Brasile
– Alla fine del primo decennio del 21° secolo l’attivismo politico del B. sulla scena internazionale, caratteristico della presidenza di Luiz Inácio Lula da Silva (2003-2010), trovava conferma nelle scelte della nuova presidente Dilma Rousseff, in carica dal gennaio 2011. Il prestigio acquisito dal B. sul campo, grazie a un’intensa attività diplomatica e soprattutto all’imponente crescita economica, chiamava il Paese sudamericano a nuove e più complesse sfide per vedere riconosciuto il suo ruolo di attore globale, con l’ambizioso obiettivo, condiviso dagli altri paesi emergenti, di riformare la governance mondiale attraverso l’affermazione di un modello politico multipolare. L’aspirazione brasiliana a un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza era così al centro dell’intervento di Rousseff all’apertura dei lavori dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (settembre 2011) nella congiuntura di forte crisi in cui si dibattevano, prevalentemente, i paesi del nord del mondo. All’interno del Paese, nonostante destasse seria preoccupazione l’allarme per la corruzione dilagante nel governo e nella classe dirigente in relazione alla preparazione dei Mondiali di calcio del 2014, non potevano non essere sottolineati i meriti dell’amministrazione Lula che aveva saputo favorire l’inclusione sociale di larghe fasce della popolazione prima relegate ai margini della partecipazione politica attiva, del mercato dei consumi, del mondo del lavoro e dell’istruzione (raggiungendo circa il 90% di scolarità nella popolazione infantile). Il motore di questi cambiamenti è stata un’espansione economica molto sostenuta, interrotta solo da una lieve flessione del PIL (-0,6%) nel 2009, in piena crisi economica mondiale, e nuovamente in ripresa l’anno successivo con una crescita accelerata del PIL del 7,5%. Nel 2010 il B. ha superato l’Italia, classificandosi come la settima economia più grande al mondo e si prevede che, per effetto di un differenziale di crescita favorevole, entro il 2013 raggiungerà il sesto posto davanti al Regno Unito. Nel volgere di poco meno di poco meno di un ventennio il B. è profondamente mutato, trasformando la sua condizione di Paese caratterizzato da una crescita fragile e disomogenea, con un debito estero tra i più alti al mondo, tassi di inflazione che in alcuni periodi hanno raggiunto anche il 7000%, e indici di diseguaglianza sociale e di povertà rurale e urbana elevatissimi, in quella di economia emergente tra le più dinamiche, capace di coniugare la crescita economica e riduzione delle diseguaglianze, e in grado di superare quasi senza conseguenze gli effetti di una delle crisi economiche e finanziarie mondiali più gravi degli ultimi ottant’anni. Tutto ciò è stato possibile grazie all’enorme potenziale economico del Paese, tra i principali produttori ed esportatori mondiali di materie prime (ferro bauxite, manganese, rame, stagno, oro), di prodotti agroalimentari (caffè, soia, cacao, agrumi, cotone, canna da zucchero), di prodotti energetici (bioetanolo, biocarburanti), oltre che uno dei poli mondiali dell’industria automobilistica e aerospaziale. Questo potenziale, tuttavia, non è stato sufficiente a garantire uno sviluppo stabile e duraturo del Paese senza che prima fossero aggrediti i problemi strutturali di natura finanziaria e sociale che hanno condizionato negativamente la continuità e la sostenibilità della sua crescita economica. I primi provvedimenti per il risanamento finanziario del Paese sono stati presi nel 1994 con l’attuazione di tre importanti riforme previste nel cosiddetto Piano Real (dal nome della nuova moneta introdotta quell’anno): l’adozione del cambio fluttuante, la definizione di una politica monetaria basata su obiettivi di controllo dell'inflazione (inflation targeting) e l’approvazione della legge di responsabilità fiscale per tenere sotto controllo la spesa pubblica. Tali riforme, affiancate nei primi anni del 21° secolo da un esteso programma di politiche redistributive e di misure a sostegno del potere d’acquisto delle classi più povere della popolazione, hanno prodotto in breve tempo risultati notevoli sotto il profilo della stabilizzazione finanziaria e della crescita economica. L’orientamento in senso antinflazionistico della politica monetaria ha infatti permesso la stabilizzazione del tasso di inflazione che a partire dal 2003-2004 si è mantenuto entro gli obiettivi fissati dalla Banca Centrale (4,5 per cento ± 2 per cento), mentre la disciplina fiscale ha consentito la formazione di elevati avanzi primari di bilancio (costantemente superiori al 3% fino al 2009, salvo poi scendere leggermente al di sotto di tale livello negli anni successivi). Di conseguenza anche il debito pubblico, il cui livello fino al 2000 era circa il 60% del PIL, è sceso fino a portarsi nel 2010 poco al di sopra della soglia del 40%. Inoltre, grazie al processo di progressiva liberalizzazione del commercio e alla maggiore apertura ai mercati mondiali, le