Vedi Brasile dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Il Brasile è la maggiore potenza economica dell’America Latina e da tempo si pone come attore a portata globale. Le grandi dimensioni del suo territorio, la sua popolazione, l’andamento dell’economia e la spesa militare costituiscono gli elementi quantitativi che inducono a sostenere le ambizioni del paese in questa direzione.
A caratterizzare il Brasile come attore globale contribuisce anzitutto l’attivismo in politica estera, confermato dalla costante partecipazione alle maggiori organizzazioni internazionali e ai principali processi negoziali. Sebbene già durante le due amministrazioni di Fernando Henrique Cardoso (1995-2002) vi fosse stato un deciso sostegno alla partecipazione del Brasile ai più rilevanti meccanismi di cooperazione internazionale, la presidenza di Luiz Inácio Lula da Silva (2003-10) ha certamente comportato un maggiore attivismo della politica estera brasiliana. Questo è sostenuto da uno degli asset più importanti del paese: l’Itamaraty, il prestigioso ministero degli esteri brasiliano. L’efficienza della diplomazia nazionale, assieme all’autorevolezza internazionale guadagnata negli ultimi decenni, hanno contribuito all’emergere e al consolidamento del Brasile come attore globale. Inoltre, il dinamismo brasiliano è andato di pari passo con la costruzione e il rafforzamento di solidi e diversificati rapporti commerciali con le diverse regioni geografiche del mondo.
di Antonella Mori
Alle ultime elezioni, i brasiliani hanno votato per la continuità e non c’è motivo per pensare che Dilma Rousseff, il nuovo presidente, non cercherà di accontentare i suoi elettori: gli anni del governo Lula hanno garantito al paese una crescita economica forte, con la diminuzione della povertà e della disuguaglianza, e un importante ruolo sulla scena internazionale. Le prime indicazioni sulla direzione della politica economica e la scelta del nuovo governo indicano che la Rousseff punti sulla continuità. Tuttavia, il nuovo contesto politico ed economico pone delle sfide importanti. Il governo ha un’ampia maggioranza nel congresso, ma la coalizione di dieci partiti richiederà notevoli capacità negoziali al fine di approvare progetti chiave, come la riforma tributaria. Inoltre, l’opposizione controlla dieci stati, inclusi stati importanti quali San Paolo, Minas Gerais e Paranà, che corrispondono a circa il 55% del pil brasiliano. Il governo dovrà affrontare anche alcune sfide sul piano economico: in primo luogo, realizzare una politica fiscale che migliori i conti pubblici senza pregiudicare gli interventi di redistribuzione; in secondo luogo, appoggiare una politica monetaria che consenta una riduzione dei tassi d’interesse reali, senza creare inflazione; infine, aumentare l’investimento in capitale fisso, senza gravare sulla finanza pubblica e limitando l’indebitamento estero.
Nel suo primo discorso dopo la vittoria, la Rousseff ha sottolineato che il suo impegno fondamentale sarà quello di sradicare la miseria e creare migliori e più eque opportunità per tutti i brasiliani e le brasiliane. Ha dichiarato che intende continuare a difendere la democrazia, la libertà di stampa, il rispetto dei diritti umani e religiosi. Sul piano economico, la Rousseff vuole mantenere i tre pilastri della politica economica precedente: una politica fiscale responsabile, che generi avanzi primari di bilancio, una politica monetaria indipendente basata sull’inflation targeting, e un regime flessibile del tasso di cambio. La Rousseff è contraria al protezionismo, ma sicuramente si impegnerà ad appoggiare lo sviluppo dell’industria nazionale con una politica industriale attiva, che miri all’internalizzazione della catena produttiva, ovvero a produrre in Brasile tutto quello che può essere prodotto in Brasile – per esempio, aumentando il contenuto di prodotti brasiliani nell’industria cantieristica e petrolifera. Sul fronte della politica fiscale, si è impegnata a promuovere una maggiore efficienza sia dal lato della spesa pubblica che dal lato del sistema tributario. È a favore della costituzione del ‘Fondo sociale pre-sal’, alimentato con i ricavi dall’esplorazione dei nuovi giacimenti petroliferi ‘pre-sal’. Le risorse di questo Fondo dovrebbero essere distribuite in progetti di medio-lungo periodo per il miglioramento dell’istruzione e della cultura, per la lotta alla povertà, per lo stimolo all’innovazione tecnologica e per la protezione dell’ambiente. Il nuovo governo è a favore di una riduzione dei tassi d’interesse, che servirebbe anche a frenare il forte afflusso di capitali esteri e il conseguente apprezzamento della valuta nazionale. Questo obiettivo, però, potrebbe ostacolare quello della bassa inflazione, dato che l’economia è in forte crescita.
