Vedi Brasile dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Il Brasile è la maggiore potenza economica dell’America Latina e da tempo si pone come attore di caratura mondiale. Le grandi dimensioni del suo territorio, la sua popolazione, l’andamento dell’economia e la spesa militare costituiscono gli elementi quantitativi che inducono a sostenere le ambizioni del paese in questa direzione. A caratterizzare il Brasile come attore globale contribuisce anzitutto l’attivismo in politica estera, confermato dalla costante partecipazione alle maggiori organizzazioni internazionali e ai principali processi negoziali. Sebbene già durante le due amministrazioni di Fernando Henrique Cardoso (1995-2002) vi fosse stato un deciso sostegno alla partecipazione del Brasile ai più rilevanti meccanismi di cooperazione internazionale, la presidenza di Luiz Inácio Lula da Silva (2003-10) ha certamente comportato un maggiore attivismo della politica estera brasiliana. Questo è sostenuto da uno degli asset più importanti del paese: l’Itamaraty, il prestigioso ministero degli esteri brasiliano. Inoltre, il dinamismo brasiliano è andato di pari passo con la costruzione e il rafforzamento di solidi e diversificati rapporti commerciali con le diverse regioni geografiche del mondo. Nel quadro di questa strategia di affermazione internazionale, il Brasile si è impegnato a rafforzare la cooperazione con le altre ‘potenze emergenti’, come l’India, il Sudafrica, e in parte la Cina. Tale sforzo è stato compiuto tanto all’interno delle organizzazioni internazionali esistenti – come le Nazioni Unite o l’Organizzazione mondiale del commercio – quanto attraverso il lancio di nuove iniziative diplomatiche come il Foro di dialogo India-Brasile-Sudafrica (Ibsa). Uniti nel sostegno al multilateralismo politico, questi paesi affermano la necessità di rivedere radicalmente l’assetto della governance internazionale.
Il Brasile ha cercato, infruttuosamente, di ottenere un ruolo di maggior rilievo in alcune organizzazioni internazionali, sia con la candidatura di un suo rappresentante come Direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio, sia mediante la campagna per ottenere lo status di membro permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il rafforzamento della cooperazione con i paesi della regione sudamericana costituisce, per il Brasile, un ulteriore obiettivo strategico. Nonostante le deludenti performance sudamericane in materia d’integrazione regionale, il sostegno brasiliano ai meccanismi di integrazione regionale e sub-regionale – dall’Unione delle nazioni sudamericane al Mercosur – è esemplare del tentativo del paese di porsi alla guida della cooperazione nel continente.
Il Brasile è una repubblica federale formata da tre livelli di governo: l’unione, gli stati e i municipi. Una delle caratteristiche che il Brasile condivide con i suoi vicini latinoamericani è la forma di governo presidenziale, che accentra nella figura del presidente la carica di capo del governo e di capo dello stato. Il presidente è eletto direttamente, per un mandato quadriennale, attraverso un sistema a doppio turno. Negli altri due livelli di governo, i principali incarichi del potere esecutivo sono quelli del governatore e del sindaco. Il modello presidenzialista adottato per la federazione è replicato anche a livello statale e municipale. Il Congresso nazionale, detentore del potere legislativo, è composto dalla Camera dei deputati e dal Senato federale. La Camera, rappresentativa dei cittadini, è composta da 513 membri eletti da questi ultimi con sistema proporzionale e con mandato quadriennale. Gli 81 membri del Senato sono invece rappresentativi degli stati e vengono eletti con sistema maggioritario in ragione di tre per ciascuno stato e per il distretto federale. Il mandato di senatore dura otto anni, ma le elezioni si tengono ogni quattro anni per assegnare, alternativamente, un terzo e due terzi dei seggi. A livello statale e municipale, il potere legislativo è invece detenuto da un’unica camera, rappresentativa dei cittadini. Anche il sistema giudiziario rispecchia l’architettura istituzionale dello stato, affiancando a tribunali federali (Tribunale supremo federale e Tribunale superiore di giustizia) corti statali e municipali. In Brasile vige un sistema multipartitico caratterizzato dalla presenza di due formazioni politiche principali, il Partido dos Trabalhadores (Pt) e il Partido da Social Democracia Brasileira (Psdb).
