed emigrato nel 1826 in Brasile. Per due anni si occupò di botanica con lavori che da soli sarebbero bastati a dargli fama, ma poi si dedicò alla politica sostenendo nel suo giornale L'Observator Constitucional fondato a S. Paolo nel 1828, principî liberali e il mantenimento dell'indipendenza del Brasile, con vive polemiche che suscitarono contro di lui profondi rancori, finché il 20 novembre fu ucciso a colpi di rivoltella. Una grande arteria di S. Paolo porta ora il suo nome.
Rio de Janeiro era frattanto diventata ricovero di numerosi fuorusciti politici italiani e fra gli altri di quel Luigi Rossetti che divenne l'amico carissimo di Garibaldi. Questi in Brasile ebbe accoglienze cordiali in Rio anche dal veronese Delecazzi o Dellecase. Da costoro Garibaldi ebbe notizia del movimento riograndense, cui partecipava, in qualità di segretario di Bento Gonçalves, il conte Tito Livio Zambeccari che, arrestato con Ciro Menotti, era riuscito a sfuggire alla condanna a morte. Fatto prigioniero nel combattimento della Fanfa, lo Zambeccari ebbe in carcere una visita di Garibaldi, nella quale questi e Rossetti esposero il loro piano di organizzare una flottiglia a servizio della rivoluzione riograndense: nel corso della campagna il generale si innamorò di Anita, nativa di Laguna nello stato di S. Catharina, il cui territorio in poco tempo Garibaldi poté conquistare. Ma poi i repubblicani dovettero ritirarsi e durante la ritirata il Rossetti morì.
Oltre che col grande difensore della libertà, l'Italia era presente in Brasile in quel periodo con la stessa imperatrice, donna Teresa Cristina di Borbone, figlia di Francesco I di Napoli e sposa di Don Pedro II, e può dirsi che i nuovi rapporti dinastici diedero un vero impulso ai rapporti commerciali fra l'Italia Meridionale e il Brasile, per cui un nuovo periodo comincia per l'emigrazione italiana che aveva avuto fino allora carattere prevalentemente politico. Un Vacchini, aveva bensì impiantato un albergo in Rio de Janeiro, associandosi poi a Giuseppe Villa per fondare in Rua Assemblea l'Hotel do Universo, centro di tutti gl'Italiani che sbarcavano a Rio; Angelo Fiorita col Tavolaro avevano fondato la prima casa commerciale italiana, e gli Zignago, i De Vincenzi, i Cresta, altre aziende. Ma quando, sotto Don Pedro, si ebbe una legislazione favorevole all'immigrazione degli stranieri, una prima colonia d'una trentina di famiglie genovesi si costituì nel 1836 nello stato di Santa Catharina, in seguito all'iniziativa dell'agente consolare del re di Sardegna. Nuova Italia si intitolò la comunità, che nel 1840 ebbe un rovescio, rifiorendo a soli tre anni di distanza col nome di Don Alfonso. Un'altra richiesta di fondazione di colonia fu fatta nel 1849 dal viceconsole del re di Sardegna designando per la concessione i terreni fra i fiumi Biguassú e Tijucas. L'iniziativa colonizzatrice del senatore Vergueiro, che sostituiva all'azione governativa quella personale importando nei suoi terreni dello stato di S. Paolo mano d'opera europea, contribuì ad attirarvi altri Italiani.
E l'emigrazione italiana, dapprima sporadica, incominciò a diventare fenomeno importante appunto con l'emigrazione "contrattata". Già nel 1874 il veliero Anna Pizzorno giungeva a Paranaguá con 100 famiglie chiamate d'ordine di Don Pedro II. L'emigrazione si sviluppava in seguito al decreto imperiale del 1885 che accordava agl'immigranti il rimborso delle spese di viaggio. Data la relativa importanza della colonia italiana in Rio, il governo italiano decise di stabilirvi la sede d'un consolato generale. Questo ebbe facoltà di emettere vaglia per rimesse di danaro in Italia, mentre cominciava ad essere prospero il commercio d'esportazione del caffè per Genova, che allora per questo prodotto serviva di tramite per Trieste, per la Svizzera e per la Germania meridionale. L'inizio d'un programma di costruzioni ferroviarie che andò attuandosi dopo il 1870 diede nuovo incremento all'emigrazione e fra coloro che assunsero appalti e ne trassero fortuna sono da ricordare il Borisi, il Bonino, l'Armenio e Francesco Rossi mentre i fratelli Jannuzzi, giunti dalla natia Fuscaldo, da umili lavoratori diventavano i maggiori imprenditori di costruzioni edilizie della capitale federale. Poi il decreto del 13 maggio 1888 col quale la schiavitù veniva abolita, provocò l'abbandono in massa dei campi da parte dei liberati e, urgendo sostituirli, si facevano le migliori condizioni agl'immigranti.
Alla liberazione degli schiavi contribuirono gl'Italiani, non solo con l'aiuto dato all'agitazione (specie dal conte Alessandro Siciliano che in Piracicaba aveva costituito un centro di abolizionismo), ma soprattutto col confronto fra il rendimento in lavoro dell'emigrante e dello schiavo. Il governo provvisorio che seguì alla proclamazione della repubblica fu tuttavia antiemigrazionista ripromettendosi di colonizzare il Brasile con braccia brasiliane, ma già alla fine del 1891 doveva ricredersi, dando sviluppo ad un'attiva azione di richiamo di mano d'opera straniera, che, per quanto riguarda l'Italia, poteva già dirsi iniziata con i due uffici di informazioni impiantati dal consigliere Antonio Prado a Genova ed a Milano. In seguito, col fiorire dalle coltura del caffè che richiedeva una mano d'opera agricola sperimentata, si giunse anzi all'eccesso opposto: lo stesso governo brasiliano o meglio i governi dei varî stati si misero a fare incetta di emigranti per il tramite di speculatori che in forza di un regolare contratto di concessione fornivano ai governi dei varî stati migliaia di lavoratori, ricevendo dagli emigranti 10 lire a testa e dai governi il rimborso delle spese di viaggio.
Il 3 agosto 1892 il governo dell'Unione, raggruppando in un solo contratto le diverse concessioni fatte in precedenza dal governo imperiale e da quello provvisorio, giunge a patteggiare con la Compagnia metropolitana di Rio de Janeiro l'introduzione di un milione d'immigranti europei, da effettuarsi nel periodo di 10 anni, mentre lo stato di S. Paolo continuava a introdurre, per suo conto, lavoratori italiani stipulando contratti ora con la Società promotrice di immigrazione, ora con altri introduttori.
L'emigrazione italiana seguiva una triplice corrente diretta allo stato di S. Paolo per il porto di Santos, allo stato di Minas Geraes per Rio de Janeiro, allo stato di Espirito Santo per il porto di Vittoria. Gli agenti di emigrazione in questo tempo equivocarono dolosamente, e troppo spesso, sulla destinazione delle famiglie italiane, non facendosi scrupolo di mandare in uno stato chi era stato ingaggiato per un altro e viceversa, nonostante che il passaporto dell'emigrante indicasse chiaramente il punto di destinazione.
Subentrarono a "sussidiare" l'emigrazione alcuni governi statali, come il Rio Grande do Sul fino al 1895, Minas Geraes fino al 1897, S. Paolo fino al 1927. Gl'Italiani arrivati al Brasile, che nel 1885 erano circa 12.000, salivano a 31.000 nel 1887, a oltre 97.000 nel 1888.
Due periodi assai gravi aveva traversato intanto l'emigrazione italiana nel decennio. Nel 1888 quando il flusso migratorio, come si è detto, era aumentato enormemente, lo stato brasiliano si trovò di fronte a un immane agglomeramento di persone a Rio de Janeiro, S. Paolo e Porto Alegre, senza poter procedere immediatamente alla distribuzione delle terre colonizzabili sicché gli asili di emigranti rigurgitavano e mentre quello di S. Paolo era capace solo di 4000 persone ne ospitava 9000, fra le quali scoppiò improvvisa una spaventosa febbre gialla che ne fece strage. Per questo con ordinanza del 13 maggio 1889 il governo italiano sospese l'emigrazione e a sua volta il governo brasiliano affrettò i rimpatrî. Ma anche più grave fu la situazione rivelatasi nel 1894. Fallite le promesse lusinghiere del nuovo regime repubblicano instauratosi su quello imperiale, la reazione, che era rimasta sorpresa e sgomenta il 15 novembre, cominciò ad organizzarsi fino all'esplosione tremenda del 1893, e quindi sopravvennero nell'organizzazione economica della Repubblica, nuove e gravi perturbazioni, che finirono con il sacrificare la maggior parte degli spostati che si trovavano nel paese. Questo era in preda allo spirito di reazione che si irradiava dal centro per tutti gli stati; nell'estremo sud la rivoluzione e la guerra civile che ne seguì e durò due anni, danneggiarono non poco gl'Italiani.
Molti pacifici coloni chiedevano indennizzi per i danni sofferti ed il governo italiano non mancò di appoggiare diplomaticamente tali richieste: questo fatti sollevò opposizioni e soprattutto urtò la pubblica opinione onde si verificarono tra Brasiliani e Italiani incidenti assai incresciosi. La presentazione delle richieste italiane (il protocollo) originò un'insurrezione popolare contro gl'Italiani i cui beni furono danneggiati. Le notizie di tali avvenimenti provocarono l'invio in Brasile delle regie navi Lombardia (che nel porto di Rio ebbe dalla febbre gialla distrutto quasi tutto l'equipaggio, fraternamente aiutato dagli ufficiali della marina brasiliana) e Piemonte, con il plenipotenziario De Martino, il quale venne col governo brasiliano a una transazione.
Si arrivava così, dopo un espatrio ancor cospicuo di 82.000 emigranti nell'anno precedente, al 1902, e al famoso provvedimento, inesattamente conosciuto sotto il nome di "decreto Prinetti" e che consisté invece nella sospensione - da parte del commissario dell'emigrazione - delle licenze per trasporto di emigranti a viaggio gratuito rilasciate a talune compagnie di navigazione. Questo provvedimento mirava soltanto a sottrarre gli emigranti alle fallaci lusinghe del viaggio gratuito, rimettendo l'emigrazione al Brasile esattamente nelle stesse condizioni di libertà, ma di cosciente responsabilità, che per gli altri paesi. Se non che, esso bastò da solo - riprova dell'artificiosità dello stimolo preesistente - a far scendere progressivamente l'emigrazione per il Brasile a una media di circa 12.000 all'anno, in buona parte compensata dai rimpatrî. Secondo le stesse statistiche brasiliane, dal 1902 ad oggi si ebbero 427.757 arrivi, contro 278.795 rimpatrî.
I 1.292.159 italiani che, secondo l'annuario statistico del cessato Commissariato dell'emigrazione, erano emigrati in Brasile dal 1876 al 1925 così si distribuivano per ragioni di provenienza: Veneto (383.701); Campania (170.646); Lombardia (107.740); Calabria (139.087); Abruzzi e Molise (94.079); Toscana (85.055); Emilia (60.764); Basilicata (55.633); Sicilia (45.500); Piemonte (43.813), ecc.
Le statistiche brasiliane, comprendenti naturalmente oltre agli arrivati dall'Italia, anche gl'Italiani di altre provenienze, denunciano dal 1810 al 1926 un totale di 1.432.443 sopra un totale generale di 4.167.439 immigrati di cui 1.319.189 Portoghesi, rappresentanti, dopo l'italiano, l'elemento più numeroso. Sempre secondo le statistiche brasiliane, gli Italiani che nel periodo considerato si diressero a San Paolo furono 92.967, mentre gli altri, soprattutto Veneti, si dirigevano altrove e specialmente al Rio Grande do Sul, Espirito Santo, Paraná, S. Catharina, Minas Geraes. Mancano, fino al 1901, dati precisi circa i rimpatrî e la riemigrazione italiana verso altri paesi - tutt'altro che trascurahile, specie per il Plata, fino dal decennio 1890-1900, in conseguenza della crisi economica e dei moti rivoluzionarî - e che si verificò soprattutto dagli stati di Rio Grande do Sul, San Paolo e Minas Geraes.
Non mancarono, dopo i provvedimenti italiani del 1902, i tentativi per una ripresa dell'emigrazione italiana in Brasile. Ma un complesso di cause, tra cui il persistente desiderio da parte brasiliana di volere emigranti soprattutto ed anzi esclusivamente per le fazende, dove i nostri, per ragioni d'ordine economico, sociale e morale, non si trovavano, né potevano trovarsi, a loro agio, impedì che in Brasile si sviluppassero imprese di colonizzazione italiana a base di proprietà diretta, per cui quella Confederazione avrebbe presentato condizioni particolarmente favorevoli.
Sopraggiunse, quindi, la guerra: lo stesso accenno di ripresa che nell'emigrazione spontanea al Brasile si ebbe nell'immediato dopoguerra non fu tale da alterare la fisionomia del fenomeno, definitivamente, da ultimo, consolidata dalla nuova politica emigratoria fascista, essendo ormai i rimpatrî quasi superiori agli arrivi, i quali rappresentano anzi - generalmente - ritorni di emigranti alle loro sedi d'oltremare.
Numero e distribuzione. - Le cifre del censimento brasiliano del 1920 trovano sufficiente conferma in un calcolo induttivo compiuto sulla base delle statistiche nostre e che, partendo dal numero degli arrivati, deduca da questi i rimpatriati e riemigrati ed i morti. Secondo questo censimento esistevano in quell'anno 558.405 Italiani di prima generazione, così ripartiti: stato di S. Paolo 398.797, stato di Rio Grande do Sul 49.136, Minas Geraes 42.943, Distretto Federale 21.929, Espirito Santo 12.553, Rio de Janeiro 10.000, Paraná 9046, Santa Catharina 8062; gli altri suddivisi tra i rimanenti stati. La grande maggioranza degl'Italiani appariva dunque raccolta negli stati del sud e del centro (ove però Bahia, Matto Grosso e Goyaz ne contavano solo, rispettivamente, 1448, 810 e 268). La maggior parte degl'Italiani residenti negli stati del nord e nord-est si accentravano nelle capitali. Nel nord, la maggioranza degli Italiani si dedicava, nei centri urbani, ai commerci ed all'artigianato. La colonia, solo in piccolissima parte formata dai superstiti delle fallite imprese di colonizzazione tentate nel 1894 in Bahia, nel 1895 in Pernambuco e Piauhy e nel 1899 in Pará, è, in generale, di formazione recente, frutto di una riemigrazione dal centro, verificatasi specialmente durante l'epoca della gomma (nel 1907 si calcolavano 4000 Italiani solo in Manáos e Pará) e cessata poi con la crisi di questo prodotto.
Altri movimenti si ebbero, nei primi anni, da San Paolo verso Minas Geraes (all'edificazione di Bello Horizonte, nel 1894, contribuirono ben 20.000 Italiani), verso il Distretto Federale, gli stati di Paraná e Santa Catharina, ove fioriva la piccola proprietà. Anche oggi vi sono correnti di riemigrazione interna: come quella dal Rio Grande do Sul per S. Catharina, specialmente di discendenti d'Italiani, in cerca di terre più fertili, e da S. Paolo verso il Paraná, per l'impianto di nuove fazende di caffè.
Degl'Italiani residenti nello stato di San Paolo, una parte cospicua è nella stessa capitale, la cui popolazione italiana si è mantenuta, nell'ultimo decennio, pressoché immutata. Ciò grazie ad un fenomeno di attrazione per cui, mentre parecchi sono gl'Italiani che da altre zone si riversano nello stato di San Paolo come quello che presenta tuttora nella Federazione la maggior somma di risorse, molti sono poi gl'Italiani che, già nello stato di San Paolo, lasciano a mano a mano l'interno per la capitale. Fenomeno codesto, dal punto di vista italiano, salutare. La graduale concentrazione dell'elemento e del sangue italiano nel cuore stesso dello stato di San Paolo, permette all'elemento nostro di conservare quella relativa supremazia che fin dalle origini si conquistò e che feee di San Paolo il più progressivo, il più intraprendente, il più forte stato della confederazione. L'italianità della città di San Paolo, visibile attraverso la lingua, l'edilizia, le industrie, l'attività cittadina in genere - del resto confidata anche a buona parte dell'elemento di seconda generazione - sopravvive quindi e resiste con sufficiente gagliardia ai colpi del tempo ed alle migrazioni nuove.
Influenza non trascurabile, per quanto non ugualmente decisiva, ha avuto l'elemento italiano nello stato di Rio Grande do Sul. Colà, come nello stato di S. Catharina e nello stesso Paraná, si contano le migliori colonie stabili italiane a tipo agricolo, ed i nomi di Nuova Trento, Nuova Venezia, Nuova Italia stanno ancora ad attestare della tenacia e dello spirito dei nostri pionieri.
Attività ed opere. - Nei 28 anni di divieto dell'emigrazione gratuita, che portò alla pratica cessazione dell'emigrazione, l'elemento italiano in Brasile ha avuto agio e possibilità di selezione; la parte meno capace e più sfortunata ha ceduto, col rimpatrio, o è caduta senz'altro vinta sui campi del lavoro. Gl'Italiani di prima generazione ancora rimasti nelle fazende non sommano adesso a più di 100 mila, ed anch'essi hanno trovato ormai il loro assestamento. L'ultima crisi del caffè, pur gravissima, del 1929-1930, non ha rivelato, nei riguardi dei coloni nostri, situazioni particolarmente dolorose.
Per contro, così nell'agricoltura come nell'industria, vi sono stati gli eletti che, soggiogate ed aggiogate al proprio destino le difficoltà della natura e dell'ambiente, hanno raggiunto i posti di comando più alti ed ambiti. Interessanti però - fra questi due estremi: gl'infimi e i sommi - le posizioni di massa, quali sono rivelate dal citato censimento del 1920.
L'agricoltura, data l'immensità del paese, varia in Brasile da zona a zona, profondamente, per natura, organizzazione e sviluppo, offrendo così, anche per differenza di densità di popolazione, progresso economico e mezzi di trasporto dei singoli stati, possibilità molto diverse. La stessa proprietà immobiliare italiana rurale varia quindi di fisionomia da stato a stato.
Su 648.153 proprietà agricole, con 175.104.675 ettari di terreno coltivato, censiti in tutto il Brasile nel 1920, per un valore complessivo di 10.568.008 contos di reis, 79.169 appartenevano a proprietarî stranieri per 10.748.987 ettari ed un valore di 1.135.124 contos. Gl'Italiani entravano in quest'ultimo totale per il 45% come numero e per il 40% come valore, contandosi precisamente 35.894 proprietarî italiani (contro 9552 portoghesi, 6887 tedeschi, 4725 spagnoli, 4292 austriaci) con 2.743.178 ettari, per un valore di 466.083 contos di reis.
Sul valore totale, le proprietà italiane rappresentavano il 9% in San Paolo, il 5% in Rio Grande do Sul, il 7% in Santa Catharina, il 5% in Paraná, l'1,5% in Minas e Espirito Santo. Il valore medio generale delle proprietà italiane, raggruppantisi quasi per intero e a parti uguali negli stati del centro, risultava, sempre nel 1920, di Rs. 12.985.000 e l'estenzione media di 80 ettari, media questa corrispondente a quella generale. La piccola proprietà è maggiormente diffusa negli stati di Espirito Santo, Rio de Jane'ro, Paraná, Santa Catharina, Rio Grande do Sul. In Espirito Santo e Rio è molto diffusa la mezzadria e nel Paraná, specialmente in questi ultimi anni per lo sviluppo della coltivazione di caffè, si va introducendo il colonato con elementi tolti a S. Paolo. Il valore totale di 466 mila contos risultante dal censimento del 1920 per le proprietà italiane equivale a un miliardo di lire al cambio del 1930 ed è molto inferiore al valore di quest'ultimo anno. A parte gli acquisti di proprietà nuove, e l'influenza nel calcolo della svalutazione della moneta, bisogna considerare che, nel decennio, le terre sono quadruplicate di valore, sia per il processo di valorizzazione naturale, sia per le migliorie e nuove coltivazioni introdotte. Si aggiunga lo straordinario sviluppo delle piantagioni di caffè in San Paolo e Paraná, dove l'elemento italiano conta i maggiori esponenti della caffeicoltura, usciti dall'esercito degli originari coloni (Lunardelli, Storto, Giorgi, Zucchi, ecc.), nonché l'aumento del valore unitario delle piantagioni per effetto del sistema di "difesa economica" anch'esso dovuto alla genialità d'un Italiano ora estinto: il conte Siciliano.
Nella proprietà immobiliare urbana, la colonia italiana è indubbiamente superata dalla portoghese. Con il grandioso sviluppo edilizio delle città di Rio de Janeiro, San Paolo e Santos, anch'essa, però, ha raggiunto un valore apprezzabile, sebbene difficilmente calcolabile, e ad un Italiano spetta il vanto di possedere ora il grattacielo più imponente e più bello dell'America del Sud, con 26 piani e 120 metri di altezza (Martinelli a S. Paolo).
Nelle industrie e nei commerci gl'Italiani si sono affermati anche maggiormente. Lo sviluppo industriale del Brasile, soprattutto negli stati più progrediti come San Paolo, Minas, Rio e Rio Crande do Sul è indubbiamente dovuto - in primissima linea - agl'Italiani.
Sempre nel 1920, fra gl'industriali stranieri censiti, quelli italiani figuravano col 42% del capitale, il 40,7% del valore della produzione, il 38% della forza motrice, e il 40,2% della mano d'opera.
Più esattamente, la posizione, a quella data, dell'elemento italiano risultava la seguente:
La prevalenza anche qui, spetta allo stato di S. Paolo, con 1446 ditte, 35.273 contos di capitale, 8487 operai e una produzione del valore di 72.078 contos. Il solo stato di San Paolo accentrava dunque, nel 1920, il 66% del capitale italiano.
Significativo il confronto con le altre colonie industrialmente più importanti:
I dati di cui sopra sono però anch'essi, come quelli dell'agricoltura, e anzi più, ben lungi dal dare un'idea della realtà di oggi. In primo luogo, pure per il 1920, non comprendono tutte le attività a base associativa italo-brasiliana, presumibilmente attribuite invece ai Brasiliani. Inoltre, lo sviluppo industriale del Brasile durante il decennio 1920-30 e soprattutto nei primi cinque anni, è stato, all'ombra della protezione doganale, veramente enorme: vennero di moltissimo ampliate le installazioni esistenti e ne sorsero numerose nuove, in ogni campo, con capitali assai rilevanti. Per rappresentare la situazione al 1930, i dati del 1920 dovrebbero essere moltiplicati per dieci. Basti considerare che, soltanto in San Paolo, nell'industria cotoniera, gl'Italiani - fra cui primeggiano i Matarazzo, i Crespi, i Gamba - hanno ora investito oltre 40 mila contos di capitale, occupando 12.000 operai. Solo questa industria raggiunge da sé, i totali del 1920. Ma, nello stesso ramo tessile, in San Paolo esistono ancora lanifici con 8000 contos di capitale e 2000 operai; maglifici con 5000 contos e 1000 operai, ecc.; setifici - pioniere dell'industria serica il Poletti - con 25.000 contos e 2500 operai. Il capitale italiano in S. Paolo occupa inoltre posti preminenti nell'industria metallurgica e meccanica, in quelle della conceria, del legno, dei materiali da costruzione, dell'abbigliamento (soltanto in questa si contano 140 fabbriche, fra cui 27 cappellifici e 126 calzaturifici), dell'alimentazione (con 117 stabilimenti tra cui tre grandi molini), dei tabacchi (con 10 delle più importanti fabbriche), dei trasporti, dei prodotti chimici, ecc. Non vi è, si può dire, campo d' attività in cui al capitale e all'iniziativa italiana non sia assegnato un posto di rilievo. La colonia di San Paolo conta, del resto, nel suo seno le imprese più grandiose dell'America Latina, e tra esse una il cui bilancio supera il mezzo miliardo di lire (Matarazzo).
Negli altri stati, pur di gran lunga inferiore, il contributo italiano all'industria è sempre tuttavia importante. In Minas Geraes esso prevale nell'industria metallurgica, meccanica, tessile, dei materiali da costruzione, ceramica, calzature, generi alimentari. Nel Distretto Federale e stato di Rio, nell'industria tessile, zuccheriera, meccanica, alimentare, ecc., negli stati del nord, nelle tessili (Pernambuco vanta un assai grande canapificio) meccaniche, alimentari, calzature, semi oleosi, legnami; in Paraná e Santa Catharina, nelle industrie varie, fra cui un grandioso frigorifero di carne suina a Jaguariahiva; nel Rio Grande do Sul, nelle concerie, molitura, brillatura del riso, enologia, tessili, industria meccanica e dei legnami, materiali da costruzione, ecc.
Capitali meno importanti, ma tuttavia sempre rilevanti, sono investiti nel commercio, all'ingrosso e al minuto, nelle capitali e nell'interno anche degli stati più lontani, così come nei traffici d'importazione e di esportazione.
Nel campo bancario sono da notare cinque banche italiane, con un complesso di depositi di circa 100 mila contos di reis, appartenenti in prevalenza alla colonia italiana.
Questo quadro non comprende tuttavia ancora le attività nuove, frutto dell'espansione all'estero di capitali e società italiane aventi sede nel regno.
Questo processo d'espansione è incominciato in Brasile molto tardi. La visione che l'Italia si era fatta del Brasile in oltre un venticinquennio di sospensione dell'emigrazione e attraverso le descrizioni giornalistiche che, per difendere un provvedimento giustissimo e per sé stesso insindacabile come quello adottato nel 1902, mettevano sistematicamente in evidenza soltanto i lati negativi dell'ambiente brasiliano lasciando nell'ombra quelli positivi, aveva finito col distrarre ed allontanare l'opinione pubblica italiana dal Brasile e dalle opportunità ch'esso presentava anche all'infuori dell'emigrazione. Di ciò ha risentito lo stesso commercio. Le nostre importazioni nella Confederazione brasiliana, dove vive una popolazione di 40 milioni d'abitanti di cui almeno due milioni d'origine italiana, sono considerevolmente inferiori alle esportazioni italiane in Argentina, paese a popolazione italiana uguale, ma di popolazione complessiva molto inferiore. Altrettanto è avvenuto per le nostre imprese e i nostri capitali. Essi hanno finito col trascurare il Brasile oltre i limiti del loro stesso interesse.
Ancora adesso, non esiste in Brasile una sola grande impresa idroelettrica italiana, non una impresa di aviazione o di costruzioni stradali e ferroviarie, industrie queste che hanno tutte in Brasile un avvenire garantito dalla stessa immensità del suo territorio.
Ma come da una parte si incominciano, frutto d'una crescente integrazione dell'organizzazione commerciale (molte case italiane - pure importanti - non avevano in Brasile rappresentanze adeguate) a vedere i segni d'una progressiva rettifica della bilancia commerciale, così si vedono quelli di un'iniziale, ma pur salutare e incoraggiante espansione economica italiana in Brasile.
Degne di nota le diramazioni e gl'impianti della Italcable (1925), delle Assicurazioni Generali di Venezia (1926), della Riunione Adriatica di Sicurtà (1929), della Sara filiazione brasiliana della Società Nistri per i rilievi aereofotogrammetrici (1929), della Fiat Brasileira (1928) che ora si arricchisce di un'officina di montaggio, della Sabrati filiazione paulista della R. Manifattura dei tabacchi. All'inizio del 1930, istituiva una sua rappresentanza brasiliana anche la Società Imprese italiane all'estero.
L'Italia avrà pure prossimamente in Brasile, attraverso la Pirelli, già impiantata nel 1929 come rilevataria della fabbrica di cavi Conac, la più importante, se non unica, fabbrica di prodotti di gomma dell'America del Sud. Accordi testé conclusi con la Mecanica Importadora (conte Siciliano) di San Paolo permetteranno d'impiantarsi quanto prima anche alla Montecatini e alla Breda. Anche l'Ansaldo sta studiando la possibilità di sviluppare localmente l'industria delle costruzioni marittime.
Tutto ciò, specialmente se appoggiato a una buona banca d'affari, che tuttora manca, intesa a favorire il finanziamento di forniture ed appalti italiani, aprirà alla nostra espansione orizzonti nuovi, favorendo forme di attività, assai più delle antiche, utili alla madre patria.
Sarebbe ben difficile seguire particolarmente le fortune, i successi o le benemerenze di ognuno dei numerosi Italiani trasferitisi in Brasile. Fu la grande massa degl'Italiani a dare al Brasile strade rotabili, porti, ferrovie, palazzi e città, e questo immenso lavoro ha avuto naturalmente le sue vittime e i suoi martiri. Riconoscono gli stessi Brasiliani questo contributo ed esso cementa le relazioni ormai secolari divenute sempre più cordiali.
Dalla massa emigrante si stagliano tuttavia i nomi di alcuni che non solo seppero conquistarsi meritata fortuna ma che han dato un contributo di opere al progresso e all'economia del paese. Il medico Vincenzo De Simoni, che visse per oltre cinquanta anni e morì in Rio de Janeiro (luglio 1881), fu uno dei fondatori ed il primo segretario dell'Accademia di medicina, collaborando assiduamente alla rivista che ne fu l'organo ufficiale. Tra i molti benemeriti ricordiamo il barone di Itaoca, console del Brasile in Genova dopo lunga permanenza in Rio; il Ferrari, autore di molti libri ed opuscoli scientifici e letterarî; l'architetto Lucca che costruì il tempio di S. Fedele in Rio; l'illustre botanico Giuseppe Radde e Andrea Comparetti e Giovanni Casaretto anch'essi botanici; il Poggia, medico di fama non comune; Bartolomeo Bossi, viaggiatore che si recò al Matto Grosso in cerca dei tesori dei Martiri e nel 1863 pubblicò il suo Viaggio pittoresco; il Mazziotti, professore di pianoforte di Don Pedro II; il Giannini, primo direttore dell'Opera nazionale; il Fiorita, maestro della Cappella imperiale e compositore fecondo; il Briani professore di canto ed autore d'una storia della pittura; l'Orlandini maestro di scherma; mons. Giuseppe Maserata, nominato vescovo del Matto Grosso, ma non confermato perché straniero; Antonio Bordo, autore di un dizionario italiano-portoghese; Battista Pozzo, valorosissimo pilota della nave Belmonte nella battaglia di Riachuelo; Giovanni Antonio Gallucci, ingegnere cui si devono molti e importanti lavori nel Piauhy.
Il più bel monumento del Brasile, quello dell'"Indipendenza" in San Paolo, è dovuto a un Italiano, lo Ximenes. Così italiano è il Brizzolara, autore del monumento paulista a Carlos Gomes e italiano lo Zani, cui si deve il monumento a Verdi. Sempre a San Paolo, le opere d'architettura dovute a Italiani si contano a centinaia.
Minore è stato il contributo artistico italiano in Rio de Janeiro, ove pure si contano belle opere d'architettura italiana: nuovo campanile della cattedrale, Club di ingegneria (Rebecchi), palazzo del governo federale, palazzo arcivescovile, Banca del commercio (Jannuzzi).
Italiano è l'autore (Guaita) dei migliori edifici di Curityba, capitale del Paraná, come italiano (Nicoli) è l'autore del più bel monumento - quello del "Due Luglio" - di Bahia, capitale dello stato omonimo. Considerevole contributo, specialmente nel campo architettonico, hanno pur dato gl'Italiani negli altri stati, dal Rio Grande do Sul, ai confini dell'Uruguay, fino, al nord, nel bacino delle Amazzoni e al Pará, ove di progetto e costruzione italiana è la cattedrale di Belém.
L'influenza culturale italiana nel B. si rafforzò ancor più col sorgere e prosperare d'una stampa italiana. Il primo giornale nella nostra lingua, La croce del sud, fu pubblicato nel 1765 nel convento dei cappuccini in Rio per opera dei frati Giovan Francesco da Gubbio e Anselmo da Castelvetrano. Ebbe vita breve; e solo settant'anni dopo il Dallecase con Luigi Rossetti, Francesco Anzani e Lucca Carioni pubblicò quella Giovane Italia che ru organo dei profughi italiani raccoltisi intorno a Garibaldi. Morto anche questo foglietto, il terzo foglio italiano nel Brasile, fondato nel 1854 dal professor Galleano Ravara, è l'Iride italiana, che cessava le pubblicazioni con l'immatura morte del fondatore.
Solo dopo il 1880 il giornalismo italiano nella capitale federale viene moltiplicandosi ed ecco difatti il primo quotidiano: L'Italia diretto dall'ingegnere Giovanni Fogliati, seguito subito da molti altri, settimanali e quotidiani. Nel 1907 in S. Paolo vi erano 5 quotidiani: Il Fanfulla, La tribuna italiana, Il secolo, L'avanti e il Corriere d'Italia, ma ora di tutti questi giornali i più sono morti. Il Fanfulla, fondato da Vitaliano Rotellini (profugo dall'Italia per ragioni politiche, ma fervido amante della patria e difensore dei diritti dei lavoratori) e portato a sempre maggiori fortune da Angelo Poci che gli è succeduto, con la sua diffusione ha assunto un'importanza predominante non soltanto come organo di difesa della nostra colonia ma come elemento determinante per la conservazione della lingua e del sentimento patrio fra gl'Italiani del Brasile, che tiene informati di quanto avviene in patria. Accanto ad esso è da ricordare il Piccolo che anch'esso contribuisce alla difesa dell'italianità nel paese ospite.
La colonia italiana in Brasile è per noi una delle più interessanti anche sotto un altro aspetto. Il Brasile è, infatti, l'unico paese del mondo nei cui confronti - sebbene con intendimenti diversi ma portanti agli stessi effetti - si trovino in vigore, da oltre 28 anni, quei criterî conservativi di politica emigratoria poi attuati e generalizzati dal governo fascista. Di questa nuova politica è quindi possibile apprezzare in Brasile i risultati dal punto di vista della conservazione dell'italianità.
Molti pensano che, col cessare dell'emigrazione e quindi dell'immissione di sangue nuovo, il vecchio tronco dell'italianità sia irrimediabilmente e completamente destinato a inaridirsi e a morire. L'esempio del Brasile mostra di no. Certo il processo di assimilazione è anche in Brasile costante, per quanto meno rapido e comunque meno violento e integrale che in altri paesi dell'America latina. Maraviglia, tuttavia, il vedere come in aggruppamenti sperduti nell'interno, e spesso nelle regioni più lontane, il sentimento dell'italianità, pur reso fioco dal tempo, perduri e si perpetui.
I nomi di parecchi Italiani cospicui nelle attività economiche sono stati ricordati accennando a queste ultime; altri si potrebbero rammentare. È anche da tener presente che - assorbiti dal travaglio di ricostruzione economica - gl'Italiani del Brasile si sono tenuti generalmente lontani dalla politica. Soltanto ora incominciano ad apparire nei parlamenti statali dei discendenti d'Italiani e uno di essi, il dottor Pentagna, è stato nel 1930 eletto alla vicepresidenzs dello stato di Rio de Janeiro.
Molte sono le istituzioni italiane nel Brasile: per quanto riguarda l'emigrazione esistono in S. Paolo e Santos i patronati che si occupano del collocamento e dell'assistenza dei lavoratori: nei maggiori centri gl'Italiani si raggrupparono intorno alla Società di beneficenza che è come la casa degl'Italiani, dove si celebrano anche le ricorrenze storiche della patria. Delle 250 associazioni, 145 hanno scopi di beneficenza, mutuo soccorso e assistenza; 19 scopi educativi e di propaganda della cultura italiana; 21 sono ricreative; 3 sportive; altre hanno carattere vario. Quanto alle scuole ve ne sono 310 mantenute da privati, frequentate complessivamente da 16.923 alunni; 302 sono elementari e 8 secondarie. Vi sono 7 collegi italiani ed 1 orfanotrofio; in S. Paolo esiste l'unico, ma magnifico, ospedale italiano. La Dante Alighieri ha parecchie sedi ed esercita attiva propaganda. I combattenti e i mutilati sono raggruppati in varie sezioni, i fasci italiani all'estero, anch'essi numerosi, sono divisi in due circoscrizioni.
S. Paolo possiede anche, unico in tutta l'America, un Istituto medio, e un Istituto di alta cultura.
Certo, l'organizzazione scolastica in Brasile presenta deficienze gravi (anche per effetto della scarsezza di ordini religiosi e di preti italiani - in tutta Rio de Janeiro non esiste né una parrocchia né una chiesa italiana) e merita quindi di essere assoggettata a revisione e adattata alla situazione nuova, dato che a frequentare le nostre scuole colà rimangono ora non più figli, ma nipoti e pronipoti di Italiani. Ma anche questo problema, affrontato con realismo è capace di soluzione.
Bibl.: P. Antonelli, Lo stato di Rio Grande do Sul e l'emigrazione italiana, in Bollettino del Ministero degli affari esteri, Roma 1899; C. Arena, Italiani nel Mondo, Milano 1927; D. Bartolotti, Per la emigrazione e colonizzazione al Brasile, Roma 1926; id., In Brasile, Genova 1926; Bellucci-Pieraccini-Guzzini, Emigrazione agricola al Brasile. Relazione della Commissione Italiana 1912, Bologna 1912; G. Bonacci, l'Italia vittoriosa e la sua espansione nel Mondo. I, Nel Brasile, Roma 1920; E. Bonardelli, Lo stato di S. Paolo e l'emigrazione italiana, Torino 1916; Carvalho Bulhões, Progrès de l'immigration italienne au Brésil, Bureau Général de Statistique, Rio de Janeiro 1925; Commissariato dell'Emigrazione, Annuario statistico dell'Emigrazione Italiana dal 1876 al 1925, Roma 1927; L'Emigrazione italiana dal 1910 al 1923, voll. 2, Roma 1926; Censimento degli italiani all'estero, Roma 1928; Corrias, L'Italia e le sue collettività all'estero, Genova 1923; L. Einaudi, I fondatori della Grande Italia transatlantica, Torino 1901; A. Franceschini, L'Emigrazione italiana nell'America del Sud, Roma 1908; V. Grossi, Storia della colonizzazione europea al Brasile e della emigrazione italiana nello stato di S. Paolo, 2ª ed., Roma 1914; R. Pesciolini-Venerosi, Le colonie italiane nel Brasile meridionale, Torino 1914; G. Prato, La tendenza associativa fra gli Italiani all'estero, Torino 1906; V. Rotellini, Il Brasile e gli Italiani, Firenze 1906; C. Zoli, America del Sud, Roma 1928; B. Zuculin, Il numero degli Italiani nel Brasile, in Atti X Congr. Geogr. Ital., Milano 1927.
Ordinamento dello stato.
Ordinamento costituzionale, amministrativo e giudiziario. - La nazione brasiliana ha adottato la forma di governo della repubblica federale a regime rappresentativo, costituendosi, con l'unione perpetua e indissolubile delle sue antiche provincie, in Stati Uniti del Brasile (Republica dos Estados unidos do Brazil; costituzione del 24 febbraio 1891, riveduta il 4 settembre 1926). Questo sistema di governo ha dato a ciascuna delle antiche provincie il carattere di stato, con l'autonomia necessaria per organizzare e mantenere il suo governo e la sua amministrazione, e ha garantito ai municipî, nell'ambito di ogni stato, un'autonomia completa. L'antico Municipio neutro è stato eretto in Distretto Federale, sede del governo dell'Unione fino al giorno in cui sarà fondata, sull'altipiano centrale del territorio, la nuova capitale della repubblica. Il Distretto federale formerà allora un nuovo stato autonomo. Oltre al Distretto federale, la carta costituzionale ha dunque creato tre organismi distinti: l'Unione o Governo federale, gli stati in numero di 21 e i municipî nell'ambito dei singoli stati. In virtù di questo legame di subordinazione costituzionale, l'Unione ha di diritto la supremazia, nel senso che è di sua competenza esclusiva la direzione di tutti gli affari e interessi d'ordine nazionale.
