Cellula
Il termine, derivante dal latino cellula, diminutivo di cella, "cameretta, piccola stanza", indica in biologia l'unità morfologica e fisiologica di base di tutti gli organismi viventi, i quali sono composti di una o più cellule e di sostanze da queste elaborate (v. vol. 1°, II, cap. 2: Cellule e tessuti). Ogni cellula è in grado di assorbire il nutrimento e di trasformarlo nell'energia necessaria al proprio metabolismo, e può riprodurre sé stessa dando origine a generazioni successive. Alcune cellule rappresentano un organismo completo, come nei procarioti o nella maggior parte dei protisti, mentre altre possono acquisire funzioni specializzate e cooperare tra loro nella formazione di organismi pluricellulari complessi, quali animali, piante e funghi. In questo caso, la cellula non solo è in grado di controllare le numerose reazioni chimiche necessarie alla propria vita e alla riproduzione, ma è anche in comunicazione costante con l'ambiente che la circonda. L'assemblaggio cooperativo di tali cellule porta alla formazione dei tessuti, e, a sua volta, la cooperazione tra tessuti dà origine agli organi, unità funzionali degli organismi pluricellulari. A partire dalle prime indagini morfologiche, risalenti alla prima metà del 17° secolo e che portarono, nel 1859, alla formulazione della cosiddetta teoria cellulare, il rapido progredire delle scienze biologiche negli ultimi cinquant' anni del 20° secolo ha reso possibile un'ampia comprensione tanto della struttura quanto della fisiologia cellulari, con conseguente chiarimento di molti dei processi molecolari che determinano le caratteristiche degli esseri viventi.
La storia della scoperta della cellula e del suo riconoscimento come unità biologica fondamentale è legata al progredire delle tecniche di indagine morfologica, ovvero all'invenzione e al perfezionamento della microscopia. Già nel passato, Aristotele e Paracelso erano giunti alla conclusione che gli organismi animali e vegetali complessi fossero formati da elementi fondamentali identici. Ciò nonostante, dal momento che le possibilità di indagine morfologica erano allora limitate all'osservazione a occhio nudo, tali elementi di base erano identificati in strutture macroscopiche, quali le radici, le foglie e i fiori del mondo vegetale, o negli organi che si ritrovavano abitualmente nel regno animale.
Solo nel 17° secolo, con il perfezionamento delle lenti di ingrandimento e la loro utilizzazione nei microscopi composti, si scoprì che alcuni organismi potevano essere formati da una singola unità molto piccola, la quale si rivelò anche l'elemento fondamentale dei tessuti e dagli organi che costituiscono i diversi organismi pluricellulari. Il cammino verso la teoria cellulare ebbe inizio con lo scienziato e architetto inglese R. Hooke, che utilizzò il microscopio composto, formato da due o più lenti montate in un tubo, per analizzare sezioni sottili di sughero. Lo scopo di Hooke era quello di scoprire la ragione dell'elasticità del sughero, che egli identificò nella presenza di "pori, o cellule, non molto profonde, ma formate da moltissimi compartimenti". Tuttavia, pur avendo osservato che le cellule di altri tessuti vegetali erano 'piene di succhi', egli non comprese mai che quei succhi erano vivi e dotati di struttura. Il primo a osservare alcuni tipi di organismi unicellulari fu invece un contemporaneo di Hooke, l'olandese A. van Leeuwenhoek che, tornando al microscopio semplice, formato da un'unica lente di ingrandimento, scoprì e descrisse specie diverse di Protozoi, alghe e batteri, nonché gli spermatozoi, le cellule germinali maschili. Egli però analizzò questi elementi esclusivamente in quanto esseri microscopici, senza comprenderne il carattere unicellulare e senza metterli in correlazione con le scoperte di Hooke. Il riconoscimento del fatto che gli organismi sono formati da cellule e che proprio queste sono le entità viventi fondamentali arriverà solamente quasi due secoli più tardi, grazie al perfezionamento del microscopio composto, per il quale si erano ottenute ottime capacità di ingrandimento, prive di quelle aberrazioni cromatiche che avevano reso relativo il potere di risoluzione dei microscopi precedenti.