Durante le ultime elezioni presidenziali dell’ottobre 2010, che segnavano la fine del secondo mandato del presidente Lula, il candidato del governo ed esponente del Pt, Dilma Rousseff, è incorsa nel ballottaggio. Durante il primo turno, la Rousseff aveva ottenuto il 46,91% dei voti, seguita dal 32,61% di José Serra del Psdb e dal Partido Verde (capeggiato dall’ex ministro per l’Ambiente di Lula, Marina Silva), che con il 19,33% dei voti si è rivelato un attore chiave per il ballottaggio. Nel secondo turno, la candidata del Pt ha ottenuto un’ampia vittoria su Serra (56,05% dei voti contro 43,95%), e dal 1° gennaio 2011 è la prima donna nella storia del Brasile a ricoprire l’incarico più alto del paese. Infine, nell’ottobre 2012 si sono svolte le elezioni amministrative che hanno visto l’affermazione dei candidati del Pt, che dopo 8 anni di opposizione hanno riconquistato la guida della città di São Paulo.
Si stima inoltre che l’attuale tasso di crescita sia destinato a diminuire nei prossimi decenni, e che nel 2050 la popolazione non dovrebbe superare i 218 milioni di abitanti. Come nel caso della gran parte dei paesi latinoamericani, la composizione etnica della popolazione brasiliana è stata fortemente influenzata dai flussi migratori europei. La principale componente della variegata composizione etnica del Brasile è costituita dai Luso-brasiliani, discendenti dei coloni portoghesi. Accanto a questi, vi sono rilevanti componenti d’origine italiana, spagnola, tedesca e russa. La pratica del commercio degli schiavi, in vigore fino alla fine del 19° secolo, ha generato inoltre una cospicua popolazione d’origine africana, concentrata principalmente nello stato di Bahia e che costituisce circa il 7% della popolazione. Vi sono infine altre minoranze etniche, le più numerose delle quali d’origine libanese e giapponese. L’85% della popolazione risiede in zone urbane – al di sopra della media continentale, pari al 79,5% – e poco più del 10% della popolazione si concentra a São Paulo, la principale area metropolitana del Brasile. Il Brasile ha una popolazione molto giovane. Il 60% dei brasiliani ha infatti un’età al di sotto dei 34 anni, mentre un ulteriore 20% è compreso nella fascia d’età tra i 34 e i 49 anni. Il tasso di natalità tra il 2005 e il 2010 è stato di 16,4 ogni 1000 abitanti (in diminuzione entro il 2040, quando sarà più prossimo a 10 ogni 1000 abitanti), mentre il tasso di mortalità, nello stesso periodo, è stato del 6,3 su 1000 abitanti (in aumento entro il 2040, quando si stima che raggiungerà il 9,2). Per quanto riguarda la speranza di vita, che tra il 2000 e il 2005 era di 67,3 anni per gli uomini e di 74,9 anni per le donne, si prevede che aumenterà rispettivamente a 74 e 81 anni nel quinquennio 2030-35.