L'Unione si regge secondo la costituzione federale e le leggi organiche concernenti i suoi fini nazionali; gli stati si reggono secondo costituzioni proprie e leggi proprie, che non devono essere in contrasto con i principî costituzionali dell'Unione e devono garantire l'autonomia dei municipî in tutto ciò che riguarda i loro interessi particolari; i municipî - infine - sono retti dalle leggi organiche degli stati e dalle leggi complementari da questi emanate.
È principio fondamentale della costituzione che la sovranità risiede nel popolo ed ha come organi essenziali i tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario, in armonia fra loro, ma indipendenti l'uno dall'altro. Il primo è esercitato dal Congresso nazionale ripartito in Camera dei deputati e Senato, il secondo dal presidente della Repubblica (eletto, come i membri della Camera e del Senato, dal suffragio diretto della nazione), il terzo da atti dell'esecutivo, o con l'intervento del Senato, quando si tratti di nomine alla Corte suprema federale.
Il presidente della Repubblica, oltre a esercitare il potere esecutivo, rappresenta l'Unione nei suoi rapporti con l'estero, non ha il diritto di sciogliere il Congresso nazionale, ma ha diritto di veto contro le leggi votate da questo: peraltro queste leggi possono essere riportate in discussione e, se riapprovate con la maggioranza di due terzi, il veto contro di esse resta annullato. Il presidente elegge e congeda altresi i ministri responsabili verso di lui e non ammessi alle sedute della Camera.
Date le limitazioni naturali di competenza, indipendenza e armonia dei tre poteri politici, le attribuzioni dell'Unione federale comprendono tutti gli affari, tutti gl'interessi e i bisogni di carattere nazionale e federale, cioè:
1. rapporti internazionali di qualsiasi natura; la guerra non può essere dichiarata, se non previo tentativo di arbitrato; la nazione si interdice formalmente qualsiasi guerra di conquista;
2. la compilazione dei bilanci annuali; il rendiconto delle entrate e delle spese di ogni esercizio finanziario;
3. il diritto di contrarre prestiti e di procedere comunque a operazioni di credito necessarie all'amministrazione della repubblica;
4. la legiferazione e i provvedimenti in materia civile, commerciale e penale, finanziaria, doganale e militare;
5. la creazione di istituti di insegnamento superiore e secondario;
6. la difesa della costituzione e delle leggi.
Il potere giudiziario dell'Unione ha per organi un Supremo tribunale federale, con sede nella capitale della Repubblica e tanti tribunali federali, distribuiti per tutto il paese, quanti ne crea il congresso. Al Supremo tribunale federale competono tutte le questioni di un'ordinaria corte suprema di giustizia penale e amministrativa. È composto di 15 membri eletti dal presidente della Repubblica, con l'approvazione del Senato.
I giudici federali sono vitalizî e non possono perdere la carica, se non per sentenza di magistrato. Competono ai tribunali federali (in numero di 11): le cause in cui qualcuna delle parti fonda la sua azione su una disposizione della costituzione federale; le cause proposte contro il governo dell'Unione o il tesoro nazionale, fondate su disposizioni della costituzione, leggi e regolamenti del potere esecutivo o su contratti col governo; le liti fra uno stato dell'Unione e cittadini di altro stato o fra cittadini di stati diversi; le liti fra stati stranieri e cittadini brasiliani; le azioni intentate da stranieri e fondate o su contratti col governo dell'Unione o su convenzioni e trattati dell'Unione con altre nazioni; le questioni di diritto marittimo e navigazione marittima, fluviale e lacuale; le questioni di diritto criminale o civile internazionale; i delitti politici.
Gli stati dell'Unione provvedono coi loro mezzi ai bisogni del loro governo e della loro amministrazione, e si reggono, come si è detto, ciascuno secondo la propria costituzione e le proprie leggi. Essi hanno la proprietà delle miniere e dei terreni demaniali situati nei loro territorî rispettivi, salvo soltanto i terreni di cui l'Unione può aver bisogno per la difesa delle frontiere, le fortificazioni e costruzioni militari e le ferrovie federali. Hanno facoltà di stipulare fra loro convenzioni e accordi senza carattere politico. L'Unione può intervenire in uno stato soltanto per proteggere il territorio o le istituzioni politiche di esso; per ristabilirvi l'ordine pubblico; per imporre l'esecuzione delle leggi e sentenze federali. Il potere pubblico, negli stati, è diviso in legislativo, esecutivo e giudiziario. In alcuni stati, il legislativo è suddiviso fra la camera dei deputati e il Senato. I capi del potere esecutivo hanno il titolo di presidente o governatore e sono eletti per periodi, che vanno da tre a cinque anni; in generale, non possono essere rieletti per il periodo immediatamente successivo a quello in cui hanno esercitato le loro funzioni. Spetta alle autorità giudiziarie degli stati istruire e giudicare tutte le azioni e processi non devoluti ai tribunali federali. Ma in certi casi, la decisione finale spetta alla Corte suprema federale. Quando l'habeas corpus è negato dalle autorità giudiziarie locali, è sempre ammesso il ricorso alla Corte suprema.
Organizzazione ecclesiastica. - Solo nel 1555 venne creato in Brasile il primo vescovado, con sede a San Salvatore di Bahia e giurisdizione su tutto il territorio della colonia. Il governo del Portogallo si dimostrò molto più lento nel provvedere all'ordinamento ecclesiastico del Brasile che non quello spagnolo per il resto dell'America, dove, prima della data menzionata, erano già state erette delle diocesi a San Domingo, a Cuba, nel Messico, in Bolivia, nell'Ecuador, nel Perù. Tale relativa trascuratezza rifletteva, come altri fatti simili, il poco interesse che, nei primi tempi, la scoperta del Brasile destò fra i Portoghesi, sedotti dalle ricchezze dell'India e dell'Africa. Nel secolo seguente, però, già cambiate al riguardo le disposizioni della corte di Lisbona, il vescovado di Bahia veniva innalzato alla dignità di arcivescovado metropolitano, mentre erano create le diocesi suffraganee di Rio de Janeiro, Olinda, San Luigi di Maranhão e, tra il 1719 e il 1745, quelle di Belém del Pará, San Paolo, Marianna e due prelature a Cuyabá e a Goyaz.
Negli ottantun'anni (1808-1889), che durò il regime monarchico diretto (regno unito, impero), solo tre nuove diocesi furono erette: San Pietro di Rio Grande del Sud, Diamantina, Fortaleza, ed elevate al rango di vescovadi le prelature di Cuyabá e di Goyaz. Era evidente l'insufficienza d'un così scarso numero di centri ecclesiastici per i bisogni religiosi d'un paese così vasto, e d'una popolazione in continua crescenza. Ma il regime del patronato intralciava, con le lungaggini della sua burocrazia e talvolta con l'opposizione d'uno spirito anticlericale, lo sviluppo naturale della gerarchia ecclesiastica.
Proclamata la repubblica nel 1889, uno dei primi atti del governo provvisorio fu la separazione della Chiesa dallo Stato (7 gennaio 1890). Ma tale atto non fu dettato da alcun sentimento di ostilità verso il cattolicesimo, religione della quasi totalità della nazione. Si volle, anzi, d'accordo con lo spirito liberale che sin dall'epoca dell'indipendenza si era espresso nel reggimento politico del Brasile, emancipare la chiesa dalla sua servitù dorata, e renderla secondo il principio cavourriano "libera in libero stato". La costituzione repubblicana (24 febbraio 1891), per la cui redazione definitiva aveva servito di guida il progetto elaborato da Ruy Barbosa, il quale, per la parte concernente la vita religiosa, era stato coadiuvato dal grande vescovo Antonio de Macedo Costa, sistemò e consolidò tale situazione.
La Santa Sede, naturalmente, in omaggio alle norme della disciplina cattolica, protestò contro il principio della separazione; ma Leone XIII e il cardinale Rampolla ben presto compresero quali e quanti vantaggi essa, in fondo, procacciava alla chiesa, giacché non solo le nuove leggi le assicuravano una vera e completa libertà d'azione, ma si rivelavano sempre più benevole e amichevoli le disposizioni dei governanti. I rapporti diplomatici tra il Vaticano e il Brasile non furono menomamente turbati un solo momento; s'intensificarono al contrario sempre più, specialmente dopo la visita del presidente Campos Salles a Leone XIII (1898): ai rappresentanti pontifici nel Brasile fu restituito il grado di nunzî (1900), mentre dal 1853, erano sempre stati semplici internunzî; per la prima volta la porpora romana fu conferita a un prelato dell'America latina, nella persona del cardinale Arcoverde, arcivescovo di Rio de Janeiro (1905); e nel 1918, quando il governo della Repubblica e il congresso nazionale decisero di elevare alla categoria di ambasciate alcune delle legazioni brasiliane, la prima alla quale toccò quest'onore fu quella stabilita sin dal 1826 presso la Santa Sede. Nessun contrasto è mai sorto fra questa e la Repubblica brasiliana, mentre sotto l'impero si erano avuti due gravi e lunghi conflitti, il primo riguardante la provvista della diocesi di Rio de Janeiro (1833-1840); il secondo, noto col nome di "questione dei vescovi", che durò dal 1871 al 1875, turbando e contristando la coscienza religiosa del popolo brasiliano.
Per ben vagliare i progressi realizzati dal cattolicesimo nel Brasile sotto la repubblica, basta confrontare la gerarchia ecclesiastica esistente alla fine della monarchia (1889) con quella dei nostri giorni. Mentre negli ottantun'anni di regime monarchico furono erette, come abbiamo detto, 3 sole nuove diocesi, nei quarant'anni appena trascorsi dalla sua caduta, altre 54 ne sono state fondate. Mentre nel 1889 il Brasile costituiva una sola provincia ecclesiastica (1 archidiocesi e 10 diocesi), attualmente ne conta 16, cioè altrettante archidiocesi, con 49 diocesi suffraganee, 1 abbazia e 12 prelature nullius e 2 prefetture apostoliche.
Metropolitana: San Salvatore da Bahia (l'arcivescovo ha il titolo di primate del Brasile). Suffr. Barra do Rio Grande, Caetité, Ilhéos.
Metropolitana: Belém do Pará. Suffr.: Amazzoni. Prel. null.: Labrea, Porto Vecchio, Rio Negro, San Pellegrino Laziosi negli Alti Acre e Purús, Santarem, SS. Concezione di Araguaya.
Metropolitana: Bello Horizonte. Suffr.: Aterrado, Guaxupé, Uberaba.
Metropolitana: Curityba. Suffr.: Jacarézinho, Ponta Grossa. Prel. null.: Foz de Iguassú.
Metropolitana: Cuyabá. Suffr.: Corumbá, San Luigi de Caceres. Prel. null.: Registro do Araguaya.
Metropolitana: Diamantina. Suffr.: Arassuahy, Montes Claros.
Metropolitana: Florianopolis. Suffr.: Joinville, Lages.
Metropolitana: Fortaleza. Suffr.: Crato, Sobral.
Metropolitana: Maceió. Suffr.: Aracajú, Penedo.
Metropolitana: Marianna. Suffr.: Campanha, Caratinga, Goyaz, Juiz de Fora, Porto Nazionale, Pouso Alegre. Prel. null.: Bananal, San Giuseppe dell'Alto Tocantins.
Metropolitana: Olinda e Recife. Suffr.: Garanhuns, Nazareth, Pesqueira, Petrolina.
Metropolitana: Parahyba. Sufr.: Cajazeiras, Natal.
Metropolitana: Portalegre nel Brasile. Suffr.: Pelotas, Santa Maria, Uruguayana.
Metropolitana: San Luigi de Maranhão. Suffr.: Piauhy. Prel. null.: Bom Jesus do Piauhy, San Giuseppe di Graiahú.
Metropolitana: San Paolo. Suffr.: Assis, Botucatú, Bragança, Campinas, Cafelandia, Ribeirão Preto, San Carlo del Pinhal, Santos, Sorocaba, Taubaté.
Metropolitana: San Sebastiano di Rio de Janeiro. Suffr.: Barra do Pirahy, Campos, Nictheroy, Espirito Santo, Valencia del Brasile.
Immediata soggezione: Abb. null.: Santa Maria di Monserrato in Rio de Janeiro con aggregata la Prel. di Rio Branco nello stato di Amazonas.
Pref. Ap.: Alto Solimões, Teffé.
Forze armate. - Esercito. - L'organizzazione militare del Brasile è sul tipo di quella degli eserciti permanenti europei. Il comando supremo delle forze di terra e di mare spetta al presidente della Repubblica che però, in tempo di pace, l'esercita per mezzo del ministro della guerra. Da questi dipende anche lo Stato maggiore dell'esercito con un capo e due sottocapi. L'esercito brasiliano è organizzato in due grandi branche: 1. l'esercito di prima linea, che comprende: l'esercito attivo o permanente, la riserva di prima linea, le forze ausiliarie; 2. l'esercito di seconda linea e la sua riserva.
L'esercito di prima linea è destinato a formare le unità mobilitate e a difendere il territorio nazionale, è la scuola di preparazione militare dei giovani reclutati, per sorteggio, sul contingente annuo o arruolatisi volontariamente. Le forze ausiliarie comprendono i contingenti di gendarmeria. L'esercito di seconda linea ha compiti sussidiarî. L'esercito attivo o permanente è così distribuito: 5 divisioni di fanteria, 3 di cavalleria; 1 brigata mista; 1 distretto di artiglieria da costa.
In complesso l'esercito brasiliano comprende le seguenti unità delle varie armi. Fanteria: 13 reggimenti su 3 battaglioni ed 1 compagnia mitragliatrici, 29 battaglioni di cacciatori, 3 di fanteria montata, 2 compagnie di guardia degli stabilimenti. I battaglioni hanno tre compagnie: una quarta compagnia viene costituita solo in caso di guerra. Cavalleria: 15 reggimenti indipendenti, 5 reggimenti divisionali; tutti su 4 squadroni. Artiglieria da campagna: 10 reggimenti di artiglieria montata su 3 gruppi di 3 batterie; 5 reggimenti di artiglieria pesante divisionale su 3 gruppi; 3 reggimenti di artiglieria pesante d'armata su 4 gruppi; 1 reggimento di artiglieria mista; 5 gruppi di artiglieria da montagna su 2 batterie, 6 gruppi di artiglieria a cavallo su 2 batterie. Artiglieria da costa: 2 gruppi su 3 batterie; 3 gruppi su 2 batterie; 8 batterie indipendenti. Genio: 6 battaglioni su 3 compagnie (tranne 1 che ne ha 4); 1 battaglione ferrovieri; 1 compagnia ferrovieri; 1 compagnia d'aviazione; 3 squadroni di collegamento. Truppe speciali: 12 squadriglie d'aviazione (v. appresso); 1 compagnia di carri d'assalto. Fino al 1926, però, alcune delle unità sopra elencate non erano ancora interamente costituite o esistevano solo allo stato di quadri.
Scuole militari: 4 collegi militari; scuola militare di Rio de Janeiro, per ufficiali di tutte le armi; scuola allievi sergenti di fanteria; scuola di perfezionamento per ufficiali; scuola d'aviazione militare; scuola superiore d'intendenza e d'amministrazione; scuola veterinaria; scuola d'applicazione del servizio sanitario; scuola di stato maggiore.
Stabilimenti militari principali: arsenali di guerra di Rio de Janeiro e Porto Alegre; fabbrica di cartucce e di artifizî di guerra di Rio de Janeiro; fabbrica di polvere nera di Estrella (stato di Rio de Janeiro); fabbrica di polveri chimiche e di esplosivi di Piquete (stato di San Paolo).
Il reclutamento è fondato sul sistema dell'obbligo generale dei cittadini. Tuttavia, per cause varie, solo una parte del contingente viene incorporato, mediante sorteggio fra gl'iscritti.
Gli obblighi militari dei cittadini vanno dal 21° al 44° anno di età e sono così ripartiti: esercito attivo (1 anno di ferma), 21° anno di età; riserva di 1ª linea, dal 22° al 30° di età; esercito di 2a linea, dal 30° al 37° di età; riserva di 2ª linea, dal 37° al 44° di età. Il territorio nazionale è diviso in 8 "regioni" (Rio de Janeiro, San Paolo, San Salvador, Recife, Belém, Juiz de Flora, Porto Alegre, Curityba), e una "circoscrizione militare" (Campo Grande), comprendenti ciascuna una o più stati della Repubblica. Tutte le truppe federali in esse dislocate dipendono dal comandante della divisione o del distaccamento che l'occupa. Agli effetti dell'incorporazione degl'iscritti alla leva sorteggiati e dei volontarî le varie regioni sono raggruppate in tre "zone militari".
Il bilancio dell'esercito brasiliano ammontava, nel 1927, a 200.000 milreis oro e 178 milioni di milreis carta, pari a circa 120 miloni di lire oro. Esso assorbe poco più del 10% dell'intero bilancio della repubblica.
Marina. - Marina militare. - La marina militare brasiliana si è formata come marina a sé fin dall'indipendenza del Brasile come regno prima (1815), quindi come impero (1822). Mentre al suo sorgere un gran numero di stranieri militavano in essa, è ora una marina esclusivamente formata di elementi nazionali. Una missione navale inglese si è occupata a tratti della sua organizzazione. La flotta si compone attualmente di: 2 navi da battaglia (São Paulo e Minas Geraes) di 19.210 tonn. e 21 nodi; 1 incrociatore leggiero (Barroso) di 3450 tonn. e 20 nodi; 2 incrociatori leggieri (Bahia e Rio Grande do Sul) di 3100 tonn. e 27 nodi; 1 guardacoste; 10 cacciatorpediniere; 6 torpediniere; 4 sommergibili. Gli effettivi della marina brasiliana sono di circa 1200 ufficiali, 1750 sottufficiali e 7200 sottocapi e comuni. La base navale principale è a Rio de Janeiro; l'Accademia navale è ad Angra dos Reis. Il bilancio del 1928 è stato di 145 milioni di milreis carta.
Marina mercantile. - La navigazione di piccolo cabotaggio e quella fluviale sono riservate alla bandiera brasiliana. Il numero delle navi mercantili brasiliane è di 540 circa, di cui 243 per 275.809 tonnellate destinate alla navigazione fluviale.
Aviazione. - Aviazione militare: a) Esercito. - Dal 1927 l'aeronautica brasiliana è costituita come quinta arma dell'esercito; essa comprende: 1. la direzione dell'aviazione militare; 2. la scuola d'aviazione militare campo; 3. il magazzino centrale d'aviazione, 4. le unità d'aviazione e i servizî annessi corrispondenti. A capo dell'aeronautica è preposto un generale di divisione aerea. Secondo l'ordinamento dell'esercito ad ogni divisione di fanteria, di cavalleria ed alla brigata mista è assegnata una squadriglia da ricognizione; inoltre vi sarebbero tre squadriglie indipendenti miste da caccia e bombardamento; in totale 12 squadriglie. Questi reparti per deficienza di bilancio non sono tutti organicamente costituiti. È prevista la costituzione di reparti d'artiglieria controaerea. Cli apparecchi, circa 180 in totale, sono in maggioranza di tipo francese, come francesi sono gl'istruttori dei piloti.
b) Marina. - L'aviazione per la marina, organizzata da una missione americana, dipende direttamente dal Ministero della marina. A capo di tutto il servizio si trova un direttore generale. Le due basi per i reparti d'impiego, non ancora completate, sarebbero una a S. Catharina e l'altra a Santos. La forza in materiale è di circa 100 apparecchi di tipi diversi: americani, francesi, inglesi e italiani.
Aviazione civile. - Nel Brasile non vi sono linee aeree regolarmente costituite, nonostante qualche tentativo di alcune compagnie, francesi, tedesche, inglesi e di una locale brasiliana.
Basi aeree. - Le principali basi aeree del Brasile sono le seguenti: Affonsos, il principale aeroporto e scuola d'aviazione militari, nei pressi di Rio de Janeiro; Campinas, aeroporto civile e scuola di aviazione civile, nella città omonima; Guapyra, aeroporto civile e militare, a circa 30 km. dal centro di San Paolo; Indianopolis, aeroporto civile, a circa 20 km. dal centro di San Paolo; Isola del Governatore, base aerea navale: all'idroscalo sono annessi gl'impianti della scuola navale aerea Campo di Marte (Santos), aeroporto militare, a circa 8 km. da San Paolo; in questo campo è installata la scuola d'aviazione terrestre; Santos, base aerea navale. Basi aeree minori sono inoltre a: Alegrete (militare), Curityba (civile), Porto Alegre (idroscalo), Santa Maria (civile e militare), Santo Amaro (idroscalo militare).
Nel Brasile non esiste un'industria aeronautica; tutto il materiale aeronautico viene fornito dall'estero.
Finanze. - Le fonti principali d'entrata del bilancio federale sono le tasse indirette (l'income tax, introdotta nel 1924, ha incontrato gravi difficoltà d'applicazione, e nel 1926 dava appena il 5% dell'entrata complessiva), e il solo gettito delle dogane raggiunge circa ⅓ del totale; bisogna notare inoltre che solamente il prodotto dei dazî d'importazione affluisce alle casse del governo federale poiché dal 1899, anno in cui si costituì la repubblica, i dazî d'esportazione furono ceduti ai singoli stati. A partire da questa stessa data una percentuale dei dazî (valutata al 60% nella legge di bilancio 1923) deve esser riscossa in oro e ciò per mettere il governo in condizioni di eseguire agevolmente i suoi pagamenti all'estero.
Le spese del bilancio federale si riferiscono principalmente al Ministero delle finanze, includendosi nelle somme per esso stanziate quelle per il servizio del debito pubblico, e in secondo luogo, al Ministero del traffico e opere pubbliche, cui è affidata la gestione delle ferrovie, a quello della giustizia e affari interni, incaricato anche dell'educazione e dell'igiene pubblica, e a quelli della guerra e dell'agricoltura, industria e commercio.
Inoltre le previsioni per gli esercizî finanziarî 1929 e 1930 dànno rispettivamente 2.220.708 e 2.274.639 contos per l'entrata e 2.017.317 e 2.224.830 per la spesa e può pensarsi così che il pareggio di bilancio sia finalmente e solidamente raggiunto e che l'avanzo realizzato nel 1927, per la prima volta dopo la fondazione della repubblica, non sia destinato a rimanere un fatto isolato.
Ecco anche, complessivamente, i dati sul bilancio dei singoli stati negli anni dal 1923 al 1927:
A queste cifre contribuiscono specialmente tra i 20 stati federali, quello di San Paolo (nel 1927, 421.638 contos di entrata e 324.698 di spesa) e quelli di Rio Grande do Sul, Minas Geraes, Bahia, Pernambuco, Rio de Janeiro.
L'unità monetaria del Brasile è - teoricamente - il real, ma l'unità di conteggio, la moneta in corso, come già si è detto (v. p. 737), è il milreis, diviso in 1000 reis. Le somme importanti sono espresse in contos; un conto ha il valore di un milione di reis, ossia 1000 milreis. Al cambio del maggio 1930 un conto vale sterline 66/13/4, cioè lire 2.200: perciò ogni milreis valeva in tale anno in Italia lire 2,20. La designazione usuale della moneta brasiliana è Rs=reis.
Prima della guerra vigeva in Brasile un complicato sistema cartaceo, costituito da biglietti inconvertibili emessi dal governo e biglietti convertibili emessi contro oro dalla Cassa di conversione (Caixa de conversão), creata nel 1906 per risanare la circolazione viziata dalle inflazioni del periodo rivoluzionario e immediatamente successivo; il milreis (il cui valore di parità sarebbe di 27 pence) si era ormai stabilizzato tra i 16 e 18 pence. Per le difficoltà belliche che indussero il governo brasiliano a emettere grandi quantità di biglietti, il milreis scese però fino a
pence nel 1923 e risalì poi lentamente a
nel 1926. A questo livello lo stabilizzò praticamente la legge del 18 dicembre 1926 che, ad evitare gli svantaggi d'una moneta fluttuante, decise di introdurre una nuova unità monetaria, il cruzeiro, contenente due grammi d'oro a 900/1000 di fino, e di convertire in oro tutta la carta moneta in circolazione a quella data (2.569.304 contos) sulla base di 200 milligrammi per milreis; conversione che sarà resa possibile dagli avanzi di bilancio, dal prodotto dei prestiti contratti a tale scopo, dalle somme già destinate a termine di legge al rimborso, alla garanzia e alla conversione della carta moneta, e da altre somme diverse che la stessa legge di stabilizzazione permette di riscuotere. Si costituì inoltre una Cassa di stabilizzazione (Caixa de estabilização) annessa alla Banca del Brasile (cui il governo ha nel 1923 concesso per 50 anni l'esclusività dell'emissione) con lo scopo di accumulare le riserve d'oro necessarie ad attuare la conversione e di controllare la massa monetaria in circolazione, provvedendo al cambio dei biglietti in oro e viceversa, fino a che non venga fissata dal potere esecutivo la data e la forma della conversione. Alla fine di settembre 1928 il volume d'oro appartenente alla cassa era già di 791.059 contos, incluso in esso anche il prodotto di varî prestiti contratti all'estero (v. anche: Monete, p. 737).
Il valore del milreis d'oro fu fissato in seguito dal governo (6 agosto 1928) a 4567 reis carta per la riscossione delle imposte, tasse, dazî e per ogni riscossione o pagamento in oro da riceversi o farsi dall'amministrazione federale; si presero anche varie misure per la coniazione e l'entrata in circolazione del cruzeiro e di altre monete sussidiarie.
Ai primi di aprile 1929 il totale dei biglietti in circolazione, sia di stato, sia di banca, sia emessi dalla cassa di stabilizzazione, era di 3.394.712 contos, e alla stessa data le riserve d'oro ammontavano a più di 30.000.000 di sterline (10 presso la banca del Brasile e il resto, in monete di varî paesi e in lingotti, presso la cassa di stabilizzazione) in modo che esisteva a quella data una copertura d'oro del 36,759% della moneta in circolazione.
Il debito pubblico estero del governo federale alla fine del 1928 era costituito da sterline 106.968.592, franchi 333.577.086 e dollari 152.800.427; quello interno consolidato alla stessa data ammontava a 2.392.746 contos; il debito fluttuante invece, che era di 390.653 contos alla fine del 1927, fu quasi completamente liquidato durante il 1928. Anche i singoli stati, oltre l'Unione, hanno un loro debito pubblico estero e interno; per una legge del 1922 essi non possono però contrarre prestiti senza l'autorizzazione del governo federale. Il debito pubblico estero degli stati era complessivamente alla fine del 1928 di 79.061.640 sterline, a carico principalmente degli stati di San Paolo, Distretto Federale, Rio Grande do Sul, Minas Geraes, Pará. Esistono anche debiti pubblici esteri dei singoli municipî per un ammontare complessivo di oltre 65.000.000 sterline.
Bibl.: F. Guimaraes, Ann. du Brésil eéconom. et finan., Parigi 1929; The statesman's year book, Londra 1930.
Cultura.
Stampa periodica. - Primo giornalista brasiliano si può considerare Hippolito José da Costa Pereira Furtado de Mendonça (1774-1823), il quale, perseguitato in Portogallo, si rifugiò a Londra, dove pubblicò dal 1808 al 1822 il Correio Brasiliense, mensile, cessato quando, con la proclamazione dell'indipendenza del Brasile, terminò la sua missione. Il primo periodico stampato nel Brasile fu la Gazeta do Rio de Janeiro, nata tre mesi più tardi del Correio. Oggi tutti gli stati contano una fiorente stampa periodica.
Amazonas. - Il primo periodico, fondato da Manoel Silva Ramos, il 3 maggio 1851, fu il Cinco de Setembro (5 settembre 1850, data della separazione dell'Amazonas dal Pará); mutò poi il titolo in Estrella do Amazonas, O Amazonas, Diario do Amazonas, e infine, di nuovo, O Amazonas.
Complessivamente hanno visto la luce in questo stato 370 periodici. Sono in vita 13 giornali e riviste, di cui 6 quotidiani, che si pubblicano tutti a Manáos. Il Jornal do Commercio conta 24 anni.
Pará. - Nel marzo 1822, a Belém, uscì O Paraense, settimanale e bisettimanale; principale redattore Philippe Alberto Patroni Martins Maciel Parente. Sostenne dapprima l'unione della provincia al Portogallo, sotto il nuovo regime costituzionale del 24 agosto 1820, quindi, dopo l'arresto del Patroni e varie vicende, l'adesione al governo di Don Pedro I. Sono del 1822 anche il Luso Paraense e l'Astro de Lusitania, del 1823 l'Independente, del 1825 l'Amigo da Verdade, del 1827 il Verdadeiro Independente e la Voz do Amazonas; del 1876 A provincia do Pará, che poi si chiamò O Estado do Pará. La Folha do Norte conta 31 anni, il Jornal do Commercio fu fondato nel 1901. In questo stato furono pubblicati in tutto circa 740 giornali e riviste, e vi sono 30 periodici, di cui 8 quotidiani.
Maranhão. - Il 10 novembre 1821, in S. Luis do Maranhão, fu iniziato il Conciliador do Maranhão; il primo periodico scientifico fu la Folha medicinal (marzo 1822). Odorico Mendes nel 1825 prese a redigere l'Argos da Lei, João Francisco Lisboa fondò nel 1832 il Brasileiro e il Pharol Maranhense, nel 1834 l'Echo do Norte, nel 1838 la Chronica Maranhense e nel 1852 la rivista letteraria Jornal de Timon. Il numero totale dei periodici pubblicati ascende a circa 350; ne esistono 20 fra giornali e riviste, dei quali 5 quotidiani.
Piauhy. - A Oeiras uscì nel 1835 il Correio da Assembléa Legislativa do Piauhy; nel 1853, a Therezina, già capitale della provincia, A Ordem, compilata da José Martins Pereira de Alencastro. David Moreira Caldas fondò l'Amigo do Povo (1868-72), distribuito gratuitamente ai lettori poveri, e nel 1873 il repubblicano Oitenta e nove. I giornali pubblicati sono in totale 209; il giornale più importante è O Piauhy, succeduto a A Democrazia, Fiat Lux e A Epoca.
Ceará. - Il Diario do Governo do Ceará uscì a Fortaleza il 1° aprile 1824, compilato da Gonçalves Ignacio de Loyola Albuquerque Mello Mororó; esisteva già la Gazeta do Ceará, manoscritta, compilata dal governatore Manoel Ignacio de Sampaio. Il numero dei giornali pubblicati in questo stato arriva in tutto a 1100; vi si contano 57 giornali (6 quotidiani) e 17 riviste.
Rio Grande do Norte. - Nel 1832, per iniziativa del padre Francisco de Britto Guerra, fu pubblicato il Natalense, stampato fuori della provincia durante il primo anno e poi a Natal. Nel 1833 uscì la Tesoura, nel 1834 il Publicador Natalense, nel 1867, ad Assú, l'Assuense e nel 1889, a Natal, la Republica, il più vecchio periodico dello stato, che ha avuto 285 periodici e ne conta 26, di cui 5 quotidiani.
Parahyba. - La Gazeta do Governo da Parahyba do Norte fu fondata il 16 febbraio 1826; la Gazeta Parahybana, repubblicana, diretta da Antonio Borges da Fonseca, nacque nel 1828 e fu il primo giornale repubblicano del Brasile. Fino ad oggi furono pubblicati 220 periodici; ve ne sono 18, di cui 6 quotidiani. L'União data dal 1896.
Pernambuco. - L'Aurora Pernambucana, compilata da Rodrigo da Fonseca Magalhães, apparve a Recife il 27 maggio 1821. Il movimento rivoluzionario della Confederazione dell'Equatore ebbe il suo organo nel Typhis Pernambucano (1823-24), di cui uscirono 29 numeri, compilati esclusivamente da fra Joaquin do Amor Divino Caneca, una delle vittime della rivoluzione. Il 7 novembre 1825 uscì il primo quotidiano, il Diario de Pernambuco, diretto da Antonino José de Miranda Falcão, che pubblicò anche, dal 1831 al 1834, il Federalista e, nel 1832, un giornale umoristico, Simplicio Pernambucano. Al Diario de Pernambuco, hanno collaborato, fra gli altri, Nabuco de Arauio, Tobias Barreto, Fagundes Varella e Silvio Romero. Alla stampa umoristica appartengono l'America illustrada (1871), il Diabo a quatro (1875), la Lanterna mogica (1882). I periodici pubblicati dal 1821 sono 2300; ne esistono 54 (14 quotidiani).
Alagôas. - Il primo giornale, uscito a Maceió, fu l'Iris Alagoense, bisettimanale (1831), il secondo il Federalista Alagoense (1832) e il terzo, quotidiano, il Diario de Alagôas (1858-1892). I periodici pubblicati finora sono 510; ve ne sono 15, di cui 5 quotidiani.
Sergipe. - A Estancia uscì nel 1832 il Recopilador Sergipense; nel 1870 il Jornal de Aracajú, dapprima settimanale, poi quotidiano; in tutto, 252 periodici. Ve ne sono 16, dei quali 4 quotidiani.
Bahia. - Nel 1811 uscì A idade de ouro do Brasil, giornaletto ufficioso, protetto dal conte di Arcos e diretto dal padre Ignacio de Macedo. Al Constitucional (1821), compilato da Francisco Gomes Brandão Montezuma, seguirono molti altri, a cui si deve in gran parte la rivoluzione repubblicana del 1837. Soffocata questa, ecco di nuovo una stampa reazionaria e fedele al governo; più tardi ancora, i giornali dei due partiti, liberale e conservatore. Principale organo del primo, dal 1856, fu il Diario da Bahia, che vive ancora; del secondo, il Jornal, di Francisco José da Rocha, durato 20 anni. Poi venne il Jornal de Noticias, che durò 52 anni. In tutto, i periodici sono stati più di 2000; ve ne sono 92, di cui 13 quotidiani. I più importanti tra gli odierni sono A Tarde, il Diario de noticias, il Diario da Bahia e l'Imparcial.
Espirito Santo. - Al Correio de Victoria (1848), uno dei primi giornali, ne successero molti altri, facendo in tutto 260 periodici. Se ne contano 31, dei quali 4 quotidiani.
Stato di Rio. - Nel 1829 uscì a Nictheroy l'Echo, che si occupò di politica e di scienze; nel 1832, nella stessa città, O Tempo e il Caramurú. Tra quelli che si pubblicano ora il più antico giornale è il Fluminense, iniziato nel 1878. Campos ebbe, specialmente sotto il secondo impero, giornali importanti, manoscritti, i primi, come l'Espelho Campista (1825). La Gazeta do povo, del 1886, vive tuttora. Rezende fu una delle prime città dell'interno ad avere stampa periodica, con O Genio Brasileiro (1831), l'Echo constitucional (1836), l'Astro Rezendense (1865), ecc. In tutto lo stato, dal 1829, si contano più di 1700 periodici; ne esistono 91, dei quali circa 12 quotidiani.
Capitale Federale. - Il più antico giornale stampato a Rio de Janeiro fu la Gazeta do Rio de Janeiro (10 settembre 1808), dapprima bisettimanale e compilata da fra Tiburcio José da Rocha, alla quale si sostituì nel gennaio 1823 il Diario do Governo. Citiamo ancora: il Patriota (1813), letterario, politico e mercantile; il Conciliador do Reino Unido (1821), fondato da José da Silva Lisboa, poi visconte di Cairú; il Diario do Rio de Janeiro (1821), fondato e compilato da Zefirino Victor Meirelles. Nel 1822, con le lotte per l'indipendenza, il giornalismo brasiliano si rafforza; ricordiamo solo, tra i molti giornali del tempo, il Correio do Rio de Janeiro, il primo giornale francamente repubblicano del Brasile, compilato da João Soares Lisboa che fu fucilato in Pernambueo, e l'Aurora fluminense (1827), di Evaristo da Veiga, il più celebre dei giornalisti brasiliani. Nel 1889 si pubblicavano a Rio de Janeiro 68 periodici; nel 1921 v'erano 13 quotidiani del mattino (Jornal do Commercio, Correio da Manhã, O Paiz, Jornal do Brasil, O Imparcial, O Dia, Gazeta de Noticias, Gazeta dos Tribunaes, Gazeta suburbana, A Patria, A Razão, O Social, A União) oltre a 5 italiani e uno francese; 9 giornali della sera (A Noticia, Jornal do Commercio, A Tribuna, A Noite, A Rua, Boa Noite, O Combate, O Rebate e O Rio-Jornal), oltre a una cinquantina di altre pubblicazioni periodiche, fra cui la Revista da Academia Brasileira de Letras e la Revista do Instituto Historico e Geographico Brasileiro.
S. Paolo. - Il primo giornale fu il Pharol Paulistano (1827); il secondo giornale, O observador constitucional (1829). Ma la stampa periodica fiorì ben presto: nel 1840 vi erano appena 6 giornali; che sono saliti a 283 periodici, di cui 58 nella capitale. Il più antico è il Correio paulistano (1854); ricordiamo ancora l'Estado de S. Paulo, il Jornal do Commercio, Diario popular, A Platéa, Saõ Paulo Jornal, A Gazeta, Germania, Commercio de Campinas; inoltre tre giornali italiani, uno francese, uno tedesco, uno spagnolo.
Paraná. - Il Dezenove de Dezembro (Curityba 1848), fu uno dei primi fra i circa 400 periodici pubblicati. Gli emigrati tedeschi e polacchi ebbero presto i loro organi. Vi sono 47 periodici di cui 12 quotidiani, alcuni in tedesco, in polacco e in ruteno.
Santa Catharina. - Nel 1831 a Desterro, oggi Florianopolis, apparve O Catharinense. Il totale dei periodici è di 200; se ne pubblicano circa 42, di cui 6 quotidiani; tra questi, due sono in tedesco.
Rio Grande do Sul. - Il Diario de Porto Alegre e il Constitucional Riograndense uscirono nel 1827; nel 1854 l'Echo do Sul, tuttora esistente. Notevoli e numerosi, tra i circa 2000 periodici (ne esistono 231, di cui 30 quotidiani) quelli in lingua straniera.
Minas Geraes. - A Ouro Preto, allora capitale della provincia, apparve, il 13 ottobre 1823, il primo giornale, il Compilador Mineiro, trisettimanale, al quale successe, tre mesi dopo, l'Abelha do Itaculumy. Il più antico giornale esistente è il Pharol che conta 43 anni. In tutto i periodici ascendono a circa 2000 (se ne pubblicano 255, di cui 13 quotidiani).
Matto Grosso. - Alla Gazeta Cuyabana, del 1847, seguirono altri periodici, in tutto 150; sono 40, di cui 3 quotidiani.
Goyaz. - La Matutina Meyapontense, uscì a Meya nel 1830. Il Correio Official, del 1844, visse più di 50 anni. Si ebbero in tutto 120 periodici (ve ne sono 12, nessuno quotidiano).
Acre. - Il primo giornale in portoghese pubblicato in questo territorio fu l'Acre (Catapará, 2 maggio 1904). Vi sono 6 settimanali.
Bibl.: M. Fleiuss, A imprensa no Brasil, in Diccionario historico, geographico e ethnographico do Brasil, Rio de Janeiro, 1922, I; A. Cicero, A imprensa hontem e hoje no Brasil ecc., Rio de Janeiro s. a.
Istruzione pubblica. - Insegnamento primario. - L'insegnamento primario, gratuito fin dal primo impero, quando le scuole primarie erano create dal governo centrale, e passato nel 1834 sotto la direzione dei governi provinciali, fatta eccezione per il municipio della capitale, dipende dagli stati. L'insegnamento è libero. Si contano, in tutto il paese, approssimativamente, 24.000 scuole primarie, pubbliche e private, con una popolazione scolastica di circa 1.350.000 scolari. Come l'istruzione primaria, anche l'istruzione secondaria del Brasile è organizzata in modo simile a quella italiana e comprende ginnasî e licei, scuole normali, preparatorie, tecniche, professionali, agricole e industriali, sia governative, sia municipali, sia private.