Per la sostenibilità della crescita in futuro il paese ha bisogno di nuovi investimenti fissi e in particolare di migliorare le infrastrutture, soprattutto nel settore dei trasporti – porti, strade e ferrovie. Il governo Lula aveva già avviato importanti piani d’investimento (Pac1 e Pac2), ma ancora oggi gli investimenti rappresentano solo il 19% del pil, rispetto al 44% in Cina e al 40% in India. Se il paese vuole continuare a tenere basso l’indebitamento estero – come durante l’amministrazione Lula – diventerà allora necessario generare un aumento del risparmio nazionale, sia privato che pubblico.
Eleggendo Dilma Rousseff gli elettori brasiliani hanno votato per la continuità, ma il nuovo governo dovrà affrontare numerose sfide per rispettare il mandato popolare, ovvero per realizzare una crescita economica sostenuta con un forte miglioramento degli indicatori sociali.
Nel quadro di questa strategia di affermazione internazionale, il Brasile si è impegnato a rafforzare la cooperazione con gli altri paesi comunemente denominati ‘potenze medie emergenti’, come l’India, il Sudafrica, e in parte la Cina. Tale sforzo è stato compiuto tanto all’interno delle organizzazioni internazionali esistenti – come le Nazioni Unite o l’Organizzazione mondiale del commercio – quanto attraverso il lancio di nuove iniziative diplomatiche come il Foro di dialogo India-Brasile-Sudafrica (Ibsa). Uniti nel sostegno al multilateralismo politico, questi paesi affermano la necessità di rivedere radicalmente l’assetto della governance internazionale, approntato nella seconda metà del secolo scorso, e dunque incapace di rappresentare la reale distribuzione del potere globale nello scenario contemporaneo. Il Brasile ha cercato, infruttuosamente, di ottenere un ruolo di maggior rilievo in alcune organizzazioni internazionali, sia con la candidatura di un suo rappresentante come Direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio, sia mediante la campagna per ottenere lo status di membro permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
L’attivismo diplomatico di Lula non è stato tuttavia esente da critiche. Da una parte, ad esempio, è stata messa in dubbio la capacità della diplomazia brasiliana di gestire problematiche quali la non proliferazione o i conflitti religiosi; dall’altra, si è segnalata una possibile sproporzione tra le velleità diplomatiche del paese e le sue concrete capacità d’azione e d’influenza.
Il rafforzamento della cooperazione con i paesi della regione sudamericana costituisce, per il Brasile, un ulteriore obiettivo strategico. Nonostante le deludenti performance sudamericane in materia d’integrazione regionale, il sostegno brasiliano ai meccanismi di integrazione regionale e sub-regionale – dall’Unione delle nazioni sudamericane al Mercosur – è esemplare del tentativo del paese di porsi alla guida della cooperazione nel continente.
Il Brasile è una repubblica federale formata da tre livelli di governo: l’unione, gli stati e i municipi. Una delle caratteristiche che il Brasile condivide con i suoi vicini latinoamericani è la forma di governo presidenziale, che accentra nella figura del presidente la carica di capo del governo e di capo dello stato. Il presidente è eletto direttamente, per un mandato quadriennale, attraverso un sistema a doppio turno. Negli altri due livelli di governo, i principali incarichi del potere esecutivo sono quelli del governatore e del sindaco. Il modello presidenzialista adottato per la federazione è replicato anche a livello statale e municipale, dove governatori e sindaci vengono eletti direttamente dal popolo per un mandato di quattro anni e godono di ampi poteri.
Il Congresso nazionale, detentore del potere legislativo, è composto dalla Camera dei deputati e dal Senato federale. La Camera, rappresentativa dei cittadini, è composta da 513 membri eletti da questi ultimi con sistema proporzionale e con mandato quadriennale. Gli 81 membri del Senato sono invece rappresentativi degli stati e vengono eletti con sistema maggioritario in ragione di tre per ciascuno stato e per il distretto federale. Il mandato di senatore dura otto anni, ma le elezioni si tengono ogni quattro anni per assegnare, alternativamente, un terzo e due terzi dei seggi. A livello statale e municipale, il potere legislativo è invece detenuto da un’unica camera, rappresentativa dei cittadini.