Oggi il pil brasiliano non è soltanto il più grande dell’intera America Latina, ma rappresenta più della metà dell’intero pil degli stati sudamericani. Questo dato dimostra forse meglio di qualunque altro il cambio di passo intrapreso dal Brasile dal punto di vista produttivo; cambio di passo che, d’altronde, sorregge e giustifica le grandi ambizioni politiche del paese. Nonostante la rapida espansione economica e la relativa solidità dimostrata nei confronti della recente crisi finanziaria internazionale dietro a questi numeri il paese cela alcune ombre. Limitandosi all’America Latina, il pil pro capite a parità di potere d’acquisto del Brasile è superato dai redditi medi cileni, argentini, uruguayani e venezuelani. Inoltre il real, la valuta brasiliana, è andata apprezzandosi con la crescita economica nazionale e anche grazie alla politica monetaria espansiva di Washington: questo, accompagnato alla crescita del paese, incoraggia sia i consumi interni che le importazioni, contribuendo perciò ad assottigliare il surplus della bilancia commerciale. Il livello di debito con l’estero da parte dell’economia brasiliana non suscita tuttavia grandi preoccupazioni, dal momento che gli investitori esteri sembrano essere convinti della solidità dell’economia brasiliana e si dimostrano general-mente entusiasti nel finanziarne la crescita. Contestualmente, anche il tasso di disoccupazione del paese registra un calo (dal 10% del 2006 al 6% del 2011). Ciò consente alla Banca centrale brasiliana di mantenere una politica monetaria relativamente restrittiva (i tassi di interesse sono stati ridotti, ma il tasso reale continua ad essere positivo) per evitare una crescita dell’inflazione. Se, da una parte, è vero che nel corso del 2011 e del 2012 la Banca centrale ha teso ad abbassare il costo del denaro allo scopo di sostenere l’economia, dall’altra ha però pur sempre mantenuto un tasso elevato, pari al 7,5%. Il successo dell’economia brasiliana è stato tale che la nuova presidente Dilma Rousseff ha improntato le sue politiche di crescita all’insegna della continuità. In primo luogo, infatti, era stata lei stessa a guidare dal 2007, sotto Lula, il Piano quadriennale di accelerazione della crescita.
Oltre a concentrarsi nel settore dell’estrazione di risorse naturali e di manufatti basati su di esse, si registra anche una maggiore partecipazione nel settore dei servizi e dei manufatti con un maggiore livello di tecnologia. Tra le prime 25 multinazionali originarie dall’America Latina troviamo ben dieci aziende d’origine brasiliana, tra cui il Grupo jbs (alimentari), la Companhia Vale do Rio Doce, nota fino al 2007 come Cvrd (settore minerario) e Petrobrás (petrolio). Il Grupo jbs, che primeggia tra le ‘multilatinas’ brasiliane, è presente in 11 paesi e nel 2009 ha registrato un fatturato di 20.547,8 milioni di dollari. Merita menzione il livello di sviluppo infrastrutturale del paese, che si ricollega fortemente alle previsioni di crescita e di spesa nell’immediato futuro. Innanzitutto va ricordato che il Brasile si prepara a ospitare i Mondiali di calcio nel 2014 e le Olimpiadi nel 2016, due eventi di portata globale che attrarranno numerosi turisti, mettendo alla prova un sistema infrastrutturale debole e mal distribuito, che costituisce già adesso un ostacolo alla distribuzione dei benefici della crescita nazionale nelle varie aree del paese. Gli investimenti necessari al settore costituiscono dunque un ulteriore fattore di tensione, che mette a dura prova i tentativi da parte della Rousseff di porre un freno alla spesa statale, come dimostra il piano statale da 66 miliardi di dollari approvato nell’agosto 2012 per la costruzione di porti, strade e ferrovie.