Università. - Esiste una Università federale, costituita dalla Scuola politecnica, dalla facoltà di medicina e dalla facoltà di diritto di Rio de Janeiro. Questa università possiede anche una facoltà di farmacia e una facoltà di medicina omeopatica (hahnemanniana). Altre università statali brasiliane sono a Manáos (Amazonas) con le facoltà di medicina, farmacia e odontologia, scienze giuridiche e sociali; a Curityba (Paraná), con le facoltà di medicina, ingegneria e diritto.
Esistono inoltre nelle capitali degli stati, molte facoltà isolate, che non costituiscono però università, e moltissimi istituti d'istruzione superiore (agronomia, veterinaria, commercio).
Biblioteche e istituti di cultura. - Rio de Janeiro, in primo luogo, le capitali dei varî stati e tutte le altre città principali posseggono ottime biblioteche, musei e dotte associazioni. Citiamo, per Rio de Janeiro, la Biblioteca Nazionale, con 600.000 volumi circa, il Gabinete Portugues de Leitura, con 100.000 volumi, il Museo Nazionale, il Museo Storico ed altri. L'Accademia brasiliana di lettere fu fondata il 20 luglio 1897, per iniziativa di Lucio de Mendonça. Primo presidente ne fu Machado de Assis. Superate non poche difficoltà, l'Accademia acquistò influenza e considerazione grande, facendosi riconoscere dai poteri pubblici. Essa è stata incaricata di giudicare i lavori inediti di autori brasiliani per il Teatro Nazionale; e, dal 1910, pubblica una rivista mensile, che, oltre agli atti dell'Accademia, contiene studî storico-letterarî e contributi a un dizionario dei brasileirismos. Merita una speciale menzione anche l'Istituto storico e geografico di Rio de Janeiro, fondato nel 1838, incoraggiato e sostenuto dal suo protettore, l'imperatore Pedro II. La raccolta dei volumi della sua rivista, diretta da B. F. Ramiz Galvão, e di altre importanti pubblicazioni, da esso curate, è, in vero, monumentale. Altri istituti storici, nelle capitali di varî stati dell'Unione, come quelli del Ceará, di San Paolo, di Minas, di Rio Grande do Sul, lavorano indefessamente, apportando notevoli contributi all'elaborazione della storia regionale e, indirettamente, della storia generale del paese.
Storia.
Occupata in nome del re del Portogallo dal Cabral nel 1500 (v: qui addietro), durante tutto il regno di Emanuele, la terra di Vera Cruz, poi Santa Cruz, come fu dapprima battezzato il Brasile, fu tenuta quasi in non cale, perché era generale la persuasione che il Portogallo dovesse trarre tutte le sue ricchezze dall'Oriente. Perciò le nuove coste di là dall'Atlantico furono poco visitate nel primo quarto del sec. XVI. Va menzionata, tuttavia, la spedizione della nave Bretoa (1511), che aveva, fra gli armatori, i fiorentini Bartolomeo Marchioni e Benedetto Morelli. Questa incuria del Portogallo nei riguardi di Santa Cruz favorì l'iniziativa di pirati e navigatori francesi, specialmente normanni e bretoni, che in quelle terre fecero parecchie incursioni, riportandone in Europa, con grande profitto, molti prodotti vegetali.
Ma salito sul trono portoghese Giovanni III (1521-1557), questi si rese presto conto dell'errore di volgere tutte le forze della metropoli allo sfruttamento delle Indie orientali, e della convenienza di curare anche la ricognizione e colonizzazione dei nuovi possedimenti di Santa Cruz. Lo spingevano a ciò l'audacia sempre crescente dei marinai francesi, e la presenza in quei mari, pur pericolosi, di navi castigliane. Fu così deciso, nel 1526, l'invio d'una squadra, composta da una nave ammiraglia e da 5 caravelle, e comandata da Cristoforo Jacques (non è sufficientemente provato un precedente viaggio di costui al Brasile, nel 1516). Dopo aver fondato e fortificato fattorie a Itamaracá e Pernambuco e battagliato vittoriosamente con navi bretoni nella Baia di Tutti i Santi (l'odierna Bahia), lo Jacques ritornò in Portogallo e mise in chiaro, con le sue relazioni alla corte, come la terra di Santa Cruz fosse destinata a un grande avvenire per l'abbondanza delle sue risorse naturali e come il miglior sistema politico e coloniale da adottarvi fosse quello delle capitanerie ereditarie, una sorta di feudo che già aveva dato buon risultato nell'applicazione fattane nelle isole dell'Atlantico (Azorre, Madeira e São Thomé). Lo stesso Jacques, anzi, si propose come primo concessionario di Santa Cruz, promettendo di portarvi con sé un migliaio di coloni: ma la sua proposta, sebbene appoggiata dal dotto e santo uomo Diogo de Gouvêa, rettore del collegio di S. Barbara a Parigi, non ebbe, allora, seguito. Soltanto tre anni più tardi (fine del 1530), quando la notizia delle presunte miniere d'argento delle regioni del Plata ebbe rinfocolato le velleità conquistatrici di Giovanni III, si organizzò una nuova spedizione di 5 navi con 400 uomini, affidata al comando di Martino Alfonso de Souza (divenuto poi celebre per le sue imprese in Asia), che era seguito dal fratello Pero Lopes de Souza, al quale si deve una relazione dell'impresa. Martino Alfonso era stato fornito di poteri straordinarî, col mero e misto imperio nel civile e nel penale, fino alla pena di morte, salvo che per i gentiluomini, dipendenti dalla giustizia metropolitana; era, inoltre, autorizzato a nominare funzionarî, stabilire confini, dare terre in concessione (sesmarias), ma per una sola generazione, come praticava la Spagna per i suoi possedimenti oltremarini. La squadra di Martino Alfonso, dopo aver catturato alcune navi francesi, giunse a Pernambuco nel febbraio 1531, e quindi passò nella Baia di Tutti i Santi, ove incontrò il portoghese Diogo Alvares, che ivi dimorava da 22 anni e aveva procreato numerosi figliuoli con un'indiana convertita. Martino Alfonso fece sbarcare due uomini, perchè rimanessero con l'Alvares e iniziassero con lui lavori agricoli, lasciando, all'uopo, anche una buona scorta di sementi. Il viaggio continuò per il sud a Rio de Janeiro e Cananea; di qui, Pero Lopes proseguì per l'isola delle Palme (Rio della Plata), ove constatò la inesistenza delle miniere d'argento e probabilmente si rese conto che quelle terre venivano a trovarsi fuori della linea divisoria dei possedimenti portoghesi da quelli castigliani, stabilita dal trattato di Tordesillas del 1494. Intanto il fratello Martino Alfonso fondava Sāo Vicente e si spingeva nell'interno fino a S. André da borda do campo, presso Piratininga (oggi S. Paolo); mentre un'altra nave veniva distaccata ad esplorare le coste settentrionali, sino al fiume Gurupy, nel Maranhão: zona già visitata da esploratori spagnoli. In tal modo, il litorale atlantico del Brasile veniva ad esser tutto conosciuto, e piccole spedizioni si erano spinte anche nell'interno. La squadra di Martino Alfonso fece ritorno a Lisbona nel 1533.
Nell'aprile del 1534, re Giovanni cominciò a distribuire le investiture delle dodici capitanerie in cui era stata divisa la terra di Santa Cruz. Iniziando questo sistema feudale, egli pensava di alleggerire l'erario dell'ingente spesa del popolamento e della colonizzazione dei nuovi possedimenti, e di provvedere nel tempo stesso, indirettamente, alla messa in valore di quelle terre, contentandosi la Corona dei quinti e delle decime sui varî prodotti. I privilegi (foros) conceduti ai concessionarî erano grandissimi: potevano, perpetuamente, chiamarsi capitani e governatori della capitaneria; possedervi una zona di dieci leghe d'estensione lungo la costa, non pagando altro tributo che la decima; catturare indigeni per il servizio personale e per le navi, con la facoltà di mandarne a vendere 39 ogni anno, a Lisbona, con esenzione dalla tassa (ciza); dare terre in concessione, purché a coloni cattolici, e prelevando una decima. Inoltre avevano facoltà di imporre tasse sul passaggio dei fiumi e sul quinto dell'oro, di fondare città concedendo i relativi privilegi, di nominare pubblici uffiziali ricevendo da ognuno di essi una pensione annua di 500 reis, di avere il monopolio dei mulini o concederlo ad altri mediante pagamento, di esigere la mezza decima sulla pesca e sul ricavato del legno brazil che si mandasse in Portogallo, di riscuotere una re-decima, cioè una decima su tutte le decime, di giudicare senza appello nelle cause civili, pronunciar condanne capitali per i braccianti, gli schiavi e persino gl'indigeni liberi, e condanne fino a 10 anni per le persone di qualità, di porre il veto nelle elezioni dei giudici e altri ufficiali dei consigli delle città, ecc. In tal modo, la Corona di Portogallo veniva a cedere molti dei suoi diritti, addossandosi anche alcuni oneri (come il pagamento delle spese per il culto e la re-decima ai feudatarî) e limitandosi a serbare una specie di alta sovranità e il godimento di talune regalie, cioè diritti di dogana, il monopolio delle droghe e spezie, il quinto sui metalli e pietre preziose, la decima su tutti i prodotti del suolo. Anche per i vassalli, cioè i futuri coloni delle capitanerie, erano contemplati importanti diritti, quali il possesso di terre in concessione, senza pagare altro tributo fuor della decima, l'esenzione dalla tassa sul sale, ecc. e da altri tributi non contemplati nella donazione, garanzia da parte del donatario di non turbare il possesso delle terre con atti di nepotismo, ecc., libertà di commercio fra capitaneria e capitaneria, esenzione dai diritti sull'esportazione, franchigia dai diritti sugli articoli importati dal Portogallo, salvo che venissero introdotti da navi straniere. Finalmente, ogni capitaneria era dichiarata couto o homisio: aveva, cioè, il diritto di asilo. E a questa imprudente provvidenza si dovrà in gran parte la rovina del sistema delle capitanerie.
Sventuratamente, ciò che sulla carta del Foral pareva di facile attuazione e di felici conseguenze, nella pratica risultò irto di difficoltà. Non tutti i concessionarî erano in condizione di affrontare l'ingente spesa del viaggio e della sistemazione del feudo, fino al percepimento dei primi utili; né tutti avevano l'animo virile occorrente a segregarsi per anni dal mondo civile, mettendo a rischio anche la vita. Quindi, parecchi di essi non raggiunsero neppure le rispettive capitanerie, o mandarono amministratori disonesti o incapaci. Quelli più animosi, che organizzarono le spedizioni e iniziarono lo sfruttamento dei feudi, furono spesso vittime di naufragi o ebbero a lottare con le tribù indiane e vi lasciarono la vita; altri ancora dovettero subire la rivolta dei coloni, conseguenza dell'errore di concedere un sia pur limitato diritto d'asilo, che aveva richiamato nel Brasile un'orda di avventurieri della peggiore specie. Una rapida rassegna delle capitanerie e della loro breve vita, nel periodo indipendente, servirà a dimostrare il fallimento dell'esperienza: 1. São Vicente: il donatario, Martino Alfonso de Souza, che era stato anche il fondatore della prima colonia, non andò mai sul posto, tutto preso, com'era, dalle imprese asiatiche; la colonia tuttavia cominciò a prosperare, contribuendovi anche un genovese della famiglia Adorno, che v'impiantò il primo engenho per la estrazione dello zucchero. 2. Parahyba: concessionario Pero Goes da Silveira, fratello del celebre storico Damião de Goes. Egli iniziò la colonizzazione e fondò, nel 1540, la colonia di Villa da Rainha; ma, tornato in Europa, ne affidò il governo a un Giuseppe Martins, che la ridusse alla miseria e provocò la rivolta degl'Indiani. 3. Espirito Santo: pur vessato dalle continue incursioni degl'Indiani, il concessionario Vasco Fernandes Coutinho fondò e fece prosperare i centri di Espirito Santo e Victoria. 4. Porto Seguro: la capitaneria prosperò sotto il governo del concessionario Pero de Campos Tourinho, che attivò il commercio del brazil e lo sfruttamento della canna da zucchero; ma cominciò a decadere dopo la morte del Tourinho. 5. Ilhéos: il concessionario Giorgio de Figueiredo Correa mandò sui luoghi un suo procuratore, lo spagnolo Francesco Romero, che entrò in conflitto con i coloni e con gli indiani aymorés, che finirono col distruggere la colonia. 6. Bahia: Francesco Pereira Coutinho, concessionario, fondò e avviò la colonia di Villa Velha; ma, assalito dagl'Indiani tupinambȧ, fu costretto a fuggire nella finitima capitaneria degli Ilhéos e, quando si accingeva a far ritorno alla sua colonia, naufragò nell'isola di Itaparica e fu catturato e divorato dagl'indigeni con tutti i suoi compagni. 7. Pernambuco: il concessionario Duarte Pereira Coelho, arricchitosi nelle Indie, investì la sua fortuna nella colonizzazione della capitaneria, fondando la fattoria di Olinda, che diede buoni risultati, nonostante venisse assalita dagl'Indiani caheté, sobillati e spalleggiati dai corsari francesi. 8. Itamaracá: il concessionario Pero Lopes de Souza non si recò mai sul luogo (morì per naufragio, nell'isola di Madagascar, nel 1539), né vi si recarono i suoi eredi. 9. Ceará: il concessionario Antonio Cardoso de Barros fu divorato dagl'Indiani caheté. 10. Maranhão: concessionario Giovanni de Barros, il celebre storico dell'Asia, che Camões chiamò "il Tito Livio portoghese", e Ayres da Cunha, con contratto di mezzadria (parceria). Il Barros vi mandò due suoi figli, che finirono trucidati dagl'Indiani, e vi perdette ingenti somme. 11. Maranhão (altra parte): Fernão Alvares de Andrade ebbe sorte non dissimile dai precedenti. 12. Santo Amaro o Guaimbé: lo stesso concessionario di Itamaracá, Pero Lopes de Souza.
L'esperimento era stato prematuro. Si era voluto colonizzare il Brasile quando non era ancora perfettamente conosciuto il paese, sia pure nella vicinanza della costa, e meno ancora l'animo dei nativi verso i conquistatori. Invece di costituire un centro di colonizzazione, ben munito e bene attrezzato per ogni tentativo di coltura, e di lì lentamente irraggiare in ogni direzione, i conquistatori si erano piazzati in tanti piccoli centri, aperti a tutte le offese e destinati, quasi tutti, a soccombere. Eppure questo esperimento, se può considerarsi fallito da un punto di vista meramente pratico, è tuttavia da riguardare come un buon principio per la formazione politica del popolo brasiliano. La quasi indipendenza dalla Corona, riconosciuta alle capitanerie, ed i privilegi, anche se destinati a rimaner sulla carta, dati ai coloni nei riguardi dei concessionarî, erano tutti germi fecondi per l'avvenire. Vedremo infatti come nei Brasiliani (comprendendo sotto questo nome europei e creoli, indiani e africani) si formasse, prima che nell'America spagnola, un forte sentimento nazionale. La situazione dei Brasiliani, all'inizio della colonizzazione, fu incomparabilmente superiore a quella degli Ispano-americani. Con il sistema delle capitanerie si venne a formare subito una classe di coloni, una specie di borghesia agricola e commerciale che apparve invece tardissimo nelle colonie spagnole. Specialmente lungo le coste e nell'immediato retroterra, questa nuova borghesia, audace, intelligente, operosa, capace di resistere alle cupidigie degli stranieri e alle stesse vessazioni della metropoli, pronta a spogliarsi della sua mentalità europea per assumere una forma mentis e un abito morale schiettamente brasiliani; questa nuova borghesia prese subito il sopravvento e rappresentò una parte assai importante nella storia americana, anzi di una storia coloniale fece rapidamente una storia nazionale. In ultimo, educatasi al sistema delle capitanerie governate da un potere centrale (come ora vedremo), si educò a quella concezione federalistica della vita politica, che poi trionfò ed è la forza del Brasile moderno.
Altro elemento assai importante per la formazione della nazionalità brasiliana fu l'incrocio del portoghese con la donna indiana: precursori di esso, quel Diogo Alvares, già ricordato, che passò nella storia col nome di Caramurú; e il non meno celebre João Ramalho, altro pioniere della colonizzazione europea al Brasile. Sulle orme di essi, che avevano creato vaste famiglie di meticci (curibocas o mamelucos), unendosi alle donne indigene, i posteriori coloni portoghesi, che in generale emigravano senza famiglia, contrassero regolari matrimonî con le indiane, assai ben disposte a unirsi ai bianchi per sfuggire a quella sorta di schiavitù in cui erano tenute nelle rispettive tribù. Naturalmente, questa fusione non si ebbe sempre, né sempre fu pacifica. Già abbiamo veduto come la vita delle capitanerie fosse resa difficile dall'ostilità degl'Indiani; e se alla innata barbarie di questi bisogna attribuire la maggior colpa dei conflitti, è pur onesto riconoscere la crudeltà e l'intolleranza dei primi colonizzatori. Narrano gli antichi cronisti come molti Indiani preferissero il suicidio alla cattività sotto i Portoghesi: ciò prima della catechesi e colonizzazione dei gesuiti.
La cattiva sorte della maggior parte delle capitanerie, e la costante minaccia dei Francesi, suggerirono a Giovanni III l'idea d'una centralizzazione amministrativa, mediante il Governo generale del Brasile, che, decretato nel 1548, ebbe la piena attuazione l'anno successivo, con l'invio del primo governatore Tomaso de Souza (1549-1553). Come sede del governo fu scelta la capitaneria della Baia di Tutti i Santi, la più centrale rispetto alle altre, all'uopo riacquistata dalla Corona dagli eredi del concessionario Pereira Coutinho; e lì venne fondata la Città del Salvatore (corrispondente alla parte alta della odierna città di Bahia), che attirò i nuclei coloniali già stanziati sulle spiagge della baia. Con il governatore venivano un uditore maggiore, Pietro Borges, incaricato degli affari di giustizia (il potere giudiziario, nel nuovo ordinamento, era pienamente indipendente dal governatore); un procuratore, Antonio Cardoso de Barros (già ricordato come concessionario del Ceará), preposto alle esazioni per conto della Corona; e un capitano maggiore della costa, Pietro Goes da Silveira, il concessionario di Parahyba, addetto alla sorveglianza e difesa militare del litorale. Il governo centrale non solo non danneggiò le capitanerie nel loro sviluppo, ma, in un certo senso, le favorì e fortificò: in quanto, più garantite nella loro sicurezza dalle forze centrali, nonché dalla propria milizia obbligatoria, meglio poterono attendere allo sfruttamento delle ricchezze naturali, con esperienze svariate di coltura. La capitaneria di S. Vicente, nel 1558, aveva già 6 engenhos di zucchero, sorti dietro l'esempio del ricordato Giuseppe Adorno, e 600 coloni, oltre agli schiavi africani; mentre, sull'altipiano, la città di Piratininga aveva già avuto privilegi dal concessionario. Non meno prosperava, pur in mezzo a dolorose vicende, la capitaneria di Pernambuco, dove si era iniziata la coltivazione del cotone, e dove trovavano lavoro, oltre gli agricoltori, i muratori, i fabbri, i falegnami. Altre capitanerie, dopo la creazione del governo centrale, vennero via via concesse fino a quasi tutto il sec. XVII: Paraguassú (1557); Rio de Janeiro (1567); Sergipe (1590); Grão-Pará (1615); Cabo Frio (1615); S. Pedro d'El-Rey (1620); Cumau (1620); Camuhá (1633); Cabo do Norte (1637); Marajó (1665); Parahyba do Sul (1674). Soltanto nel sec. XVIII, col prevalere delle idee di assolutismo monarchico sul sistema feudale, le capitanerie fecero ritorno alla Corona.
Sotto il governo di Tomaso de Souza e dei suoi collaboratori, il Brasile cominciò ad assumere l'aspetto di stato quasi indipendente dalla metropoli. Il governatore provvide a fortificare le diverse colonie e ad organizzare un servizio militare obbligatorio; fondò nuovi centri abitati, come Conceição do Itanhaem e São André; represse, talvolta con eccessiva crudeltà, le sedizioni degli Indiani; visitò le varie capitanerie ed organizzò una spedizione nell'interno dell'attuale stato di Minas Geraes. Nel 1551, una bolla di Giulio III concedeva ai re portoghesi il patronato perpetuo sul Brasile; e lo stesso anno veniva creato il vescovato di Bahia, con la nomina del vescovo Pietro Fernandes Sardinha. Le cose non procedettero egualmente bene durante il quadriennio del successivo governatore Duarte da Costa (1553-1557), impotente ad affrontare la lotta contro gl'Indiani e i Francesi, e impegnato con il vescovo in un grave conflitto che era stato provocato dal proprio figlio Alvaro da Costa: conflitto che divise in due partiti i coloni e minacciò di degenerare in guerra civile. Il vescovo Fernandes, richiamato dal re e messosi in viaggio, naufragò sui bassifondi detti di D. Rodrigo, e fu catturato e divorato, con il suo seguito, dagl'Indiani cahetés. Ciò placò per un momento le ire dei coloni, che poi si rinfocolarono, a causa degli atti di eccessivo nepotismo, contro il governatore e il figliolo, sebbene questi avesse valorosamente respinti, e poi sottomessi (1555), gl'Indiani che avevano assaltato Bahia. In quell'epoca, tutto il territorio brasiliano era terrorizzato da un famoso capo indiano, Cunhambebe, che commetteva ogni sorta di depredazioni e crudeltà, non esclusi atti di cannibalismo. Anche Pernambuco ne ebbe a soffrire. La vedova del concessionario Duarte Coelho, Donna Brites de Albuquerque, avendo ì figli in educazione nel Portogallo, ne affidò la difesa al fratello Girolamo de Albuquerque, che sottomise completamente gl'Indiani ribelli. Questo Girolamo ebbe 24 figliuoli; e una figlia, Caterina, sposò il fiorentino Filippo Cavalcanti. Di qui la nobile famiglia, così illustre nella storia del Brasile, dei Cavalcanti d'Albuquerque. Anche un ramo degli Acciaiuoli si stabilì nel Brasile, provenendo dal Portogallo, e diede origine all'illustre famiglia degli Accioly.
Ma un movimento di ben più grande importanza si era cominciato a verificare sotto i due primi governatori: l'arrivo dei gesuiti e l'evangelizzazione e riduzione a coloni degl'Indiani per opera loro. Con il de Souza, era venuto un primo nucleo, capitanato dal padre Emanuele da Nobrega, che fu detto "l'Orfeo americano" perché si serviva soprattutto della musica per attirare ed educare gl'indigeni. Altri padri della compagnia venivano distaccati in diversi punti della costa, e uno di essi, l'Azpilcueta Navarro, prese a studiare le lingue indigene, iniziando la lunga serie di quei filologi gesuiti, sia pure empirici, a cui dobbiamo gran parte della conoscenza delle lingue americane. Fra essi, conviene rammentare gl'italiani Luigi Vincenzo Mamiani, pesarese, autore del Catecismo da doutrina christaa na lingua brasilica (Lisbona 1698), e dell'Arte de grammatica da lingua brasilica da naçam kiriri (ivi 1699), e Simone Bandini, scrittore di Varias doctrinas em lengua guarani, che giacciono ancora inedite nel British Museum. Sotto il governo di Duarte da Costa, nel 1553, vivente S. Ignazio, il Brasile fu da lui elevato a provincia gesuitica, e affidata al padre Emanuele da Nobrega, che tanto contribuì con le sue Cartas alla conoscenza del nuovo continente. Un nuovo drappello di padri venne a ingrossare le fila degl'instancabili apostoli: fra essi, il celebre Giuseppe de Anchieta. Al primitivo collegio seguirono quelli di S. Vicente e di Piratininga: quest'ultimo, intitolato a San Paolo, diede poi il nome a tutta la provincia ed ebbe grande importanza nella vita politica e sociale del paese. Ai gesuiti si dovettero anche singolari esperimenti di colonizzazione e di organizzazione economica.
Il terzo governatore, Mem de Sá, fratello del celebre poeta petrarchista Sá de Miranda, familiare del re, esperto giureconsulto, e dimostratosi poi nella nuova carica uomo di grandi virtù militari e politiche, tenne il governo per un quindicennio, dal 1557 al 1572, anno della sua morte, e svolse un'attività veramente prodigiosa. Il primo problema ch'egli dovette affrontare fu l'espulsione di una forte colonia francese nella baia di Rio de Janeiro, ivi stabilita da Nicola Durand de Villegagnon (o anche Villegaignon). Era costui un valente marinaio francese (gli storici brasiliani lo dicono provenzale, interpretando malamente il nome della sua città nativa, che era Provins), distintosi nell'impresa di Carlo V contro Algeri (1541) e resosi poi famoso per l'abile audacia con la quale aveva trasportato in Francia Maria Stuart. Di religione riformata, scelse, d'accordo con Coligny, la baia di Rio de Janeiro per farne un asilo degli emigrati calvinisti; organizzò una spedizione e occupò l'isola di Sergipe, che egli denominò Coligny, e oggi si chiama appunto Villeganhon; e fu detta anche Francia antartica, come risulta dal libro sulle singolarità del Brasile che il Thévet pubblicò nel 1558 (tradotto in italiano, col titolo Storia dell'India America, nel 1561). Nella colonia si manifestarono presto gravi dissidî, specialmente dopo l'arrivo di nuovi adepti, fra i quali il teologo calvinista Giovanni de Léry, che fu poi storiografo di quella spedizione; ma tali conflitti non impedivano che i Francesi guadagnassero molta influenza sulla costa, per le amichevoli relazioni strette con gli Indiani, e rappresentassero quindi un serio pericolo per la sovranità portoghese. Pertanto Mem de Sá pensò di operarne l'espulsione e, nel marzo del 1560, riunite tutte le forze che l'anno precedente aveva avuto dal Portogallo, accresciutele con quelle fornite dalla capitaneria di S. Vicente, e aiutato dai gesuiti, espugnò il forte di Villegagnon. Ma i Francesi, che si erano dispersi nei boschi vicini, non tardarono a ricomparire; cosicché fu decisa la fondazione di una città nella bellissima baia. Fu organizzata, nel 1564, una nuova spedizione al comando di Estacio de Sá, nipote del governatore, partecipandovi questa volta anche i coloni di S. Vicente, sopra imbarcazioni condotte dal tedesco Eliodoro Eoban, fattore dell'industria saccarifera dell'Adorno. Intitolata a San Sebastiano, la nuova città sorse (1565) ai piedi del monte, detto, per la sua forma, Pão de assucar, nella località oggi chiamata Praia vermelha; ma fu, poco di poi, trasferita, per maggior sicurezza, intorno alla collinetta Morro do Castello, rasa al suolo ai nostri tempi. Naturalmente, le due località, che allora parevano abbastanza distanti fra loro, sono oggi appena una parte della superba città di Rio de Janeiro. I primi anni di vita di San Sebastiano furono caratterizzati dalle continue guerriglie con i Francesi e gl'Indiani, annidatisi nell'isola detta oggi del Governatore e sulla spiaggia occidentale della baia. Per farla finita, Mem de Sá preparò un'altra spedizione, con la squadra di Cristoforo de Barros, con Indiani della capitaneria di Espirito Santo, guidati dal cacicco Ararigboia che poi ebbe in dono le terre di Nichteroy, e con i soliti animosi coloni di S. Vicente; e investì in pieno (1567) le posizioni dei Francesi. Il valoroso fondatore di Rio de Janeiro, Estacio de Sá morì in battaglia, per una frecciata; ma i Francesi furono battuti pienamente e molti calvinisti superstiti vennero impiccati dai vincitori. Ma già da un pezzo il Villegagnon, disgustato delle lotte intestine della sua colonia, era ritornato in Europa.
A Mem de Sá si deve anche una vasta opera in favore degli Indiani; ma poiché essa si svolgeva essenzialmente secondo le direttive dei gesuiti, cresciuti di numero e di potenza, riuscì sgradita ai colonizzatori, che fin'allora avevano largamente adoperato, e senza nessun controllo, il lavoro servile, originando anche quelle forme di concubinaggio e di poligamia contro le quali fulminava il padre Nobrega. Le missioni gesuitiche, per il favore accordato loro dal governatore, si moltiplicavano: nel retroterra di Bahia, ve ne erano già una decina intorno al 1560, e qualcuna di esse contava fino a 5000 neofiti. Ogni giorno si celebravano battesimi, e dovunque sorgevano scuole. Gl'Indiani sottoposti ai gesuiti venivano raccolti in appositi villaggi (aldêas), a ognuno dei quali era preposto un alcaide, pure indiano: blanda forma di autonomia, come nelle reducciones dell'America spagnola. Sennonché, il lavoro di codesti Indiani aldeados era volto a profitto esclusivo della colonizzazione gesuitica, che andava assumendo enorme importanza, specialmente nell'odierno stato di S. Paolo; mentre venivano a soffrirne gli antichi coloni, privati d'uno strumento di lavoro del quale erano assai bisognosi. Donde continui conflitti, che andavano a finire innanzi al Tribunale della Coscienza (Mesa da Consciencia), creato appositamente in Portogallo, e che venivano variamente risoluti, dando luogo a una legislazione speciale, confusa e contraddittoria. I coloni paulisti, nei quali l'elemento creolo (mamelucos) oramai predominava, e che erano dotati di spirito audace e avventuroso, organizzarono allora le famose bandeiras, cioè bande specializzate nella caccia, nella ricerca dell'oro e nell'asservimento degl'Indiani, a dispetto delle varie leggi protettrici che si emanavano da Lisbona. L'azione dei bandeirantes, che operarono poi per tutto il sec. XVII, si segnalò per crudeltà verso gl'Indiani; ma si risolse anche a vantaggio del paese. Fu esplorata l'immensa foresta vergine e furono aperte vie di comunicazione, tra le quali, quella tra la capitaneria di S. Vicente e il Paraguay. Altra conseguenza del monopolio gesuitico del lavoro indiano fu l'introduzione su vasta scala degli schiavi d'Africa, che ebbero grande importanza nello svolgimento economico e demografico del Brasile. A Mem de Sá si deve, in ogni modo, riconoscere il grande merito di avere scongiurato il pericolo indiano, affacciatosi così paurosamente sotto i due primi governatori. Egli favorì anche diversi tentativi di esplorazione e colonizzazione nell'interno e la ricerca di metalli e pietre preziose. Così Braz Cubas, il celebre fondatore di Santos, e Luigi Martins, esperto minatore, fecero lunghe indagini finché, nel 1562, presso Jaraguá, trovarono le prime tracce d'oro. Intorno alla nuova città di Rio de Janeiro, sorsero engenhos di zucchero, sull'esempio di Cristoforo de Barros; e continuava a prosperare, oramai pacificata, la capitaneria di Pernambuco.
Nel 1573, il Brasile venne diviso in due governi: quello del Nord, con Bahia capitale e Luigi Brito d'Almeida governatore; e quello del Sud, capitale Rio de Janeiro, governatore Antonio Salema. Ma l'esperienza non diede buon resultato; sicché, quattro anni dopo, nel 1577, si ritornò al governo unico, con la nomina di Lorenzo da Veiga. In questo periodo, vennero emanate nuove leggi sulla cattività degl'Indiani, raccomandandosi una grande moderazione nel riscatto degli schiavi pela necessitade que as fazendas delles teem. Cospicua parte dell'economia del paese era nelle mani dei gesuiti, che seguitavano a crescere di numero, e molti ne arrivarono con il nuovo governatore Emanuele Telles Barreto, succeduto al Veiga nel 1583 (anche dopo l'unione del Portogallo alla Spagna, cioè nel periodo 1580-1640, si continuarono a mandare nel Brasile funzionarî portoghesi). Il quale Barreto, esaminando il bilancio del tesoro di Bahia, trovò che esso aveva una rendita di 30.000 cruzados (un cruzado, di 400 reis, corrispondeva press'a poco a 3 lire): dei quali 10.000 andavano alla metropoli e 6500 servivano al mantenimento delle missioni dei gesuiti. Cominciarono anche, sul finire del '500, ad affluire benedettini, carmelitani e cappuccini, specialmente numerosi questi ultimi; e tanto si moltiplicarono i conventi, che nel 1609 la corte di Spagna proibì ne sorgessero di nuovi senza una speciale licenza regia. Sotto il governo del Veiga, fu esplorato il fiume S. Francisco, e Antonio Dias Adorno, con una spedizione di 150 coloni e 400 fra Indiani e Africani, giungeva a Minas, trovandovi pietre preziose (turmaline e ametiste, non già smeraldi e zaffiri, come si credette sul principio).
Morto il Barreto nel 1587, gli successe una Giunta composta dal terzo vescovo della diocesi, Antonio Barreiros, del provveditore della finanza e dell'uditore generale, che governò fino all'arrivo di Francesco de Souza (1591), infatuato nella ricerca delle miniere. Sotto il successivo governatore Diogo Botelho (1602), che entrò in aperto dissidio con i gesuiti circa la sistemazione degli Indiani, si verificarono numerosi conflitti giurisdizionali, per cui anche a Lisbona, come già in Spagna fin dal 1524, venne creato un Conselho da India. Nel 1603, fu anche emanato un codice minerario speciale per il Brasile, con il quale la Corona concedeva ai privati lo sfruttamento delle miniere d'oro, riservandosene il quinto, alla cui riscossione era preposto un "provveditore delle miniere". Nel 1608, essendo governatore Diogo de Meneses e Sequeira, si distaccarono nuovamente, a formare un governo separato, le capitanerie del sud: Espirito Santo, Rio de Janeiro e S. Vicente; e venne creata la sovrintendenza alle miniere, con a capo l'ex-governatore Francesco de Souza, che faceva balenare continuamente alla corte di Madrid il miraggio dell'oro. E invano il savio governatore Meneses scriveva al re: "E creda V. M. che le vere miniere del Brasile sono lo zucchero e il legno brazil, dai quali V. M. ricava tanto profitto, senza che costino un soldo all'erario". Il Meneses aveva pienamente ragione, come si potrà rilevare da un rapido sguardo alle condizioni economiche delle capitanerie sul cadere del sec. XVI. Alla testa della produzione si manteneva sempre Pernambuco, con 2000 coloni e altrettanti schiavi, quasi tutti impiegati in 66 engenhos, con una produzione annua di 200.000 arrobas di zucchero (l'arroba corrispondeva a circa 15 chili), per il trasporto delle quali occorrevano oltre 40 navi; eravi anche esportazione di brazil. Bahia, con 2000 coloni, 4000 schiavi africani e 6000 Indiani battezzati, esportava 120.000 arrobas di zucchero, che era considerato il migliore di tutta la costa. Le capitanerie di Ilhéos e Porto Seguro erano fra le meno redditizie, con tre o quattro engenhos e scarsa coltivazione di cotone. Espirito Santo prosperava sotto il governo di Luisa Grimaldi, vedova del concessionario Vasco Fernandes ed aveva 150 coloni, 6 engenhos, molto bestiame e cotone. Gl'Indiani vi erano assai domestici, sicché quasi mancava schiavitù africana. Rio de Janeiro, pur sorta da poco, aveva già 150 coloni, oltre la popolazione servile, e 3 engenhos; produceva inoltre moltissimi frutti e ortaggi, e vi si esercitava con profitto la pesca; aveva collegio gesuitico, Casa della misericordia e ospedale. A S. Vicente, se le città della costa entravano in un periodo di decadenza, prosperava invece S. Paulo de Piratininga. Della ricchezza delle capitanerie settentrionali è riprova il fatto che, al principio del sec. XVII, l'imposta sullo zucchero fu elevata al 30%, senza nessuna protesta da parte dei produttori; i quali, fra l'altro - secondo le relazioni dei contemporanei Gabriel Svares e Fernão Cardim, dai quali si hanno anche le riferite notizie statistiche - avevan fatto di Pernambuco e di Bahia due città di lusso e di piaceri. Le condizioni culturali, almeno nelle capitanerie più importanti, erano meno gravi che nelle altre regioni dell'America meridionale, grazie ai numerosi collegi dei gesuiti: importanti quelli di Bahia, di Olinda e di Rio de Janeiro. Sul principio del '600, fu anche fondato, a Bahia, il tribunale detto Relação do Brazil, abolito poi nel 1626. Esso da una parte fu un bene, garantendo meglio i diritti privati; ma anche imbrogliò assai la procedura, sicché gli antichi processi sommarî divennero complicati e lunghissimi, e fecero aumentare in modo incredibile la classe degli avvocati, procuratori, scrivani e faccendieri d'ogni genere, pronti ai cavilli nell'interpretazione e applicazione delle ordenações filippinas, riforma dei 5 libri delle manuelinas. Eppure, costoro portavano il loro contributo alla cultura generale del paese e preparavano le basi giuridiche delle future rivoluzioni.
Già gl'Inglesi avevano rapporti commerciali con Bahia, dove importavano manufatti europei ed esportavano zucchero, e con Santos, grazie al matrimonio d'una figlia di Giuseppe Adorno con l'inglese Giacomo Whitehall; quando, per le restrizioni messe al commercio dalla Spagna e per lo stato di guerra in Europa, i pacifici scambî divennero atti di pirateria. E si ebbero le imprese di Tomaso Cavendish nella stessa Santos, e di Giacomo Lancaster al Recife. Le vicende della guerra europea, e la disfatta della invencible armada (1588) rinfocolarono le gesta di pirateria. Nel 1595, in seguito alla guerra tra Francia e Spagna, i Francesi presero specialmente di mira il Brasile, e in alcuni punti si stanziarono e rimasero anche dopo la pace di Vervins. Ma già dal 1594, Giacomo Riffault e Carlo de Vaux si erano installati nel Maranhão, riuscendo, dietro l'esempio del Villegagnon, a cattivarsi l'amicizia degl'indigeni e del celebre cacicco Ovirapire. Richiamati da questi pionieri, molti altri coloni vennero dalla Francia; e fra essi, con l'approvazione di Enrico IV, alcuni gentiluomini, come Daniele de Latouche, signore de la Ravardière, Nicola de Harley e altri, che fondarono, nel 1612, la città di São Luiz, capitale dell'attuale stato di Maranhão. Un tentativo di espulsione, compiuto nel 1614 da Girolamo de Albuquerque si chiuse con un armistizio, in seguito all'incerta battaglia di Guaxenduba. Ma nel successivo anno 1615, Alessandro de Moura riuscì a scacciare i Francesi dal Maranhão. Fu quindi decisa, per evitare nuove prese di possesso da parte di stranieri, la colonizzazione del Brasile dal Ceará al Pará, parte fin'allora trascurata. Essa, iniziata nel 1616, fu segnata dalla fondazione di Belém per opera di Francesco Caldeira Castello Branco. Il nuovo stato fu detto Maranhão, ed ebbe un governo separato da quello del Brasile propriamente detto: primo governatore, Francesco Coelho de Carvalho (1621).