Anche il sistema giudiziario rispecchia l’architettura istituzionale dello stato, affiancando a tribunali federali (Tribunale supremo federale e Tribunale superiore di giustizia) corti statali e municipali.
In Brasile vige un sistema multipartitico caratterizzato dalla presenza di due formazioni politiche principali, il Partido dos Trabalhadores (Pt) e il Partido da Social Democracia Brasileira (Psdb). Durante le ultime elezioni presidenziali dell’ottobre 2010, che segnavano la fine del secondo mandato del presidente Lula, il candidato del governo ed esponente del Pt, Dilma Rousseff, è incorsa nel ballottaggio. Durante il primo turno, la Rousseff aveva ottenuto il 46,91% dei voti, seguita dal 32,61% di José Serra del Psdb e dal Partido Verde (capeggiato dall’ex-ministro per l’ambiente di Lula, Marina Silva), che con il 19,33% dei voti si è rivelato un attore chiave per il ballottaggio. Nel secondo turno, la candidata del Pt ha ottenuto un’ampia vittoria su Serra (56,05% dei voti contro 43,95%), e dal 1° gennaio 2011 è la prima donna nella storia del Brasile a ricoprire l’incarico più alto del paese.
Il Brasile rappresenta uno degli stati geograficamente e demograficamente più rilevanti sul piano regionale e globale. È infatti il quinto paese più grande al mondo, con una superficie totale di 851.488 km2 e una popolazione di 195,5 milioni di abitanti. In termini comparati, ciò significa che il Brasile copre metà del territorio sudamericano e rappresenta un terzo della popolazione dell’America Latina, che è di 575,9 milioni di abitanti. Tra il 2005 e il 2010 la popolazione brasiliana è cresciuta tuttavia dello 0,98%, al di sotto dunque della media latinoamericana (1,15%). Si stima inoltre che l’attuale tasso di crescita sia destinato a diminuire nei prossimi decenni, e che nel 2050 la popolazione non dovrebbe superare i 218 milioni di abitanti.
Come nel caso della gran parte dei paesi latinoamericani, la composizione etnica della popolazione brasiliana è stata fortemente influenzata dai flussi migratori europei. La principale componente della variegata composizione etnica del Brasile è costituita dai Luso-brasiliani, discendenti dei coloni portoghesi. Accanto a questi, vi sono rilevanti componenti d’origine italiana, spagnola, tedesca e russa. La pratica del commercio degli schiavi, in vigore fino alla fine del 19° secolo, ha generato inoltre una cospicua popolazione d’origine africana. Gli Afroamericani, concentrati principalmente nello stato di Bahia, costituiscono circa il 7% della popolazione. Vi sono infine altre minoranze etniche, le più numerose delle quali d’origine libanese e giapponese.
Del totale della popolazione del paese, l’85% risiede in zone urbane – al di sopra della media continentale, pari al 79,5% – e poco più del 10% della popolazione si concentra a São Paulo, la principale area metropolitana del Brasile.
Il Brasile ha una popolazione molto giovane. Il 60% dei brasiliani ha infatti un’età al di sotto dei 34 anni, mentre un ulteriore 20% è compreso nella fascia d’età tra i 34 e i 49 anni.
Il tasso di natalità tra il 2005 e il 2010 è stato di 16,4 ogni 1000 abitanti (in diminuzione entro il 2040, quando sarà più prossimo a 10 ogni 1000 abitanti), mentre il tasso di mortalità, nello stesso periodo, è stato del 6,3 su 1000 abitanti (in aumento entro il 2040, quando si stima che raggiungerà il 9,2). Per quanto riguarda la speranza di vita, che tra il 2000 e il 2005 era di 67,3 anni per gli uomini e di 74,9 anni per le donne, si prevede che aumenterà rispettivamente a 74 e 81 anni nel quinquennio 2030-35.
Il Brasile è oggi una delle economie più dinamiche del mondo, ma lo è da un tempo relativamente recente. Nella seconda metà degli anni Novanta il paese attraversò infatti una fase depressiva interna che sarebbe poi stata aggravata dalle contemporanee crisi russa e asiatica (1997-98). Questo costrinse il presidente Cardoso ad adottare una serie di misure di adattamento strutturale concordate con il Fondo monetario internazionale, nel tentativo di arginare la crisi di super-inflazione che aveva colpito il paese. Nonostante il successo di alcune riforme, che permisero di frenare la crescita dei prezzi, ancora nel 2001 il Brasile era alle prese con una maxi-svalutazione della moneta e con una grave crisi energetica. Al cambio di presidenza, nel 2003, la linea liberista abbracciata da Cardoso non fu sconfessata da Lula, che al contrario riuscì a darle nuovo slancio nonostante fosse stato eletto sulla base di una piattaforma nettamente più dirigista. Tra il 2001 e il 2008 le nuove politiche hanno consentito al paese di crescere costantemente, sebbene a tassi variabili (una media annua del 5% del pil), portando il Brasile tra i primi otto paesi del mondo per dimensioni economiche. Oggi il pil brasiliano non è soltanto il più grande dell’intera America Latina, ma rappresenta più della metà dell’intero pil degli stati sudamericani. Questo dato dimostra forse meglio di qualunque altro il cambio di passo intrapreso dal Brasile dal punto di vista produttivo; cambio di passo che, d’altronde, sorregge e giustifica le grandi ambizioni politiche del paese.