Il paese è oggi il terzo produttore mondiale di energia idroelettrica dopo la Cina e il Canada. Grazie a questo primato, che gli deriva in buona misura dalla grande centrale di Itaipu (co-gestita con il Paraguay), ma grazie anche alla combustione del legname della foresta amazzonica e allo sviluppo dei biocarburanti, i consumi energetici brasiliani sono composti per oltre il 45% da energie rinnovabili. Tra queste, particolare importanza riveste la produzione del bioetanolo. Il Brasile è un’importante riserva per la biodiversità mondiale: si stima che sia il paese con la più grande diversità biologica al mondo, dato che lì si trova il 13% delle specie riconosciute. Nel territorio nazionale si trova la selva amazzonica, che occupa una superficie di 3,3 milioni di km2, ovvero il 40% del territorio brasiliano (anche se l’intera zona amazzonica, denominata ‘Amazzonia legale’, ricopre circa 5 milioni di km2). È qui che si trova la maggiore riserva di biodiversità del pianeta, e questo considerando che solo il 10% delle specie che ci abitano sono state catalogate. Ciò fa sì che temi come la deforestazione, lo sfruttamento di alcuni tipi di piantagioni, gli allevamenti di animali, l’inquinamento dell’acqua o della terra, l’inurbamento della foresta amazzonica vengano seguiti con attenzione non solo all’interno del paese, ma anche dalla comunità internazionale. Con la riforma costituzionale del 1988 si è dato all’ambiente un ruolo di grande rilevanza; ciò non ha impedito che il 13% della foresta amazzonica sia già stato distrutto.
Tali diseguaglianze vengono ulteriormente aggravate da un profondo divario tra le regioni del nord, mediamente più povere, e le ricche e industrializzate regioni meridionali. Ciò ha un immediato riflesso anche nella qualità dei servizi sociali e dell’istruzione pubblica forniti nelle due macro-aree del paese, con inevitabili conseguenze sulle rispettive prospettive di sviluppo. Durante le sue due amministrazioni il presidente Lula ha attuato importanti politiche per combattere questi problemi, come il famoso programma ‘Bolsa Familia’, volto a estendere e razionalizzare le politiche di sussidio ai redditi minimi. L’istituzione di un trattamento minimo uniforme a livello nazionale, così come l’estensione della copertura (da poco meno di 5 milioni di famiglie nel 2001 a 12,1 milioni nel 2009, pari al 26% della popolazione) ha prodotto notevoli risultati. Il primo consiste senza dubbio in una netta riduzione della quota di popolazione che vive in condizione di ‘povertà’, passata rispettivamente dal 37,5% del 2001 al 21,4% del 2009. Contestualmente, la soglia della ‘povertà estrema’ si è abbassata dal 13,2% al 7,3% del 2008. Agevolato dalla costante crescita economica, anche il livello di disoccupazione ha mostrato una significativa riduzione, passando dal 12,3% del 2003 al 6% del 2011. Il lancio del programma ‘Bolsa Familia’, sullo sfondo di un notevole incremento della spesa per l’istruzione (oltre il 60% nel decennio 1995-2005), ha avuto ricadute positive anche sulla riduzione della popolazione analfabeta adulta, passata dal 11,1% del 2005 al 9,6 % del 2010. Si stima inoltre che questo indicatore potrebbe ridursi ancora fino all’8,2% nel 2015. La riforma del sistema sanitario brasiliano, avviata a seguito del varo della Costituzione del 1988 (che ha riconosciuto per la prima volta la salute come diritto sociale universale), ha istituito un sistema concorrente tra federazione, stati e municipalità. Oltre a provvedere direttamente alla copertura sanitaria del 75% circa della popolazione, lo stato offre incentivi fiscali al ‘sistema sanitario supplementare’, assicurato dall’iniziativa privata e che copre il restante 25% della popolazione. I notevoli risultati ottenuti a seguito della riforma della sanità in termini di copertura della popolazione e di qualità dei servizi offerti rendono il governo fiducioso di poter conseguire, entro il 2015, gli Obiettivi del Millennio fissati dalle Nazioni Unite. Il Brasile è stato storicamente il paese latinoamericano con la distribuzione del reddito più squilibrata. Malgrado continui a registrare questo triste primato, vi sono stati importanti sviluppi: mentre nel 2001 il 10% più povero del paese rappresentava lo 0,6% del reddito nazionale e il 10% più ricco ne rappresentava il 46,8%, nel 2009 queste percentuali sono passate rispettivamente allo 0,8% e al 41%. Infine, sempre secondo i dati Cepal, nel 2009 la classe media brasiliana è divenuta la maggioranza della popolazione (oltre il 50%) Nonostante questi notevoli miglioramenti, la povertà, la distribuzione del reddito e l’esclusione sociale rimangono importanti sfide per le future amministrazioni. I risultati ottenuti negli ultimi anni e le previsioni del futuro sembrano tuttavia indicare che la direzione in cui ci si è mossi potrà ancora fruttare ulteriori risultati.