Di ben maggiore importanza, per i molti episodî guerreschi di mare e di terra, per la durata dell'occupazione, e soprattutto per gli effetti morali, fu l'impresa olandese contro il Brasile. Fin dal 1602, si era creata in Olanda una Compagnia delle Indie orientali che aveva dato fieri colpi al commercio spagnolo con l'Asia. Nel 1621, stando per spirare l'armistizio tra Spagna e Olanda, fu istituita anche la Compagnia per le Indie occidentali, il cui "Consiglio dei 19" deliberò, nel 1623, di far occupare il Brasile settentrionale, iniziando le operazioni contro la Città del Salvatore (Bahia). L'anno seguente, una forte squadra, al comando dell'ammiraglio Giacomo Willekens, che aveva come secondo il valoroso Pietro Heyn, comparve innanzi a Bahia e l'occupò facilmente: ché la maggioranza degli abitanti, sembra per istigazione del vescovo Marco Teixeira, si era ritirata nell'interno. Il governo della città fu assunto dal colonnello Van Dorth che, per richiamare i fuggiaschi, fece, ma invano, grandi promesse di rispetto alla proprietà, di ampia libertà civile e religiosa, ecc. I Bahiani, invece, pentiti della loro ritirata e sentendo nascere nei loro petti un insospettato amor patrio, si raccolsero, organizzarono la resistenza e assediarono la perduta città. Erano alla loro testa lo stesso vescovo resipiscente (che partecipò attivamente, nonostante l'età avanzata, all'organizzazione, ma poco dopo soccombette alle fatiche) e i capi militari Lorenzo Cavalcanti e Antonio Cardoso de Barros. Gl'invasori di Bahia, intanto, avevano commesso l'errore di rimandare in patria gran parte della flotta, mentre il governatore Van Dorth era rimasto ucciso in singolare combattimento con il capitano Francesco Padilha.
Arrivata in Spagna la notizia di questi avvenimenti, Filippo IV ordinò che si apprestasse una forte squadra al comando di Fadrique de Toledo Osorio: di essa fecero parte anche quattro navi napoletane, al comando del marchese di Cropani, con un tercio levato nel viceregno di Napoli e guidato dal marchese di Torrecuso, Carlo Andrea Caracciolo, e da ufficiali che si erano già segnalati, o si segnaleranno, nelle guerre europee, come Giovan Vincenzo Sanfelice, Mario Landolfo, Muzio Origlia, Ettore Della Calce. La squadra ispano-portoghese giunse a Bahia alla fine di marzo 1625 e riuscì a porsi in comunicazione con le truppe assedianti. Gli Olandesi, guidati da Giovanni Ernesto Kijff, resistettero un mese, finché capitolarono, il 30 aprile, consegnando la città con tutto quanto conteneva di armi, munizioni e numerario. Negli attacchi, si erano distinti i Napoletani, e segnatamente il Sanfelice, che ebbe poi il titolo di conte di Bagnoli. Poco prima il vice-ammiraglio Heyn aveva fatto un inutile tentativo contro la capitaneria di Espirito Santo, venendo respinto dalle truppe di Salvatore Correa de Sá, che da Rio de Janeiro muovevano in soccorso di Bahia. Ma lo stesso Heyn, che era soprannominato "figlio delle acque", sia per il suo valore di marinaio, sia perché figliuolo d'una lavandaia, nel 1627 invase nuovamente Bahia, saccheggiandola e catturando 24 navi portoghesi. Gli Olandesi, che si erano assai scoraggiati per la perdita di Bahia, si rianimarono alla notizia del successo di Heyn e cominciarono a preparare una nuova spedizione, prendendo questa volta di mira la ricca Pernambuco, che, a dire dello scrittore fiammingo contemporaneo Commelyn, era "il paradiso terrestre del Brasile, e valeva bene un regno". La nuova flotta, comandata dall'ammiraglio Lonck, nel 1630 sbarcava al nord del Recife un corpo di 3000 uomini, comandati dal Weerdenburgh, che occuparono Olinda, e di lì a poco il Recife. Come già a Bahia, gli abitanti si sparpagliarono nell'interno; ma poi si raccolsero in una località detta Arraial do Bom Jesus, donde partivano le guerriglie a molestare gli Olandesi. Furono cinque anni di lotte alla spicciolata, alle quali parteciparono anche i Napoletani del Sanfelice, con qualche vantaggio degli Olandesi, che estesero e consolidarono il loro dominio al nord, fino al forte dei Re Magi, nel Rio Grande do Norte, e al sud, sino al fiume S. Francisco. Infine il capo della resistenza brasiliana, Mattia d'Albuquerque, stremato di forze e di mezzi, ordinò la grande ritirata verso il sud, ad Alagôas, dove, alla fine del 1638, sbarcava un corpo di 1700 Spagnoli, condotti da Luigi de Rojas y Borjas, mandato a sostituire l'Albuquerque. Il contingente spagnolo fu schiacciato nella battaglia della Matta redonda (1636), nella quale lasciò la vita lo stesso Rojas y Borjas, la cui successione fu presa dal Sanfelice di Bagnoli, che organizzò nuovamente il sistema delle guerriglie.
Intanto la Compagnia delle Indie occidentali, che fin'allora aveva profuso ingenti somme nelle imprese militari del Brasile, senza averne nessun serio corrispettivo commerciale, nominò un nuovo capo nella persona di Maurizio di Nassau, che già era celebrato per il valore guerresco, e che, nella nuova carica, dimostrò anche grandi capacità di amministratore. Egli giunse al Recife nel 1637, con il titolo di "governatore, capitano e ammiraglio generale"; e fino al '44, anno del suo ritorno in Olanda, esercitò una savia azione di governo, consolidando le frontiere, amministrando la giustizia con equità e guadagnando alla sua causa molti Indiani e parecchi Portoghesi. Qualche storico recente ha sollevato dubbî su queste benemerenze del principe Maurizio; ma noi dobbiamo giudicare in base ai concetti che della libertà e della giustizia si avevano nel sec. XVII. Si confronti poi la sia pur relativa tolleranza degli Olandesi verso i Brasiliani con la cieca intolleranza degli Spagnoli verso gli altri Americani del sud. Dal punto di vista militare, il governo di Maurizio fu segnalato dalla vittoria che l'ammiraglio Hujgens riportò a Bahia contro una poderosa flotta spagnola di 73 navi, comandata da Ferdinando Mascareñas, conte de la Torre, che a stento si salvò sopra una caravella. Per terra, affrontò il Bagnoli, che con le sue fazioni molestava continuamente i posti olandesi, lo sconfisse a Porto Calvo e lo obbligò a ritirarsi su Bahia. Di questo rovescio gli antichi cronisti portoghesi e spagnoli resero responsabile il Sanfelice, lieti di poter riversare su di uno straniero l'onta della sconfitta; ma la critica recente ha ristabilito la verità dei fatti ed ha riconosciuto al generale napoletano i meriti che gli competevano. È opportuno qui riferire le nobili parole del maggiore storico brasiliano, il visconte di Porto Seguro, F. A. Varnhagen: "Il maggior peccato del Bagnoli (siamo franchi) era di essere straniero per i Brasiliani e Portoghesi, e anche per gli Spagnoli. È tempo di essere più generosi con questo Italiano che, con pochi mezzi, tante volte espose la sua vita per la nostra patria" (Hist. geral do Brazil, I, 379). Al Bagnoli si deve, in ogni modo, per concorde testimonianza degli scrittori sincroni, sia di parte luso-spagnola, sia olandese, la salvezza di Bahia, nel 1638, dall'attacco di Maurizio di Nassau: splendida rivincita della ritirata di Pernambuco. E sotto il Bagnoli compirono i primi atti di valore tre capi, che diventeranno leggendari nella storia brasiliana: il bianco Vidal de Negreiros; il negro Enrico Dias, "capitano e governatore dei negri", che continuò le sue gesta pur dopo che si ebbe amputata una mano; e l'indiano Camarão, che combatteva seguito dalla moglie, la battagliera Clara. Erano i tre elementi della nazionalità brasiliana che si trovavano a combattere per una causa comune, obbedendo a quel sentimento di patria che nel Brasile, certamente, si fece strada assai prima che non nelle colonie spagnole.
Avvenuta la restaurazione del Portogallo (1640), cessava lo stato di guerra con l'Olanda; e il nuovo re, Giovanni IV, firmava un armistizio, durante il quale il Nassau proseguiva la sua opera di illuminata amministrazione, fornendo Pernambuco d'importanti opere architettoniche e idrauliche; chiamando dall'Europa illustri scienziati per lo studio della flora, della fauna e dei minerali di quella parte del Brasile; allargando la conquista a nord fino al Maranhão e a sud fino al fiume Sergipe.
Ma se, apparentemente, il governo portoghese riconosceva, in un certo senso, il dominio olandese sul Brasile, in segreto, invece, favoriva la rivolta dei Brasiliani contro gl'invasori, e preparava sia pure inconsciamente, le cause ideali della futura separazione del Brasile dal Portogallo. I funzionarî olandesi, succeduti a Maurizio di Nassau, del quale non avevano ereditato le preclare doti di governo, si alienarono presto gli animi dei nativi, con una troppo grave pressione fiscale, e contribuirono così, indirettamente, all'insurrezione, che si veniva preparando fin dal 1644, ad opera del Vidal de Negreiros e del ricco fazendeiro Giovanni Fernandes Vieira, e che scoppiò il 13 giugno 1645, aprendo un nuovo periodo di lotte, durato nove anni, con una serie di episodî gloriosi per i combattenti brasiliani (che si erano denominati independentes), culminati nelle due battaglie di Guarapes (19 aprile 1648 e 19 febbraio 1649) e terminati con il blocco e la resa del Recife (1653-54). Il trattato definitivo di pace con l'Olanda fu firmato, però, soltanto nel 1661 all'Aia, quando, sul trono portoghese, a Giovanni IV era succeduto Alfonso VI. Gli Olandesi ne ebbero parecchi vantaggi e privilegi di commercio e un indennizzo di 5 milioni di cruzados. Nei nove ultimi anni di guerra con gli Olandesi, i Brasiliani, nelle loro tre rappresentanze etniche, e sotto gli audaci capi dianzi ricordati, fecero prodigi di valore, animati anche dai gesuiti, fra cui un siciliano, Benedetto Amodei, fu benemerito consigliere dei capi portoghesi. Avvenne, nel nord del Brasile, ciò che, più di un secolo e mezzo dopo, doveva accadere sulle rive del Plata: la metropoli, non potendo farlo direttamente, aizzava contro gl'invasori stranieri i sudditi coloniali, senza pensare che in tal modo li rivelava a sé stessi, capaci di alte virtù militari, pensosi, quindi, dell'indipendenza. Giustizia vuole che qui si aggiunga come l'Olanda, impegnata nella guerra con l'Inghilterra, non potesse dopo il ritorno di Maurizio di Nassau, mantenere la conquista del Brasile con i necessarî mezzi di offesa e di difesa, e probabilmente, come in un trentennio di occupazione si fosse mostrata l'impossibilità di opporsi alla manifestata precisa volontà del paese.
In tutta la seconda metà del secolo XVII, si sviluppano i varî germi nati dai conflitti sociali e dalle guerre sopra ricordati. Il dissidio fra i coloni e i gesuiti si fa sempre più acuto; i paulisti si spingono fino a invadere le missioni del Paraguay; le camere municipali sono in perpetuo contrasto con i collegi della compagnia; nel Maranhão, come vedremo di qui a poco, la rivoluzione di Bekman espelle quei padri, ed a un certo punto è necessario l'intervento di Roma; il grande apostolo Antonio Vieira (1608-97) non riesce a conciliare gli opposti interessi. Questa situazione di permanente conflitto è meno grave nelle provincie del nord, dove, dopo la guerra olandese, si è operata una certa fusione. I pericoli corsi in comune, la gloria guadagnata sui campi di battaglia dai capi negri e indiani, a lato dei bianchi, hanno determinato comunanza di sentimenti e d'interessi; come pure, per le sventure sofferte e per le lotte sostenute in comune, le capitanerie finitime hanno abbandonato lo spirito di gretto particolarismo, intendendo l'importanza d'una più stretta unione e gettando le basi della federazione a venire. Altri conflitti, di natura economica, derivano dalla fondazione della Companhia geral do commercio, alla quale si è dovuta già la liberazione definitiva del territorio dagli Olandesi, ma si deve ora, anche, la instaurazione d'un severo regime monopolistico e fiscale, modellato su quello spagnolo con il sistema delle flotas y galeones, potendo viaggiare isolate solamente le navi con almeno 21 pezzi d'artiglieria. Gli effetti della compagnia sono immediati sull'economia domestica del Brasile, facendo elevare il costo dei generi di consumo, e suscitando proteste e reclami al re, specie da Bahia e da Rio de Janeiro. La compagnia viene abolita nel 1663 e sostituita con una Giunta del Commercio, incaricata di fissare i noli, disporre i viaggi delle flotte mercantili, fiscalizzare il legno brazil.
La coltura delle terre continuava intanto, nella parte meridionale della vasta colonia: ma senza eccessivo slancio. Invece qui si veniva mettendo in valore un elemento che dovrà trasformare radicalmente l'economia del Brasile: i metalli e le pietre preziose, le cui miniere venivano di mano in mano scoprendosi dalle ardimentose bandeiras pauliste, condotte dal Dias Paes, dal Castanho Taques, dal Pires de Linhares, dal Paes de Araujo. Quest'ultimo si spinse fino alle sorgenti del Tocantins, provocando conflitti giurisdizionali. Tutto ciò era indizio di vigorosa vita economica e sociale, se pure non ancora ben disciplinata. Certo la popolazione era in costante aumento, via via ingrossata anche dall'affluire e dal riprodursi degli schiavi africani. Con bolle del 1676 e 1677, venne creato il vescovato del Maranhão, suffraganeo di Lisbona; quello di Bahia elevato ad arcivescovato, con i suffraganei di Rio de Janeiro e Pernambuco. Fu ripristinato il tribunale Relação do Brazil. Rio de Janeiro ebbe un cantiere navale, costruito da un Sebastiano Lamberto, che iniziava la sua attività varando felicemente la fregata Madre de Deus. Nel 1679, infine, sulle rive del Plata fu creata la Colonia del Sacramento, fonte di tanti conflitti nella storia sudamericana (v. argentina).
Nel 1682, ripigliandosi il concetto dell'abolita Compagnia del commercio, venne creata la Companhia do commercio do Maranhão, che seminò, per le stesse ragioni che avevano reso invisa la sua progenitrice, un grande malcontento fra i colonizzatori e commercianti di quella regione: alla testa dei quali si pose l'opulento fazendeiro Emanuele Bekman, che, pur essendo di nascita portoghese, era imbevuto di quello spirito di autonomia caratteristico negli Europei emigrati nelle colonie. Insieme con 60 suoi partigiani e con l'appoggio dei francescani, naturali nemici dei gesuiti, egli sollevò, il 24 febbraio 1684, la popolazione di São Luiz: le autorità furono imprigionate, la guarnigione fece causa comune con i ribelli, i forti vennero occupati. Fu poi costituita una Junta dos tres estados, cioè della nobiltà, del clero e del popolo, la quale proclamò la decadenza delle antiche autorità, l'abolizione del monopolio e l'espulsione dei gesuiti. Il potere esecutivo fu affidato nelle mani di tre nobili e due "procuratori del popolo", uno dei quali era lo stesso Bekman. L'improvvisato governo visse stentatamente un anno, finché (1685) fu disciolto, tra l'indifferenza degli ex-rivoltosi, da una spedizione comandata dal Gomes Freire. La reazione fu mite, salvo la condanna a morte del Bekman e d'un suo complice, Giorgio de Sampaio. I gesuiti rioccuparono subito le loro case; ma la Compagnia commerciale fu di lì a poco abolita.
Avvenimenti di varia importanza, tra il finire del sec. XVII e il sorgere del XVIII, segnarono la vita della vasta regione. Verso la fine del '600, fa la sua apparizione sulle coste del Brasile la terribile epidemia detta febbre gialla. Contemporaneamente si ebbe una forte crisi monetaria e di popolazione. Dal 1687 al 1699 a stento fu evitata la seria minaccia degl'Indiani del Rio Grande do Norte e del Maranhão. Preoccupazioni non meno gravi destarono circa 10.000 schiavi negri che, al tempo degli Olandesi, si erano ritirati nei Palmares, località dell'attuale stato di Alagôas, e vi si erano costituiti in una specie di repubblica detta quilombo, creando uno stato nello stato e commettendo continui atti di brigantaggio. Dopo vani tentativi per disperderli, l'impresa fu assunta dai bandeirantes paulistí, che, finalmente, nel 1697, cacciarono dai Palmares i negri, nonostante le prove loro d'eroismo e di spirito di sacrificio. Né i paulisti tralasciavano le loro audaci imprese: oltre alla scoperta dell'oro essi tentarono nuovamente l'invasione delle colonie dei gesuiti spagnoli: ma l'impresa finì male, con l'uccisione dei capi bandeirantes Frias e Ferraz. Cominciano infine le querele diplomatiche e i conflitti militari, fra Spagna e Portogallo, circa il possesso della Colonia del Sacramento.
Intanto, un singolare conflitto di classi e d' interessi, e in un certo senso anche di razze, si veniva manifestando nell'antica e ricca capitaneria di Pernambuco, dove gli abitanti di Olinda, che rappresentavano l'aristocrazia locale ed erano detti senhores de engenho, perché tutti proprietarî di raffinerie di zucchero, si erano messi in urto con quelli del Recife, sobborgo marittimo, i quali erano tutti negozianti portoghesi, detti dispregiativamente mascates. Da un doppio motivo era nata questa sorda antipatia: prima, dal fatto che Olinda, dopo la partenza degli Olandesi, decadeva rapidamente, mentre Recife diventava sempre più prospera; poi, dalla dipendenza economica dai mascates dei senhores de engenho, i quali, per mantenere il loro lusso sfrenato, erano costretti a ricorrere a prestiti usurarî dagli aborriti Portoghesi. Il conflitto divenne acuto quando Recife, per le continue suppliche dei mascates, venne, nel 1710, elevata al rango di città, sorgendo nella sua piazza centrale il piloro (berlina), simboleggiante l'autorità e la giustizia. Gli abitanti di Olinda protestarono altezzosamente presso il governatore, che dovette farne arrestare taluni, fra cui un membro della potente e prepotente famiglia dei Bezerras, e ordinò il disarmo generale. La nobiltà, per la quale parteggiava il vescovo, non si diede per vinta; organizzò un attentato contro il governatore, rifiutò di consegnare un supposto colpevole e, capeggiando una moltitudine di 20.000 persone, cinse d'assedio la nuova città del Recife vi penetrò senza colpo ferire e abbatté il piloro. Il governatore, impotente a fronteggiare la rivolta, si era già imbarcato per Bahia, seguito dai principali mercanti portoghesi. I vincitori erano divisi in due partiti: uno moderato, che propugnava doversi affidare il governo provvisorio al vescovo; e uno estremista e autonomista che, inspirandosi al modello dell'amministrazione olandese, proponeva una repubblica. I due partiti si alternarono, con vicende varie alle quali partecipò il celebre negriero Bernardo Vieira de Mello, nel governo della capitaneria ribelle, fino a quando le idee moderate finirono col prevalere. E nel 1711 il nuovo governatore, mandato da Lisbona, poté facilmente ristabilire l'ordine e la calma, limitandosi all'arresto e alla deportazione dei più accesi. Il Recife riebbe allora la sua dignità di municipio. La rivolta contro i mascates non ha propriamente la fisionomia d'una lotta di nazionalità, trattandosi semplicemente di gelosie municipali e di astio di debitori contro i creditori: tuttavia essa, insieme con quella di Bekman, comincia a scavare un profondo abisso tra i Portoghesi e i figli della terra brasiliana. Ne vedremo subito un altro esempio.
Avutasi, nel 1694, la prima notizia di scoperta dell'oro nella zona che fin da allora cominciò a chiamarsi Minas, cominciarono subito le spedizioni per lo sfruttamento del prezioso metallo. Le prime tracce del quale si trovarono a Itaberaba; venendo a luce poi, le miniere dette Ouro branco e Ouro preto, che furono fonte di inesauribile ricchezza; e quelle del Rio das mortes, di S. João d'El-Rei ecc. L'emigrazione verso i distretti minerarî, come può agevolmente immaginarsi, fu imponente, nonostante le restrizioni poste dal governo centrale, che cominciava a seriamente legiferare in materia di miniere. Insieme con gli avventurosi paulisti, primi scopritori di quelle sorgenti di ricchezza, affluivano anche i Portoghesi, chiamati sdegnosamente "forestieri" o emboabas. E fra essi, erano risse continue, vendette personali, imboscate, delitti d'ogni sorta; insomma, un'anarchia che si propagò rapidamente da Caeté al Rio das velhas. Sul principio, gli emboabas ebbero la peggio; ma poi, cresciuti di numero, si raccolsero sotto un capo animoso, Emanuele Nunes Vianna, che organizzò la resistenza, sopraffece al Rio das mortes i paulisti, e tenne testa al governatore Ferdinando de Lencastre, che, venuto da Rio de Janeiro a ristabilire l'ordine, fu costretto a ritornare indietro. I "forestieri", dunque, trionfavano sui paulisti, guidati dal loro valoroso conterraneo Amador Bueno. Ma poi le cose andarono a mano a mano placandosi: riscattata dalla Corona, fu creata la capitaneria di S. Paulo e Minas, poi Minas Geraes (1720). Anche in questa contesa, il vero motivo era la cupidigia dell'oro; ma in essa bisogna egualmente vedere la manifestazione di un tenace spirito d'autonomia e poi d'indipendenza.
Al principio del '700 si ebbe un'altra apparizione dei Francesi nella baia di Rio de Janeiro. Il capitano Du Clerc approdò, con sei navi, a Guaratiba, e vi sbarcò 1000 uomini che, dopo sette giorni di marcia tra i boschi e le montagne, e superata l'eroica resistenza opposta da un pugno di studenti guidati da Bento do Amaral Gurgel, penetrarono nella città. Il maestro di campo Gregorio de Moraes, con gli studenti suddetti, organizzò la resistenza e riuscì a circondare i Francesi, che dovettero arrendersi e furono poi in gran parte massacrati dal popolaccio (1710-11). A far vendetta dei connazionali apparve dinnanzi a Rio, il 12 settembre 1711, una più potente squadra francese, composta da 16 navi, con circa 4000 uomini e 738 pezzi d'artiglieria, sotto il comando dell'illustre Du Guay Trouin. Per la debolezza del governatore, che non seppe neanche approfittare del rinforzo di 3000 uomini mandato da Minas Geraes, la città fu occupata e saccheggiata dai Francesi, i quali poi l'abbandonarono solo dopo ottenuto un riscatto di 600.000 cruzados e l'approvvigionamento della flotta; a non contare il grosso bottino.
Nel corso del sec. XVIII si accentua il movimento ascensionale del Brasile. Col 1714, esso è innalzato a viceregno, continuando Bahia ad essere la capitale, fino al 1763, quando essa è trasferita a Rio de Janeiro, più vicina al teatro della guerra nel sud. Non mancarono turbamenti alla vita del paese. In seguito al trattato di Utrecht (1715), la famosa Colonia del Sacramento era rimasta al Brasile; ma, nel 1735, veniva assediata dal governatore di Buenos Aires, Michele de Salcedo, e solo dopo due anni poteva essere liberata. Il successivo trattato di Madrid (1750) stabiliva la cessione della Colonia alla Spagna, che, in cambio, cedeva al Portogallo il territorio di Misiones, così detto dalle missioni ivi stabilite dai gesuiti spagnoli, e formate da indiani guarani. Ma questi, per l'inveterato odio contro i Brasiliani, e specialmente contro i paulisti, si opposero all'esecuzione del trattato, e respinsero vittoriosamente le truppe che guarnivano la frontiera. Il trattato fu poi annullato; ma più tardi il tentativo contro Sacramento fu ripreso da Pietro de Cevallos (v. argentina).
Tuttavia, queste guerre, e le connesse laboriose discussioni per i confini, non impedivano il cammino del viceregno. La ricerca dell'oro aveva procurato la scoperta delle sorgenti dei fiumi Madeira e Paraguay e allargato l'espansione nell'interno e il relativo incivilimento. L'oro non si esportava più grezzo; ma a Minas s'impiantavano stabilimenti, dove il prezioso metallo veniva fuso e bollato. Nel 1729 Bernardo da Fonseca Lobo aveva scoperto ricchissimi distretti diamantiferi nel nord di Minas. E Jaraguá divenne il centro di questa nuova fonte di proventi per la Corona che ne prese il monopolio, aggiungendolo a quelli, che già deteneva, del sale, del brazil e del tabacco. Si calcola che, dal 1730 al 1770, venissero estratti diamanti per 5 milioni di carati. La febbre dell'oro non andava a danno dell'agricoltura e delle industrie connesse alla terra, massima ricchezza del Brasile. Anche il governo mostrava di interessarsene, quando iniziò una serie di riforme circa la proprietà delle terre, ponendo alcuni limiti alla concessione delle sesmarias, disponendo la devoluzione delle terre incolte, imponendo un tributo: grave colpo a quei grandi proprietarî che accrescevano il loro possesso fondiario non per metterlo a coltura ma per vanità. Si cominciò anche a guardare con occhi meno ostili l'immigrazione di coloni europei. Al tempo spagnolo, le leggi contro gli stranieri erano state durissime: quella di Filippo III (1605) proibiva ad essi, sotto pena anche capitale, di possedere beni nel Brasile, di farvi atti di commercio, e perfino di stabilirvisi. In un certo momento, la proibizione fu estesa agli stessi regnicoli portoghesi. Ma, a metà del '700, dietro la ricognizione dei nuovi territorî e la creazione delle nuove capitanerie, che altrimenti sarebbero rimaste abbandonate e incolte, sorse l'opportunità di favorire l'introduzione della mano d'opera europea; ed essa ebbe principio nel 1747, con 400 famiglie provenienti dalle Azzorre e da Madeira. Le nuove capitanerie erano Minas, distaccata da S. Paulo; Rio Grande do Sul, la cui colonizzazione cominciò nel 1737; S. Catharina, Goyaz e Cuyabá o Matto Grosso. Furono anche creati i nuovi vescovati di S. Paulo, Marianna e Pará. Il potere centrale rimaneva nelle mani del governatore generale, che era il delegato diretto del re e aveva la piena autorità sugli altri governatori e capitani maggiori; ma il potere giudiziario rimaneva affatto indipendente. Ai governatori e altri funzionarî di giustizia e di finanza era severamente proibito di esercitare il commercio nelle colonie: osservata sul principio con grande scrupolo, questa savia disposizione cominciò ad essere sistematicamente trasgredita nel sec. XVIII.
Per la produzione agricola di quel tempo si ha una preziosa fonte statistica nel libro Coltura e opulencia do Brazil (1711), di un misterioso padre Antonil, che poi è risultato essere il gesuita toscano G. A. Andreoni (v.). Per gli anni successivi, la statistica è assai più facile, data l'abbondanza dei documenti. Al tempo dell'Andreoni, esistevano 1500 raffinerie di zucchero, che producevano oltre 1.300.000 arrobas, per un valore di 6.000.000 e più di cruzados. Nella produzione Bahia aveva preso il primo posto, mentre Pernambuco era discesa al secondo; al terzo era Rio de Janeiro, in costante progresso. Nella stessa Bahia e in Alagôas, prosperava la coltura del tabacco (monopolio reale). In quasi tutte le capitanerie, dove più dove meno, vi erano allevamenti di bestiame; altre industrie redditizie erano l'esportazione del legno brazil, l'estrazione del salnitro e la pesca della balena. Si sfruttavano il pepe e la cannella; nel Maranhão, si mettevano in valore la vainiglia, il cacao, il garofano. Nel Pará si era cominciata la coltivazione del caffè, portatovi dalla Guiana, e nel 1749, si calcolava che ve ne fossero 17.000 piante.
Le condizioni culturali della colonia, erano certamente migliori che non nella restante America meridionale: mancavano ancora università, e i figli del paese, per completare gli studî, si recavano in Portogallo; ma l'istruzione primaria e media, nelle mani dei gesuiti, dava buoni risultati e gettava le basi d'una tradizione, in seguito non mai dismessa, di amore per gli studî classici. Nel 1724, si fondava, a Bahia, la prima accademia, detta degli Esquecidos (Dimenticati); nel 1747, cioè mezzo secolo prima che a Buenos Aires, funzionava a Rio de Janeiro una stamperia. Con l'amore alle lettere, si aveva anche una notevole attività nel campo della storiografia; la musica era largamente coltivata; architetti e pittori concorrevano all'accrescimento e abbellimento degli edifici sacri delle maggiori città. Fra i più noti pittori di quel tempo, incontriamo un Italiano, Giovan Francesco Muzzi. Anche le scienze, specialmente se applicate alla mineralogia e metallurgia, erano molto in onore: già dalla fine del '600, era stata fondata, a Bahia, una scuola d'artiglieria e ingegneria militare. Fra gli scienziati brasiliani del tempo, conviene ricordare il padre Bartolomeo Lorenzo de Gusmão (1685-1724), precursore della navigazione aerea. In tutto questo, molte benemerenze si acquistarono i gesuiti: ciò che tuttavia non li salvò dalle leggi di Pombal (1758), che ne ordinò l'espulsione (3 settembre 1759).
Durante il regno di Giuseppe I (1750-1777), cioè sotto la dittatura di Pombal, nel Brasile furono attuate importanti riforme politiche ed economiche: il riscatto delle ultime capitanerie ancora in possesso dei concessionarî; il ripristino della Companhia de commercio do Grão Pará e Maranhão (poi nuovamente abolita); la restaurazione in Minas del quinto dell'oro, invece dell'ingrata "capitazione", ora abolita; l'impulso alle nuove coltivazioni (p. es. del riso); alcuni aiuti alla navigazione. Fu ordinata la raccolta di tutte le leggi relative al Brasile; Rio de Janeiro, divenuta capitale, ebbe anch'essa il tribunale della Relação; furono create le Giunte di Giustizia, piccoli tribunali di provincia, con procedura sommaria, investiti specialmente del compito di accogliere i ricorsi contro gli abusi del clero. In tutto lo stato, poi, si organizzarono ed eseguirono importanti esplorazioni, a scopo strettamente scientifico: ad esempio, i viaggi del dott. Alessandro Rodrigues Ferreira. Con il trattato di S. Idelfonso (1777), finalmente, veniva chiusa la secolare contesa per la Colonia del Sacramento, che rimaneva alla Spagna. Ma, sotto la regina Maria I, venuto meno lo spirito riformatore impersonato dal Pomhal, cominciarono a porsi nuove restrizioni, generatrici di grande malcontento nella lontana colonia: così un alvará del 1785, con il pretesto di non sottrarre braccia all'agricoltura, ma in realtà per favorire la metropoli, proibiva qualsiasi manifattura d'oro, argento, seta, lino, lana, ecc., permettendo soltanto i tessuti grossolani di cotone. Alla fine del sec. XVIII, secondo i calcoli del Santa Apollonia, il Brasile contava 3.248.000 abitanti, così suddivisi: 1.010.000 Bianchi, 250.000 Indiani, 406.000 liberti e 1.582.000 schiavi, dei quali 1.361.000 erano Negri e 221.000 Mulatti.
Ma più che la nuova stretta di freni, del resto assai passeggiera, furono forse le idee del principe riformatore e del suo ministro che determinarono i primi moti dello spirito d'indipendenza nel Brasile. Concedendo il Pombal grandi agevolazioni ai giovani brasiliani che venivano a studiare nelle università portoghesi, li metteva in contatto diretto con la civiltà europea, li faceva entrare nella tumultuosa corrente delle nuove idee, che dovevano rapidamente fruttificare. Un nucleo di studenti brasiliani a Coimbra, una dozzina, tenevano frequenti conciliaboli, vagheggiando l'indipendenza del proprio paese e studiando i mezzi per attuarla. Altri tre studenti di medicina a Montpellier, Domenico Vidal Barbosa, Giuseppe Mariano Leal e Giuseppe Gioacchino da Silva, infatuati della rivoluzione nordamericana, si proponevano di imitarla nel Brasile e all'uopo il Maia si abboccò, a Nîmes, con Jefferson, ministro americano a Parigi. In pari tempo, il conte d'Aranda formulava il progetto della Unione Iberica, comprendente Spagna e Portogallo sotto la dinastia borbonica, mentre i Braganza avrebbero occupato il trono di un enorme regno dall'Atlantico al Pacifico, comprendente il Brasile, il Perù e il Chile. Gli studenti di Montpellier, ora ricordati, decisero di far ritorno al Brasile, per propagarvi le loro idee; ma il Maia morì a Lisbona, prima d'imbarcarsi, e il solo Barbosa raggiunse la nativa provincia di Minas, in quell'epoca assai vessata dal governatore Luigi da Cunha Meneses e fremente per la minaccia della derrama dell'oro, cioè riscossione delle tasse arretrate su quel metallo. Conviene qui aggiungere che, sul finire del sec. XVIII, le miniere erano in grande decadenza e assai ne soffrivano le popolazioni: basti dire che la città di Villa Rica, già opulentissima, cominciò a chiamarsi, per scherno, Villa Pobre. Il germe introdotto dal Barbosa, dagli studenti reduci da Coimbra e dal dott. Giuseppe Alves Maciel, proveniente dall'Inghilterra, trovato il terreno favorevole, non mancò di produrre i suoi frutti, con quella che fu detta "cospirazione mineira" (Inconfidencia), notevole soprattutto per la qualità dei congiurati. Erano alla testa di essa il poeta Ignazio Giuseppe de Alvarenga Peixoto che, in attesa della rivoluzione, ne andava preparando accuratamente le leggi e la bandiera, con il motto: Libertas quae sera tamen; l'altro poeta Claudio Emanuele da Costa, tutto imbevuto di cultura europea (nella raccolta delle sue liriche si trovano alcune Poesie toscane, di imitazione metastasiana, scritte direttamente in italiano); un terzo poeta, il celebre Tomaso Antonio de Gonzaga, autore della Marilia de Dirceu; l'ecclesiastico Carlo Correa de Toledo; il colonnello Francesco di Paola Freire de Andrada, comandante il reggimento di linea di Villa Rica, e altre personalità della magistratura e del foro, dell'ordine clericale e dell'esercito. Sopra tutti entusiasta e attivo, e animato da una fede quasi religiosa, era l'alfiere Gioacchino Giuseppe da Silva Xavier, soprannominato Tiradentes, che fu inviato a Rio de Janeiro per farvi proseliti e raccogliervi armi. Prima però che scoppiasse, la congiura venne denunciata da tre alti ulficiali: il colonnello dos Reis, il tenente colonnello de Brito Malheiro e il maestro di campo Correa Pamplona. Il nuovo governatore di Minas, visconte di Barbacena, avute nelle mani le fila del complotto, fece arrestare tutti i cospiratori; il poeta da Costa si suicidò nel carcere; altri sette furono condannati alla pena di morte, che poi la regina Maria commutò nella deportazione. Il solo Tiradentes fu giustiziato (21 aprile 1792) e il cadavere ne fu squartato e messo in vista nelle strade più battute della capitaneria.
Represso più sanguinosamente, con quattro condanne capitali, fu un disordinato e ingenuo movimento, ispirato dalla rivoluzione francese e verificatosi a Bahia nel 1798. I cospiratori erano una quarantina, quasi tutti liberti mulatti e schiavi negri, capeggiati dal sarto João de Deus do Nascimento e dai soldati Luca Dantas e Luiz Gonzaga das Virgens, che propugnavano libertà e uguaglianza, e quindi l'abolizione della schiavitù. Ben altro affidamento, per la prossima emancipazione, davano alcuni illuminati patrioti, che, fra la fine del sec. XVIII e il principio del XIX, cominciavano a considerare la questione del Brasile come una serie di problemi economici, politici e morali, da risolversi partitamente. Più moderati, fra essi, il bahiano Giuseppe da Silva Lisboa, poi visconte di Cayrú, educatosi sul modello di Say e di Burke, che propugnava i porti franchi, e il vescovo Azeredo Coutinho, avversario dei monopolî del sale e della pesca della balena, che furono poi, difatti, aboliti (1801). Idee più nettamente liberali predicava, dal Correio brasiliense, Ippolito Giuseppe da Costa. Ma è curioso notare che in tutti era comune il principio del mantenimento della schiavitù, considerata come un male necessario.
La raffica napoleonica scacciava dal Portogallo, com'è noto, il reggente Don Giovanni, che, accompagnato dalla madre, la regina pazza Maria I, dalla moglie Carlotta Gioacchina, sorella di Ferdinando VII, dai figli e da un numeroso seguito di nobili e di funzionarî, salpava dal Tago per il Brasile, il 29 novembre 1807, con una flotta di 20 navi, sulle quali era anche caricato gran parte del tesoro reale. Quasi contemporaneamente, il corpo d'esercito di Junot occupava Lisbona, dove era rimasto un consiglio di reggenza, sotto la protezione dell'Inghilterra. Don Giovanni scontava, in tal modo, la sua troppo supina dedizione alla politica britannica; ma il Brasile riceveva dalla presenza del reggente una forte spinta all'indipendenza e allo sviluppo economico, sociale e intellettuale. Fino ad ora, esso, a parte la poca autonomia, rimaneva pur sempre una colonia, vasta e ricca quanto si voglia, ma vassalla della metropoli. Decadute le miniere, come si è detto, l'agricoltura aveva ripreso il sopravvento, e l'esportazione dei prodotti era considerevolmente aumentata. Nei primi anni del secolo, il Brasile esportava annualmente 100.000 sacchi di riso, 70.000 sacchi di cotone, 44.000 casse di zucchero, 800.000 arrobas di cacao, 90.000 arrobas di caffè (quasi tutte dal Pará, ché appena cominciava la coltivazione a Rio e a S. Paolo), 240.000 pelli bovine, 5600 arrobas d'indaco, e prodotti minori. La coltivazione della mandioca, di legumi e granaglie bastava appena al consumo locale. Sennonché di questa prosperità poco beneficiavano i produttori e i commercianti, a causa delle tante leggi fiscali, applicate a proprio vantaggio dai funzionarî e dalle commissioni incaricate di farle rispettare. Con l'arrivo di don Giovanni a Bahia, il 23 gennaio 1808, a Rio de Janeiro il 7 marzo, la posizione del Brasile cambiò come per incanto. Già al suo sbarco nella capitale, la folla inneggiava al reggente, come all'"imperatore del Brasile". E il Brasile, difatti, che fin'allora, secondo l'espressione del Handelmann, rappresentava una unità solamente geografica formata da provincie l'una all'altra estranea, si apprestava, con la fusione di queste, a essere una reale unità politica. Don Giovanni si può quindi considerare, a giusta ragione, il vero fondatore della nazionalità brasiliana. Egli era fondamentalmente buono, intelligente, fautore della cultura, ma debole, indeciso, impressionabile, eccessivamente portato alle pratiche religiose, dominato dagli elementi inglesi, impersonati da lord Strangford e da quei nobili portoghesi che erano imbevuti di anglofilia. Ciò non poteva non determinare un certo attrito fra i Brasiliani e i Portoghesi, che occupavano tutte le più alte cariche; sebbene don Giovanni non trascurasse di cattivarsi la benevolenza dei figli del paese con larghe distribuzioni di titoli e onorificenze. Fu detto che Don Giovanni conferì più insegne cavalleresche stando nel Brasile, che non tutti insieme i re di Braganza che lo avevano preceduto. Dal 1808 al 1817, Rio de Janeiro salì da 50.000 a 110.000 abitanti: e nell'aumento debbono calcolarsi almeno un 20.000 Portoghesi, fra nobili, funzionarî, avventurieri, parassiti, che avevano seguito o raggiunsero il reggente nel Brasile. Si calcola che il mantenimento di questo esercito di cortigiani costasse annualmente 6.000.000 di cruzados, assorbendo la miglior parte delle entrate. E poiché beneficiati da questo sperpero erano quasi esclusivamente i Portoghesi, è chiaro che sarebbe stata follia pensare a una vera e intima fusione fra l'elemento brasiliano e quello lusitano. Ma, sia pure indirettamente, i Brasiliani cominciarono subito a cogliere alcuni vantaggi dalla nuova situazione. Stando ancora a Bahia, il 28 gennaio 1808, Don Giovanni emanava un decreto che apriva i porti al commercio diretto delle nazioni amiche. Tale misura, suggerita dai consiglieri inglesi e rispondente alle teorie instancabilmente predicate dal Silva Lisboa, favoriva in special modo la marina mercantile britannica; ma è evidente che ne ricavavano grande utilità anche la produzione e il commercio brasiliani. I prezzi dei generi del Brasile si elevarono considerevolmente sui mercati europei: specie il cotone, il riso e il tabacco, che vide quintuplicato il suo valore. Lo stesso si può dire per il successivo decreto 10 aprile 1808, che concedeva la più ampia libertà d'industria.