Nonostante la rapida espansione economica e la solidità dimostrata nei confronti della recente crisi finanziaria internazionale (il Brasile ha subito una lievissima recessione dello −0,6%, nel 2009, per poi ‘rimbalzare’ e crescere di quasi l’8% nel 2010), dietro a questi numeri il paese cela anche alcune ombre. Limitandosi all’America Latina, il pil pro capite a parità di potere d’acquisto del Brasile è superato dai redditi medi cileni, argentini, uruguayani e venezuelani. Inoltre il real, la valuta brasiliana, è andata rafforzandosi con la crescita economica: questo, accompagnato alla crescita del paese, incoraggia sia i consumi interni che le importazioni, contribuendo perciò ad assottigliare il surplus della bilancia commerciale. L’accumulo di debito con l’estero da parte dell’economia brasiliana non suscita tuttavia grandi preoccupazioni, dal momento che gli investitori esteri sembrano essere convinti della solidità dell’economia brasiliana e si dimostrano generalmente entusiasti nel finanziarne la crescita. Contestualmente, anche il tasso di disoccupazione del paese registra un calo (dal 10% del 2006 al 7% del 2010). Ciò consente alla Banca centrale brasiliana di mantenere una politica monetaria fortemente restrittiva, evitando che un’eccessiva liquidità porti a una crescita addirittura troppo veloce, con il rischio di ‘surriscaldare’ un’economia già esplosiva.
Il successo dell’economia brasiliana è stato tale che la nuova presidente Dilma Rousseff ha improntato le sue politiche di crescita all’insegna della continuità. In primo luogo, infatti, era stata lei stessa a guidare dal 2007, sotto Lula, il Piano quadriennale di accelerazione della crescita. Appena eletta alla presidenza, poi, la Rousseff ha rinominato Guido Mantega, già ministro delle finanze dal 2006, e ha promosso alla presidenza della Banca centrale brasiliana un economista ortodosso, che aderisce ai principi di stabilità finanziaria e di controllo dell’inflazione inaugurati dal suo predecessore.
Rimane, però, un elemento di possibile divergenza tra le politiche della Rousseff e quelle di Lula. Poco dopo essere stata eletta, la presidente ha infatti promesso profondi tagli alla spesa pubblica. Resta da vedere quanta parte di queste promesse sarà convertita in effettiva azione politica, vista la grande varietà di posizioni all’interno dei dieci partiti che compongono la coalizione di governo, e le nuove spese alle quali il settore pubblico brasiliano dovrà probabilmente far fronte.
Il Brasile è un importante fornitore mondiale di commodities e di generi alimentari. Il settore agricolo rappresenta il 7% del pil brasiliano, occupa il 19% della forza lavoro e contribuisce per il 55,4% delle esportazioni totali di beni. Il paese è ai primi posti del mondo nella produzione ed esportazione di etanolo, soia, zucchero, caffè, tabacco, mais, riso e cacao. A differenza di molti paesi sudamericani, che concentrano un’importante porzione del proprio commercio su pochi prodotti, il Brasile presenta infatti una struttura di esportazione molto diversificata. I principali dieci prodotti di esportazione nel 2008 rappresentavano poco più del 40% delle esportazioni totali, e nessuno di questi prodotti contava singolarmente per più del 9%.
Inoltre, il Brasile è riuscito a emergere anche come produttore di beni manifatturieri con un basso contenuto tecnologico. A partire della presidenza di Vargas, nel 1930, il paese ha infatti cominciato a dare grande importanza all’industria, che rappresenta oggi il 21% della popolazione occupata e contribuisce per il 27% al pil nazionale. Nel 2008 le esportazioni brasiliane di prodotti manifatturieri hanno costituito quasi la metà delle esportazioni totali. In un ambiente economico mondiale sempre più concorrenziale, il Brasile è riuscito a diventare un attore importante in alcuni settori, come quello della carta e della cellulosa, della siderurgia, dell’industria mineraria, dell’aeronautica, degli idrocarburi e della petrolchimica.