Tra i limiti di tale processo spiccano però l’alto tasso di corruzione politica (secondo l’Indice di corruzione percepita 2011 di Transparency International, il Brasile è alla 73° posizione mondiale con un punteggio di 3,8 punti su 183 paesi), male endemico dell’intera regione latinoamericana che si ripercuote fortemente sulla gestione dei servizi pubblici e sull’accesso alla giustizia, e l’infiltrazione di gruppi criminali all’interno delle forze di sicurezza. Un tema di notevole rilevanza, e strettamente legato alle questioni sopracitate della povertà e dell’esclusione sociale, riguarda la violenza e la criminalità. Sebbene il Brasile non registri livelli paragonabili al Messico o al Venezuela, secondo un rapporto del ministero dell’Interno solo nel 2010 si sono verificate 1 milione di morti violente. Anche a livello locale il narcotraffico gioca un ruolo consistente. Per esempio, a Rio de Janeiro, su sei milioni di abitanti ben due vivono nelle malfamate ‘favelas’, controllate in gran parte da narcotrafficanti organizzati e da gruppi paramilitari. Nel 2008 il governo brasiliano ha dato il via a una vasta operazione volta a riprendere il controllo delle favelas, utilizzando le truppe di élite denominate Batalhão de Operações Policiais Especiais (Bope) e le Unità di polizia pacificatrici per mantenere l’ordine ed evitare il ritorno di questi gruppi criminali. Questo processo è stato intensificato di recente, in vista degli importanti eventi sportivi che si terranno in Brasile nei prossimi anni. Altrettanto rilevante è la situazione nelle aree rurali del paese. Secondo il Rapporto 2009 di Amnesty International, si registrano ancora situazioni di violenza contro i lavoratori rurali senza terra da parte di aziende private o di milizie illegali. Anche le popolazioni indigene, che seguitano a lottare per il loro diritto all’accesso alla terra, continuano a soffrire importanti violazioni ai loro diritti, aggravate dalla lentezza e dall’inefficienza del sistema giudiziario.
Se durante gli anni Novanta la maggioranza dei paesi latinoamericani aveva ridotto considerevolmente la propria spesa militare, negli ultimi anni si è assistito a un progressivo aumento della spesa per la difesa nella regione, cresciuta di oltre il 90% in solo cinque anni (dal 2003 al 2008), principalmente in Colombia, Messico, Venezuela e Brasile. Ad ogni modo, vale la pena rammentare che gran parte di questa spesa militare è destinata al personale (pensioni e stipendi), mentre solo una quota minore va in armamenti. In termini di capacità militari, il Brasile è la potenza più importante dell’America Latina per numero di truppe (318.840 unità, di cui 190.000 solo nell’esercito) e spesa militare complessiva (secondo lo Stockholm International Peace Research Institute – Sipri, sarebbero 35.400 milioni di dollari, circa l’1,5% del pil nel 2012); numeri rilevanti anche in termini assoluti, data l’assenza sia di conflitti inter-statali, sia di una seria minaccia nella regione. Il potere militare brasiliano riflette una postura relativamente difensiva e i suoi principali compiti hanno a che fare con la sorveglianza delle frontiere (includendo il territorio amazzonico) e la partecipazione nelle missioni delle Nazioni Unite. In tal senso occorre ricordare il ruolo guida assunto dal Brasile nella missione di pace in Haiti (Minustah), che può essere letto in parte anche come una mossa strategica per ottenere un posto nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in caso di riforma. Inoltre, il paese ha cercato di svolgere un ruolo di mediazione in diversi conflitti avvenuti nella regione, come durante la guerra tra Ecuador e Perù nel 1995, la crisi politica paraguaiana nel 1996, il supporto a Chávez dopo il tentativo di colpo di stato nel 2002. Per proteggere e controllare