Nel 1839, due biologi tedeschi, T. Schwann e M.J. Schleiden, sulla base di studi comparativi effettuati sugli animali e sulle piante, enunciarono che "le cellule sono le particelle elementari di tutti gli organismi", e che "alcuni organismi sono unicellulari, mentre altri sono pluricellulari". La fortuna di Schwann e Schleiden, in realtà, è stata quella di essere stati così motivati nelle loro ricerche da pubblicizzare al massimo queste conclusioni, oggi note come teoria cellulare, il merito della cui formulazione è comunque da attribuirsi a un gran numero di scienziati, le cui ricerche coprirono un arco di mezzo secolo, dal 1809 al 1859. Già nel 1809, infatti, J.-B. de Lamarck e C.-F. de Mirbel avevano osservato, rispettivamente, che solo i tessuti cellulari sono caratterizzati dallo stato vivente e che le piante sono formate da cellule disposte in maniera contigua. In seguito, nel 1824, il botanico H.-J. Dutrochet dichiarò che tutti i tessuti organici degli animali sono formati da cellule eccezionalmente piccole e di forma globulare, mentre un altro botanico, P.-J.-F. Turpin, enunciò, nel 1826, che il tessuto cellulare risultava composto da vescicole che potevano essere considerate altrettanti individui autonomi, provvisti di centri vitali e riproduttivi. Nel 1833, R. Brown identificò poi il nucleo come componente costante delle cellule vegetali, e a ciò fece seguito l'osservazione di tale struttura anche nelle cellule animali e il riconoscimento del protoplasma, il contenuto cellulare, come sostanza vivente. Infine, nel 1855, lo studioso R. Virchow introdusse la corretta visione riguardo al meccanismo di riproduzione cellulare (omnis cellula e cellula, "ogni cellula deriva da un'altra cellula"), aprendo la strada alla completa accettazione della toria cellulare da parte del mondo scientifico. Da allora, molte sono state le verifiche sulla correttezza di questa teoria, prima fra tutte l'introduzione delle tecniche di coltura cellulare che permettono il metabolismo e la riproduzione delle cellule in maniera autonoma rispetto all'organismo dal quale sono state isolate.
Attualmente, la teoria cellulare si riassume con l'enunciazione di tre principi fondamentali:
a) tutti gli organismi sono formati da una o più cellule in cui vengono portati avanti i processi relativi al metabolismo e all'ereditarietà;
b) le cellule rappresentano gli organismi viventi più piccoli e l'unità fondamentale di tutti gli organismi;
c) le cellule derivano esclusivamente dalla divisione di altre cellule.
Sebbene sia stata l'indagine microscopica a determinare storicamente le basi per la teoria cellulare, la formulazione moderna di tale teoria deriva dalla confluenza della citologia (la scienza che studia la cellula, dal greco κύτος, "cavità") con altre branche della biologia, come la microbiologia, la botanica, la zoologia, la biochimica, la fisiologia e la genetica. In altri termini, se da una parte la scoperta della cellula ha rappresentato il raccordo tra discipline differenti, l'analisi dei fenomeni biologici attraverso approcci sperimentali diversi ha portato, nello stesso tempo, a un enorme progresso nella conoscenza della cellula stessa. Per es., i primi dati riguardanti il metabolismo cellulare, ovvero la capacità della cellula di trasformare materiale nutritivo in sostanza cellulare ed energia utilizzabile, provengono dagli studi effettuati da L. Pasteur sui microrganismi, i quali hanno il grosso vantaggio di crescere facilmente e rapidamente in coltura. Ancora, sebbene le leggi di Mendel sull'ereditarietà fossero state enunciate nel 1866, esse rimasero praticamente sconosciute sino al 1901, quando la citologia divenne sufficientemente evoluta da permettere ai botanici C.E. Corrents, E. Tschermack e H. De Vries di capire e diffondere i concetti relativi alla distribuzione delle unità ereditarie.
Dopo la scoperta dell'acido deossiribonucleico (DNA; v. acidi nucleici) come materiale genetico, nel 1950, e la descrizione della sua struttura a opera di J.D. Watson e F.H.G. Crick, nel 1953, la biochimica e la genetica hanno dato poi un enorme impulso alla giovanissima scienza della biologia molecolare la quale, quasi un secolo dopo la scoperta di Schwann e Schleiden, non rappresenta altro che una continua verifica della teoria cellulare. Grazie a essa si è infatti dimostrato che principi fondamentali come il codice genetico, ovvero la chiave di lettura del messaggio genetico sul DNA, e la sintesi delle proteine non solo sono simili in tutti i sistemi viventi, ma vengono anche messi in pratica tramite gli stessi componenti cellulari.
Come è stato sottolineato nel paragrafo precedente, l'analisi morfologica ha sempre avuto un ruolo fondamentale nello studio della cellula, ed è stata via via resa più approfondita dalla sempre crescente potenzialità investigativa degli apparecchi microscopici. Bisogna infatti ricordare che i limiti dell'analisi tra i differenti livelli di organizzazione sono imposti dal potere di risoluzione degli strumenti utilizzati, ovvero dalla distanza minima alla quale due punti vengono risolti come distinti. L'occhio umano ha un potere di risoluzione di circa 0,1 mm (100 μm) e non può analizzare la maggior parte dei tipi cellulari che sono invece facilmente osservabili tramite il microscopio ottico, che permette un ingrandimento circa 500 volte superiore, con un potere di risoluzione di circa 0,2 μm.