Dal punto di vista dei partner commerciali, l’Asia è recentemente divenuta la regione più importante per il commercio brasiliano: è questa, infatti, l’area verso la quale il paese ha diretto il 28% delle sue esportazioni e dalla quale proviene il 31% delle sue importazioni. Se invece si considerano i singoli paesi, i principali partner commerciali brasiliani sono la Cina, gli Stati Uniti e l’Argentina.
nel settore dei servizi e dei manufatti con un maggiore livello di tecnologia.
Tra le prime 25 multinazionali originarie dall’America Latina troviamo ben dieci aziende d’origine brasiliana, tra cui il Grupo jbs (alimentari), la Companhia Vale do Rio Doce, nota fino al 2007 come Cvrd (settore minerario) e Petrobrás (petrolio). Il Grupo jbs, che primeggia tra le multilatinas brasiliane, è presente in 11 paesi e nel 2009 ha registrato un fatturato di 20.547,8 milioni di dollari.
Merita infine menzione il livello di sviluppo infrastrutturale del paese, che si ricollega fortemente alle previsioni di crescita e di spesa nell’immediato futuro. Innanzitutto va ricordato che il Brasile si prepara a ospitare i Mondiali di calcio nel 2014 e le Olimpiadi nel 2016, due eventi di portata globale che attrarranno un numero considerevole di turisti, mettendo alla prova un sistema infrastrutturale debole e mal distribuito, che costituisce già adesso un ostacolo alla distribuzione dei benefici della crescita nazionale nelle varie aree del paese. Gli investimenti necessari al settore costituiranno dunque con ogni probabilità un ulteriore fattore di tensione, che metterà a dura prova i tentativi da parte della Rousseff di porre un freno alla spesa statale.
Nel caso brasiliano, la buona performance della sua economia viene confermata da tassi di crescita che in media sono stati superiori al 3% durante l’ultimo decennio, anche se questo livello è ancora inferiore al tasso di crescita medio della Cina (10%), dell’India e della Russia (entrambe 7%) durante lo stesso periodo. Nonostante ciò, si stima che entro il 2020 l’economia brasiliana sarà più grande di quella italiana e che entro il 2018 i Bric sorpasseranno complessivamente gli Stati Uniti.
Il presente e il futuro del Brasile ruotano attorno alla prospettiva che il paese possa diventare – oltre che un gigante economico – anche un gigante energetico. Tanto la produzione quanto i consumi interni di energia brasiliani sono fortemente diversificati, e la dipendenza energetica dall’estero è andata riducendosi nel corso degli anni, arrivando a costituire oggi soltanto l’8% dei consumi totali. Ciò è accaduto nonostante il fatto che, dalla metà degli anni Novanta, i consumi energetici siano cresciuti in misura costante, e che oggi il Brasile sia il decimo consumatore di energia nel mondo (di gran lunga il primo in America Latina).
Malgrado il Brasile non riesca a soddisfare completamente il suo consumo energetico attraverso la produzione interna, quest’ultima è costantemente aumentata dal 2001. Il governo brasiliano punta a raggiungere l’autosufficienza, ma questa appare ancora più un’ambizione che una possibilità, almeno in tempi brevi: un obiettivo strategico e realistico del Brasile è quello di diminuire ulteriormente la propria dipendenza energetica nel breve periodo.
Nonostante il Brasile sia già tra i primi 15 paesi al mondo per produzione di petrolio, infatti, esso non dispone ancora di un numero sufficiente di impianti di raffinamento, e ciò lo costringe a esportare parte del petrolio greggio che produce e a reimportare i propri prodotti raffinati. Lo sviluppo di nuovi impianti di raffinazione diventa ancora più impellente se si considerano le importanti scoperte di riserve di petrolio e di gas naturale realizzate negli ultimi anni, principalmente al largo delle coste brasiliane. L’estrazione da queste riserve non servirebbe solo a colmare il fabbisogno interno di idrocarburi, ma potrebbe trasformare il Brasile in un esportatore netto di petrolio. Grazie ai nuovi giacimenti, ingenti ma difficili da sfruttare perché localizzati nelle profondità della piattaforma oceanica, l’azienda petrolifera semi-statale Petrobrás stima infatti di poter più che raddoppiare la produzione petrolifera del paese entro il 2020.