l’Amazzonia, ma anche come segnale per riaffermare la propria sovranità su tutto il suo territorio, il Brasile ha sviluppato due sistemi di vigilanza: il Sistema di protezione dell’Amazzonia (Sivap) e il Sistema di vigilanza dell’Amazzonia (Sivam). Entrambi i sistemi servono per raccogliere dati e identificare situazioni pericolose (come il traffico di droga, la deforestazione, l’invasione di territori, gli incendi), occupandosi di proteggere le riserve presenti in questa zona, di monitorare la navigazione nei fiumi e di controllare il traffico aereo. Infine, il Brasile ha conseguito importanti progressi nello sviluppo dell’industria degli armamenti, come ad esempio i progressi tecnologici degli aerei da combattimento Tucano e Super Tucano. Inoltre, a metà dicembre 2010, il paese ha realizzato il lancio (nel suo territorio) del missile di medie dimensioni VSB-30 V07, sviluppato completamente con tecnologia brasiliana. Oltre all’importanza che questo avvenimento riveste in termini scientifici e tecnologici, dati gli esperimenti (legati alla microgravità) realizzati durante il lancio e il tempo di volo del missile, non si può sottovalutare la sua importanza in termini di potenziali sviluppi in ambito militare.
Il Foro di dialogo Ibsa è stato lanciato nel giugno del 2003 dai ministri degli Esteri dell’India, del Brasile e del Sudafrica durante un summit tenutosi nella capitale brasiliana, in seguito alle negoziazioni informali avvenute nel corso del G8 a Evian (Francia). Questa iniziativa viene considerata come uno degli esempi più chiari di una coalizione formata da potenze medie emergenti del sud del mondo, i cui obiettivi vertono su tre principi: il consolidamento delle istituzioni e dei valori democratici, la lotta contro la povertà e le ineguaglianze sociali, il rilancio delle istituzioni e dei negoziati internazionali per gestire i problemi globali. L’Ibsa rientra nella cosiddetta ‘diplomazia sud-sud’, nell’ambito della quale il Brasile ha un ruolo di rilievo, sostenendo la formazione di questo tipo di alleanze strategiche con altre potenze emergenti e impegnandosi sui temi più rilevanti riguardo ai paesi un tempo definiti del ‘Terzo mondo’. Non mancano tuttavia le visioni critiche sulle potenzialità di questo tipo di coalizioni e alleanze strategiche. Nel caso dell’ibsa si sostiene che i tre paesi siano molto diversi in termini di dimensioni e di ruolo nelle rispettive regioni d’appartenenza, così come in relazione ai problemi economici interni che ciascuno di essi deve affrontare. Tali disparità, secondo alcuni, ridurrebbero decisamente il ventaglio di questioni realmente suscettibili di cooperazione.
Nessun altro presidente nella storia brasiliana ha fatto registrare un tale impegno al di fuori dei confini nazionali. Durante i suoi due mandati, l’ex presidente Lula ha trascorso più di un anno (385 giorni) fuori dal Brasile, visitando più di 200 paesi e aprendo 36 rappresentanze diplomatiche all’estero. Oltre al rafforzamento della presenza brasiliana nel continente sudamericano, l’attivismo di Lula mirava ad accrescere e rafforzare la presenza del suo paese in altre regioni emergenti, come l’Asia, l’Africa e il Medio Oriente. L’intervento di Lula in quest’ultima area si è dimostrato tuttavia altamente controverso, specialmente per quanto concerne il suo tentativo di mediazione – congiuntamente alla Turchia – nella controversia sul nucleare iraniano. L’attivismo diplomatico di Lula non è stato tuttavia esente da critiche. Da una parte, ad esempio, è stata messa in dubbio la capacità della diplomazia brasiliana di gestire problematiche quali la non proliferazione o i conflitti religiosi; dall’altra, si è segnalata una possibile sproporzione tra le velleità diplomatiche del paese e le sue concrete capacità d’azione e d’influenza.