esportazioni brasiliane hanno potuto avvantaggiarsi dell’ascesa dei prezzi mondiali delle materie prime e dei prodotti alimentari, sostenuta dal crescente dal fabbisogno di risorse da parte Cina (v.) e in soli sette anni sono aumentate di quasi tre volte, passando da poco più di 73 miliardi di dollari nel 2003 a oltre 200 miliardi nel 2010. Nel corso di quegli stessi anni il saldo commerciale è rimasto costantemente in attivo, e dopo aver raggiunto nel 2006 il valore di 46,5 miliardi di dollari si è assestato negli anni successivi su livelli oscillanti tra i 20 e i 25 miliardi di dollari. La forte crescita delle esportazioni è stata peraltro sostenuta in larga parte da uno sforzo di ricerca attiva e di diversificazione dei mercati di sbocco che ha modificato in misura considerevole la geografia degli scambi commerciali del B.: nel 2011 i principali partner commerciali sono risultati l’Unione Europea verso cui si indirizza il 18% circa delle esportazioni, la Cina con il 17,3% e i paesi del Mercosur con poco più dell’11%, mentre gli Stati Uniti hanno sensibilmente visto ridimensionata la propria quota sull’export complessivo del Paese che è scesa dal 25% degli anni 2001-2002 al 10% circa del 2011. Contrariamente a quanto accaduto in altre economie emergenti, lo sviluppo del B. è stato trainato non dalle esportazioni, che contribuiscono alla formazione del PIL soltanto per il 10%, ma dalla crescita dei consumi interni sostenuta dai programmi pubblici di inclusione sociale destinati alle classi più povere, come la bolsa familia, introdotta nel 2003 su iniziativa del presidente Lula e da altre misure quali il credito agevolato a pensionati e salariati a basso reddito e il salario minimo garantito. Complessivamente, in dieci anni circa 30 milioni di persone sono uscite dalla condizione di povertà, sia per effetto dei programmi di redistribuzione del reddito, sia in conseguenza della rapida crescita economica. In sette anni il tasso di disoccupazione si è quasi dimezzato, scendendo nel 2010 al 6,7%, il livello più basso mai registrato nel Paese, mentre i cittadini rientranti nelle classi medie di reddito hanno superato la soglia dei 100 milioni e sono diventati per la prima volta la maggioranza della popolazione. Allo stesso tempo è cresciuta anche la classe dei cosiddetti HNWI (High net worth individuals), composta dagli individui che posseggono un elevato patrimonio netto, con disponibilità superiore ai 5 milioni di dollari, che nel 2010 risulterebbero in B. essere oltre 150.000, più che in India e Russia. La rapida ascesa del nuovo ceto medio ha trasformato il B. in uno dei maggiori mercati mondiali per computer, automobili, elettrodomestici, telefoni cellulari e palmari, prodotti di igiene personale, ceramiche e prodotti edilizi. La vivacità del mercato ha inoltre reso il Paese la seconda meta di destinazione dopo la Cina dei flussi mondiali di investimenti diretti esteri. Questi ultimi, dopo la flessione nel 2009 (29,5 miliardi di dollari) sono nuovamente cresciuti fino a raggiungere nel 2010 48,5 miliardi di dollari, segnalando così l’elevato grado di fiducia degli investitori nelle prospettive di sviluppo del Paese. Molto intensa è stata anche la crescita degli investimenti di portafoglio che si sono riversati sui mercati azionari favorendo una vivace capitalizzazione delle piazze finanziarie brasiliane (v. BM&F Bovesa) del tutto in controtendenza rispetto ad aree del pianeta. Gli ingenti afflussi di capitale e gli introiti derivanti dagli attivi commerciali, hanno contribuito al miglioramento della posizione esterna del Paese che dal 2007 è diventato creditore netto nei confronti del resto del mondo, determinando l’accumulazione di ingenti riserve valutarie il cui stock, decuplicatosi in appena dieci anni, ha raggiunto nel 2011 il valore di 353 miliardi di dollari. Riguardo alle prospettive future di sviluppo dell’economia brasiliana, uno dei fattori di maggiore criticità è costituito dal pesante deficit infrastrutturale del Paese che ha spinto le autorità di governo a varare nel 2007 un vasto piano di investimenti infrastrutturali (PAC, Piano di accelerazione degli investimenti) del valore di 288 miliardi di dollari nei settori dei trasporti, energia, sanità, alloggi, risorse idriche. L’attuazione di una seconda fase del piano (PAC2) per gli anni 2011-2014 e l’avvio dei preparativi per la Coppa del Mondo di calcio del 2014 e per le Olimpiadi del 2016, hanno inoltre portato alla mobilitazione di ulteriori 576 miliardi di dollari di spesa per investimenti infrastrutturali. La sostenibilità di medio-lungo periodo della crescita economica brasiliana risulta inoltre condizionata dal progressivo apprezzamento del cambio del Real, dovuto proprio all’elevato afflusso di capitali, che indebolisce la competitività delle esportazioni e frena la sviluppo industriale, nonché dall’eccessiva pressione fiscale che alimenta un sistema di spesa pubblica caratterizzato ancora da inefficienza e da sacche di corruzione.