Varietà spontanea del fico (Ficus carica var. caprificus; v. fig.), diffusa in tutto il Mediterraneo, nelle fessure di rupi e di muri, distinta dal fico coltivato, o domestico, per il minore sviluppo vegetativo e per i frutti (in realtà infruttescenze) asciutti, stopposi, di solito non commestibili. Il c. è detto fico selvatico, sebbene anche il fico coltivato possa trovarsi allo stato selvatico.
Spesso, nel corso dell’annata, il c. presenta tre tipi di siconio (➔) che si succedono regolarmente: a) fioroni o profichi, che si originano alla fine dell’autunno, si sviluppano e maturano nella primavera successiva; contengono fiori pistilliferi a stilo corto e fiori staminiferi; b) forniti o mammoni, che spuntano alla fine della primavera e maturano alla fine dell’estate e in autunno (in qualche esemplare sono mangerecci); c) cratiri o mamme, che spuntano alla fine dell’estate, si sviluppano in autunno e maturano nella primavera successiva. I forniti e i cratiri contengono di norma solo fiori pistilliferi brevistili. Certi esemplari di c., detti biferi, presentano solo due tipi di siconi, altri, detti uniferi, una sola.
È detta caprificazione l’impollinazione dei fiori, operata esclusivamente dalla blastofaga (Blastophaga psenes) della famiglia Agaonidi: la femmina fecondata trasporta il polline dal siconio in cui si è sviluppata in un altro siconio, e si reca a deporre le uova negli ovari dei fiori femminili alle cui spese si sviluppano le larve. È chiamata caprificazione anche la pratica di favorire la suddetta impollinazione in alcune varietà di fico domestico appendendo su esemplari di questo una filza di fioroni tolti da un c. (o innestando un ramo di c. sul fico domestico).