Oggi, l'impiego del microscopio elettronico e della diffrazione a raggi X permette l'osservazione anche dei componenti cellulari che hanno dimensioni comprese tra 0,4 e 200 nm (1nm=10-6 mm), fino ad arrivare all'analisi particolareggiata della configurazione molecolare di proteine e acidi nucleici.
Sebbene le cellule degli organismi unicellulari e quelle degli organismi pluricellulari appaiano morfologicamente differenti, esse possono essere tutte ricondotte a uno stesso schema generale: ogni cellula è delimitata da un involucro, la membrana plasmatica, che la separa dall'ambiente esterno regolando gli scambi che avvengono con quest'ultimo. All'interno è invece contenuto il protoplasma, ovvero l'insieme dei componenti cellulari, nel quale si identificano una regione nucleare contenente il materiale genetico, che dirige le attività cellulari, e un citoplasma, che occupa il volume tra regione nucleare e membrana plasmatica, in cui le funzioni cellulari hanno luogo. Le differenze nel grado di organizzazione interna permettono poi di distinguere due tipi cellulari: la cellula procariotica e la cellula eucariotica. Nella cellula procariotica (dal greco πρό, "prima", e κάριον, "nucleo"), il tipo cellulare più semplice, non esistono compartimenti interni delimitati da membrana, e quindi anche la regione nucleare non rappresenta altro che una zona del citoplasma in cui si trova localizzato il materiale genetico. Nella cellula eucariotica (εὖ, "bene", κάριον, "nucleo"), estremamente più complessa della prima, molte delle funzioni specifiche sono invece associate a organelli interni delimitati da membrana, e il protoplasma è da considerarsi come un insieme di sistemi membranosi. In questo tipo di cellula, il materiale genetico si trova nel nucleo ed è separato tramite la membrana nucleare dal citoplasma. Quest'ultimo contiene numerosi organuli delimitati anch'essi da membrana, quali mitocondri, cloroplasti (negli organismi fotosintetici), lisosomi ecc., oltre a sistemi di membrane come il reticolo endoplasmatico e l'apparato di Golgi, che contribuiscono a un'ulteriore compartimentalizzazione dello spazio citoplasmatico. Nella porzione non strutturata del citoplasma, infine, si trova un complesso insieme di filamenti, il citoscheletro, responsabile dell'organizzazione e del mantenimento della struttura interna, nonché della motilità cellulare. In base a questa ripartizione, si può operare una prima classificazione di tutti gli esseri viventi: micoplasmi, batteri e cianobatteri (o alghe verdi-azzurre), appartenenti al regno Monera, sono organismi formati da una singola cellula procariotica. Tutti gli altri, appartenenti ai diversi regni dei Protisti, Piante, Animali e Funghi, sono formati invece da una o più cellule eucariotiche. Le dimensioni cellulari medie variano da 0,5 a 5 μm per le cellule procariotiche, da 10 a 20 μm per quelle eucariotiche animali, e da 20 a 50 μm per le eucariotiche vegetali.
Esistono ovviamente diverse eccezioni, ma in generale la ridotta dimensione cellulare è una caratteristica che si è rigorosamente mantenuta nel corso dell'evoluzione. Le cause di tale fenomeno sono essenzialmente due: anzitutto, la cellula rappresenta un sistema a controllo centralizzato, dove il materiale genetico, in risposta a stimoli appropriati, regola tutte le attività tramite la sintesi di proteine che diffondono poi nel citoplasma. Il controllo sarà quindi più efficiente quanto minore sarà lo spazio da attraversare. La seconda causa riguarda la dipendenza della cellula dalla sua superficie per quanto riguarda gli scambi con l'esterno: bisogna ricordare infatti che in un corpo sferoidale, al crescere delle dimensioni, il volume, determinato dal cubo del raggio, cresce molto più rapidamente della superficie, che è data dal quadrato del raggio, e perciò una cellula eccessivamente grande avrebbe difficoltà a svolgere scambi con il mezzo circostante a causa della limitatezza della superficie in rapporto al volume. Ciò spiega anche perché, al crescere delle dimensioni dell'organismo, l'evoluzione ha favorito l'organizzazione pluricellulare rispetto a quella unicellulare. Negli organismi pluricellulari, infatti, la suddivisione del volume totale in piccole porzioni permette di avere una superficie collettiva molto maggiore di quella dell'organismo intero.