Alle ultime elezioni presidenziali, i brasiliani hanno votato per la continuità e non c’era motivo per pensare che Dilma Rousseff non avrebbe cercato di accontentare i suoi elettori: gli anni del governo Lula avevano garantito al paese una crescita economica forte, con la diminuzione della povertà e della disuguaglianza, e un importante ruolo sulla scena internazionale. Nel suo primo discorso dopo la vittoria, la Rousseff affermò che il suo impegno fondamentale sarebbe stato quello di sradicare la miseria e di creare migliori e più eque opportunità per tutti i brasiliani e le brasiliane, continuando a difendere la democrazia, la libertà di stampa, il rispetto dei diritti umani e religiosi. Sul piano economico, la Rousseff disse che voleva mantenere i tre pilastri della politica economica precedente: una politica fiscale responsabile, una politica monetaria indipendente basata sull’inflation targeting e un regime flessibile del tasso di cambio. Le prime indicazioni sulla direzione della politica economica e la scelta del nuovo governo hanno confermato che la Rousseff intenda muoversi nella continuità, anche se con una maggiore connotazione tecnocratica e attenzione alla parità di genere. Il governo ha un’ampia maggioranza nel congresso, ma la coalizione di dieci partiti richiede notevoli capacità negoziali al fine di approvare progetti chiave, come la riforma tributaria.
Il governo sta affrontando alcune sfide sul piano economico: in primo luogo, sostenere lo sviluppo dell’industria nel paese; in secondo luogo, realizzare una politica fiscale che migliori i conti pubblici senza pregiudicare gli interventi di redistribuzione; in terzo luogo, appoggiare una politica monetaria che consenta una riduzione dei tassi d’interesse reali, senza creare inflazione; infine, aumentare l’investimento in capitale fisso, senza gravare sulla finanza pubblica e limitando l’indebitamento estero. La Rousseff sta stimolando lo sviluppo dell’industria locale con una politica industriale attiva, che mira all’internalizzazione della catena produttiva, ovvero a produrre in Brasile tutto quello che è possibile – per esempio, aumentando il contenuto di prodotti brasiliani nell’industria cantieristica e petrolifera. Anche se la Rousseff aveva dichiarato di essere contraria al protezionismo, negli ultimi mesi il governo ha aumentato alcuni dazi doganali per proteggere vari settori industriali. Sempre per sostenere lo sviluppo dell’industria, il governo ha ridotto la tassazione sul lavoro e sull’energia. Sul fronte della politica fiscale, si è impegnata a promuovere una maggiore efficienza sia dal lato della spesa pubblica che dal lato del sistema tributario. È a favore della costituzione del ‘Fondo social pré-sal’, alimentato con i ricavi dall’esplorazione dei nuovi giacimenti petroliferi ‘pré-sal’. Le risorse di questo Fondo dovrebbero essere distribuite in progetti di medio-lungo periodo per il miglioramento dell’istruzione e della cultura, per la lotta alla povertà, per lo stimolo all’innovazione tecnologica e per la protezione dell’ambiente. Il nuovo governo è a favore di una riduzione dei tassi d’interesse, sia per favorire l’investimento delle imprese sia per frenare il forte afflusso di capitali esteri e il conseguente apprezzamento della valuta nazionale, che sta facendo perdere competitività alle esportazioni brasiliane. La riduzione dei tassi d’interesse, però, potrebbe ostacolare il perseguimento dell’obiettivo della bassa inflazione, che rimane prioritario per la Rousseff come lo era stato per Lula. Per la sostenibilità della crescita in futuro il paese ha bisogno di nuovi investimenti fissi e in particolare di migliorare le infrastrutture, soprattutto nel settore dei trasporti – porti, strade e ferrovie. Il governo Lula aveva già avviato importanti piani d’investimento (Pac1 e Pac2), ma ancora oggi gli investimenti rappresentano solo il 19% del pil, rispetto al 44% in Cina e al 40% in India. Se il paese vuole continuare a tenere basso l’indebitamento estero – come durante l’amministrazione Lula – diventerà allora necessario generare un aumento del risparmio nazionale, sia privato che pubblico. Dopo quasi due anni di governo, la popolarità della presidente Rousseff è alta non solo per il sostegno allo sviluppo dell’industria domestica e al miglioramento degli indicatori sociali, ma anche per la lotta decisa alla corruzione, che ha colpito anche numerosi politici di primo piano della sua amministrazione e di quella dell’ex presidente Lula.