Fino al 1812 le varie provvidenze governative risentirono l'influenza del primo ministro di Don Giovanni, il conte de Linhares, che senza dubbio dotò il Brasile di savie e durevoli istituzioni, pur senza mai dimenticare che la metropoli era il Portogallo e nulla fece che potesse menomarne la supremazia. Insomma, progresso del Brasile, egli voleva, ma dipendenza politica dal piccolo stato europeo. Perciò al Linhares - a ciò istigato dallo Strangford e dal ministro spagnolo Casa Irujo - si deve l'istituzione d'un ben organizzato corpo di polizia, incaricato non solo di reprimere la delinquenza comune, ma anche di sorvegliare attentamente gli stranieri, specie quelli arrivati su navi francesi e nordamericane, temendosi l'introduzione di pericolose idee democratiche. Fino all'arrivo di Don Giovanni, il Brasile aveva avuto, come maggiori istituti d'istruzione, i due seminarî, entrambi a Rio de Janeiro, di S. Gioacchino e di S. Giuseppe, nei quali, da professori esclusivamente ecclesiastici, s'insegnavano latino, greco, francese, inglese, rettorica, geografia, matematica, filosofia e teologia. Nel periodo del ministero Linhares, cioè fino al 1812, anno di morte di quel ministro, si moltiplicarono le scuole superiori e gl'istituti di cultura. Negli ospedali militari di Bahia e di Rio de Janeiro, furono creati corsi quinquennali di chirurgia; nel 1809, fu fondata l'Accademia dei guardiamarina, con annesso osservatorio astronomico, e nel 1811 l'Accademia militare, che fu quasi un Politecnico per la vastità e varietà degl'insegnamenti tecnici; nello stesso 1811, l'Aula de commercio, che fu frequentatissima, nella quale insegnò economia politica il Silva Lisboa. Anche del 1811 è il decreto di esenzione dal reclutamento militare degli studenti iscritti nelle scuole pubbliche e in quella privata del padre de Figueiredo Moura. Soltanto non fu possibile fondare l'università, per la tenace opposizione dell'elemento portoghese, che si preoccupava della sorte del glorioso ateneo di Coimbra. Si ebbero anche, in quel torno, l'Accademia di belle arti, con insegnanti fatti venire dalla Francia; il Museo di storia naturale, il Giardino botanico, la Biblioteca pubblica di Bahia, aperta nel 1811; la Biblioteca reale di Rio de Janeiro, inaugurata nel 1814 con un fondo di 60.000 volumi; la stamperia reale; un nuovo teatro. Il favore concesso alle industrie e al commercio si manifestò con la fondazione del Banco del Brasile, delle ferriere di Ipanema, d'una fabbrica di polvere diretta dal piemontese Napione, ecc. Anche la stampa periodica prese il suo abbrivo. Il ricordato Correio braziliense (1808-1822) si stampava a Londra; ma nel 1808, iniziava le pubblicazioni la ufficiosa Gazeta do Rio de Janeiro, e nel 1811, a Bahia, A edade de ouro. Dal 1813 al 1814, si pubblicò O Patriota, rivista letteraria, politica e commerciale, a cui collaborarono i migliori ingegni del tempo, come José Bonifacio, Silvestre Pinheiro Ferreira, ecc.
Naturalmente, v'è anche il rovescio della medaglia; cioè la pessima amministrazione finanziaria e l'incredibile corruzione, che si andò rapidamente propagando in tutti gli uffici pubblici, specie dopo che, nel 1815, il Brasile fu elevato a regno e il reggente prese il titolo di Giovanni VI. La pressione fiscale era necessaria sia per mantenere la sterminata corte (nonostante il re, personalmente, fosse parsimonioso), sia per fronteggiare le spese degli eserciti in campagna; giacché Don Giovanni, obbedendo alle suggestioni della moglie Carlotta Gioacchina, che carezzava piani grandiosi, si lasciò trascinare a imprese guerresche. Si ebbe così, nel 1809, la conquista della Guiana francese, poi restituita a Luigi XVIII nel 1817; così, la conquista della Banda Oriental (Uruguay), che costò moltissimo all'erario e non ebbe risultato durevole. Dopo qualche anno di residenza della corte a Rio, la condizione delle finanze era disastrosa, il tesoro esaurito, tentati tutti i mezzi per smungere i contribuenti. Il cittadino brasiliano, in quegli anni, oltre la decima tradizionale sui prodotti dell'agricoltura, della pecuaria e della pesca, e i diritti doganall d'entrata e d'uscita, pagava il "sussidio nazionale" o "reale", levato su carne fresca, pellami, acquavite e lana; il "sussidio letterario", per il mantenimento dei maestri, levato sul bestiame macellato e sull'alcool; l'imposta a beneficio del Banco del Brasile sui negozianti, eccettuati solo i barbieri e i calzolai; la tassa suntuaria sulle vetture padronali; tassa sulle raffinerie; decima sulla rendita degl'immobili; altra decima sulla vendita dei medesimi; mezza decima sulla vendita degli schiavi; ritenuta del 10% sugli stipendî degl'impiegati governativi; diritti di bollo, patenti, cancelleria, posta, sale, ancoraggio, ecc.; e tutto ciò, senza contare le imposte particolari delle diverse località. La rendita pubblica, con tali espedienti, era stata portata da 2.258 "contos", qual era nel 1808, a 9.715 "contos" nel 1820: cioè più che quadruplicata. Le spese, in proporzione, dovendo notarsi l'incredibile aumento di quelle per la casa reale, pensioni di favore, ecc. Eppure, la pressione fiscale avrebbe potuto essere alleggerita, solo che le riscossioni doganali fossero state fatte con avvedutezza e con onestà; ma qui regnava, come negli altri uffici, la più grande corruttela, e il contrabbando si sviluppava su vasta scala, con la complicità dei funzionarî. Basti dire che un posto nell'amministrazione delle finanze, che legalmente avrebbe dovuto rendere 6000 franchi, veniva subappaltato per 40.000. Questa curée non poteva non suscitare un generale malcontento, anche per i favoritismi di cui apertamente beneficiavano i commercianti inglesi, che pagavano in dogana l'8 o il 10%, invece del 16%. A Rio, in ogni modo, vi era il compenso della presenza della corte, che qualche vantaggio pur dava; ma nel nord, che si era veduto spodestato dalla sua tradizionale supremazia, il vento di fronda spirava assai più forte. Sembra, anzi, che una delle molte ragioni che portarono alla elevazione del Brasile a regno - idea suggerita da Talleyrand al conte di Palmella - fosse appunto di calmare gli spiriti ribelli delle capitanerie del nord. Il che non impedì, come ora vedremo, la rivoluzione del 1817. Né, a parte le provvidenze sopra ricordate, e che giovavano quasi tutte alla sola capitale, si ebbero opere pubbliche veramente importanti e tentativi serî per favorire lo sviluppo agricolo del paese. Vero è che nel 1808 si era permessa la concessione di sesmarias agli stranieri; vero è che, in previsione dei risultati della grande lotta che l'Inghilterra cominciava a impegnare contro la schiavitù, il conte de Linhares aveva fatto un tentativo di colonizzazione cinese; vero è che, posteriormente, si fece venire dalle Due Sicilie qualche centinaio di condannati; vero è che si tentò l'esperimento di colonizzazione svizzera, con la fondazione di "Nova Friburgo". Ma furono tutti sforzi di poca importanza; e bisognò aspettare il regno di Pedro I per avere le esperienze serie di immigrazione e colonizzazione. Né, sotto Giovanni VI, fu risoluto soddisfacentemente il secolare problema degl'Indiani.
Gli effetti del grave malcontento serpeggiante nel nord si ebbero con la rivoluzione scoppiata a Pernambuco nel marzo del 1817. Dandone notizia, il Correio braziliense ne ricercava le cause nelle "pesanti contribuzioni ed eccessive coscrizioni", a causa della conquista della "Banda Oriental", "nella quale il popolo del Brasile non solo non ha parte, ma la giudica contraria ai proprî interessi". Meglio coglieva il vero il capitano-generale di Pernambuco, Gaetano Pinto de Miranda Montenegro, quando la spiegava con "la zizzania fra i Brasiliani e i Portoghesi, questi accusati di monopolizzare i migliori impieghi civili e militari, i maggiori proventi e tutto il meglio della terra". Fu, insomma, un'altra rivoluzione nativista, come quelle provocate dai mascates e dagli emboabas. Principale promotore ne fu il bahiano Domenico Martins, educatosi in Inghilterra e stabilitosi a Pernambuco, dove si era fatto banditore delle idee liberali nell'elemento militare. Le cose erano giunte a tal punto che il capitano-generale Gaetano Pinto, d'accordo con gli ufficiali superiori portoghesi, ordinò l'arresto del Martins e degli ufficiali maggiormente compromessi. I quali arresti furono effettuati senza disordini, sennonché il brigadiere Barbosa, portoghese, rimproverando gli ufficiali brasiliani di nascita, ebbe a chiamarli traditori, onde fu aggredito e ammazzato dal capitano Giuseppe de Barros Lima, soprannominato Leone coronato. Questa fu la scintilla che fece scoppiare furiosamente la rivolta nel Nord, mentre le provincie del centro si mantenevano fedeli e fornivano volontarî. Il capitano generale, che era un mite uomo di legge, non seppe opporre la necessaria resistenza, capitolò e partì per Rio de Janeiro. I rivoluzionarî vittoriosi organizzarono un governo provvisorio, con il prete Giovanni Ribeiro Pessoa, uomo di indiscussa probità, governatore; il padre Miguelinho (Michele Gioacchino de Almeida), ministro degl'Interni; il capitano d'artiglieria Domenico Teotonio Jorge, comandante delle armi; Giuseppe Luigi de Mendonça e il Martins. Fu subito decretato un aumento di soldo alle truppe e promozioni agli ufficiali e graduati, e furono abolite alcune imposte. La rivoluzione si propagò rapidamente a Rio Grande do Norte, Parahyba e Alagôas. Ma il seminarista Giuseppe Martiniano de Alencar, mandato a far proseliti nel Ceará, si fece sorprendere e arrestare; e peggior sorte toccò al padre Roma (Giuseppe Ignazio de Abreu e Lima), che, mandato con lo stesso scopo a Bahia, vi fu arrestato e fucilato. La repressione, organizzata dal conte d'Arcos, fu sanguinosa. Già dal marzo 1816 Giovanni VI, approfittando della pace in Europa, si era fatto venire dal Portogallo 4800 veterani della guerra penisolare, acquartierandoli a Rio. Un corpo di spedizione, comandato dal maresciallo Leite Cogominho, pose l'assedio al Recife, già bloccato dalla squadra di Rodrigo Lobo: 2000 rivoltosi fuggirono, la città inalberò la bandiera reale. Cominciò a funzionare il tribunale marziale: Teotonio e 8 suoi seguaci salirono il patibolo; a Bahia furono fucilati il Martins, il padre Miguelinho e il Mendonça; il prete Ribeiro si suicidò prima della condanna. Il processo fu continuato innanzi ai giudici civili, che non si mostrarono meno inesorabili finché il re non concesse un'amnistia, il giorno della sua incoronazione (6 febbraio 1818).
La permanenza della corte a Rio de Janeiro aveva provocato malumori anche nel Portogallo, dove si accusava il re di sacrificare gl'interessi della metropoli a quelli del Brasile e di concedere troppa autorità, nel consiglio di reggenza, agli elementi inglesi. Difatti la politica portoghese era dominata dal diplomatico inglese Carlo Stuart e dal celebre maresciallo Beresford, il quale, nel 1818, soffocò il movimento rivoluzionario promosso dal Freire de Andrade, ex-soldato napoleonico. Ma nel 1820, in assenza del Beresford, andato nel Brasile, trionfò la rivoluzione liberale scoppiata il 24 agosto a Oporto e propagatasi il 29 a Lisbona. Creatasi una giunta rivoluzionaria, furono convocate le Cortes per preparare la costituzione. Queste notizie suscitarono giubilo nel Brasile, nessuno prevedendo che la Camera nata dalla rivoluzione avrebbe poi manifestato, nei riguardi del Brasile, propositi nettamente conservatori. A corte, le opinioni erano divise: il re, al solito, indeciso e incerto; la inquieta e dissoluta regina, partigiana frenetica dell'assolutismo e ciecamente devota al minor figliuolo, Michele, che divideva le sue idee; il principe ereditario Pedro, invece, inclinante a liberalismo. Egli aveva, nel 1817, sposato l'arciduchessa d'Austria, Carolina Giuseppa Leopoldina, non bella, ma intelligente, colta, benvista dai Brasiliani, la quale contribui non poco a rendere attive le simpatie del marito per la causa nazionale. Il 18 febbraio, un manifesto reale annunciava la prossima partenza per Lisbona del principe Pedro, per intendersi con le Cortes circa l'introduzione nel Brasile di "quella parte della costituzione che si sarebbe trovata utile e conveniente". Siffatta limitazione provocò un tumulto, sedato dall'intervento personale del principe Pedro, il quale lesse alla folla un decreto del padre, che accettava integralmente la costituzione proposta dalle Cortes, pur non essendone ancora conosciuti i termini. Cedendo, quindi, alle pressioni che gli venivano dal Portogallo e dall'elemento portoghese stabilito nel Brasile, nonché ai pressanti consigli del governo inglese, il re si decise a far ritorno alla metropoli; e il 22 aprile, firmava il decreto col quale Don Pedro era nominato "reggente e luogotenente nel Brasile". Il 26, partiva per l'Europa, tirandosi dietro l'immensa coorte dei suoi funzionarî e familiari (si disse che ammontavano a 3000), e prelevando ingenti somme dal Banco del Brasile. Nel separarsi dal figlio, il re previde imminente la separazione del Brasile, e consigliò a Pedro di prenderne in quel caso la corona, prima che se ne impadronisse qualche avventuriero. La partenza diede luogo a nuovi tumulti, che furono repressi, ma senza spargimento di sangue. Don Pedro, secondo dice uno storico inglese, "veniva lasciato in un paese fremente di malcontento e praticamente in condizione di bancarotta" In quell'anno, il Brasile contava oltre 4.300.000 ab., compresi 800.000 Indiani allo stato selvaggio: Rio de Janeiro aveva raggiunto i 150.000 abitanti.
Ben presto si ebbe a conoscere qual fosse l'animo delle Cortes rivoluzionarie, le quali, fra l'altro, cominciarono a deliberare sulle cose del Brasile prima ancora che fosse arrivato a Lisbona il contingente legale dei rappresentanti brasiliani. Un decreto del 29 settembre 1821 dichiarava indipendenti i governi provinciali del Brasile, aboliva i tribunali e altri istituti creati da Giovanni VI, ordinava il ritorno di Don Pedro in Portogallo "per completare la sua educazione". Altri decreti rinforzavano le guarnigioni di Bahia e di Rio con truppe ausiliarie portoghesi di provata fedeltà. In altre parole, si voleva restaurare l'antico regime coloniale, ricondurre il paese a quel che era avanti il 1808, e Rio de Janeiro alle semplici condizioni di una capitaneria maggiore. I nuovi legislatori portoghesi non si rendevano conto di quanto era avvenuto nella lontana colonia durante la permanenza colà della corte, del mutato spirito pubblico, del rapidissimo sviluppo della cultura, e, con essa, delle idee politiche. Sotto Giovanni VI, queste idee, nei più accesi patrioti, si erano orientate verso la repubblica; ma, di fronte alla prepotenza di Lisbona, anche i repubblicani opinarono saviamente per la conversione alla monarchia, facendone centro e scudo il giovane principe, in voce di liberale. Alle idee separatiste aderirono anche i numerosi funzionarî che avevano perduto i posti per i decreti delle Cortes, e gli stessi realisti portoghesi rimasti nel Brasile, i quali scorgevano pericolose tendenze giacobine nel regime instaurato nella metropoli. Parve atto necessario, prima di ogni altro, impedire la partenza del principe per l'Europa; al che si adoperarono attivamente i patrioti, secondati dalla massoneria e da altre società segrete che si erano venute fondando, e dalla energica campagna di stampa condotta dal giornale O reverbero. Don Pedro venne a trovarsi in una situazione estremamente difficile: farsi traditore, o alla patria di origine, o a quella di elezione. Pare che sulle prime si disponesse a obbedire all'invito delle Cortes e ad abbandonare il Brasile; ma la volontà del paese non tardò a prendere il sopravvento. Era sorto, in quella grave contingenza, un uomo che, già rivelatosi eminente scienziato e patriota, doveva poi manifestarsi come una delle più forti teste politiche e dei più fermi caratteri del suo paese: Giuseppe Bonifacio de Andrada e Silva. Questo grande cittadino, primogenito di tre fratelli tutti illustri nella storia brasiliana, si era formato in Europa e si era fatto un nome nella mineralogia e metallurgia (aveva avuto rapporti anche con Alessandro Volta); durante la guerra penisolare si era battuto per i Portoghesi contro i Francesi, ma non aveva tardato a nutrire idee separatiste e, tornato nel Brasile, a farsi paladino dell'indipendenza. La sua influenza si esercitava specialmente nella nativa provincia di S. Paolo e in quella finitima di Minas Geraes, che erano state la culla del separatismo brasiliano. Nel 1821, era appunto vicepresidente della Giunta provvisoria di S. Paolo; e fu il più efficace promotore dell'azione popolare, che culminò nell'indirizzo, firmato da 8000 patrioti e presentato al principe dal Senato della Camera (una specie di Giunta provinciale), in persona del suo presidente Giuseppe Clemente Pereira, un portoghese simpatizzante per le aspirazioni brasiliane. Di fronte a questa precisa manifestazione della volontà popolare caddero le ultime oscitanze di Don Pedro che, il 9 gennaio 1822, disse al latore del memaggio la celebre frase: "Giacché è per il bene di tutti e per la felicità generale della nazione, dica al popolo che rimango".
Seria preoccupazione destava l'atteggiamento delle truppe ausiliarie, che permanevano fedeli a re Giovanni. Il comandante la guarnigione di Rio, Avilez, si trincerò con 2000 soldati sul Morro del Castello, minacciando la città. Le ostilità erano imminenti, quando il principe intervenne personalmente e, un po' con le promesse, un po' con le minacce, ottenne la capitolazione della guarnigione (13 gennaio) e la sua partenza per il Portogallo (15 febbraio). Più tenace resistenza oppose la guarnigione di Bahia, diventata la rocca forte della reazione portoghese: il generale Madeira era padrone di tutti i forti dominanti la città, e nell'agosto ebbe alcuni rinforzi dal Portogallo che lo misero in grado di resistere oltre un anno. Si aveva, in ogni modo, il primo trionfo della rivoluzione separatista. Trasferitisi a Rio, Giuseppe Bonifacio e il fratello Martino Alfonso presero, per incarico del reggente, la direzione degli affari, non senza, però - uomini nuovi, quali erano, alla pratica di governo - commettere alcuni arbitrî, che avrebbero poi avuto gravi conseguenze. Il 16 febbraio Giuseppe Bonifacio convocava subito i rappresentanti delle provincie per collaborare alle riforme, e decretava che nessuna legge portoghese sarebbe stata effettiva nel Brasile senza l'exequatur del principe reggente. Il 13 maggio, il Senato della Camera conferiva al principe il titolo di "perpetuo protettore e difensore del Bragile", e nel contempo chiedeva la convocazione d'una Costituente; il che fu fatto con decreto del 3 giugno. Seguendo il consiglio degli Andrada, Don Pedro iniziò un giro nelle provincie di S. Paolo e Minas, dove si erano verificati disordini; e riuscì a pacificare gli animi. Nel viaggio di ritorno alla capitale, il 7 settembre 1822, il principe fu raggiunto dalla notizia che il governo di Lisbona sconfessava ogni suo atto. Egli lanciò allora, sulle rive dell'Ipiranga, il grido famoso: "Indipendenza o morte!". La data è rimasta festa nazionale dell'indipendenza brasiliana. E il 12 ottobre, a Rio, alla presenza d'una gran folla di popolo, egli era acclamato imperatore costituzionale del Brasile. Nel 1823, costretta la guarnigione del Madeira a capitolare (2 luglio), furono ridotti all'obbedienza il Maranhão e il Pará. Così tutto il paese riconosceva l'autorità imperiale, salvo la Provincia Cisplatina, già Banda Orientale, che, appoggiata dall'Inghilterra, si rese indipendente, formando l'attuale repubblica dell'Uruguay.
Il movimento reazionario nel Portogallo, capeggiato dall'infante don Michele, non impedì che Pedro, nel Brasile, continuasse l'esperimento liberale. Egli era uomo d'ingegno limitato, ma fortemente imbevuto del concetto di dovere pubblico; al che, peraltro, accoppiava una condotta privata censurabile, e un carattere ostinato e capriccioso nello stesso tempo. Subì, sul principio, il grande ascendente dei fratelli Andrada, resisi invisi all'opposizione per i loro modi autoritarî e per le vendette personali che s'erano prese. Si disse, anzi, che fossero state suggerite da loro, nel discorso di apertura della Camera, le celebri parole che suscitarono tanto fiere proteste fra i patrioti, cioè che l'imperatore "difenderebbe la costituzione, ove il Brasile se ne dimostrasse degno". Altra causa di malumori fu il progetto d'espulsione dei Portoghesi sospetti di ostilità all'indipendenza del Brasile: il che valse l'opposizione dei realisti Portoghesi che erano rimasti nel Brasile e che lealmente avevano aderito alle nuove idee. Si formò quindi una coalizione parlamentare, che portò alla caduta del ministero Andrada (17 luglio 1823) e alla formazione d'un gabinetto composto di realisti moderati, con tendenza favorevole ai Portoghesi, tanto che i prigionieri di guerra furono invitati ad arruolarsi nell'esercito brasiliano. Gli Andrada, passati all'opposizione, la condussero con estrema violenza, nella Camera e attraverso la stampa. La lotta dei partiti si era fatta talmente preoccupante che l'imperatore decise un gran colpo: formato, il 10 novembre, un nuovo ministero, con tinta conservatrice più accentuata, tre giorni dopo occupò militarmente la Camera, ne dichiarò lo scioglimento, ne fece espellere i deputati. Gli Andrada e altri capi dell'opposizione furono arrestati, imbarcati su una nave e mandati in esilio in Francia. Con un manifesto al pubblico, l'imperatore si giustificò poi dicendo che "la salvezza del paese, affidatagli come a perpetuo difensore del Brasile, aveva richiesto quelle misure" e promise una nuova costituzione da lui stesso elaborata. In altri termini, egli voleva che il paese godesse di libere istituzioni, ma soltanto come concessioni fatte dal sovrano; né tollerava che i suoi poteri venissero trasferiti al popolo. Il 26 novembre, fu convocato un Consiglio di stato per i lavori preparatorî della nuova costituzione, che, terminata nel gennaio 1824, e approvata, anziché dall'Assemblea, dai Consigli municipali delle provincie, fu dall'imperatore giurata il 25 marzo. In quello stesso anno, si ebbe una rivolta a Pernambuco. I rivoluzionarì, guidati da Emanuele de Carvalho Paes de Andrade proclamarono la repubblica e fondarono la Confederazione dell'Equatore. Ma attaccati per mare e per terra dall'ammiraglio Cochrane e dal generale Lima e Silva, furono sopraffatti; e le commissioni militari fecero, per volontà di re Pietro, giustizia sommaria di molti di essi. Il Paes de Andrade si salvò su una nave inglese.
Nonostante la strana procedura, la costituzione fu accolta con favore da tutto il paese, giacché essa rispondeva pienamente ai principî liberali. Concedeva libertà di religione, di stampa e di parola, eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, istituti rappresentativi formati di due Camere, un Ministero responsabile, potere giudiziario indipendente. La Camera era elettiva, e rinnovabile ogni quadriennio; il Senato vitalizio, di nomina imperiale. In caso di dissenso fra le due Camere, ognuna di esse poteva chiamare l'Assemblea generale dei due rami. Ma il fulcro della nuova costituzione era nel cosiddetto "potere moderatore": cioè nelle prerogative sovrane, consistenti nel veto sospensivo sulle leggi, nella nomina dei senatori e ministri, nella facoltà di sciogliere il Parlamento e convocare l'assemblea generale, nel diritto di perdono e revisione delle sentenze giudiziarie, nella nomina dei vescovi, magistrati, ambasciatori e presidenti delle provincie, ecc. Se non che, nell'esercizio di siffatte funzioni esecutive, l'imperatore agiva su consiglio dei suoi ministri, la cui firma era necessaria perché ogni atto fosse valido, e che erano responsabili di fronte ai rappresentanti del popolo. Nello stesso anno 1824, furono iniziate le trattative per la pace fra il Brasile e il Portogallo, con la mediazione dell'Inghilterra. Dopo lunghi e difficili negoziati, condotti abilmente dallo Stuart, si venne a un accomodamento: re Giovanni assumeva pro forma il titolo di imperatore del Brasile e contemporaneamente lo cedeva al figlio, riconoscendo l'indipendenza della ex-colonia. Da parte sua, Don Pedro accettava che il governo brasiliano si addossasse un debito di 1.400.000 sterline, contratto dal Portogallo con l'Inghilterra nel 1823, e pagava al padre 600.000 sterline, valore del palazzo e delle altre proprietà private lasciate da Giovanni nel Brasile. Il relativo trattato fu firmato a Rio de Janeiro il 29 agosto 1825.
"Le camere brasiliane create dalla costituzione - scrive il barone di Rio Branco - si riunirono per la prima volta nel 1826; in tutto il regno di Pietro I, l'opposizione, composta di liberali monarchici, partigiani del sistema parlamentare inglese, e di pochi federalisti e repubblicani, formò la maggioranza della Camera dei deputati. Si facevano allora nel Brasile i primi tentativi del sistema rappresentativo e se l'imperatore era ancor giovane, impetuoso e inesperto, del pari la stampa e i partiti difettavano di educazione politica. Il ministero Paranaguá, al potere dal 1823, e quello del suo successore visconte di S. Leopoldo (16 gennaio 1827) si componevano di senatori o di persone che non facevano parte del parlamento. Il 20 novembre 1827, l'imperatore organizzò finalmente un ministero parlamentare col deputato Arauio Lima (marchese di Olinda); ma con l'esonero dato al ministro della Guerra, in occasione della rivolta dei battaglioni stranieri, che fu subito severamente repressa, il ministero si dimise in massa. Due fra i più influenti membri della camera, Costa Carvalho e Vasconcellos, rifiutarono l'incarico del nuovo gabinetto, missione che fu finalmente affidata al deputato Clemente Pereira, subito abbandonato dai liberali. Questo ministero e il successivo di Paranaguá (4 dicembre 1829) incontrarono viva opposizione nella Camera e nella stampa. Si moltiplicavano i giornali federalisti e repubblicani, e molti candidati di questi due partiti trionfarono nelle elezioni del 1830. Ministri e senatori che si mostravano devoti all'imperatore erano tacciati senz'altro di assolutismo. Il 19 marzo 1831, Don Pedro, la cui maggior colpa era di esser nato portoghese, e che già non aveva più la popolarità d'un tempo, cercò di governare con un ministero liberale (F. Carneiro de Campos); i rancori tra Brasiliani e Portoghesi erano ancora troppo vivi perché si potesse ristabilire la concordia; e quando questi ultimi fecero manifestazioni imperialiste, non poterono evitarsi sanguinosi conflitti nelle strade".
Riuscito vano, così, l'esperimento liberale, l'imperatore formò un nuovo gabinetto composto di personalità spiccatamente conservatrici, e notoriamente ligie alla sua volontà. Il marchese di Paranaguá, il conte di Lage, il marchese di Baependy, il marchese di Inhambupe, il visconte d'Alcantara, il marchese dell'Aracaty. Il popolo accolse assai male il nuovo ministero e si agitò. I demagoghi più accesi l'eccitarono ad aperta rivoluzione. Fu mandata una deputazione all'imperatore per chiedergli il richiamo dell'antico ministero liberale, ma l'imperatore rispose: Tudo farei para o povo; nada, porém, pelo povo (cioè: "tutto a favore del popolo; ma nulla mediante il popolo"). Allara scoppiò la rivolta, e vi aderì l'elemento militare, impersonato nei tre fratelli Lima e Silva, generali che godevano di larga popolarità. Il sovrano non tentò neppure di resistere, protestando nobilmente di non volere che alcuno si sacrificasse per la sua causa; e il 7 aprile 1831, senza neppure consultare i suoi ministri, firmava l'atto di abdicazione in favore del figlio cinquenne Pietro d'Alcantara, destinandogli come tutore Giuseppe Bonifacio, richiamato dall'esilio. Subito dopo s'ìmbarcava per l'Europa sulla nave inglese Warspite.
Gli storici brasiliani del secondo impero, per devozione alla casa regnante, posero grandemente in luce le benemerenze del primo imperatore. E certamente ne ebbe. Ma la più recente critica storica ne ha messo in rilievo anche le colpe, e come fosse occasionale il suo liberalismo. Né può dimenticarsi il sangue ch'egli fece versare in occasione della rivolta pernambucana del 1824. Questa sanguinosa repressione e, con essa, il colpo di stato del 1823, furono le prime cause del profondo distacco fra il sovrano - il quale, dice lo storico inglese Armitage, "non seppe mai essere interamente e veramente brasiliano" - e la nazione. Quando più tardi arrivarono nel Brasile le notizie della rivoluzione di luglio lo stato d'animo era tale, che una scintilla sola avrebbe acceso la fiamma del 1831. Ricorderemo qui che, fra le agitazioni provinciali, fu notevolissima quella di S. Paolo, dove il ligure Libero Badaro - figliuolo del naturalista Giovan Battista - che conduceva un'energica campagna nell'Observador constitucional, venne miseramente ucciso. Spirando, egli pronunciò le parole: "Muore un liberale, ma non muore la libertà"; che divennero la divisa dei rivoluzionarî del 1831, tra i quali emergeva Evaristo da Veiga.
Subito dopo la partenza dell'imperatore, i germi latenti dell'anarchia poterono liberamente svilupparsi, specie nelle provincie, dando luogo a una serie d'insurrezioni locali, non sempre facilmente domate. Il primo Consiglio di reggenza riuscì a soffocare quelle di Bahia, ove, a sfogo d'antiche vendette, i figli del paese davano la caccia ai Portoghesi, nonché quelle di Pernambuco e di Minas. Nella stessa capitale, dove le due Camere avevano eletto una "Reggenza permanente trina" (brigadiere Lima e Silva, Costa Carvalho e Braulio Muniz), si verificarono gravi tumulti militari, soffocati dall'energia del ministro di Giustizia, il prete Diego Antonio Feijó, che riuscì a sciogliere i corpi di fanteria ammutinati e creò la Guardia nazionale, con la quale sottomise anche un corpo d'artiglieria ribelle. Più durevole fu la rivolta militare nel Pará, domata solo dopo quattro anni. Egualmente gravi quelle nel Maranhão, nel Cearȧ, e nel Matto Grosso. Si venivano, intanto, delineando i partiti: gli "esaltati", a tendenze repubblicane; i "moderati", che erano il sostegno della reggenza; e i "restauratori", detti anche caramurús, che auspicavano un ritorno al passato, e che avevano nelle loro file i più illustri cittadini del tempo, come Giuseppe Bonifacio, il Cayrú, il Paranaguá. Le lotte partigiane furono aspre ed ebbero la loro ripercussione anche a corte, dove il partito dei caramurús dovette cedere dinnanzi al trionfo dei moderati: il tutore Giuseppe Bonifacio fu costretto a dimettersi, e fu più tardi arrestato, coincidendo il suo arresto con la morte di Pedro I (1834), e quindi con la definitiva caduta dei restauratori. Secondo Giustiniano Giuseppe da Rocha, un acuto scrittore politico di quel tempo, dal 1831 al 1836 si ebbe il trionfo democratico incontestato; dal 1836 al 1840, la lotta di reazione monarchica, che termina con la maggiore età di Don Pedro; dal 1840 al 1852, il dominio del principio monarchico sulla democrazia, che sa reagire soltanto con la violenza ed è schiacciata; dal 1852 al 1855 (anno in cui il Da Rocha scriveva), un periodo transitorio di quiete e di ansietà per il futuro. Nel 1853, con l'interessamento personale del sovrano, si ebbe una conciliazione dei partiti, ripetuta con la Lega del 1862, trasformatasi a grado a grado nel partito "progressista", con preponderanza dei liberali, alleati con i conservatori moderati, non aderendovi, però, i cosiddetti "liberali storici". I progressisti caddero nel 1868 e i due gruppi liberali si fusero, formando il primo nucleo del partito repubblicano.
Nel 1834 un Atto addizionale apportava alcune modifiche alla costituzione del 1824, non di grande importanza, salvo là dove si concedeva un notevole allargamento delle autonomie provinciali e municipali: savia misura di politica decentratrice, che in quel momento salvò l'unità del Brasile. Ma più tardi prevalse un'opposta concezione accentratrice, iniziata con la legge del 12 maggio 1840, che, pretestando interpretare l'Atto addizionale, limitava assai la competenza delle assemblee legislative provinciali. Nel 1835, il Congresso affidava la reggenza a uno solo, al Feiió, assai popolare e benvoluto, ma che si trovò sulle braccia la rivoluzione federalista del Rio Grande do Sul, detta guerra dei farrapos (cenciosi), scoppiata il 10 settembre 1835, e durata, sotto la guida di Bento Gonçalves, con vicende varie (alle quali, per un certo tempo, partecipò Giuseppe Garibaldi), fino al 1845, quando il Caxias riuscì a sottomettere i rivoltosi, che deposero le armi e accettarono l'amnistia imperiale. Nelle elezioni del 1836, trionfava il partito conservatore, nato dal connubio dei "restauratori" con i liberali moderati, e che aveva come capi Bernardo de Vasconcellos e Araujo Lima, poi marchese di Olinda. Ciò provocò le dimissioni del Feijó, che designò come suo successore l'Araujo Lima (1837-40).
Così si chiudeva un decennio tempestoso, ma di assestamento e di orientazione. La reggenza aveva decretato un nuovo codice di procedura penale, votato la prima legge antischiavista, istituito le giurie, abolito la pena capitale per i delitti politici. Nel 1840 Pedro II fu dichiarato maggiorenne dal Congresso e incoronato il 18 luglio 1841. Nel 1843 sposava, per procura, la principessa Teresa Cristina, sorella di Ferdinando II delle Due Sicilie, che fu una vera benefattrice del suo nuovo popolo, tanto da meritarsi il titolo di "madre dei Brasiliani". Pedro II, appena sedicenne all'epoca dell'incoronazione, aveva avuto un'adolescenza studiosissima, guidato da illuminati precettori, mostrando e serbando sempre un reale interesse per tutte le manifestazioni dello spirito. Aveva, come il padre, assai radicato il sentimento dei suoi doveri, ma era sdegnoso delle forme esteriori della monarchia. Soleva chiamarsi il più repubblicano dei suoi sudditi, e prevedeva chiaramente la fine dell'impero. Concepiva la sua missione come un patriarcato, e, più che ad altro, teneva a guadagnarsi la simpatia e l'amore dei sudditi. Che egli, coadiuvato dall'angelica imperatrice, raggiungesse questo risultato, è fuori di discussione. Basta a dimostrarlo il largo rimpianto che lasciò dopo l'esilio e dopo la morte, e le grandi onoranze che il Brasile repubblicano tributò alla sua memoria.
Il mezzo secolo (1840-1889) di governo di Pedro II rappresenta un periodo, unico nella storia di tutta l'America latina, di pace interna, di progresso, di sviluppo delle istituzioni liberali. Nel 1845, come si è già detto, venne effettuata la pacificazione del Rio Grande do Sul; e un'ultima vampata dello spirito rivoluzionario, arso per tanti anni nelle provincie settentrionali, si ebbe con la rivolta dei praieiros (1848-49), tardiva reazione dei nativi contro l'elemento portoghese, prontamente domata. Cingendo la corona imperiale, Don Pedro si metteva alla testa d'un popolo di 6 milioni e più, ciò che rappresentava appena un abitante per kmq., in un paese non ancora interamente conosciuto, e le cui enormi risorse naturali erano state, fino a quel momento, sfruttate solo in minima parte, sia per la mancanza di mano d'opera, sia per la difficoltà delle comunicazioni. Gli sforzi dell'imperatore, che nel primo decennio del suo regno, erano vòlti soprattutto alla pacificazione interna, pienamente raggiunta, intesero dal 1850 in poi a favorire lo sviluppo demografico ed economico della nazione. Furono riprese le grandi esplorazioni, dei cui risultati si aveva un esempio monumentale nell'opera, ancor oggi insigne, dei naturalisti tedeschi Spix e Martius, e che furono proseguite, a gara, da Brasiliani e da stranieri (fra questi ultimi è da rammentare l'italiano Gaetano Osculati); si completò in tal modo la ricognizione dei grandi fiumi, risalendoli fino alle sorgenti, e delle immense foreste, in gran parte ancora inesplorate, mentre una schiera di scienziati (e anche qui troviamo due botanici italiani, il Casaretto e il Raddi) attendeva allo studio dei molteplici prodotti della fertilissima terra. Si iniziò la curva ascendente dell'economia brasiliana, con l'intensificarsi dell'agricoltura, il prevalere dell'esportazione, il moltiplicarsi delle società anonime, la fusione del Banco Commerciale con il Banco del Brasile, che divenne istituto di emissione (1854). Nel 1852 si ebbe il primo telegrafo elettrico; nel 1854, la prima ferrovia (al cadere dell'impero, nel 1889, il Brasile aveva 8966 km. di ferrovie); si sviluppò anche, ma in minor misura, la marina mercantile. Fu pure risoluto in gran parte, in questo periodo, il grave problema della colonizzazione, che si era affacciato, preoccupante, fin da quando l'lnghilterra aveva iniziato la sua crociata contro la schiavitù, ed era diventato pauroso quando la legge del 1850 dava il colpo di grazia alla tratta degli schiavi, scomparsa affatto nel 1856. Si è accennato dianzi a un tentativo di colonizzazione svizzera. Nel 1824, se ne era avuto uno tedesco, a S. Leopoldo, dove i coloni, nel 1830, erano già circa 5000: precursori di quella vasta penetrazione germanica nelle provincie meridionali, che a un certo momento destò apprensioni, peraltro non giustificate. Si erano anche avuti esperimenti assai importanti di colonizzazione privata: notevoli quelli del senatore Vergueiro, nello stato di S. Paolo. Ma una vera e propria corrente emigratoria verso il Brasile non comincia se non nel 1850: dal quale anno al 1875, entrano nel paese 279.000 immigranti, ben piccola cosa di fronte all'imponente flusso dal 1885 al 1901, periodo nel quale gl'immigranti ascendono alla cifra di 2.023.693, dei quali circa la metà (996.814) Italiani: mano d'opera nella maggior parte agricola, alla quale molti stati dell'odierno Brasile (e segnatamente quello di S. Paolo per la coltura del caffè) devono in larga parte la loro grande prosperità.