Per quanto riguarda il gas naturale, il Brasile produce circa metà di quanto consuma, ed è costretto a importare quasi tutto il resto dalla Bolivia. Le vertenze con Morales, presidente boliviano, che nel 2006 ha ordinato la nazionalizzazione dei giacimenti di idrocarburi del paese estromettendo Petrobrás, e che da allora ha rinegoziato il prezzo del gas al rialzo, hanno spinto Brasilia a raddoppiare l’importazione (prima infinitesimale) di gas naturale liquefatto da paesi più distanti (in massima parte Trinidad e Tobago), ma le probabilità di riuscire a svincolarsi dalla Bolivia appaiono oggi decisamente scarse.
Oltre all’importanza delle riserve di idrocarburi scoperte negli ultimi anni, il Brasile si contraddistingue per un ruolo di spicco nell’utilizzo delle energie rinnovabili. Il paese è oggi il terzo produttore mondiale di energia idroelettrica dopo la Cina e il Canada – che può tuttavia considerarsi sostanzialmente al pari del Brasile. Grazie a questo primato, che gli deriva in buona misura dalla grande centrale di Itaipu (co-gestita con il Paraguay), ma grazie anche alla combustione del legname della foresta amazzonica e allo sviluppo dei biocarburanti, i consumi energetici brasiliani sono composti per quasi il 45% da energie rinnovabili. Tra queste, particolare importanza riveste la produzione del bioetanolo.
L’attuale posizione di leader mondiale nella produzione di bioetanolo ricoperta dal Brasile non si deve considerare una casualità: se da una parte le dotazioni di risorse naturali hanno giocato un ruolo fondamentale, dall’altra bisogna rammentare la lunga esperienza brasiliana maturata nel settore, supportata principalmente dall’entrata in vigore, già nel 1975, del Programma nazionale dell’alcol, ribattezzato ‘Programma Proalcol’.
L’attuale posizione di leader mondiale nella produzione di bioetanolo ricoperta dal Brasile non si deve considerare una casualità: se da una parte le dotazioni di risorse naturali hanno giocato un ruolo fondamentale, dall’altra bisogna rammentare la lunga esperienza brasiliana maturata nel settore, supportata principalmente dall’entrata in vigore, già nel 1975, del Programma nazionale dell’alcol, ribattezzato ‘Programma Proalcol’.
Il Brasile è un’importante riserva per la biodiversità mondiale: si stima che sia il paese con la più grande diversità biologica al mondo, dato che il 13% delle specie riconosciute si trova al suo interno. Nel territorio nazionale si trova la selva amazzonica, che occupa una superficie di 3,3 milioni di km2, ovvero il 40% del territorio brasiliano (anche se l’intera zona amazzonica, denominata ‘Amazzonia legale’, ricopre circa 5 milioni di km2). È qui che si trova la maggiore riserva di biodiversità del pianeta, e questo considerando che solo il 10% delle specie che ci abitano sono state catalogate. Ciò fa sì che temi come la deforestazione, lo sfruttamento di alcuni tipi di piantagioni, gli allevamenti di animali, l’inquinamento dell’acqua o della terra, l’inurbamento della foresta amazzonica vengano seguiti con attenzione non solo all’interno del paese, ma anche dalla comunità internazionale. Con la riforma costituzionale del 1988 si è dato all’ambiente un ruolo di grande rilevanza, evidenziando gli stretti legami tra sviluppo economico e sociale, da un lato, e cura dell’ambiente dall’altro; ciò non ha impedito, tuttavia, che il 13% della foresta amazzonica sia già stato distrutto.
Una delle caratteristiche che contraddistinguono l’America Latina nel suo complesso riguarda i notevoli divari economici e sociali tra i suoi abitanti. Nonostante la sostenuta crescita economica nell’ultimo decennio e l’impegno profuso – sia dal governo Cardoso, con l’istituzione del Sistema unico di salute (Sus), sia da Lula – il Brasile non è ancora riuscito a sanare le sue grandi diseguaglianze economiche e sociali.
Tra i principali problemi socio-economici spiccano gli elevati livelli di povertà e di iniquità sociale, determinati in primo luogo dalle notevoli diseguaglianze nella distribuzione del reddito e della proprietà terriera. Tali diseguaglianze vengono ulteriormente aggravate da un profondo divario tra le regioni del nord, mediamente più povere, e le ricche e industrializzate regioni meridionali. Ciò ha un immediato riflesso anche nella qualità dei servizi sociali e dell’istruzione pubblica forniti nelle due macro-aree del paese, con inevitabili conseguenze sulle rispettive prospettive di sviluppo.