Nel 2001 la celebre banca d’affari Goldman Sachs ha coniato il termine Bric per indicare i quattro paesi che, sulla base delle notevoli performance in materia economica, erano destinati a diventare le economie del futuro. Questo gruppo, formato da Brasile, Russia, India e Cina (da cui l’acronimo Bric), ha rappresentato il 36,3% della crescita del pil mondiale negli ultimi dieci anni e si stima che questa tendenza si manterrà nel futuro. Inoltre, durante questo periodo i quattro paesi sono riusciti ad aumentare la loro partecipazione nel prodotto mondiale, raggiungendo attualmente il 25% dell’economia globale (misurata in ppa). Secondo Goldman Sachs, una delle principali conseguenze della crescita e del consolidamento dei Bric è stato l’emergere di una nuova classe media, il che costituisce un dato di grande rilevanza poiché si tratta di quattro paesi molto popolosi (principalmente la Cina e l’India). Nel caso brasiliano, la buona performance della sua economia viene confermata da tassi di crescita che in media sono stati superiori al 3% durante l’ultimo decennio, anche se questo livello è ancora inferiore al tasso di crescita medio della Cina (10%), dell’India e della Russia (entrambe 7%) durante lo stesso periodo. Nonostante ciò, si stima che entro il 2020 l’economia brasiliana sarà più grande di quella italiana e che entro il 2018 i Bric sorpasseranno complessivamente gli Stati Uniti.
Il bioetanolo è un carburante liquido ottenuto dalla biomassa e il suo attuale sviluppo si deve, principalmente, alla necessità di trovare sostituti ai carburanti derivati da fonti fossili, come la benzina e il gasolio. Il suo utilizzo è mirato principalmente a coprire i bisogni nel settore dei trasporti, dato che è quello che contribuisce in maniera più significativa alle emissioni di gas a effetto serra. La produzione di biocarburanti (bioetanolo e biodiesel) non ha solo delle motivazioni economiche o geostrategiche – alti prezzi del petrolio e produzione concentrata in pochi paesi, non sempre affidabili – ma è anche guidata dalla volontà di contenere il cambiamento climatico. A livello mondiale, il Brasile è sia il maggior produttore, sia il primo consumatore di bioetanolo (a base di canna da zucchero). Dietro il Brasile, dotato di 430 impianti, i secondi produttori mondiali di bioetanolo sono gli Stati Uniti, e insieme i due paesi rappresentano quasi i tre quarti della domanda mondiale di questo biocarburante. L’attuale posizione di leader mondiale nella produzione di bioetanolo ricoperta dal Brasile non si deve considerare una casualità: se da una parte le dotazioni di risorse naturali hanno giocato un ruolo fondamentale, dall’altra bisogna rammentare la lunga esperienza brasiliana maturata nel settore, supportata principalmente dall’entrata in vigore, già nel 1975, del Programma nazionale dell’alcol, ribattezzato ‘Programma Proalcol’.