Un così grande fervore di attività agricola, commerciale e industriale non fu turbato dagli avveninenti di politica estera, verificatisi durante il regno di Pedro II, il quale operò saggiamente nei riguardi del Río de la Plata, contribuendo alla caduta del tiranno Rosas; ma poi si lasciò trascinare nelle questioni interne dell'Uruguay, intervenendo a favore del generale Flores, capo del partito colorado, e poi presidente della repubblica (1865), e provocando la guerra contro il Brasile da parte del Paraguay, allora governato dal fanatico e autocratico presidente Francesco Solano Lopez. Una parte dell'esercito paraguayano invase il Matto Grosso mentre un'altra parte occupava Corrientes, nella Repubblica Argentina. Si formò quindi una triplice alleanza fra Argentina, Brasile e Uruguay, coalizzati contro la repubblica del Paraguay (1° maggio 1865). Dopo una serie di rovesci (1866) dovuti alle divergenze di pareri fra i generali alleati, il comando dell'esercito brasiliano, rimasto quasi solo a sostenere la lotta, fu affidato al maresciallo duca di Caxias, che a Tuyuty (3 novembre 1867), con una bella vittoria, vendicava la sconfitta brasiliana dell'anno prima, nello stesso luogo; e poi, nel 1868, dopo la vittoria navale di Humaytá (19 febbraio), con una serie di brillanti operazioni ad Avahy (11 dicembre) e a Lomas Valentinas (21-27 dicembre), messo in fuga il Lopez, si aperse la strada ad Assunción, dove penetrò il 10 gennaio 1869. La guerra era virtualmente finita; ma fu ripresa dal Lopez con un esercito raccogliticcio e durò ancora per più di un anno, in forrma di guerriglia, finché il Lopez fu sorpreso e ucciso ad Aquidaban, sulla frontiera del Matto Grosso (1° marzo 1870).
Nel 1868, andavano al governo i conservatori, ai quali bisogna riconoscere il merito di aver saputo liquidare diplomaticamente, con molta abilità, la Triplice Alleanza, e di aver ridato al Brasile la pace religiosa, componendo una serie di spiacevoli incidenti che si erano deplorati negli anni precedenti. Nel 1871, come seconda tappa verso l'abolizione completa della schiavitù, che era desiderata dell'immensa maggioranza del paese e ne era divenuta il principale problema politico, fu approvata la legge detta del "ventre libero", che dichiarava liberi i figli nascituri delle schiave. Ma la opposizione liberale, coalizzata sotto Nabuco de Araujo, non dava tregua ai conservatori e nel 1869 fondava il "Centro liberal", nel cui manifesto era la minacciosa frase: "O la riforma, o la rivoluzione", considerandosi primissima, tra le riforme, quella elettorale, da lungo tempo desiderata. In questo periodo, il paese continuava nella sua ascensione economica: il caffè si metteva alla testa della produzione, lasciandosi indietro di gran lunga lo zucchero, la gomma, le pelli, il cotone e il tabacco. Il centro di produzione si spostava dal nord verso il sud, e con esso il centro politico: San Paolo e Minas diventavano un semenzaio di idee avanzate e di personalità politiche. Le associazioni e i giornali repubblicani si moltiplicavano (si ebbe anche un congresso dei repubblicani) sotto gli occhi dell'imperatore che, nel suo amabile fatalismo, si recò in Europa (1871-72), dove, più che con uomini politici, si piacque d'incontrarsi con filosofi e poeti: visitando, tra gli altri, Victor Hugo e il Manzoni.
Divenuta fortissima l'opposizione liberale, e considerando oramai con timore lo svilupparsi in essa dei germi repubblicani, l'imperatore, nel 1878, chiamò al potere i liberali (gabinetto Saraiva), che subito avanzarono le loro tesi favorite: naturalizzazione, matrimonio civile, secolarizzazione dei cimiteri, ecc., e specialmente la nuova legge elettorale (elezioni dirette), che, dopo essere approvata, e aver dato una vera funzione costituzionale alla Camera, non tardò a mostrare i pregi e i difetti del sistema. In meno d'un anno e e mezzo, si ebbero tre ministeri liberali (Martinho Campos, Paranaguá e Lafayette Rodrigues Pereira), tutti egualmente impossibilitati a governare per l'opposizione conservatrice; un successivo ministero Dantas, pur liberale, ottenne lo scioglimento della camera e indisse le elezioni (1885). La nuova camera - il che prova la correttezza con la quale i liberali fecero le elezioni - risultò composta di 67 liberali, 55 conservatori e 3 repubblicani: cioè con i conservatori in aumento. Dimesso il gabinetto Dantas, caduto un secondo gabinetto Saraiva, nello stesso anno 1885 i conservatori riassunsero il potere, e, sciolta la Camera, convocarono i nuovi comizî che diedero una fortissima maggioranza conservatrice e appena una ventina di oppositori. Si ebbe il gabinetto Cotogipe, reazionario, contrario all'abolizione. Ma gli successe il gabinetto Joāo Alfredo, durante il cui governo la reggente Isabella, in assenza del padre, firmò, fra il delirante entusiasmo popolare, la legge dell'abolizione immediata della schiavitù (13 maggio 1888). Subito dopo l'idea repubblicana, fin'allora diffusasi con relativa lentezza, divampò. I liberali furono richiamati al potere nel giugno 1889, alla vigilia della rivoluzione: il capo del governo, visconte di Ouro Preto, presentò un importante programma di riforme, specialmente economiche, ma era tardi per salvare la monarchia. La legge che aboliva la schiavitù era impopolarissima presso l'importante casta dei fazendeiros e presso la classe, pur numerosa, degli agricoltori medî, preoccupati per il problema della mano d'opera, non ancora risoluto dall'immigrazione europea in continuo aumento. Alle idee repubblicane si accostavano anche alcune frazioni liberali, anti-abolizioniste; ma soprattutto vi aderivano con ardore le nuove generazioni, gli studenti e persino i cadetti delle scuole militari. La sorte della monarchia era decisa: l'imperatore, ormai vecchio, non aveva più l'antico prestigio; gli mancavano figli maschi; la figlia Isabella, e il genero, conte d'Eu, godevano fama di eccessivo clericalismo; nulla, tuttavia, lasciava prevedere così rapida la catastrofe. Ad affrettarla contribuì l'accordo fra gli estremisti repubblicani, Beniamin Constant, Aristide Lobo, Quintino Bocayuva, e l'elemento militare dissidente, rappresentato dal maresciallo Deodoro da Fonseca. Questi, amico personale dell'imperatore, aveva organizzato un "pronunciamento" contro il ministero Ouro Preto, senza pensare alla repubblica, anzi dichiarando che non vi avrebbe pensato se non dopo la morte di Don Pedro come imperatore del Brasile. Ma a poco a poco si lasciò suggestionare dalle ardenti pressioni del Constant e dei suoi compagni, e trascinare alla rivoluzione del 15 novembre 1889, che consisté in un sollevamento della guarnigione di Rio de Janeiro, e nella successiva proclamazione della repubblica, ponendosi il Fonseca a capo del governo provvisorio. L'imperatore si trovava a Petropolis: sceso prontamente alla capitale, capì che la situazione non si sarebbe normalizzata con un mutamento ministeriale: accettò, senza grandezza, le circostanze, e il 17 novembre s'imbarcò con la famiglia per l'Europa, rifiutando nobilmente i 5 mila contos (8 milioni) che gli erano stati offerti. Né mai più, nell'esilio, nutrì idee di restaurazione.
Trascorsero quindici mesi prima che si pervenisse a sistemare definitivamente il nuovo stato di cose. Il potere rimase affidato al governo provvisorio presieduto dal maresciallo Deodoro da Fonseca: il quale governo prese decisioni di grande importanza, statuendo la separazione della chiesa dallo stato e introducendo il matrimonio civile. Finalmente, il 24 febbraio 1891, l'Assemblea costituente consacrava, in una nuova carta costituzionale, la repubblica federativa degli Stati Uniti del Brasile - a immagine degli Stati Uniti dell'America del Nord. La stessa Costituente nominava il primo presidente della repubblica, nella persona del maresciallo da Fonseca (secondo le decisioni dell'Assemblea, il presidente della repubblica, doveva durare in carica quattro anni, essere eletto, come il vicepresidente, per elezione diretta, a maggioranza assoluta). Ma proprio l'azione del da Fonseca doveva condurre a nuovi contrasti. Uomo autoritario e a tendenze nettamente dittatoriali, egli, il 3 nov. 1891, sciolse con un colpo di stato il parlamento, col quale s'era messo in aperto contrasto. Ma il suo atto determinò una violenta reazione nello stato di Rio Grande do Sul e nella flotta, capeggiata dall'ammiraglio Custodio de Mello; sì ch'egli dovette, il 23 novembre, dimettersi e lasciare la carica al vice-presidente, maresciallo Floriano Peixoto (1891-1894). Ma nemmeno la nuova presidenza poté svolgersi in tranquillità. Si ebbero nel 1892 nuovi disordini, culminati con l'esilio di parecchi militari. Nel 1893, la flotta, sempre sotto il comando del Mello, si ribellò. La rivolta venne soffocata nel marzo dell'anno successivo; ma continuarono invece i disordini fomentati dal partito federalista, nello stato di Rio Grande do Sul, che cessarono nel 1895.
La pacificazione dei partiti fu ottenuta solo dal terzo presidente, un borghese, il dottor Prudente de Moraes (1894-1898), di San Paolo. Ma anche sistemati i più urgenti e gravi problemi politici; anche ricondotta la calma là dove per sei anni era stata un'effervescenza continua di malcontenti e di rivolte, il nuovo stato si trovava ancora a dover risolvere questioni difficili, specialmente nel campo finanziario. Precaria infatti la situazione del credito pubblico, scosso profondamente dalle lotte civili; precaria tutta la situazione finanziaria del paese, come dimostrò la crisi del 1900. In questo campo, il merito della sistemazione spetta al quarto presidente, dott. Manuel Ferraz de Campos Salles (1898-1902). Al successore del Campos Salles, Francisco de Paula Rodrigues Alves (1902-1906), si deve invece il risanamento della capitale, Rio de Janeiro, divenuta tale da poter gareggiare, anche a non tener conto delle sue bellezze naturali, con le maggiori capitali europee. Dei problemi della colonizzazione e della viabilità, e della diffusione dell'insegnamento primario, si occupò particolarrmente il dott. Alfonso Penna (1906-1909), che, morto prima della scadenza del suo mandato, fu sostituito dal vice-presidente, dott. Nilo Peçanha (1910). Nel 1910, venne eletto presidente il maresciallo Hermes da Fonseca, un nipote del primo capo della repubblica brasiliana; nel 1914, il dottor Wenceslau Braz. Rafforzato all'interno, il Brasile aveva anche ottenuto notevoli successi in politica estera, grazie all'abilità del ministro degli Esteri, barone de Rio Branco (1902-1912): specialmente interessante era il fatto che, nel 1906, si radunasse in Rio de Janeiro la terza Conferenza panamericana, la quale protestava contro certi interventi di stati europei nell'America. Prima, sintomatica presa di posizione del Brasile, che, potenza massima del Sud-America, cominciava ad apparire come un centro di convergenza degl'interessi comuni sudamericani.
Così il Brasile giungeva alla guerra mondiale, con una sua notevole forza politica. Anch'esso fu trascinato nella tormenta, dopo due anni di neutralità e di dissensi fra chi simpatizzava per l'Intesa e chi inclinava verso la Germania. La decisione fu provocata, nell'aprile 1917, dall'affondamento del piroscafo brasiliano Paraná, sulle coste della Francia, per opera d'un sottomarino tedesco. L'11 aprile, vennero rotte le relazioni diplomatiche con la Germania; il 1° giugno, venne revocato il decreto di neutralità; il 26 ottobre, seguì la dichiarazione ufficiale di guerra alla Germania. Nello stesso mese di aprile erano intervenuti nella guerra, a fianco dell'Intesa, gli Stati Uniti dell'America del Nord. E certo la massima potenza americana esercitò un decisivo influsso sull'atteggiamento dello stato latino-americano del sud. La partecipazione del Brasile alla guerra mondiale consisté nella confisca dei piroscafi tedeschi nei porti brasiliani e nell'invio di missioni sanitarie e di aviatori alla fronte europea occidentale e d'una squadra nell'Atlantico. Insieme con gli altri stati dell'Intesa, il Brasile firmò, il 28 giugno 1919, il Trattato di Versailles.
Nel dopoguerra il Brasile si è trovato di fronte a gravi difficoltà finanziarie, per il forte incremento del debito pubblico, per la caduta del milreis, che toccò limiti più bassi ancora di quelli toccati nel 1898. Specialmente inquietante il problema sotto la presidenza del dott. Arturo Bernardes (1922-1926), che successe al dott. Epitacio da Silva Pessôa (1918-1922), e che è stato seguito dal dott. Washington Luis Pereira de Sousa (1926-1930). Né sono mancati torbidi politici: sempre sotto la presidenza del Bernardes, si deve ricordare specialmente una grave rivolta in San Paolo (1924). Da avvertive, infine, che il 13 giugno 1926 il Brasile usciva dalla Lega delle nazioni, per non avere ottenuto un seggio permanente nel Consiglio della lega stessa. Atto politico, questo, che ha sollevato largo scalpore; che è certo indice espressivo di una politica nettamente "americana", con qualche volontà di resistenza, tuttavia, alla forza di penetrazione politica e finanziaria degli Stati Uniti nel Brasile.
Bibl.: Quasi tutta la documentazione a stampa della storia del Brasile è pubblicata nella Rev. do Inst. hist. e geogr. bras., Rio de Janeiro 1839 e segg.; e nelle riviste degl'Istituti storici, sorti posteriormente negli altri stati della Federazione. Altro importante materiale documentario in Annaes da Bibl. Nacional do Rio de Janeiro (1876 e segg.). Ricognizioni dei documenti fuori del paese ha fatto Oliveira Lima, Relaçao do mss. portuguezes e extrangeiros de interesse para o Brazil existentes no Museu Britannico de Londres, in Rev. do Inst. hist., LXV (1902), ii, 5; e da E. de Castro e Almeida, Inventario dos documentos relativos ao Brazil existentes no Arch. de Marinha e Ultramar de Lisboa, in Annaes da Bibl. Nacional, XXXI-XXXIV (1909-1912). Una ricchissima bibliografia, sistematicamente ordinata, ma che, purtroppo, si arresta al 1881, è nel Catalogo da exposiçao de hist. do Brazil, in Annaes cit., IX (1881-82), e supplemento, 1883. Cfr. anche A. do Valle Cabral, Annaes da Imprensa nacional do Rio de Janeiro (ibid., 1881). Per le fonti francesi: Garraux, Catalogue des ouvrages français et latin relatifs au Brésil, Parigi 1898; per le tedesche. O. Canstatt, Kritisches Repertorium der deutsch-brasilianischen Literatur, Berlino 1902; per le olandesi: G. M. Ascher, A bibliographical and histor. essay on the Dutch books and pamphlets relating to New-Netherland and to the Dutch West-India Company and to its possessions in Brazil, ecc., Amsterdam 1854-67. Inoltre si veda Ph. L. Philips, A list of books... relating to Brazil, Washington 1901. Importante opera di consultazione è il Diccionario hist., geogr. e ethnogr. do Brazil, edito a cura dell'Inst. hist. brazileiro, Rio de Janeiro 1922.
Sui primitivi abitatori del Brasile: Baril de la Hure, Les peuples du Brésil avant la découverte de l'Amérique, Douai 1861. - Sulla scoperta e in particolare sul regime coloniale: J. N. de Souza e Silva, Sobre o descobrimento do Brazil, in Rev. do Inst. hist., XV (1852), p. 125; E. de Septenville, le Brésil sous la domination portugaise, Parigi 1872; C.A. Moncorvo de Figueiredo, Os seis primeiros documentos da hist. do Brazil, Rio de Janeiro 1874; J. C. de Abreu, Descobrimento do Brazil e seu desenvolvimento no sec. XVI, Rio de Janeiro 1883; A. A. Baldaque da Silva, O descobrimento do Brazil por pedro Alvares Cabral, Lisbona 1892; C. Costa, O descobrimento da America e do Brazil, Pará 1896; J. Feliciano, O descobrimento do Brazil, S. Paulo 1900; J. C. de Abreu, O descobrimento do Brazil pelos portuguezes, Rio de Janeiro 1900 e Capitulos de hist. colonial: 1500-1800, Rio de Janeiro 1901; Historia da Colonização portugueza do Brasil, Porto 1922 segg. (finora 3 voll.). Tra le innumerevoli storie, segnaleremo, cronologicamente, solo le più importanti, i cui risultati, peraltro, si trovano fusi nella voluminosa Hist. do Brazil del Rocha Pombo, voll. 10; e trascureremo, naturalmente, quelle a scopo didattico, fra le quali, tuttavia, è da ricordare quella di J. Ribeiro. - Frey Vicente do Salvador, Hist. do Brazil, in Annaes da Bibl. Nacional, XIII (1885-86); S. da Rocha Pitta, Hist. da America portugueza, Lisbona 1880; R. Southey, Hist. of Brazil, Londra 1810-19; A. de Beauchamp, Histoire du Brésil, voll. 3, Parigi 1815; M. Ayres de Cazal, Corographia brazilica, Rio de Janeiro 1817, voll. 2; H. J. de Araujo Carneiro, Cartas... desde 1817 acerca do estado do reino de Portugal e Brazil, Londra 1821; Henderson, A hist. of Brazil, Londra 1821; L. Gonçalves dos Sanctos, Memorias para a hist. do reino do Brazil, Lisbona 1825, voll. 2; E. Munch, Gesch. von Brasilien, Dresda 1829; S. Pinheiro Ferreira, A constituição politica do imperio do Brazil e a carta constitucional do reino do Portugal, Parigi 1830; J. Armitage, The hist. of Brazil from the period of the arrival of the Braganza family in 1808 to the abdication of D. Pedro the first in 1831, Londra 1836 (trad. portoghese, Rio de Janeiro 1837); A. J. Mello Moraes, Brazil historico, Rio de Janeiro 1839, voll. 4; F. S. Constancio, Hist. do Brazil, Parigi 1839; J. I. de Abreu e Lima, Compendio da hist. do Brazil, Pernambuco 1843; id., Synopsis ou deducção chronologica dos factos mais notaveis da hist. do Brazil, Pernambuco 1845; S. H. d'Albuquerque, Resumo da hist. do Brazil, Pernambuco 1848; F. A. Varnhagen, Hist. geral do Brazil, Madrid 1854-57, voll. 2 (2ª ed., Rio de Janeiro 1877: è la prima storia del Brasile concepita e condotta con intendimenti scientifici; sull'a. si veda Oliveira Lima, F. A. de Varnhagen, nella Rev. do Inst. hist. de S. Paulo, XIII, 1908, p. 63 segg.); A. A. Pereira Coruja, Lições de hist. do Brazil, Rio de Janeiro 1855; F. I. M. Homem de Mello, Estudos hist. brazileiros, S. Paulo 1858; A. J. de Mello Moraes, Corographia hist. do imperio do Brazil, Rio de Janeiro 1858-63, voll. 5; C. Lopes de Moura, Epitome chronol. da hist. do Brazil, Parigi 1860; Handelmann, Gesch. von Brasilien, Berlino 1860: una delle migliori; F. A. Pessoa de Barros, Synopse politica do Brazil, Rio de Janeiro 1868; Mello Moraes, Hist. do Brazil-reino e do Brazil-imperio, Rio de Janeiro 1871; id., Chronica geral do imperio do Brazil, Rio de Janeiro 1879; J. P. Oliveira Martins, O Brazil e as colonias portuguezas, 2ª ed., Lisbona 1885; 3ª ed., ivi 1888; Assis Brazil, A republica federal, Rio de Janeiro 1881; Moreira de Azevedo, O Brazil de 1831 a 1840, Rio de Janeiro 1884; C. Fabricatore, Il 15 novembre 1889: la rivoluzione del Brasile, Rio de Janeiro 1889; barone di Rio Branco, Esquisse de l'hist. du Brésil, nell'opera Le Brésil en 1889; C. Teixeira, A republica brazileira, Rio de Janeiro 1890; M. E. de Campos Porto, Apontamentos para a hist. do Brazil, Rio de Janeiro 1890; O. d'Araujo, L'idée républicaine au Brésil, Parigi 1893; A. Mascarenhas, Curso de Hist. do Brazil, Rio de Janeiro 1898; Livro do IV centenario do descobrimento do Brazil, Rio de Janeiro 1901; C. E. Ackers, Hist. of South America, Londra 1904; R. M. Galanti, Compendio da hist. do Brazil, S. Paolo 1905, voll. 4; P. Denis, Le Brésil au XXe siècle, Parigi 1909; M. de Oliveira Lima, Formation historique de la nationalité brésilienne, Parigi 1911; A. Velloso Rebello, As primeiras tentativas da independencia do Brazil, Lisbona 1915; E. Egas, Brazil historico, S. Paulo 1916; M. Fleiuss e B. de Magalhães, Quadros de hist. patria, 2ª ed., Rio de Janeiro 1919; Rocha Martins, A independencia do Brazil, Lisbona 1922; Á margem da hist. da republica, di varî, Rio de Janeiro 1924; A. Funcke, Brasilien im 20. Jahrh., Berlino 1926; J. F. da Rocha Pombo, Historia do Brazil, Rio de Janeiro s. a., 10 volumi.
Tenendo conto della relativa autonomia di cui godettero le diverse capitanerie, indicheremo alcune storie particolari: B. Pereira de Berredo, Annaes hist. do estado do Maranhão, Lisbona 1749; e ristampa: Maranhao 1849; J. A. de Cequeira e Silva, Corographia paraense, Bahia 1833; A. L. Monteiro Baena, Compendio das eras da prov. do Pará, Bahia 1838; C. A. Marques, Diccion. da prov. do Maranhão, Bahia 1870; F. B. de Souza, Lembranças e curiosidades do valle do Amazonas, pará 1873; J. A. de Cerqueira e Silva, Mem. historicas e politicas da prov. da Bahia, Pará 1835-43, voll. 5; M. da Costa Honorato, Diccion. da prov. de Pernambuco, Recife 1863; E. P. de Amaral, Excavações: factos da hist. de Pernambuco, Recife 1884; A. de Carvalho, Estudos pernambucanos, Recife 1906; T. do Bom-Fim Espindola, Descripção physica, politica e hist. da prov. das Alagôas, Maceió 1871; T. P. de Souza Brasil, Diccion. da prov. do Ceará, Rio de Janeiro 1861; T. de Alencar Araripe, Hist. da prov. do Ceará, Recife 1867; A. L. Pereira da Silva, Considerações geraes sobre as prov. do Ceará e Rio Grande do Norte, Rio de Janeiro 1885; G. Studart, Notas para a hist. do Ceará, Lisbona 1892; M. Ferreira Penna, Hist. da prov. do Espirito Santo, Rio de Janeiro 1878; F. F. de Oliveira Freire, Hist. de Sergipe, Rio de Janeiro 1891; Pizarro e Araujo, Memorias hist. do Rio de Janeiro, ivi 1820-22, voll. 10; Moreira de Azevedo, O Rio de Janeiro, ivi 1877, voll. 2; D. de Vasconcellos, Hist. antiga das Minas Geraes, Ouro Preto 1901, e Bello Horizonte 1904; Gaspar da Madre de Deus, Memorias para a hist. da capitania de S. Vicente, Lisbona 1797, rist., Rio de Janeiro 1847; J. A. de Toledo Rendon, Mem. sobra as aldeas de indios da prov. de S. Paulo, Rio de Janeiro 1824; J. J. Machado d'Oliveira, Quadro hist. da prov. de S. Paulo, ivi 1864; J. F. de Godoy, A prov. de S. Paulo, Rio de Janeiro 1875; M. E. de Azevedo Marques, Apontamentos... da prov. de S. Paulo, Rio de Janeiro 1879, voll. 2; J. Mendes de Almeida, A capitania de S. Vicente, S. Paolo 1887; B. de Magalhães, O estado de S. Paulo, Rio de Janeiro 1913; D. de Araujo e Silva, Diccion. hist. da prov. de S. Pedro ou Rio Grande do Sul, Rio de Janeiro 1865; P. J. M. de Brito, Mem. politica sobre a capitania de S. Catharina, Lisbona 1829; M. J. d'Almeida Coelho, Mem. hist. da prov. de S. Catharina, ivi 1856; V. Varzea, S. Catharina, Rio de Janeiro 1900.
Inoltre: M. Fleiuss, Hist. administrativa do Brazil, 2ª ed., Rio de Janeiro 1925; T. Mereilles da Silva, Hist. naval brazileira, Rio de Janeiro 1884; J. Ribeiro, Hist. didactica do Brazil, Rio de Janeiro 1903; A. J. de Macedo Soares, Da liberdade religiosa no Brazil, Rio de Janeiro 1865; C. B. de Oliveira, Systema financial do Brazil, Pietroburgo 1842; J. Meili, A moeda fiduciaria no Brazil: 1771 até 1900, Zurigo 1903; J. Cavalcanti, Historico da divida externa federal, Rio de Janeiro 1923; J. de Rezende da Costa, Mem. hist. sobre os diamantes, seu descobrimento ecc., Rio de Janeiro 1836; Pandiá Calogeras, As minas do Brazil, Rio de Janeiro 1904-1906, voll. 3; A. de Carvalho, Estudo sobre a colonisação e emigração para o Brazil, Porto 1874; V. Grossi, Storia della colonizzazione europea al Brasile e della emigrazione italiana nello stato di S. Paolo, Milano-Roma-Napoli 1914; H. Zoller, Die Deutschen im brasilischen Urwald, Berlino 1883, voll. 2; S. Romero, O allemanismo no sul do Brazil, Rio de Janeiro 1906; D. A. B. Moniz Barreto, Mem. sobre a abolição do commercio da escravatura, Rio de Janeiro 1857; F. A. Brandão iunior, A escravatura no Brazil, Bruxelles 1865; A. M. Perdigão Malherio, A escravidao no Brazil, Rio de Janeiro 1867; A. Bezerra de Menezes, A escravidão no Brazil, Rio de Janeiro 1869; P. Barreto, A abolição e a federação no Brazil, Parigi 1906.
Raccolte biografiche, oltre alla vasta, ma non sempre sicura opera del Sacramento Blake, Diccion. bio-bibliografico brazileiro, Rio de Janeiro 1883-1902, voll. 7; J. M. Pereira da Silva, Os varões illustres do Brazil, Parigi 1859, voll. 2; Moreira de Azevedo, Ensaios biographicos, Rio de Janeiro 1861; J. M. de Macedo, Anno biographico brazileiro, Rio de Janeiro 1876, voll. 3; F. A. Pereira da Costa, Diccion. biographico, Recife 1882; R. M. Galanti, Biographias de brazileiros illustres, S. Paolo 1911; A. de Escragnolle Taunay, Grandes vultos da independencia brasileira, S. Paolo 1922; Lery Santos, Pantheon fluminense, Rio de Janeiro 1880; R. C. Alves da Cunha, Paraenses illustres, Parigi 1896; M. de Sousa Borges Leal, Apontamentos biographicos ecc., Therezina 1879. - Biografie particolari: su Giovanni VI: Anonimo, Hist. de Jean VI roi de Portugal, Parigi-Lipsia 1827; J. Presas, Mem. de la Princesa del Brasil, Bordeaux 1830; Oliveira Lima, D. João VI no Brazil, Rio de Janeiro 1908, voll. 2 (opera fondamentale, non soltanto per il periodo giovannino). - Su Pietro I: E. de Monglave, Correspondance de D. Pèdre avec Jean VI son père durant les troubles du Brésil, Parigi 1827; A. D. de Pascoal, Rasgos memoraveis do Sr. d. Pedro I, Rio de Janeiro 1862; L. F. da Veiga, O primeiro reinado estudado à luz da sciencia, Rio de Janeiro 1877. - Su Pietro II, l'importante opera miscellanea pubblicata dall'Inst. hist. brazileiro: Contribuições para a biographia de d. Pedro II, Rio de Janeiro 1925. Inoltre: A. Fialho, D. Pedro II empereur du Brésil, Bruxelles 1876; A. von Nowakowski e H. Flechner, Brasilien unter d. Pedro II, Vienna 1877; B. Mossé, D. Pedro II, Parigi 1889; visconde de Saboia, O Sr. d. Pedro II, Rio de Janeiro 1896. Sui precedenti diplomatici del matrimonio di Don Pedro: G. Doria, Viaggiatori brasiliani in Italia, in Riv. d'America e d'Italia, III, 18. Per la personalità dell'imperatore, l'acuta indagine di C. Magalhães de Azeredo, D. Pedro II: traços da sua physionomia moral, Rio de Janeiro 1923; ristamp. nel cit. vol. Contribuições ecc. - Sul "patriarca dell'indipendenza": E. J. da Silva Maia, Elogio hist. de Andrada e Silva, Rio de Janeiro 1858; A. A. da Costa Aguaiar, Apontamentos hist. à respeito de J. B. de Andrada e Silva, Rio de Janeiro 1872; J. M. Latino Coelho, Elogio hist. de J. B. de Andrada e Silva, Lisbona 1877. - Sul Caxias, J. Pinto de Campos, Vida do duque de Caxias, Lisbona 1878.
Intorno a particolari punti di storia brasiliana: complessivamente sulle imprese dei Francesi: P. Gaffarel, Hist. du Brésil français, Parigi 1878; ma cfr. Ramiz Galvão, negli Annaes da Bibl. Nacional, I (1879): particolarmente sul Villegagnon: A. Heulhard, V. roi d'Amérique, Parigi 1897: e sul Du Guay Trouin: Relation de ce qui s'est passé pendant la campagne de Rio de Janeiro faite par l'escadre des Vaisseaux du Roy commandée par le Sieur du Guay-Trouin, Parigi 1712; e i Mémoires dello stesso Du Guay Trouin, Parigi 1740. - Sulla guerra con gli Olandesi: J. de Medeiros Correa, Relação verdadeira de todo o succedido na restauração da Bahia, Lisbona 1625; Avendaño y Villela, Relación del viaje y suceso de la armada que partió al Brasil, ecc., Siviglia 1625 (trad. ital. di F. Pizzuto, Roma 1625); T. Tamayo de Vargas, Restauración de la ciudad del Salvador, Madrid 1628; D. d'Albuquerque Coello, Memorias diarias de la guerra del Brasil, Madrid 1654; J. de Medeiros Correa, Breve relação dos ultimos successos da guerra do Brazil, Lisbona 1654; fr. Raphael de Jesus, Castrioto lusitano, Parigi 1844; M. Netscher, Les hollandais au Brésil, L'Aia 1853; A. J. de Mello Moraes e I. A. de Serqueira e Silva, Mem. diarias da guerra do Brazil por espaço de nove annos comezando em 1630 ecc., Rio de Janeiro 1855; F. A. Varnhagen, Hist. das lutas com os hollandezes no Brazil, Vienna 1871 e Lisbona 1872. In particolare sulla partecipazione di truppe napoletane a quelle guerre: J. Nogueira Jaguaribe, O conde de Bagnuoli, S. Paolo 1918; e G. Doria, I "tercios" napoletani nelle guerre del Brasile, Napoli 1930. - A. D. de Pascoal, As quatro derradeiras noites dos Inconfidentes de Minas Geraes, Rio de Janeiro 1868; Muniz Tavares, Hist. da revolução de 1817, 2ª ed., Pernambuco 1884. - Sulla guerra dei farrapos: Alencar Araripe, nella Rev. do Inst., XLIII a XLVII. - Sulla parte avutavi da Garibaldi: V. Varzea, Garibaldi in America, trad. Petti, Rio de Janeiro 1901; G. Doria, Documenti ignoti sulla vita di Garibaldi in America, Firenze 1930; J. C. Reybaud, Le Brésil et Rosas, Parigi 1851. - Sulla guerra del Paraguay: G. Thompson, The Paraguayan War, Londra 1869; A. F. Kennedy, La Plata, Brazil and Paraguay during the war, Londra 1869; E. C. Jourdan, Guerra do Paraguay, Rio de Janeiro 1890; e la recente monografia di M. de Carvalho nelle cit. Contribuições para a biographia de Pedro II.
Intorno alle missioni e alla colonizzazione dei gesuiti: J. de Moraes, Hist. da C. de J. na extincta prov. do Maranhão e Pará, Rio de Janeiro 1860; S. Vasconcellos, Chronica da Companhia de Jesus do Estado do Brasil e do que obraram seus filhos nesta parte äo novo Mundo: Entrada da Companhia de Jesus nas partes do Brasil, 2ª ed., a cura di J. C. Ferrandez Pinheiro, Rio de Janeiro 1864-67, voll. 2; A. Henriques Leal, Apontamentos para a hist. dos jesuitas no Brazil, Maranhão 1874, voll. 2; J. L. d'Azevedo, Os jesuitas no Grão Pará, Lisbona 1901; S. Beretario, Vita del padre Gioseffo Anchieta, Torino 1621; l'ed. originale, in latino è di Lione 1617; A. Franco, Vida do p. J. de Anchieta, Rio de Janeiro 1898; A. da Cunha Barboza, Manoel da Nobrega e J. de Anchieta, nel vol. Estudios hist., Rio de Janeiro 1902; J. L. d'Azevedo, Hist. d'A. Vieira, Lisbona 1912-21, voll. 2; J. M. de Madureira, A libertade dos Indios, a Companhia de Jesus, sua Pedagogia e seus resultados, Rio de Janeiro 1927-29, voll. 2. Sui gesuiti italiani in particolare: G. Doria, I gesuiti nel Brasile e il profetico p. Amodei, nella Riv. d'Italia e d'America, III, 15.
Lingua.
La lingua nazionale del Brasile è il portoghese (per le lingue indigene v. america: Lingue indigene; tupi-guaraní) che, introdotto nel sec. XVI dagli scopritori lusitani, in un ambiente diverso da quello d'origine, fra una popolazione mista d'indigeni (specialmente Tupi-Guaraní), di negri importati dalle colonie portoghesi dell'Africa, e di bianchi (per la maggior parte del Portogallo) ha subito lievi modificazioni. Rimandando all'articolo portogallo: Lingua, per ciò che riguarda la struttura e la formazione del portoghese, parleremo qui brevemente delle caratteristiche che differenziano il brasiliano popolare dal portoghese europeo.
a) Caratteristiche fonetiche. - Quanto al vocalismo, la principale è data dalla pronunzia di e e o atone (e specialmente protoniche) che suonano nel Brasile come ẹ e ọ (cioè e e o strette), mentre nel Portogallo suonano ə (cioè e semimuta, più chiusa che e nel francese me). Altre caratteristiche sono date dal dittongo ou che i Brasiliani pronunciano sempre ọ, mentre in Portogallo esso suona secondo i casi ọu, ọi, ọ; e dalla -e finale che in parole come dente, vale e nei pronomi me, te, se è quasi muta nel Portogallo, e invece suona ẹ o i nel Brasile.
Passando al consonantismo, la principale caratteristica è data dalla caduta di -r finale e spesso anche di -l finale. Presso le classi più colte tale pronunzia è evitata, ma la r rimane sempre più debole che nel portoghese d'Europa. La seconda caratteristica peculiare della pronuncia popolare è la vocalizzazione della liquida palatilizzata lh (= gli italiano) in i, p. es. in mui̯é per mulher, in paia per palha, ecc. Infine notiamo che -s finale è pronunziata generalmente š (= sci italiano), come nelle parti meridionali del Portogallo: p. es. tres suona treš. In complesso, non considerando quelle particolarità che sono proprie della lingua delle persone incolte, la pronunzia brasiliana, comparata a quella del Portogallo ha qualcosa di strascicato e risulta più misurata, più sonora, ma meno energica di quella portoghese.
b) Caratteristiche morfologiche. - Se non consideriamo qui la congiunzione se che è in Brasile si e la preposizione de che suona di (caratteristiche veramente piuttosto fonetiche che morfologiche), non possiamo elencare in questo paragrafo come particolarità morfologica del brasiliano comune anche alle persone colte, altro che una tendenza a formare molti diminutivi anche in casi sconosciuti al portoghese (per es. da un gerundio). Abbiamo così o João esta dormindinho "Giovanni sta dormicchiando", e dall'agg. bonito "bello" troviamo dei diminutivi come bonitinho e perfino bonitinhozinho. Le altre caratteristiche morfologiche appartengono quasi esclusivamente alla classe più volgare e siccome per la maggior parte si tratta di tendenze che si trovano assai sviluppate negli idiomi creolo-portoghesi (v. creole, lingue) non è ardito pensare che siano nate dapprima nella popolazione negra o tupi-guaraní per poi diffondersi al basso volgo, anche di razza bianca. Così abbiamo la tendenza a sopprimere la -s del plurale, p. es. as casa per as casas; duas galinha per duas galinhas e così via. L'uso della terza persona del verbo anche con soggetti di seconda persona singolare o di prima plurale (p. es. nos come a fruta; invece di comemos), è un volgarismo evitato. Più frequente è la caduta di -s nella prima persona plurale dei verbi (in tutti i tempi), p. es. nos havemo per nos havemos.
c) Caratteristiche sintattiche. - La principale particolarità sintattica sta nella collocazione dei pronomi personali atoni. In Portogallo essi seguono normalmente il verbo quando sono all'accusativo, e una frase non può mai cominciare con uno di questi pronomi. In Brasile la frase popolarmente comincia spesso con un pronome atono oggetto o dativo (p. es. port. deixe-me, bras. me deixe "mi lasci"; port. diga-me uma coisa, bras. me diga uma coisa "mi dica una cosa", ecc.). Per converso molte volte il portoghese nel mezzo della frase prepone il pronome e il brasiliano lo pospone, p. es. supponde que um portugues apodera-se de todos os idiotismos brasileiros, laddove un portoghese d'Europa direbbe se apodera "supponi che un portoghese si renda padrone di tutti gli idiotismi brasiliani"; port. não me chamou, bras. não chamou-me "non mi chiamò".
Un'altra caratteristica importante è quella di usare sovente i pronomi tonici (che in portoghese si usano come soggetti) come oggetto diretto invece degli atoni, p. es. vi ele "lo vidi" per il corretto vi-o; chamar (a) eles, per il port. chamá-los o chamá-los a eles. Nelle frasi interrogative talvolta il brasiliano prepone il pronome soggetto anziché posporlo come vuole la grammatica portoghese, p. es. bras. quando ele veio? per il port. quando veio ele? (quando venne egli?). Coi verbi di moto si usa talvolta (come in portoghese antico) la preposizione em invece di a o di para, p. es. levei-o na casa per il port. levei-o para casa, "lo condussi a casa".
Il brasiliano ama infine molto, come l'italiano, le costruzioni col gerundio per indicare la durata, p. es. bras. estou escrevendo per il port. estou a escrever; bras. estou fazendo per il port. estou a fazer.
d) Caratteristiche lessicali. - Possiamo distinguere due tipi di caratteristiche lessicali del brasiliano rispetto al portoghese: fenomeni di conservazione e fenomeni di innovazione.
1. Fenomeni di conservazione: si tratta di forme che erano in uso nel portoghese arcaico (fino al sec. XVI), ma che poi disparvero nella lingua del Portogallo, mentre sopravvissero nel Brasile, p. es. guaiar "piangere, gemere, lamentarsi"; faneco "pezzo" (port. arc. "pezzo di pane"); l'uso del pronome tonico (come nella frase eu vi ele), che si trova in prosatori portoghesi del sec. XV.