Durante le sue due amministrazioni il presidente Lula ha attuato importanti politiche per combattere questi problemi, come il famoso programma ‘Bolsa Familia’, volto a estendere e razionalizzare le politiche di sussidio ai redditi minimi. L’istituzione di un trattamento minimo uniforme a livello nazionale, così come l’estensione della copertura (da poco meno di 5 milioni di famiglie nel 2001 a 12,1 milioni nel 2009, pari al 26% della popolazione) ha prodotto notevoli risultati. Il primo consiste senza dubbio in una netta riduzione della quota di popolazione che vive in condizione di ‘povertà’, passata rispettivamente dal 37,5% del 2001 al 25,8% del 2008. Contestualmente, la soglia della ‘povertà estrema’ si è abbassata dal 13,2% al 7,3% della popolazione. Agevolato dalla costante crescita economica, anche il livello di disoccupazione ha mostrato una significativa riduzione, passando dal 12,3% del 2003 al 8,1% del 2009.
Il lancio del programma ‘Bolsa Familia’, sullo sfondo di un notevole incremento della spesa per l’istruzione (oltre il 60% nel decennio 1995-2005), ha avuto ricadute positive anche sulla riduzione della popolazione analfabeta adulta, passata dal 11,1% del 2005 al 9,6 % del 2010. Si stima inoltre che questo indicatore potrebbe ridursi ancora fino all’8,2% nel 2015.
La riforma del sistema sanitario brasiliano, avviata a seguito del varo della Costituzione del 1988 (che ha riconosciuto per la prima volta la salute come diritto sociale universale), ha istituito un sistema concorrente tra federazione, stati e municipalità. Oltre a provvedere direttamente alla copertura sanitaria del 75% circa della popolazione, lo stato offre incentivi fiscali al ‘sistema sanitario supplementare’, assicurato dall’iniziativa privata e che copre il restante 25% della popolazione. I notevoli risultati ottenuti a seguito della riforma della sanità in termini di copertura della popolazione e di qualità dei servizi offerti rendono il governo fiducioso di poter conseguire, entro il 2015, gli Obiettivi del Millennio fissati dalle Nazioni Unite.
Il Brasile è stato storicamente il paese latinoamericano con la distribuzione del reddito più squilibrata. Malgrado continui a registrare questo triste primato, vi sono stati importanti sviluppi: mentre nel 2001 il 10% più povero del paese rappresentava lo 0,6% del reddito nazionale e il 10% più ricco ne rappresentava il 52,8%, nel 2008 queste percentuali sono passate rispettivamente allo 0,8% e al 48,7%.
Nonostante questi notevoli miglioramenti, la povertà, la distribuzione del reddito e l’esclusione sociale rimangono importanti sfide per le future amministrazioni. I risultati ottenuti negli ultimi anni e le previsioni del futuro sembrano tuttavia indicare che la direzione in cui ci si è mossi potrà ancora fruttare ulteriori risultati.
In sintonia con il convulso ambiente sociale e politico che regnava nell’America Latina d’allora, nel 1964 un colpo di stato mise fine in Brasile alla cosiddetta Repubblica Popolare, portando al potere Castello Branco e dando inizio a più di vent’anni di governi dittatoriali. A differenza di alcuni suoi vicini sudamericani, come l’Argentina o il Cile – tristemente noti per l’efferatezza dei propri regimi – la dittatura brasiliana fu forse meno totalizzante, dal momento che si consentì il mantenimento (anche se solo come facciata) di alcune istituzioni democratiche, come il parlamento. Ad ogni modo, anche qui la tortura degli oppositori politici fu una realtà, così come la soppressione di importanti libertà individuali e diritti politici, come per esempio il diritto a votare e a candidarsi alle elezioni per coloro che si opponevano al regime militare.
Verso la fine degli anni Settanta, con Ernesto Geisel a capo del governo militare, cominciò il processo di transizione verso la democrazia, che avrebbe portato nel 1985 alla presidenza di José Sarney. Dopo più di vent’anni dall’inizio della transizione, con un’importante riforma costituzionale nel 1988 e considerevoli riforme economiche e istituzionali a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, le istituzioni democratiche brasiliane sembrano essersi definitivamente consolidate. Tra i limiti di tale processo spiccano però l’alto tasso di corruzione politica, male endemico dell’intera regione latinoamericana che si ripercuote fortemente sulla gestione dei servizi pubblici e sull’accesso alla giustizia, e l’infiltrazione di gruppi criminali all’interno delle forze di sicurezza.
Un tema di notevole rilevanza, e strettamente legato alle questioni sopracitate della povertà e dell’esclusione sociale, riguarda la violenza e la criminalità. Sebbene il Brasile non registri livelli paragonabili al Messico o al Venezuela, solo nel 2005 si sono verificate 55.000 morti violente. Anche a livello locale il narcotraffico gioca un ruolo consistente. Per esempio, a Rio de Janeiro, su sei milioni di abitanti ben due vivono nelle malfamate ‘favelas’, controllate in gran parte da narcotrafficanti organizzati e da gruppi paramilitari. Nel 2008 il governo brasiliano ha dato il via a una vasta operazione volta a riprendere il controllo delle favelas, utilizzando le truppe di élite denominate Batalhão de Operações Policiais Especiais (Bope) e le Unità di polizia pacificatrici per mantenere l’ordine ed evitare il ritorno di questi gruppi criminali. Questo processo è stato intensificato di recente, in vista degli importanti eventi sportivi che si terranno in Brasile nei prossimi anni.
Altrettanto rilevante è la situazione nelle aree rurali del paese. Secondo il Rapporto 2009 di Amnesty International, si registrano ancora situazioni di violenza contro i lavoratori rurali senza terra da parte di aziende private o di milizie illegali. Anche le popolazioni indigene, che seguitano a lottare per il loro diritto all’accesso alla terra, continuano a soffrire importanti violazioni ai loro diritti, aggravate dalla lentezza e dall’inefficienza del sistema giudiziario.
Se durante gli anni Novanta la maggioranza dei paesi latinoamericani aveva ridotto considerevolmente la propria spesa militare, negli ultimi anni si è assistito a un progressivo aumento della spesa per la difesa nella regione, cresciuta di oltre il 90% in solo cinque anni (dal 2003 al 2008), principalmente in Colombia, Messico, Venezuela e Brasile. Ad ogni modo, vale la pena rammentare che gran parte di questa spesa militare è destinata al personale (pensioni e stipendi), mentre solo una quota minore va in armamenti.
In termini di capacità militari, il Brasile è la potenza più importante dell’America Latina per numero di truppe (314.000) e spesa militare complessiva (13.200 milioni di dollari Usa nel 2005); numeri rilevanti anche in termini assoluti, data l’assenza sia di conflitti inter-statali, sia di una seria minaccia nella regione. Il potere militare brasiliano riflette una postura relativamente difensiva e i suoi principali compiti hanno a che fare con la sorveglianza delle frontiere (includendo il territorio amazzonico) e la partecipazione nelle missioni delle Nazioni Unite. In tal senso occorre ricordare il ruolo guida assunto dal Brasile nella missione di pace in Haiti (Minustah), che può essere letto in parte anche come una mossa strategica per ottenere un posto nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite durante le discussione sulla riforma dell’organismo. Inoltre, il paese ha cercato di svolgere un ruolo di mediazione in diversi conflitti avvenuti nella regione, come durante la guerra tra Ecuador e Perù nel 1995, la crisi politica paraguaiana nel 1996, il supporto a Chávez dopo il tentativo di colpo di stato nel 2002.
Per proteggere e controllare l’Amazzonia, ma anche come segnale per riaffermare la propria sovranità su tutto il suo territorio, il Brasile ha sviluppato due sistemi di vigilanza: il Sistema di protezione dell’Amazzonia (Sivap) e il Sistema di vigilanza dell’Amazzonia (Sivam). Entrambi i sistemi servono per raccogliere dati e identificare situazioni pericolose (come il traffico di droga, la deforestazione, l’invasione di territori, gli incendi), occupandosi di proteggere le riserve presenti in questa zona, di monitorare la navigazione nei fiumi e di controllare il traffico aereo.
Infine, il Brasile ha conseguito importanti progressi nello sviluppo dell’industria degli armamenti, come ad esempio i progressi tecnologici degli aerei da combattimento Tucano e Super Tucano. Inoltre, a metà dicembre 2010, il paese ha realizzato il lancio (nel suo territorio) del missile di medie dimensioni VSB-30 V07, sviluppato completamente con tecnologia brasiliana. Oltre all’importanza che questo avvenimento riveste in termini scientifici e tecnologici, dati gli esperimenti (legati alla microgravità) realizzati durante il lancio e il tempo di volo del missile, non si può sottovalutare la sua importanza in termini di potenziali sviluppi in ambito militare.