2. Fenomeni di innovazione: distinguiamo tre specie: α) innovazione semantica: molte parole usate in portoghese in un determinato significato, su territorio brasiliano hanno mutato, esteso o ristretto il loro senso, p. es. faceira che in port. significa "carne della guancia del bue" e fig. "millanteria", in Brasile assume il senso di "donna leziosa, superba", babado che in port. significa "bavoso" in Brasile assume il senso di "folho em pregas, para guarnição de saias, toalhas ecc."; capoeira che propriamente significa "capponiera" in Brasile designa un uccello somigliante alla pernice. β) innovazioni per mezzo di derivazione: da molte parole portoghesi si sono ricavate, su territorio brasiliano, per mezzo di suffissi e di prefissi o in composizione, delle parole nuove sconosciute al portoghese d'Europa; p. es. dal faceira già citato o da faceiro che anche in Portogallo significa "elegante", il brasiliano deriva faceirar "vestir con ricercatezza, elegantemente" e faceirece "eleganza, superbia"; da faca "coltellaccio" si trasse nel Brasile del sud la voce composta facade-rasto, "gran coltellaccio che serve per aprirsi la via nella foresta", ecc. γ) innovazioni dovute a prestiti da altre lingue: nel Brasile il contatto fra tre razze diverse ha influito fortemente anche sulla lingua; il portoghese del Brasile ha assunto infatti alcune voci dalle lingue africane dei coloni negri importati dall'Africa nella nuova colonia, ma specialmente un numero assai considerevole di parole dalle lingue indigene americane e massime da quelle della famiglia Tupi-Guaraní, giacché il Tupi, come si vedrà alla v. tupi-guaraní, assunse il valore di lingua geral (una specie di lingua franca). Il numero di queste voci è particolarmente grande nelle terminologie speciali (botanica, zoologica, culinaria ecc.); qualche rapidissimo esempio: arara, ave trepadora, specie di pappagallo, Tupi ara (frequente anche nella toponomastica della regione di Pernambuco); araponga, uccello bianco del Brasile, notevole per il suono metallico del suo canto, Tupi guiparrong; capiguará, specie di lontra, Tupi capibara (Guaraní, capiguyó), capoeira "bosco rado" (cfr. più sopra), Tupi capuera; catinga, bosco secco per l'arsura in mezzo alla pianura brasiliana, Tupi caatinga (caa-tining "bosco, secco").
Tutte queste caratteristiche che abbiamo esaminato segnano una certa differenza fra il brasiliano e il portoghese; occorre però ripetere che alcune di esse sono proprie solo delle classi meno colte (p. es. lh > i, ecc.). Altre diversità si hanno per il fatto che nel Brasile non è stata applicata la recente riforma dell'ortografia portoghese. Comunque, non si può parlare di una vera e propria lingua brasiliana, e se il chiamar il portoghese del Brasile un dialetto (il che sarebbe del tutto giustificato dal punto di vista strettamente scientifico) può dispiacere, come effettivamente è dispiaciuto, all'amor patrio dei brasiliani, non si correrà nessun rischio a chiamarlo "varietà brasiliana del portoghese" riservando il nome di dialetti alle parlate particolari delle varie parti del Brasile (che il Leite de Vasconcellos chiama sub-dialetti). Le quali parlate presentano differenze assai lievi, e più che altro lessicologiche. Nella regione delle Amazzoni, p. es. o diviene u (p. es. canua) come nel portoghese delle Azzorre, nel Brasile meridionale i numerosissimi Italiani hanno portato il loro contributo introducendo alcuni italianismi nella parlata brasiliana, come gli Olandesi nei dintorni di Pernambuco. Differenze tutte più della lingua parlata che di quella scritta; infatti, quando un filologo brasiliano, M. Paranhos da Silva, ha tentato di dare dei saggi di traduzioni dal portoghese in brasiliano si è dovuto limitare a mutare i se in si, i de in di e talvolta la collocazione dei pronomi.
Bibl.: Ad. Coelho, Dialectos romanicos ou neo-latinos em Asia, Africa e America, s. l. e s. a., I, II, III; R. Romeo, Estudos sobre a poesia popular do Brasil, Rio de Janeiro 1888, p. 308 segg., opere invecchiate. Eccellente è l'Esquisse d'une dialectologie portugaise di J. Leite De Vasconcellos, Parigi 1901, che tiene conto anche del brasiliano. Il miglior dizionario portoghese, che raccoglie numerosissimi idiotismi brasiliani, è quello di C. de Figuereido, Novo diccionario da lingua portuguesa, 5ª ed., Lisbona s. a. Un dizionario, ormai invecchiato ma sempre buonissimo dedicato specialmente ai "brasileirismi" è il Diccionario brazileiro da lingua portuguesa, pubblicato negli Annaes da Bibliotheca Nacional do Rio de Janeiro, XIII (1888). Si possono ricordare anche il Vocabulario brasileiro di Costa Rubim (1853) e la Collecção de vocabulos e frases do Rio Grande do Sul, di Pereira Carusa (Rev. do Instituto Historico, 1852). Per le voci di origine indigena americana cfr. Friederici, Hilfswörterbuch für den Amerikanisten, Halle 1926. Un buon libretto d'insieme sul brasiliano è quello di J. Ribeiro, A lingua nacional, San Paolo 1921. Ottimi sono gli Estudos da lingua portuguesa, Rio de Janeiro 1903 (seguiti da Novos estudos, 1911 [2ª ed., 1921], e Novissimos estudos, 1914, di M. Barreto, che ora dirige la Rivista de filologia portuguesa di San Paolo). E accanto a questa rivista segnaliamo anche la Revista de lingua portuguesa che si pubblica da qualche anno a Rio de Janeiro sotto la direzione di L. Freire. I tentativi di traduzione portoghese-brasiliana del Paranhos da Silva si trovano in un opuscolo anonimo: O idioma do hodierna Portugal comparada com o do Brazil, Rio de Janeiro 1879 (cfr. Leite de Vasconcellos, Opusculos, IV, Coimbra 1929, pp. 893-895).
Letteratura.
Giustamente è stato notato da un illustre storico della letteratura brasiliana, José Verissimo, che "la letteratura moderna brasiliana è l'espressione di un pensiero e di un sentimento che non si confondono più col pensiero e col sentimento portoghese, e anche il suo strumento, la lingua comune ai due paesi, non è più interamente portoghese". L'emancipazione letteraria del Brasile incomincia col romanticismo, dopo che il paese ebbe raggiunto l'indipendenza politica; ma, come osserva il Verissimo, il sentimento che al romanticismo diede l'impulso, lo spirito nativista, prima, e nazionalista poi, si era venuto formando fin dalle prime manifestazioni letterarie brasiliane, senza che la subordinazione al pensiero e allo spirito portoghese riuscisse mai ad estinguerlo. E precisamente la persistenza, nel tempo e nello spazio, di quel sentimento, manifestato letterariamente, dà alla letteratura brasiliana l'unità e ne spiega l'autonomia.
Le tre razze costitutive della nazionalità brasiliana: la portoghese, avventurosa, insieme, sentimentale e pratica; l'africana, sensuale e nostalgica; l'indiana, malinconica e resistente, fondendosi, sempre con la preponderanza spirituale e, gradatamente, anche demografica dei Bianchi, hanno dato origine alla mentalità, di cui la letteratura brasiliana è espressione.
Nello svolgimento storico della letteratura brasiliana, possono distinguersi, sia pure empiricamente, tre periodi: 1. un periodo di formazione, in cui predomina lo spirito portoghese (1500-1750); 2. un periodo di trasformazione, quando i poeti della scuola cosiddetta mineira cominciano ad opporsi all'influenza lusitana (1750-1830); 3. il periodo dell'autonomia, col sorgere del romanticismo.
Periodo di formazione. - Le manifestazioni letterarie cominciarono in Brasile nel secolo della sua scoperta. Naturalmente quanti in Brasile. anche mezzo secolo dopo la scoperta, potevano scrivere, erano portoghesi. Soltanto verso la fine del secolo cominciarono a uscire dalle scuole dei gesuiti, che erano le uniche, brasiliani in grado di farlo. Fra i gesuiti, che, con la volontà tenace e l'abnegazione, tanto contribuirono allo sviluppo della nazione brasiliana, è giusto menzionare per primo, anche riguardo alla storia letteraria, il padre José de Anchieta (1530-1597), scrittore di prose e di versi, in portoghese, in spagnolo, in latino, in lingua tupi, di importanti lettere e di una Brasilica Societatis Historia: scrittore per l'apostolato.
Verso la fine del sec. XVI fu la capitaneria di Pernambuco a dirigere, economicamente e intellettualmente, i destini dell'America portoghese; ed è del 1601 una Prosopopéa dirigida a Jorge de Albuquerque Coelho, Capitão e Governador de Pernambuco, Nova Lusitania ecc., in ottave, di scarsissimo valore, di Bento Teixeira Pinto, di Pernambuco. Non è certo che siano opera dello stesso il Dialogo das grandezas do Brasil e una Relação do naufragio que passou Jorge de Albuquerque Coelho.
Oltre i due nominati, son degni di menzione i seguenti, che vissero o soggiornarono in Brasile nel sec. XVI: Pero de Magalhães Gandavo, autore di una Historia da provincia de Santa Cruz a que vulgarmente chamamos Brasil e di scritti storici, importanti come fonte di informazioni; Gabriel Soares de Souza (m. 1591), autore di un Tractado descriptivo do Brasil em 1587; il gesuita Fernão Cardim (1540-1625), autore, fra l'altro, di una Narrativa epistolar de uma viagem e missão jesuitica pela Bahia; Pero Lopes de Souza, autore di un Diario da navegação da armada que foi á terra do Brasil em 1530. Della maggior parte di questi scrittori si è occupato l'erudito brasiliano Francisco Adolpho Varnhagen.
Nel sec. XVII il sentimento nazionale, appena percettibile nel secolo precedente, ancora dominato dallo spirito portoghese, si fa chiaro e forte nelle lotte contro gli Olandesi. Le lettere salgono in onore, specialmente nello stato della Bahia dove i poeti del rinascimento italiano, spagnolo e portoghese sono letti ed imitati. Come fra i portoghesi, predomina fra gli uomini di lettere brasiliani, quasi tutti, del resto, usciti dalle aule di Coimbra, l'influenza del Gongora e dei suoi discepoli.
Fra i prosatori del tempo, si distinsero: fra Vicente do Salvador, Manuel de Moraes, Diogo Gomes Carneiro, fra Christovão da Madre de Deus Luz, Eusebio de Mattos e Antonio de Sá. Tra i poeti: Bernardo Vieira Ravasco, Domingos Barbosa, Gonçalo Soares da França, Gregorio de Mattos, Manoel Botelho de Oliveira, Josè Borges de Barros, Gonçalo Ravasco Cavalcante de Albuquerque e João de Brito Lima. Tutti formano la cosiddetta scuola bahiana. Principali fra i citati sono Manoel Botelho de Oliveira (1636-1711), autore di una raccolta di versi, Musica do Parnaso em quatro córos de rimas portuguezas, castelhanas, italianas e latinas com seu descante comico reduzido em duas comedias, e Gregorio de Mattos, col quale comincia veramente ad apparire il sentimento brasiliano. Questi (1633-1696) ebbe, meglio di qualunque altro poeta del suo tempo, l'intuizione della poesia sociale come arma contro le pretese dei potenti e le imposture d'ogni sorta, e fu buon poeta lirico ed eccellente poeta satirico.
Non prima della prima metà del sec. XVIII attecchì in Brasile il gusto delle accademie. Nel 1724, sotto gli auspici del viceré D. Vasco Fernandes Cesar de Mendonça, si istituì alla Bahia una società letteraria, intitolata Academia Brasileira dos Esquecidos. Altre accademie furono quelle dei Felizes (1736), poi Selectos (1752), a Rio de Janeiro, e dei Renascidos (1759), alla Bahia, tutte effimere, e "laboratorî di puerilità", ma indice d'una trasformazione lenta che si operava nel pensiero brasiliano. Un certo orgoglio nazionale, l'orgoglio di mostrare che anche il Brasile aveva una letteratura, è rivelato da opere come il Peregrino da America di Nuno Marques Pereira, la Historia militar do Brasil di José de Mirales, la Historia da America portugueza di Rocha Pitta e il poema Brasilia di Soares da França.
Appartengono a questi anni Bartholomeu de Gusmão, che (secondo quanto si afferma in Brasile e in Portogallo) inventò il pallone aerostatico prima del Montgolfier; Alexandre de Gusmão, autore di lettere bellissime, di versi graziosi e d'una buona commedia, O marido confundido; Sebastião da Rocha Pitta (1660-1738), che deve la sua fama, meglio che ai versi, alla Historia da America Portugueza (1730), più che storia, opera di fantasia, appassionata e caratteristica; Fr. Manoel de Santa Maria Itaparica (n. 1704), che lasciò, fra l'altro, il poema Eustachidos, "em que se contem a vida de Santo Eustachio martyr, chamado antes Placido, e de sua mulher e filhos", e dove la parte più significante è data dalla descrizione dell'isola di Itaparica (ricorda l'altra di Manoel Botelho, dell'isola di Maré); Nuno Marques Pereira (1652-1728), autore di un Compendio narrativo do Peregrino da America, assai stimato dai contemporanei; e Antonio José da Silva (nato a Rio de Janeiro nel 1705, ma vissuto quasi sempre in Portogallo, dove fu condannato a morte dal Santo Ufficio, nel 1739), autore di commedie melodrammatiche e satiriche.
Periodo di trasformazione. - Nella seconda fase del sec. XVIII, emerge una scuola mineira, così detta perché fiorisce nei principali centri della provincia di Minas Geraes, alla quale scuola appartengono poeti veramente notevoli.
Epici. - José Basilio da Gama (1741-1795) pubblicò nel 1769 un non lungo poema, l'Uruguay, in cui tratta della breve guerra mossa dal Portogallo e dalla Spagna agl'indigeni delle Missioni dell'Uruguay, i quali, incitati dai padri della Compagnia di Gesù, si erano ribellati al trattato del 1750. Il poema contiene versi pregevoli e commoventi, nei quali l'artista supera ogni suo antecessore per sentimento della terra americana, naturalezza, grazia ed eleganza. Allo stesso autore son dovuti il poema Quitubia ed altre composizioni di minore importanza. Ma l'Uruguay occupa nella storia della letteratura brasiliana un posto notevole, come un poema che già contiene tendenze romantiche.
José de Santa Rita Durão (nato nel 1717) diede alla luce nel 1781 il poema epico Caramurú, concernente i fasti del suo paese dalla scoperta della Bahia alla cacciata degli stranieri. Il Caramurú non ha l'originalità e l'arte dell'Uruguay, sebbene non manchi di pregi: ampiezza della concezione, buona lingua, buono stile, spirito d'osservazione, arte descrittiva. L'autore ha su Basilio da Gama la superiorità della cultura.
Citiamo anche il poema Villa-Rica di Claudio Manoel da Costa, stampato solo nel sec. XIX, molti anni dopo la morte dell'autore.
Gli Arcadi. - L'Arcadia Lusitana o Ulissiponense fu fondata a Lisbona nel 1756 da Antonio Diniz da Cruz e Silva e da Manoel Nic lau Esteves Negrão per "formare - sono parole dello statuto - una scuola di buoni insegnamenti e di buoni esempi in materia di eloquenza e di poesia, da servire di modello ai giovani ed agli studiosi e che diffondesse per tutta la nazione l'ardore di restaurare l'antica bellezza di queste arti dimenticate". L'Arcadia visse una ventina d'anni, per poi risorgere col nome di Nuova Arcadia. In Brasile il maggiore rappresentante dell'arcadismo fu Claudio Manoel da Costa (nato nel 1729), Glauceste Saturnio, il quale, fornito di larga e bella cultura, anche se non grande poeta, contribuì, e molto, allo sviluppo della poesia brasiliana, perché le sue poesie, per la tecnica e per la lingua, sono perfette. Morì nel 1789 in carcere, per aver partecipato alla cospirazione detta dell'Inconfidencia. Ma il più grande poeta della scuola mineira fu Thomaz Antonio Gonzaga nato nel 1744 e morto in esilio in Angola fra il 1807 e il 1809, per avere preso parte alla già ricordata cospirazione, autore del canzoniere amoroso più stimato in lingua portoghese, Marilia de Dirceu, che dal 1792 al 1919 ha avute non meno di 34 edizioni. Nei suoi versi, sotto forme ancora scrupolosamente classiche, già si presente qualche fremito dell'imminente sensibilità romantica. Vengono poi José Ignacio de Alvarenga Peixoto (1744-1793), che, fra l'altro, tradusse la Merope del Maffei; Manoel Ignacio da Silva Alvarenga (1749-1814), poeta di transizione fra il secentismo di Claudio Manoel da Costa e il soggettivismo di Gonçalves Dias, tra arcadi e romantici.
Satirici. - Non si sa di certo chi sia stato l'autore delle Cartas chilenas, pubblicate la prima volta, solo, nel 1845 dalla Revista Minerva Brasiliense; ma pare si possa attribuirle a Thomaz Antonio Gonzaga; il poema manifesta un grande progresso sugli altri del medesimo genere apparsi in Brasile, dopo Gregorio de Mattos. Altri satirici: Antonio Mendes Bordallo, João Pereira da Silva, Costa Gadelha, José Joaquim da Silva e Francisco de Mello Franco; e i lirici Domingos Vidal Barbosa, Bento de Figueiredo Tenreiro Aranha e, specialmente, Domingos Caldas Barbosa (1740-1800).
Prosa. - Nel sec. XVIII la prosa non ha molta importanza. Basti qui menzionare Pedro Taques de Almeida Paes Leme, fra Gaspar da Madre de Deus, Antonio José Victorino Barges da Fonseca e fra Antonio de Santa Maria Jaboatão.
Seguirono invece, nel primo decennio del sec. XIX, anni decisivi per la letteratura brasiliana e per la formazione della nazionalità brasiliana. Il trasferimento della corte e del governo da Lisbona a Rio de Janeiro pone termine al regime coloniale. La capitale si trova ormai nel Brasile, che acquista nuovi organi, nuove funzioni, nuova vita. Sorge una stampa, sorgono i primi giornali e riviste, scuole e istituti di cultura, fra i quali una biblioteca.
Il dissidio col Portogallo distrae dal caduco regno l'attenzione, la considerazione e l'interesse del popolo brasiliano. I giovani non vanno ormai a studiare a Coimbra soltanto: ci sono altri centri di cultura in Europa. Da questo contatto con i principali centri della civiltà europea, in cui, precisamente verso questo tempo, l'avvento di una nuova formula letteraria agitava le menti, scaturisce il movimento, di cui la prima manifestazione in Brasile saranno, nel 1836, i Suspiros poeticos e saudades di Gonçalves de Magalhães.
Ma, prima di procedere oltre, ricorderemo gli scrittori principali, anteriori alla prima fase del romanticismo. Nella poesia, si sente ancora l'influenza degli arcadi portoghesi, leggermente modificata dagl'insegnamenti degli enciclopedisti e di Rousseau: il p. Antonio Pereira de Souza Caldas (1762-1814), d'una sincera sensibilità, autore di liriche e di poemi religiosi e morali; fra Francisco de S. Carlos (1763-1829), autore d'un poema sull'Assumpção da Santissima Virgem; José Eloy Ottoni (1764-1841) e José Bonifacio de Andrada e Silva (1765-1838), lo spirito più complesso del tempo, scienziato, moralista, oratore, politico e poeta.
Nella prosa, nomi di reale valore sono principalmente: Mont'Alverne (1784-1850), volgarizzatore della filosofia tedesca, francese e inglese, famoso oratore sacro, e José da Silva Lisboa (1756-1836), visconte di Cayrú, l'opera letteraria del quale fu consacrata essenzialmente agl'interessi del paese; autore della Historia dos principaes successos politicos do Imperio do Brasil (1810) e di molte memorie storiche, economiche, giuridiche, ecc. Mariano José Pereira da Fonseca (1773-1848), marchese di Maricá, fu una delle figure più simpatiche del periodo preromantico, autore di Maximas, pensamentos e reflexões, che ancora oggi si possono leggere con piacere. José Feliciano Fernandes Pinheiro (1774-1847), storiografo di merito, fu l'autore degli Annaes da Capitania de S. Pedro e di Memorias. Hippolyto José da Costa Pereira Furtado de Mendonça (1774-1823) nel suo Correio brasiliense attaccò fieramente i governanti del suo paese.
Fra gli ultimi classici e i primi romantici sono poi da ricordare alcuni poeti, che Sylvio Romero ascrisse a un gruppo di transizione, quali Maciel Monteiro (1804-1868), Odorico Mendes (1799-1868), traduttore d' Omero e di Virgilio, e Salomé Queiroga (1810-1878).
Romanticismo. - La figura più notevole del primo romanticismo brasiliano fu Domingos José Gonçalves de Magalhães (1811-1882), autore dei Suspiros poeticos e saudades (Parigi 1836). La novità della sua poesia non consisteva soltanto nel calore del sentimento patriottico, e nell'impronta religiosa, ma nella fusione intima di ambedue i sentimenti, in forme sempre più varie. Il suo poema Confederacão dos Tamoyos è del 1856.
Insieme con lui, sorsero varî poeti e scrittori, fra cui Porto-Alegre (1806-1870), vero precursore del romanticismo e che nel poema A voz da Natureza (1835) lasciò una testimonianza ammirabile della sua capacità di fare poesia, fuori dei preconcetti classici e dentro forme nuove. Il suo capolavoro è il poema Colombo (1866). Gli altri scrittori sono piuttosto considerevoli come prosatori, critici, romanzieri e storiografi, come si vedrà più avanti.
Gonçalves Dias (1823-1864), meticcio, fu il creatore dell'indianismo, e forse il più illustre dei poeti brasiliani, autore di Primeiros cantos, Segundos cantos, Os Tymbiras, Ultimos cantos, Sextilhas de Frei Antão, di un bel dramma in prosa, D. Leonor de Mendonça, di un Diccionario da lingua tupi, di un Vocabulario da lingua geral, ecc.: fornito di tutte le doti e facoltà che formano un grande artista, immaginazione, sensibilità, sentimento della natura, seppe evocare e idealizzare magnificamente nei suoi poemi i costumi, le tradizioni, l'anima delle popolazioni autoctone del Brasile, innalzandosi spesso all'altezza dell'epopea.
Con Alvares de Azevedo (1831-1852), la poesia romantica prende una direzione nuova. La sua Lyra dos vinte annos porta nella letteratura brasiliana l'amarezza ironica, la malinconia, l'inquietudine e il pessimismo di molti tra i poeti europei contemporanei. Le sue Obras poeticas uscirono nel 1853. Simile carattere ha la poesia di Laurindo Rabello (1826-1864), Junqueira Freire (1832-1855), Casimiro de Abreu (1837-1860). Un luogo a parte occupa Fagundes Varella (1841-1875), in cui l'indianismo di Gonçalves Dias, il satanismo byroniano di Alvares de Azevedo e il condoreirismo, che vedremo, di Castro Alves e Tobias Barreto si trovano riuniti. Mostra tale versatilità di sentimento e di espressione, quale si incontrerà soltanto più tardi nei parnassiani e nei naturalisti. Si devono a lui: Nocturnos, Vozes da America, Cantos e fantasias, Cantos meridionaes, Anchieta ou o Evangelho nas Selvas, Diario de Lazaro.
L'ultima fase del romanticismo è caratterizzata dalla poesia sociale di Castro Alves (1847-1871) e di Tobias Barreto (1839-1889), suggerita quasi esclusivamente dalle loro tendenze in favore della campagna abolizionista contro la schiavitù. Sono i rappresentanti della scuola cosiddetta condoreira (dal condor, l'aquila americana). Il primo lasciò, oltre a poesie sparse, Espumas fluctuantes, Poema dos escravos e, incompleto, il dramma Gonzaga, tutte opere piene di un'eloquenza infiammata e immaginosa. Come artista già precorre, in un certo modo, i parnassiani.
Epigoni della poesia romantica, meritevoli di menzione furono: Francisco Octaviano de Almeida Rosa (1825-1889), il barone di Paranapiacaba (1827-1915), autore dell'Harpa gemedora e di numerose traduzioni, Antonio Francisco Dutra e Mello (1823-1846), Aureliano José Lessa (1827-1886), José Bonifacio il Giovine (1827-1886), Bernardo Joaquim da Silva Guimarães (1827-1884), José Alexandre Teixeira de Mello (1833-1907), Pedro Luiz Soares de Souaz (1839-1884), Trajano Galvão de Carvalho (1830-1864), Francisco Leite Bittencourt Sampaio (1830-1894), Gentil Homem de Almeida Braga (1834-1876), Mello Moraes Filho (1844-1919) e Victoriano Palhares (1840-1890).
La prosa e il romanzo. - Dopo tentativi lodevoli. ma di scarso merito, di Teixeira e Souza (1812-1861) e di Joaquim Norberto de Souza e Silva (1820-1891), la prosa narrativa assunse, nelle lettere brasiliane, una fisionomia propria e nitida con Joaquim Manoel de Macedo (1820-1882) e con José de Alencar (1829-1877). Il primo di questi due, autore, fra l'altro, della Moreninha e del Moço louro, popolarissimi e ancora viventi nella memoria di tutti, comprese perfettamente le tendenze dell'anima popolare brasiliana, semplice e sentimentale, e le diede romanzi adeguati. Il secondo, esemplare narratore e pittore di scene e di natura, elegante, commovente, superiore a Gonçalves Dias, come maestro dell'indianismo, ha lasciati numerosi romanzi, fra cui il Guarany, As minas de prata, Iracema, O gaucho, O sertanejo, numerose novelle, fra cui ricordiamo O garatuja, e varî lavori teatrali. Anzi Iracema, appartenente a quel genere letterario a cui dobbiamo Paul et Virginie di Bernardin de Saint-Pierre, è un vero capolavoro. E insieme con essi è da ricordare Manoel Antonio de Almeida (1830-1861), al quale la brevità della vita non consentì di scrivere che un libro solo, le Memorias de um sargento de milicias, monumento d'osservazione sagace ed oggettiva, e pieno di colorito.
Con Bernardo Guimarães (1827-1884) compaiono le primizie del romanzo campestre, del sertanismo, in Mauricio, Escrava Isaura, O seminarista e O ermitão. Continuano questa tendenza Franklin Tavora (1842-1888), in O cabelleira, O matuto, Casa de palha, e, con più sobrietà, Escragnolle Taunay (1843-1899), in Innocencia e in altri racconti, con i quali il romanzo comincia a perdere l'impronta sentimentale che il Macedo gli aveva data. Il Taunay è autore anche della Retirada da Laguna, episodio della guerra col Paraguay, e si è anche molto occupato di politica, di scienza e di critica.
Storia e critica. - Francisco Adolpho de Varnhagen (1816-1878), visconte di Porto Seguro, fu uno dei più attivi, appassionati, disinteressati e serî instauratori degli studî storici e il maggiore discopritore di vecchi documenti e archivî del Brasile. A lui si devono principalmente: Historia geral do Brasil, Historia das luctas contra os Hollandezes e a Historia da Independencia, nelle quali, per la prima volta si faceva veramente della storia senza enfasi e senza idee preconcette.
Meno importanti sono le opere di Pereira da Silva (1817-1898); Historia da fundação do Imperio brasileiro, O segundo periodo do reinado de D. Pedro I, Varões illustres do Brasil durante os tempos coloniaes, ecc. La critica del Pereira è molto inferiore a quella del Varnhagen. Fecondissimo, ma non di grande valore fu Joaquim Norberto de Souza Silva (1820-1891). Le sue opere d'invenzione, come, del resto, quelle dei due precedenti, hanno anch'esse un valore discutibile. Sotero dos Reis (1800-1871) nel suo corso di Literatura Portugueza e Brasileira e Fernandes Pinheiro nel suo Curso elementar de Literatura nacional difettano di senso critico e non sono esenti da preconcetti. Invece, critico sottile, spiritoso ed elegante si rivela João Francisco Lisbôa (1812-1863) nel suo Jornal de Timon.
Dramma. - Può dirsi che il teatro nazionale sia sorto in Brasile con la tragedia Antonio José del Magalhães e con la commedia del Martins Penna, O juiz de paz na roça. Altri dei romantici si provarono nel genere drammatico, ma si dimostrarono inferiori al compito. Invece Luiz Carlos Martins Penna (1815-1848) fu vero autore drammatico acuto, arguto e colorito.
Naturalismo. - Al romanticismo seguì il naturalismo, e, come il primo era stato una reazione contro il classicismo, così il secondo volle essere una reazione contro il romanticismo.
Due sono i maestri del romanzo brasiliano nel periodo naturalista: Machado de Assis e Aluizio Azevedo. Del primo si può dire che solo per alcuni aspetti tecnici appartiene al movimento naturalista, svoltosi nel Brasile tra il 1875 e il 1890. Nato nel 1839, era già, quando quello cominciò a preponderare, intellettualmente maturo e col suo sottile spirito critico seppe prendete del movimento naturalista solo quello che vi trovò di ragionevole e di confacente al suo temperamento. Formato lo stile alla scuola dei grandi scrittori portoghesi, specialmente di Almeida Garrett, il suo concetto della vita, malinconico e pessimista, si sviluppò nello studio degli umoristi inglesi (Sterne, Dickens ecc.), e dei filosofi tedeschi, soprattutto Schopenhauer. È il più perfetto dei romanzieri brasiliani, autore di numerosi romanzi fra i quali vanno ricordati, perché notevolissimi: Memorias posthumas de Braz Cubas (1880), Quincas Borba (1891), Dom Casmurro (1899), Esaú e Jacob (1904), Memorial de Ayres (1908), e novelle eccellenti quali Missa do gallo, l'Alienista, ecc.
L'Azevedo, invece, è il caratteristico rappresentante del naturalismo, vigoroso pittore di tipi, paesaggi e costumi: tra i suoi romanzi sono notevoli: O mulato, Casa de pensão, O homem, O cortiço.
Naturalista a oltranza fu anche Julio Ribeiro, autore dei romanzi Padre Belchior de Pontes e A carne, esaltazione del piacere sensuale, alla maniera del naturalismo zoliano.
Raul Pompeia (1852-1895) scrisse Atheneu, dove si mostra non solo scrittore elegante e colorista, ma anche originale pensatore, preoccupato di problemi spirituali, e genuino poeta; poeta di sensibilità profonda e dolorosa si rivela in Canções sem metro.
Inglez de Souza (1853-1917), autore di O Missionario, O coronel Sangrado, Historia de uns pescados, e Domingos Olympio (1850-1906), che scrisse Luzia Homen, O negro, O almirante, sono meritevoli di menzione, come anche Julia Lopes de Almeida (nata nel 1863), la romanziera più rappresentativa della scuola naturalista, con Martha, A familia Medeiros, A viuva Simões, A fallencia, Traços e illuminuras. Xavier Marques, romanziere regionalista (Bahia, 1861), unisce alla tecnica del naturalismo un senso poetico e un amore della leggenda, che gli conferiscono una fisionomia distinta (O sargento Pedro, Holocausto, Uma familia bahiana, Pindorama). Accanto a lui giova citare due romanzieri del Ceará, Adolpho Caminha (1867), con A normalista, Bom crioulo, A tentação, e Antonio Salles (1868), con il suo romanzo Aves de arribação. Fra i novellisti spiccano Medeiros e Albuquerque (1867), che è anche giornalista, critico e autore di tre volumi di versi, e Domicio da Gama (1862-1925), spirito sottile e gentile, autore di due raccolte - Contos á meia tinta e Historias curtas - documenti d'una filosofia così aristocratica e d'uno stile cosi suggestivo, quali è raro trovare nelle letterature moderne.
Coelho Netto, romanziere, novellista, cronista, autore drammatico, appare nei primi anni della repubblica; ma non si può considerare come rappresentante della scuola naturalista; in lui predomina la fantasia brillante e feconda insieme con l'humour. Si scorge nella sua vastissima produzione l'influenza del grande romanziere portoghese Eça de Queiroz, ma, precisamente per le qualità che fecero di questo una figura a parte nel movimento naturalista, un ammiratore (non imitatore) molto più del Flaubert che dello Zola.
Parnassianismo. - Corrispondente al naturalismo nella prosa, fu il parnassianismo nella poesia, una corrente analoga a quella che era passata in Francia con Banville, Baudelaire, Lecomte de Lisle, i poeti del Parnasse contemporain, e col Victor Hugo della Légende des Siècles. Già, come abbiamo osservato, in Castro Alves, e anche in Fagundes Varella, si notava una certa tendenza a una forma poetica più plastica e moderna di quella caratteristica del secondo periodo del romanticismo. Luiz Guimarães Iunior, poeta melodioso, l'usignuolo della letteratura brasiliana, è ancora tutto romantico nel sentimento, ma, specialmente in Sonetos e rimas, suo capolavoro, raggiunge una perfezione formale, che rare volte sarà superata in seguito. Machado de Assis, nel quale la fama del romanziere e novelliere nocque un poco a quella del poeta, è pure, con ritmi del resto del tutto personali, il vero introduttore del parnassianismo nel Brasile. Già fine e delizioso artista nelle Chrysalidas, nelle Phalenas, nelle Americanas, diede in alcune pagine delle Occidentaes, come Mosca azul, Circulo vicioso, Uma creatura, altrettante gemme fra le più belle e preziose della poesia, non brasiliana soltanto, ma universale.
I triumviri però del parnassianismo sono, nell'opinione generale, Alberto de Oliveira, Raymundo Corrêa e Olavo Bilac, ai quali si aggiunse più tardi Vicente de Carvalho. Ciascuno di loro, oltre alle qualità esteriori che contrassegnarono la scuola parnassiana, ha le proprie doti personali: Alberto de Oliveira è il più pensoso e il più cosmico; Raymundo Corrêa, il più sognatore e il più sottile artista; Olavo Bilac, il più sensuale ed immaginoso; Vicente de Carvalho, il più classico forse nella forma, derivata in parte dal Camões, e íl cantore, per eccellenza, del mare. Idealmente vicino a questa scuola può anche considerarsi Theophilo Dias (1854-1889), nipote del grande Gonçalves Dias, e autore di Lyra dos verdes annos, Cantos tropicaes, Fanfarras, Comedia dos deuses.
Merita d'essere menzionato a parte anche Augusto de Lima (nato nel 1858), nobile poeta di tendenze filosofiche, che presenta delle affinità psicologiche con Lecomte de Lisle e Sully Prudhomme. Citiamo ancora Sylvio Romero, più noto come critico e storico, Luiz Delphin, Lucio de Mendonça, Venceslau de Queiroz, Ezequiel Freire, Medeiros de Albuquerque, Filinto de Almeida, Affonso Celso, Rodrigo Octavio, Adelino Fontoura, Bernardino Lopes, Emilio de Menezes, Guimarães Passos, Goulart de Andrade, oltre le tre poetesse Zalina Rolim, Julia Cortines e Francisca Julia da Silva. Luiz Murat (1861-1829), autore di Ondas (3 serie), quantunque contemporaneo dei parnassiani, non va tra essi annoverato: è piuttosto, come Mucio Teixeira, un continuatore moderno del ronanticismo hughiano. Bisogna, del resto, ricordare, studiando i parnassiani, che il parnassianismo, a dispetto delle sue pretese di avversario del romanticismo, ne è stato una derivazione; e tale si è dimostrato particolarmente in tutti i paesi dell'America latina.
Simbolismo. - Negli ultimi anni del sec. XIX, si estesero al Brasile i riflessi del simbolismo francese e belga. Il suo più grande assertore fu Cruz e Souza (1862-1898), un negro, poeta disuguale, ma profondo e potente; ricco di musicalità e colorito, ma originale soprattutto nell'interpretazione del dolore sentimentale e metafisico che dominò tutta la sua esistenza. Bernardino Lopes (1859-1916), poeta meno veemente, di più ristretti orizzonti, lirico di eleganza raffinata e talvolta artificiosa, può essere compreso, anche lui, fra i simbolisti. E, a maggior ragione, Tristão da Cunha (Torre de marphim), Mario Pederneiras (Historias do meu casal) e, sopra tutti, Alphonsus de Guimarães, che, dopo aver sacrificato lungamente al satanismo baudelairiano, diventò un mistico fervente in Camara ardente e Setenario das Dores de Nossa Senhora. Il teorico e critico del gruppo fu Nestor Victor, poeta egli pure a tempo perso. Il periodo simbolista fu breve, e pochi furono i suoi rappresentanti, ma si può osservare che non passò senza tracce in due dei maestri parnassiani, Alberto de Oliveira e Raymundo Corrêa, in quest'ultimo specialmente; in molti dei loro versi, la "precisione" parnassiana si diluisce in quelle tonalità vaghe e vaporose, che formano l'incanto dei poemi di Verlaine e Maeterlinck.
Studî critici e storici. - La critica, esercitata con acume e finezza di gusto, ma incidentalmente, da Machado de Assis e da Joaquim Nabuco, è rappresentata particolarmente da Sylvio Romero, José Verissimo e Araripe iunior. La filosofia germanica, il positivismo di Augusto Comte e di Littré, l'evoluzionismo di Spencer, le teorie estetiche di Taine e di Scherer, gli insegnamenti e gli esempi di Sainte-Beuve, costituiscono l'ambiente intellettuale in cui i tre celebrati critici, come i loro contemporanei brasiliani, attinsero le loro direttive, pur contemperandole e colorendole secondo la propria mentalità.
Nel campo della storia e del pensiero politico, spiccano sopra tutti Joaquim Nabuco, Ruy Barbosa, Eduardo Prado. Il primo dedicò la sua attività politica alla causa dell'abolizione della schiavitù, innalzandosi a una celebrità forse incomparabile come oratore, alla camera dei deputati e nei pubblici comizî, durante quella memorabile campagna civile, terminata con la legge del 13 maggio 1888. Caduta, nell'anno seguente, la monarchia, si ritirò dalla politica, scrivendo allora le sue opere più notevoli, Um estadista do imperio, Minha formaçao, Balmaceda, Pensées détachées et souvenirs. Ruy Barbosa, oratore, giurista, giornalista di straordinario ingegno e d'una erudizione eccezionale, divise la sua instancabile attività fra la politica e gli studî, esercitando sino alla fine della sua lunga vita un intenso fascino spirituale sulle generazioni cresciute o nate nel regime repubblicano. Di Ruy Barbosa, Eduardo Prado fu avversario tenace e battagliero, ma misurato e aristocratico nel temperamento e nello stile. Per tali qualità, nonché per la vasta cultura che rivelano, i suoi libri hanno un valore letterario oltre che politico.
E a questi nomi occorre ancora aggiungere, fra gli altri, quelli di Arthur Orlando (1859-1916), di Salvador de Mendonça (1891-1913), di Carlos de Laet (1897-1928), di Quintino Bocayva, di Alberto Torres, di Affonso Celso, del grande umanista Ramiz Galvão (nato nel 1846), di Capistrano de Abreu e del barone di Rio Branco, maestri, fra i loro contemporanei, della storia patria.
L'importanza assunta dagl'istituti parlamentari sotto l'impero, stimolando le naturali attitudini del popolo brasiliano all'eloquenza, fece sorgere infine un buon numero di notevoli oratori politici, tra i quali i tre fratelli Andrada, il visconte di Rio Branco, il barone di Cotegipe, Silveira Martins, José Bonifacio il Giovine, José de Alencar, Lafayette Rodrigues Pereira, Joaquim Nabuco, Ruy Barbosa, e molti ancora. D'altra parte, il clero, sin dai tempi del regime coloniale, dimostrò, insieme con lo zelo religioso, un forte sentimento patriottico prendendo parte attiva alla vita civile e culturale del paese, nella quale, così, anche il pulpito esercitò non piccola influenza. Fra gli oratori e scrittori ecclesiastici menzioneremo il vescovo di Rio de Janeiro conte di Iraiá, il vescovo di Olinda monsignor Brito, il padre Julio Maria e, soprattutto, la più eminente figura dell'episcopato brasiliano, Antonio de Macedo Costa, prima vescovo del Pará, più tardi arcivescovo primate, oratore, scrittore, teologo, uomo di stato, poeta.
Così la letteratura brasiliana, entrata attraverso il romanticismo in comunione con lo spirito universale, si sviluppa in contatto con le grandi correnti di idee, brasilianamente assimilandole e trasformandole.
Letteratura contemporanea. - Lirica. - Nella lirica il parnassianismo ha conservato a lungo il suo predominio; ma, essendosi limitato in Brasile quasi esclusivamente alla predilezione di speciali forme metriche (il sonetto soprattutto) e di reminiscenze classiche, la lirica ha potuto serbare la sua spontanea libertà di motivi ora romantici, ora tipicamente brasiliani.
Invece le ricerche di nuovi ritmi non hanno avuto in Brasile risonanza; e le differenze che si rilevano fra i poeti maggiori, tra Machado de Assis, p. es., e Alberto de Oliveira, tra Raymundo Corrêa, Olavo Bilac e Vicente de Carvalho, consistono nella varia impronta da loro data ai metri tradizionali.
Diversa sorte è toccata soltanto ai metri barbari del Carducci e del d'Annunzio, per opera di Carlos Magalhães de Azeredo, poeta e novelliere, critico e storico, il quale, adottandoli nel suo libro, molto discusso, di Odes e elegias (1904), ha loro impresso un andamento tutto suo, o, come ebbe a scrivergli il Carducci stesso, "qualche cosa di lieto e di proprio". Anche l'ode portoghese rinnovellò l'Azeredo, tra i primi a spingersi fino allo stesso verso libero nella Symphonia evangelica (1917); assai prima, e con intendimenti diversi, dei "modernisti". Come Alberto de Oliveira lo definì, egli appare "il più dinamico dei poeti brasiliani", nelle numerose raccolte di liriche pubblicate: Procellarias (1898), Horas sagradas (1903). Odes e elegias (1904), Vida e sonho (1919). Vicino all'Azeredo in varî aspetti del suo sentimento poetico e della sua cultura è Mario de Alencar, benché da lui diverso nel suo desolato pessimismo leopardiano. Tutti e due hanno nella poesia brasiliana un posto a parte, come anche Amadeu Amaral (1876-1929), che dal parnassianismo si venne progressivamente staccando in Nevoas, Espumas, Lampada antiga. Più fedeli a tale scuola rimangono Goulart de Andrade, Hermes Fontes, Martins Fontes, Jorge Jobim, Goffredo Telles, Cassiano Ricardo, Luiz Guimarães, degno figlio del grande poeta omonimo, Costa e Silva, Luiz Carlos ed anche, nella prima parte, forse più caratteristica e sincera, della loro produzione, Menotti del Picchia e Guilherme de Almeida, attratti, più tardi, verso la corrente modernista.
Quest'ultimo, e con lui Olegario Marianno, rivelano del resto un loro peculiare lirismo sentimentale che li ricollega, con temi più attuali e stile più raffinato, ad alcuni poeti del secondo periodo romantico. Nella vaga e dolce malinconia di Ribeiro do Couto si scorgono non dubbie influenze simboliste, e dei riflessi di coloro che furono chiamati poeti "crepuscolari". Pereira da Silva e Ronald de Carvalho appartengono alla serie dei poeti per i quali la rerum natura e i problemi della vita morale sono principale sorgente d'ispirazione: nel primo la preoccupazione metafisica si tinge di veemente sensibilità personale; nel secondo, più giovine, cerca di librarsi nelle regioni più serene del pensiero puro; mentre in altri, come nel giovanissimo Caio de Mello Franco, si diluisce in un dilettantismo elegantemente mesto o in un ironico agnosticismo alla Anatole France. E tale è anche il caso, press'a poco, di Alvaro Moreyra. Volto per vie tutte sue, Adelmar Tavares riflette nei suoi limpidi versi la semplicità del sentimento popolare, e Aloysio de Castro, che, nella sua maturità, si è rivelato eccellente anche nella poesia dopo aver già acquistato fama di buon prosatore, rammenta, pur nella sua moderna sensibilità, i più dolci lirici portoghesi del Cinquecento e del Seicento.
Fra le poetesse emergono Julia Cortines, Maria Eugenia Celso, Francisca Julia da Silva, Rosalina Lisbõa, parnassiane pure, rimaste fedeli alle regole di una nitida e alquanto fredda perfezione formale; Gilka Machado, che, all'estremo opposto, riversa nella sua poesia un torrente di passionalità selvaggia e di sensualità primitiva, e, in contrasto assoluto con questo temperamento, Auta de Souza, anima mistica spentasi a vent'anni.
Una peculiarità infine del Brasile è l'opera di poeti popolari illetterati, erranti, oscuri, spesso anonimi, che, tra molte sciatterie e insignificante rapsodismo, creano talora gioielli di poesia. Nell'interno del paese, tra il popolino dei campi, la lingua comune è parlata con scorrettezze più o meno notevoli, che si riflettono nelle trovas e in altre forme spontanee di canto. Da questo mondo, quasi ignorato, negli ultimi anni è sorto un poeta, che dalla nativa Ceará venuto alla capitale federale, si è fatto rapidamente, con i versi dialettali, una reputazione nazionale: Catullo da Paixão Cearense, vero trovatore, che canta i suoi versi accompagnandosi con le note del violão: lirico impetuoso e tenero, tutto vibrante del temperamento passionale, della religiosità oscura, mezzo pagana e mezzo cristiana, che dominano la vita dei nomadi.
Romanzo. - Nella prosa narrativa, gli orizzontí del romanzo si sono a poco a poco allargati e i suoi scopi sono divenuti più complessi. Già i romanzieri naturalisti vi avevano portato, sia pure indirettamente, preoccupazioni d'ordine sociale; Machado de Assis vi aveva aperto vaste prospettive sui problemi del destino umano. Graça Aranha, con Chanaan, libro che ha avuto una ripercussione considerevole in tutta l'America, associò alle controversie più astratte della filosofia contemporanea, il problema, allora (1902) vivissimo, dell'avvenire riservato ai popoli latini del nuovo continente. Le sue previsioni si sono dimostrate fallaci, ma hanno infuso allora un'intensità drammatica in molte pagine del volume. Allo stesso scrittore si devono anche un dramma simbolico, Malazarte, su un personaggio della mitologia popolare brasiliana, e una Esthetica da Vida, programma di rigenerazione intellettuale americana, molto discusso. Afranio Peixoto scienziato, critico, storico, sociologo, ha riflesso nei suoi libri d'immaginazione intorno a vicende d'amore (Esphinje, Maria Bonita, Fruta do matto, Bugrinha, Sinhasinha), tutta la complessità del suo spirito; il pessimismo, che ne costituisce il fondo, è alleviato da una grazia sorridente affine a quella di Anatole France. Particolarmente grande è, del resto, l'influenza del France su tutta l'attuale letteratura brasiliana, paragonabile a quella di Zola, Dickens, Daudet e Bourget sulla generazione anteriore. Invece l'influenza di Gabriele d'Annunzio, assai viva negli anni precedenti alla guerra, sta ora declinando. Le esperienze della guerra nocquero anche alla popolarità di Federico Nietzsche, il quale, con Tolstoj, Ibsen, Max Stirner e Sorel, era succeduto a Comte, Spencer, Littré, in quelle zone filosofiche che hanno attinenze con la letteratura. A detronizzarli concorsero, oltre il freudismo venuto di moda anche in Brasile, soprattutto il ridestarsi del sentimento cattolico, specialmeme dal 1919 in poi, e il largo interesse suscitato dalle opere filosofiche di Bergson e di Boutroux.
Fra i novellieri, molto più numerosi dei romanzieri, sono anzitutto da ricordare Carlos Magalhães de Azeredo e Alfonso Arinos (v.), autore il primo di Balladas e phantasias (1900), di Ariadne (1922), genere di poemi in prosa di squisita sensibilità, e di Casos do amor e do instinto (1924), vigorose e colorite novelle; autore il secondo di racconti di carattere insieme nazionale e classico. E ad essi si aggiungono Alcides Maya, artista ammirabile; Paulo Barreto (João do Rio), discepolo di Oscar Wilde e forse, un poco, anche di Gabriele d'Annunzio, nei suoi "quadri" mondani e paradossali; Gustavo Barroso (João do Norte), narratore di casi e leggende del suo sertão; Alberto Rangel e Paulo Setubal, rievocatori degli ambienti storici del periodo coloniale e del regno di dom Pedro I; Rodrigo Octavio, novelliere esimio, non meno che dotto giurista; Monteiro Lobato, autore del famoso Jeca-Tatù, nel quale ha voluto simboleggiare la psicologia e i costumi delle popolazioni rurali; Viriato Corrêa e Veiga Miranda, e molti altri.
Studî critici e storici. - La critica è rappresentata specialmente da Carlos Magalhães de Azeredo, da João Ribeiro, che, in gioventù, coltivò anche la poesia e la novella; inoltre da Sousa Bandeira, Tasso da Silveira, Mucio Leão, Tristam da Cunha, Mario de Alencar, Azevedo Amaral, Assis Chateaubriand, Renato Almeida, Ronald de Carvalho, Andrade Muniz, Almachio Diniz, Laudelino Freire, Julio de Mesquita, Alfredo Pujol, Humberto de Campos, Amadeu Amaral, Goulart de Andrade, Nestor Rangel Pestana, Constancio Alves, Agrippino Grieco. Molti di essi sono anche scrittori politici e giornalisti. E fra costoro un rilievo particolare merita Jackson de Figueiredo, giovine scrittore e pensatore, che da un preteso ateismo, tornò, attraverso la filosofia spiritualista di Farias Brito, al più integrale cattolicismo e suscitò un movimento importante di cultura cattolica, con la rivista A Ordem e il Centro dom Vital. La più recente adesione a questo movimento è stata quella dell'autorevole critico Tristão de Athayde.
Nella critica storica primeggia Arthur Motta. Lo studio della storia si è venuto intensificando dopo la guerra mondiale. Il centro più fecondo di tali studî continua ad essere l'Istituto storico brasiliano, di Rio de Janeiro. Fra gli storici più eminenti di questo secolo sono Oliveira Lima, autore della Formation historique de la nationalité brésilienne, dell'eccellente opera Dom João VI no Brasil e di una Relação dos manuscritos portuguezes e estrangeiros de interesse para o Brasil existentes no Museu britannico de Londres; Rocha Pombo, autore d'una completa e ottima Historia do Brasil; Affonso de Escragnolle Taunay, Celso Vieira, con la sua magnifica Vida do padre José de Anchieta; Max Fleiuss (Paginas brasileiras, Quadros da historia patria, ecc.), Basilio de Magalhães, João Ribeiro, Affonso Celso, Alberto Rangel, Helio Lobo, Alberto Torres, Araujo Jorge, Elysio de Carvalho e molti altri. Per l'originalità della visione e per lo stile merita particolare menzione Euclydes da Cunha, il libro del quale Os sertões costituì una vera rivelazione nella letteratura brasiliana: lasciò pagine indimenticabili anche in A' margem da historia.
Il modernismo. - Verso il 1923, cominciò a manifestarsi nel Brasile un movimento che si chiamò "modernista" e che dura tuttora: movimento non dissimile da altri che si sono verificati in molti paesi europei, non appena terminata la guerra, e che è stato in certo modo la ripresa di un'agitazione letteraria ed estetica che già prima della guerra era scoppiata. Presenta analogia col futurismo, da una parte, e, dall'altra, con il movimento italiano di "strapaese" contro "stracittà". È un popolo essenzialmente agricolo che entra ora, sia pure imperfettamente, nella sua fase industriale. Si è delineato perciò uno squilibrio economico e psicologico fra gli abitanti dei grandi centri litoranei e quelli dell'interno. Così, mentre alcuni dei "nuovi" si fanno assertori del progresso meccanico e paladini dell'architettura dei grattacieli, altri - scrittori, pittori, scultori, architetti, musicisti - interpretano nei loro tentativi la nostalgia degli stati d'animo primordiali, selvaggi, e si dichiarano acerrimi avversarî di ogni cultura europea: qualcuno infine cerca il modo di conciliare le due tendenze. Il movimento che si distingue, fra l'altro, nella lirica per l'uso del verso libero e per lo stile volutamente frammentario, è assai battagliero; vi appartengono poeti, romanzieri, uomini di studio, come, per citar qualche nome fra i moltissimi: Paulo Silveira, Rodrigues de Atreu, Mario de Andrade, Oswald de Andrade (Pau Brasil, canzoniere, e Os condemnados, romanzo), Raul Bopp, Augusto Meyer, Vargas Netto, Plinio Salgado (O estrangeiro, romanzo), José Americo de Almeida (A bagaceira), Paulo Prado (Retrato do Brasil, Paulistica), Gastão Cruls, Alfredo Ellis Iunior (Raça de gigantes), Raymundo de Moraes (Na planicie amazonica), Roquete Pinto (Rondonia), Oliveira Vianna, sociologo di gran merito, Paulo Gonçalves, poeta e commediografo, e alcuni intellettuali illustri, come Graça Aranha, Ronald de Carvalho, Guilherme de Almeida, Menotti del Picchia, (Lais; O homem e a morte), Cassiano Ricardo (Jardim das Esperidas), ma la disparità delle tendenze rende difficile ogni previsione sui risultati definitivi.
Bibl.: S. Romero, Historia da literatura brasileira, 2ª ed., Rio de Janeiro 1902; J. Verissimo, Historia da literatura brasileira, ivi 1916; Ronald de Carvalho, Pequena historia da literatura brasileira, ivi 1919; A. Gomes, Historia literaria, e Ronald de Carvalho, Synthese da literatura brasileira até 1922, in Diccionario historico, geographico e ethnographico do Brasil, pubbl. dall'Instituto hist. e geogr. brasileiro, I, ivi 1922; A. Motta, Historia da literatura brasileira (Epoca de formação), secoli XVI-XVII, S. Paulo 1930.
Teatro. - Si può ritenere che il teatro nazionale sia sorto in Brasile coi romantici, con la tragedia Antonio José del Magalhães e con la commedia del Martins Penna, O juiz de paz na roça. Altri romantici si provarono nel genere drammatico, ma con risultati inferiori. Solo Luiz Carlos Martins Penna (1815-1848) fu autore drammatico fecondo e colorito. Poco si può dire anche sul teatro contemporaneo nel Brasile, povero per varie ragioni.
I molteplici contrasti e conflitti d'idee, di passioni, d'interessi, caratteristici delle società tuttora in formazione, dove si mescolano e cozzano tanti elementi etnicamente e psicologicamente diversi, sembrerebbero gli elementi più propizî alla fioritura d'una produzione drammatica forte e nuova; e durante la guerra, mentre questa tratteneva lungamente in patria le élites solite a varcare l'oceano ogni anno, e d'altra parte anche impediva alle compagnie francesi, italiane, spagnole, di recarsi oltre l'Atlantico, effettivamente vi fu un breve periodo di ripresa del teatro nazionale. S'iniziò col successo, veramente straordinario, della commedia Flores de sombra, di Claudio de Souza. L'autore, spronato da tale esito, scrisse nuove commedie, alcune delle quali piacquero molto; altri giovani scrittori, come Viriato Correia, Abadie de Faria Rosa, Paulo de Magalhães, Renato Vianna, Tobias Moscoso, Paulo Barreto, oltre a Coelho Netto e Goulard de Andrade che li avevano preceduti, volonterosi e valenti, si misero per la medesima strada. Poi il favore del pubblico rapidamente si spense; e oggi il teatro nazionale traversa di nuovo una delle più gravi crisi della sua breve storia. (Sui teatri delle singole città v. rio de janeiro, s. paolo ecc.).
Per quel che riguarda il teatro come recitazione, v. le voci corrispondenti ai nomi delle principali città: Rio de Janeiro, S. Paolo, Manáos, San Salvatore della Bahia, Recife, Porto Alegre, ecc.
Bibl.: Max Fleiuss, O teatro no Brasil, sua evolução, in Diccionario hist., geograph. e ethnograph. do Brasil, pubblicato dall'Instituto hist. e geogr. brasileiro, Rio de Janeiro 1922, I, p. 1532 segg.
Arti figurative.
La storia dell'arte in Brasile si può dividere in due periodi nettamente distinti, un periodo coloniale e uno autonomo.
In Portogallo l'architettura fiorì tardiva e non ebbe sempre uno svolgimento cronologico corrispondente a quello del resto d'Europa. Lo stile romanico vi si diffuse quando in altri paesi era abbandonato, e durò poco; più a lungo il gotico, che vi lasciò numerose vestigia. Il manuelino è lo stile gotico trasformato come simbolo plastico all'aspirazione portoghese verso il mare e la conquista. Coltivato durante i regni di Giovanni II e Manuel I, decadde di fronte al classicismo che risorse in tutto il vecchio continente. Così al gotico portoghese succedette il greco-romano neoclassico.
L'architettura religiosa fu importata in Brasile dai gesuiti, che adottarono il classicismo greco-romano, eliminandone quanto sapesse di pagano, e cercando la massima semplicità esteriore in contrasto con la sontuosità degli interni: innalzarono facciate spesso fredde, nude, ineleganti, con frontone curvo o triangolare, con una o due torri sormontate da un tetraedro. È il cosiddetto stile gesuitico; ma in verità i gesuiti non introdussero uno stile artistico proprio, che non avevano, ma trasportarono in Brasile il barocco portoghese e italiano, con i suoi pregi e i suoi difetti. La pletora di ornamenti che, all'interno, arrivava talora a nascondere la struttura architettonica, si ritrova, infatti, anche in chiese non gesuitiche.
Fra i principali monumenti si deve ricordare la torre di Olinda, eretta nel 1535 dal primo donatario di Pernambuco, Duarte Coelho, e le cui rovine esistevano ancora alla metà del sec. XVIII. Oltre ad essa, Olinda, una delle più ricche città del Brasile, aveva varî monasteri, la chiesa del Salvatore, fortezze, ecc.
Nel sec. XVI troviamo i nomi dell'architetto Antonio Pires, gesuita, dello scultore Diogo Jacome, dell'architetto Manuel Fernandes, a Pernambuco (1585), e del cappuccino Francisco dos Santos, che diresse la costruzione dei monasteri di S. Francesco, a Olinda e a Parahiba. Le costruzioni più importanti di questo secolo sono i collegi di gesuiti di S. Paolo (1554), Rio de Janeiro (1570), di S. Salvador (1572) e Olinda (1576), per cui furono trasportati in Brasile blocchi di marmo lavorati in Europa.
Cospicua fu in Brasile l'attività edilizia durante il sec. XVIII e fra gli edifici più notevoli sorti in quell'epoca meritano ricordo a Rio de Janeiro, la chiesa della Croce dei Militari (1735), l'acquedotto degli Archi (1751), il teatro dell'Opera (1767), incendiatosi e sostituito dal teatro Manuel Luiz (1769); a Belém del Pará, la cattedrale (1748), la più maestosa del Brasile, il palazzo del governo (1761), su disegno del Lande, la fortezza di Macapá (1764), tracciata dall'ingegnere militare H. A. Galussi, e una casa de Misericordia (1787); in Minas Geraes la chiesa di Caeté (1757); nella Bahia, la chiesa del Bomfim.
A Pernambuco e alla Bahia fioriscono anche non pochi scultori, dei quali il principale è il Chagas, detto Cabra, della Bahia, autore di immagini d'una espressione dolorosa profondamente umana, che si trovano nella chiesa dei terziarî carmelitani. Fra esse il gruppo dei Dolori, S. Giovanni e la Maddalena, la Vergine, il Bambino Gesù, e la Madonna del Carmelo.
Molti artisti della Bahia erano di origine mineira, poiché nella provincia di Minas Geraes il fiorire delle arti seguiva la prosperità derivante dallo sfruttamento delle miniere aurifere e delle altre. Il maggiore rappresentante di questo periodo particolarmente brillante dell'arte brasiliana fu Antonio Francisco Lisboa (1730-1814), detto l'Aleijadinho in seguito a deformità fisica. Abbandonatosi prima agli amori e alle gozzoviglie, divenuto poi un solitario misantropo, fece sorgere intorno al suo nome poetiche leggende; disseminò i suoi lavori nella provincia di Minas, specialmente a Ouro Preto, S. João d'El-Rey, Marianna, Congonhas, Santa Luzia e Sabará. È autore dei dodici grandi Profeti nella chiesa di N. S. de Mattosinhos a Congonhas do Campo. A lui sono dovute le chiese di S. Francesco d'Assisi a Our0 Preto e a S. João d'El-Rey.
Altro artista notevole fu il meticcio Mestre Valentim, cioè Valentim de Fonseca e Silva (1750-1813), il più celebre degli scultori e architetti coloniali, al quale si devono numerose opere a Rio de Janeiro. Lasciò una scuola, a cui appartennero José Carlos Pinto, Simeão José de Nazareth, Francisco de Paula Borges, ecc. Altri contemporanei sono: José da Conceição, Simão da Cunha, Seraphim dos Anjos, Antonio de Padua, Martinho de Brito, scultore e pittore, e Xavier das Conchas.
Nei primi anni del sec. XIX, le trasformazioni politiche influiscono sui destini dell'arte. Varî e importanti istituti si fondano nella capitale, come le accademie di marina, di medicina, quella militare e quella di belle arti, le scuole di commercio, di agricoltura e botanica, la biblioteca e il museo. Il viceré conte d'Arcos costruisce un grande palazzo, a cui restauri posteriori hanno cambiato carattere. Dello stesso tempo sono la Quinta de S. Christovam (poi palazzo imperiale, e oggi museo nazionale) e il teatro S. Giovanni, oggi S. Pedro de Alcantara.
Possiamo considerare come padre della pittura, nella Bahia, Eusebio de Mattos Guerra (1620 o 1624-1692), fratello del poeta Gregorio de Mattos, e autore di tele lodate dai biografi, ma disperse o perdute in gran parte. Verso la metà del secolo seguente, fiorirono, sempre nella Bahia, Josè Joaquim da Rocha, mineiro d'origine, ammirevole per la sua attività, e per l'insegnamento fervido e disinteressato, e il gesuita Alexandre de Gusmão, autore, fra altro, di una Natività. Le opere principali di J. J. da Rocha si conservano in numerose chiese. Suoi discepoli migliori furono Lopes Marques, Antonio Dias, Antonio Pinto, Ramos Nunes da Motta, Souza Coutinho, José Theophilo de Jesus, Jose Verissimo, Lourenço Machado e Franco Vellasco (1778-1833), il più spontaneo della scuola e fecondissimo ritrattista. Anche costui lasciò discepoli di merito: Bento José Campinam (1791-1874), José Rodrigues Nunes (1800-1881) e altri. Comincia allora la decadenza della pittura bahiana, e centro delle arti diventa Rio de Janeiro che aveva già avuto una tradizione artistica e dove il più antico pittore era stato frate Ricardo do Pilar (fine del sec. XVII), fiammingo, che nel monastero di S. Bento dipinse numerosi quadri, e fu paragonato, per la vita, a fra Giovanni da Fiesole.
Di codesta vecchia scuola fluminense citiamo: José de Oliveira (1690-1763), João de Souza, João Florencio Muggio, il meticcio Cunha (1737-1809), vigoroso artista, autore, fra altro, del ritratto del conte di Bobadella, Leandro Joaquim (1738-1798), pittore e architetto, Raimundo da Costa e Silva, pittore e scultore, e Francisco Solano Benjamin, pittore. Sul principio del sec. XIX notiamo a Rio de Janeiro l'arrivo d'un artista peregrino, Manuel Dias de Oliveira Brasiliense (morto nel 1831), detto il Romano, avendo studiato a Roma; della sua opera vasta ricordiamo: una Sant'Anna, una Concezione (nella galleria nazionale), una testa di S. Paolo su avorio, diversi ritratti e paesaggi. Altro eccellente ritrattista fu José Leandro de Carvalho (1750-1831). Nel principio del sec. XIX fiorirono anche gl'incisori Romão Eloy de Almeida, João José de Souza e José Fernandez Portugal, quest'ultimo anche cartografo.
Al periodo autonomo dell'arte brasiliana si può assegnare per punto di partenza l'anno 1816, quando dom Giovanni VI chiamò a Rio de Janeiro una commissione di artisti francesi, organizzata da J. Le Breton, e composta dei fratelli Taunay (Nicolas e Auguste), di Debret, Grandjean de Montigny, Dillon, Bonrepos, Levavasseur, Meunié, Ovide, Enout, Level, Pilite, Fabre, Roy (padre e figlio), Ferrez (Zefirino e Marco). Solo dopo molte difficoltà essi poterono lavorare utilmente e fare numerosi discepoli. L'influenza francese ebbe benefici effetti, e mise il Brasile in contatto col movimento artistico moderno.
Fra i discepoli di Grandjean de Montigny figurano José Maria Jacintho Rebello (1821-1872), architetto e paesista, e Francisco Joaquim Bittencourt da Silva, scultore e architetto; fra quelli di Auguste Taunay, figurano gli scultori José Joaquim Allão, José Jorge Duarte, Xisto Antonio Pires, Candido Matheus Faria ed altri; fra quelli di Marco Ferrez, lo scultore Francisco Manuel Chaves Pinheiro (1882-1884). Nella pittura fioriscono a Rio de Janeiro, in questo tempo, numerosi stranieri, alcuni dei quali educati all'arte dai componenti della commissione francese. Nominiamo gli italiani Eduardo De Martino, che illustrò con vigore e vivacità il paesaggio e la storia militare del Brasile, Luigi Santoro e Alessandro Biagini. Fra i pittori brasiliani si distinse, oltre a numerosissimi discepoli del Debret: Manuel de Araujo Porto-Alegre, poi barone di Santo Angelo (1806-1879), poeta e scrittore insigne, che svolse la sua attività anche nell'insegnamento e nella diplomazia, i cui quadri attestano una buona padronanza dei mezzi tecnici, immaginazione e colorito. Ricordiamo: D. Pedro I, Visconde de Araguaya, Luiza Rosa benfeitora da Santa Casa, una Ceia (cupola della Santa Casa), Passagem do Mar Vermelho, Coroacão de D. Pedro II, non terminato. Tra i continuatori dell'insegnamento francese, Porto-Alegre è la figura culminante.
Mentre nella capitale ferveva sì intenso movimento, nelle provincie fiorivano nuclei non privi d'importanza. La provincia di S. Paolo produce l'eccellente pittore José Fleming de Almeida Iunior, autore di O lenhador, Os caipiras, Picador de fumo, Amolação interrompida; quella della Bahia, Felix Pereira, Manuel Ignacio da Costa, Feliciano de Aguiar, Bento José Rufino, Joaquim Tourinho, Olympio Freire da Motta e Firmino Monteiro; quelle di Pernambuco, del Pará, del Maranhão, del Ceará, del Rio Grande do Sul, altri valorosi artisti, specialmente pittori. Ricordiamo, nel Pará, anche gl'italiani Domenico de Angelis, pittore e scultore, Pignatelli, Righini, Capranesi, i ritrattisti Centofante e Rocattani, e l'architetto Calandrini.
Ma le più alte espressioni artistiche si hanno, sotto l'impero, nella pittura "eroica" o "storica" determinata dalla lunga guerra col Paraguay: quando il Brasile affermava la sua supremazia sudamericana, anche l'arte brasiliana giungeva al suo massimo splendore per opera specialmente di Pedro Americo e Victor Meirelles, cui il Brasile deve un'opera vasta nei quadri di battaglie e in altri generi di pittura.
Victor Meirelles de Lima (Santa Catharina, 1832-1903), che studiò anche a Roma e a Parigi, compose, fra moltissime altre pitture: S. João Baptista no carcere (1859), Primeira missa, Moema, Primeiros desterrados, Batalha de Riachuelo, Batalha dos Guararapes, Passagem de Humaytá, Degolaçao, Flagellação de Christo, Juramento da Princeza Regente Senhora Dona Isabel condessa d'Eu em 1872, Sagração da Egreja da Candelaria em 1899. Lasciò numerosi discepoli.
Vicino a lui Pedro Americo de Figueiredo e Mello (Parahiba do Norte, 1843-1905), seguace dell'ideale classico, dipinse quadri storici, fra i quali Avahi, Campo-Grande e Batalha de S. Martino, chiestagli dal governo italiano. Inoltre sono suoi Petrus ad vincula, Colombo, Moysés no Nilo, due ritratti: David e Pedro II, Socrates afastando Alcibiades dos braços do vicio, S. Marcos, A visão de S. Paulo, Cabesa de S. Jeronymo, Paz e Concordia e molte altre pitture, eseguite in Brasile, a Parigi, in Italia. Il successo gli arrise, e ricevette molti onori specialmente da D. Pedro II.
Dopo il 1889, proclamata la repubblica, l'arte non ha cessato di progredire. In tutte le capitali della confederazione, e principalmente a Rio de Janeiro, un soffio vivificatore ravviva pittura e scultura e dà anche all'architettura come un rigoglio nuovo quale non si era ancora visto in Brasile, con la ricostruzione monumentale di molte città. A questo rigoglio non è estraneo il rinnovato fervore per l'antica arte coloniale brasiliana.
Manáos, nel cuore dell'Amazzonia, costruisce importanti edifizî. Belém del Pará segue con lo stesso spirito rinnovatore. In questa città ricordiamo l'architetto José de Castro Figueiredo, gli scultori Wolfang Miranda, Nicephoro Moreira, Guilherme Pearce, Henrique Dumont, Giulietta Franca, e i pittori Antonio dos Santos Gaspar, anche architetto e scultore, Chaves Pinheiro e Bittencourt da Silva. S. Paolo vanta un'ottima accademia.
Nella ricostruzione recente della capitale federale hanno avuto gran parte gl'ingegneri e architetti: Frontin, Heitor de Mello, Souza Aguiar, Del Vecchio, Alfredo Lisboa, Francisco Bicalho, Vieira Souto, Silva Lara, Ernesto da Cunha de Araujo Vianna, Antonio de Paula Freitas, Carlos Sampaio, Sampaio Corrêa e molti altri. Ricordiamo gli scultori Candido Caetano de Almeid, a Reis, Hortensio Cordoville José Octavio Corrêa Lima e Rodolfo Bernardelli, nato nel Messico, ma brasiliano di elezione, durante molti anni direttore dell'accademia, autore di numerose opere, fra cui notiamo O Christo e a adultera, il gruppo Descobrimento do Brasil; le statue equestri di Osorio e del Duque de Caxias. Citiamo ancora, infine, i pittori Decio Villares, Aurelio de Figueiredo, Henrique Bernardelli, fratello di Rodolfo, Parreiras, Baptista da Costa, Belmiro de Almeida, Rodolfo Amodeo, Pedro Weingärtner, Eugenio Latour, Helio Silinger, ed altri.
Bibl.: Argeu Guimarães, in Diccionario historico, geographico e ethnographico do Brasil, Rio de Janeiro 1922, I, p. 1585 segg.
Musica.
I missionarî gesuiti, che durante il sec. XVI spiegarono nel Brasile la loro attività nell'evangelizzazione del paese, si servirono spesso degli autos, specie di misteri religiosi, per la loro propaganda, e in queste composizioni mescolavano spesso le due lingue, la portoghese e l'indigena, inframezzando al testo canti e musica. Si distinsero in questo genere di composizioni i padri Manuel da Nobrega, José Anchieta, Alvaro Lobo, Antão de Santo Elias, Francisco Xavier de Santa Thereza e anche Eusebio de Mattos, quasi tutti eccellenti musici e ottimi organisti, che molto contribuirono altresì allo sviluppo dell'insegnamento musicale in quel periodo. Avvenuta l'evangelizzazione della maggior parte delle tabas indigene esistenti nel territorio, cominciarono ad affluire nel Brasile portoghesi, spagnoli e schiavi africani, e ciascuno di questi popoli portò con sé in Brasile le arie popolari e le danze caratteristiche del suo paese d'origine: i primi modas, solaus e serranilhas; i secondi boleros e fandangos e tyrannas; i terzi lundús o chulas o tangos, forme che s'identificarono con l'ambiente, col clima, con lo spirito brasiliano, diventando caratteristiche del Brasile. Naturalmente questi immigrati, importarono anche canti, danze e arie che, pur entrando a far parte dei costumi del nuovo paese, non si possono chiamare brasiliani, perché conservano troppo i caratteri nazionali d'origine. Tali sono: bailes pastoris, ranchos de reis, ternos, cheganças, congos, tayeras, cantigas de ruas, cantares de roda, aboiar dos vaqueiros e arrazoar dos sertanejos.
Rio de Janeiro, divenendo nel 1763 la capitale del Brasile, divenne anche il centro dell'arte e dell'insegnamento musicale: dal canto pspolare lusitano (fado), portato dall'emigrante portoghese, si sviluppò allora la classica modinha brasiliana, che ebbe per corifei in Brasile, al tempo di Maria I, i poeti Claudio Manuel da Costa, Ignacio José de Alverenga Peixoto, Thomaz Antonio Gonzaga, e, in Portogallo, Domingos Caldas Barbosa, e altri; e al tempo di Giovanni VI, João Leal, D. Marianna, Joaquim Manuel, il P. Telles, Porto, Ayres, Queiroz, João dos Reis, ecc.
Il più celebre musico dei tempi coloniali e primo capo della scuola musicale brasiliana fu José Mauricio Nunes Garcia (1767-1830), direttore del conservatorio che era stato dei gesuiti e ispettore della musica della reale cappella di Rio de Janeiro. In tutti i suoi lavori - è stato detto di lui - José Mauricio è riuscito ad elevarsi sempre dal bello al sublime, come, nel suo ammirabile Requiem, fino al Kyrie... e forse il Pergolese, di cui pare segua lo stile, non sdegnerebbe di firmare questa pagina. Il celebre Neuckomm, discepolo di Haydn, ebbe a dire di lui che era il primo improvvisatore del mondo. José Mauricio lasciò anche una famosa Missa de Santa Cecilia, un singolare prontuario d'armonia e un trattato d'armonia e contrappunto. Morì il 18 aprile 1830.
Contemporanei di José Mauricio furono tra gli altri: Polycarpo, violoncellista; Porto, basso; Ayres, baritono, Bachica, pianista; João José Baldi, compositore di musica sacra, Manuel de Sant'Anna Catharina, Silva Conde, flautista, Bernardo José de Souza Queiroz, autore del dramma Juramento dos Numes, João dos Reis, basso; Manuel Rodrigues da Silva, clarinetto.
Anche il primo imperatore, D. Pedro I, fu buon musicista e compositore, autore, fra l'altro, dell'inno D. Amelia e dell'Hymno da Carta de Portugal (1822), che divenne poi l'inno nazionale portoghese. Sotto Pedro II, negli anni che seguono al 1840 e poi sotto la repubblica, consolidatasi la fortuna del paese, le produzioni si elevano di tono. Notevole come prima manifestazione di questo nuovo stato di cose una fioritura di inni patriottici e guerreschi, fra i quali l'Hymno Nacional di Francisco Manuel da Silva (1795-1865), autore celebrato anche di altri inni, e specialmente di musiche sacre, fra le quali un Mattutino di S. Francesco di Paola. Con la proclamazione della repubblica, s'inizia nell'arte brasiliana un'epoca, chiamata da alcuni periodo del nativismo, che è un periodo di costante progresso, principalmente nella capitale e a S. Paolo. A Leopoldo Miguez, direttore dell'Istituto nazionale di musica, si devono alcuni poemi sinfonici e due opere: Pelo amor e Saldunes, un Hymno da Republica, adottato dal governo provvisorio (1890), Alberto Nepomuceno (nato nel 1864), pianista, organista e compositore è autore, fra l'altro, del melodramma Electra. A Francisco Braga, artista di elevatissima educazione musicale, si deve una marcia trionfale Pro Patria, un Hymno á bandeira brasileira, l'opera Jupira, il poema sinfonico Marabá, ecc. Di Henrique Oswaldo vanno notate le singolari doti di pianista, e di Meneleu de Campos le belle composizioni d'ispirazione italiana. Meritano ancora menzione Delgado de Carvalho, autore dell'opera Moema, ecc.; Antonio Carlos Gomes (1836-1896) che fuggì nel 1860 dalla nativa Campinas per studiare nel conservatorio di Rio de Janeiro, sotto l'italiano Gioacchino Giannini, e dopo un anno diede la prima opera, A noite do castello, molto applaudita. Dopo due Cantatas, compose nel 1863 una seconda opera, Joanna de Flandres, che gli valse da D. Pedro II l'offerta dei mezzi per quattro anni di perfezionamento in Europa. Nel 1864 si iscrisse al conservatorio di Milano, conquistandosi già nel 1866 il diploma di maestro compositore. Il romanzo di José de Alencar, O Guarany, gl'ispirò l'opera a cui diede lo stesso titolo e che rimase il suo capolavoro, rappresentata dapprima alla Scala il 19 marzo 1870 ed entusiasticamente applaudita, come poi in quasi tutte le principali città d'Europa. Compose ancora Fosca (1873), ispirata e grandiosa, che non ebbe però successo; Salvator Rosa (1874), rappresentata al Carlo Felice di Genova e che fu abbastanza popolare in Italia; Maria Tudor (1879), Schiavo (1888), e Condor (1891), considerate da alcuni i suoi capolavori. Compose anche molti inni, due atti dell'opera Os mosqueteiros do Rei o Gabriella de Bressac, parti di altre sei opere non terminate, e un poema vocale e sinfonico, Colombo, eseguito nel 1892 a Rio de Janeiro.
Il Brasile è un paese i cui abitanti posseggono un vivo intuito musicale; per conseguenza il suo folklore, ricchissimo di canzonette e arie popolari, è, fra le manifestazioni artistiche, quella che più profondamente ne rispecchia l'anima. La produzione musicale, per così dire, fluttuante, si manifesta continuamente, soprattutto in occasione del carnevale (equivalente in questo alle feste napoletane di Piedigrotta) passato il quale, dopo essere rimasta in voga qualche tempo, cade in oblio, cedendo il campo a una nuova produzione di composizioni ugualmente effimere. Ma attraverso queste effimere fioriture di canti e di danze va pure affermandosi a poco a poco un'anima musicale ben propria del popolo brasiliano, quale finora non s'era avuta. I moderni musicisti nazionali, componendo nello stile popolare, trovano accoglienza entusiastica nel tradizionale canzoniere del popolo. Nelle composizioni dei giovani, e soprattutto in quelle di Héctor Villa-Lobos, musicista che della nuova scuola brasiliana è forse il migliore esponente, è facile discernere il contributo offerto dalla ricca musicalità popolare, di cui sono nota dominante e carattere inconfondibile l'affettuosa melanconia e la delicatissima sensibilità. Henrique Oswald, d'uno stile assai diverso dal precedente, semplice e sentimentale, sottile ed elegante, ha al suo attivo una cinquantina di composizioni per piano e più di 30 per canto, violino, violoncello. ecc. Alberto Nepomuceno, la cui musica ha carattere genuinamente brasiliano, consistendo, in buona parte, nell'armonizzazione delle canzoni popolari più interessanti, è autore di oltre una quarantina di composizioni per piano e d'altrettante per canto, violino, violoncello, di trii e di 10 sinfonie per orchestra. Lorenzo Fernandez, per quanto giovine, è già autore d'una sessantina di composizioni. Ricordiamo ancora: João Nunes, elegante e fine, autore, fra l'altro, d'una suite e di Pièces drôles; Barrozo Netto, semplice e chiaro nello sviluppo della melodia sentimentale e delicata; Luciano Gallet, uno dei compositori più giovani, ma in possesso d'uno stile ben caratteristico e definito (si dedica attualmente alla raccolta e all'armonizzazione delle canzoni popolari brasiliane e ne ha già pubblicato tre volumi); Francisco Mignone, la cui produzione consiste in numerose composizioni per pianoforte, canto, violino, violoncello, ecc., e in due opere: O contratador de diamantes e O Innocente, che ebbe un grande successo nel 1928. A. Cantú e Fructuoso de Lima Vianna sono anch'essi fecondi compositori, che, come i precedenti, mirano ad affermare la vitalità del folklore brasiliano, e ad arricchire di nuove linfe la musica universale, principalmente per mezzo della canzone popolare che possiede una linea melodica molto caratteristica e un'intima ricchezza di ritmo.
Bibl.: Guilherme Mello, A musica no Brasil, in Diccionario historico, geograph. e ethnograph. do Brasil, Rio de Janeiro 1922, I, p. 1621 segg.
V. tavv. CLI-CLX.