Per quanto riguarda la composizione chimica della cellula, questa è caratterizzata dai composti del carbonio il quale, grazie alla capacità di formare legami stabili con quattro atomi diversi, permette la costruzione di strutture molecolari complesse, come lunghe catene o anelli. Queste strutture contengono anche ossigeno, idrogeno e azoto e rappresentano gli elementi fondamentali per la costruzione delle macromolecole biologiche, ovvero le molecole caratteristiche della cellula, indispensabili per la sua struttura e funzione. Le macromolecole biologiche comprendono carboidrati, lipidi, proteine e acidi nucleici e sono costituite da lunghe sequenze (polimeri) di unità (monomeri) appartenenti principalmente a quattro gruppi di molecole organiche: glucidi, acidi grassi, aminoacidi e nucleotidi. Escludendo l'acqua, che rappresenta circa il 70% della massa totale, ogni cellula è composta principalmente da macromolecole, tra le quali le proteine rappresentano la classe predominante. Queste sono catene non ramificate di aminoacidi e, considerando che in natura esistono 20 aminoacidi differenti e che ogni proteina è costituita in media da circa 400 aminoacidi, è facile intuire che il numero delle possibili molecole proteiche diverse è elevatissimo. Le proteine rappresentano l'apparato chimico funzionale della cellula. Molte di esse sono enzimi, molecole che catalizzano le molteplici reazioni biochimiche intracellulari, mentre altre hanno funzioni strutturali interne o esterne. Anche gli anticorpi, alcuni componenti dei liquidi extracellulari e alcuni ormoni sono proteine (v. aminoacidi; enzima; proteine).
La maggior parte delle reazioni che la cellula compie per sintetizzare i propri componenti o per le proprie funzioni specifiche sono di tipo endoergonico, ovvero assumono energia dall'esterno. In altri termini, le reazioni cellulari richiedono in genere più energia di quella che può essere fornita dalle molecole di partenza. Per superare tale barriera termodinamica, la cellula utilizza la strategia di accoppiare reazioni endoergoniche a reazioni esoergoniche, che liberano energia. La più importante di queste reazioni è rappresentata dall'idrolisi dell'adenosintrifosfato (ATP), una molecola contenente tre gruppi fosforici. L'ATP viene prodotto in tutte le cellule utilizzando l'energia liberata dalla degradazione di zuccheri come il glucosio. Mentre alcuni tipi di cellule, dette autotrofe, sono in grado di sintetizzare autonomamente il glucosio attraverso la fotosintesi a partire da anidride carbonica (CO₂) ed energia luminosa, gli organismi eterotrofi devono al contrario assumere energia con gli alimenti. In tutte le cellule, comunque, la formazione di ATP ha inizio con un processo chiamato glicolisi, nel quale una molecola di glucosio viene scissa in due molecole organiche più piccole con produzione netta di due molecole di ATP. In alcuni organismi questo processo rappresenta non solo la prima, ma anche l'unica via di formazione di ATP, e poiché in questa fase non c'è necessità di ossigeno, tali organismi vengono detti anaerobi. La maggior parte degli esseri viventi è però costituita da cellule in grado di proseguire la degradazione del glucosio attraverso la respirazione sino alla sua completa ossidazione ad anidride carbonica, con un guadagno netto di un numero molto maggiore di molecole di ATP. L'insieme di reazioni chimiche che permettono tale processo richiede la presenza di ossigeno molecolare e gli organismi che lo compiono, poiché possono vivere solo in presenza di ossigeno, vengono definiti aerobi. Salvo poche eccezioni, tutte le piante, gli animali e la maggior parte dei funghi sono organismi aerobi, mentre tra i Monera e i Protisti esistono esempi di organismi sia anaerobi sia aerobi (v. metabolismo; respirazione).
Dal punto di vista biochimico, la cellula si potrebbe definire come un insieme di molecole racchiuso all'interno della membrana e capace di accrescere e riprodurre sé stesso utilizzando le molecole che lo circondano. Tale capacità, che si identifica con il concetto di 'vivente', non deriva esclusivamente dal tipo di molecole presenti, ma dal modo in cui esse sono organizzate a formare le strutture e i componenti funzionali della cellula. Questo tipo di organizzazione può essere considerato, utilizzando un termine preso dalla scienza dell'informatica, come il 'programma' della vita, inscritto nel materiale genetico della cellula, ovvero nelle molecole di acido deossiribonucleico (DNA). La capacità riproduttiva è resa possibile dalla particolare struttura del DNA, costituito da due filamenti ciascuno dei quali corre appaiato e in senso antiparallelo rispetto all'altro, a formare la struttura a doppia elica proposta da Watson e Crick nel 1953. Il modello, più volte verificato sperimentalmente, indica che la stabilità della molecola di DNA deriva dal principio di complementarità tra le due catene antiparallele, principio che si trova anche alla base del processo di autoduplicazione del materiale genetico, così che ogni molecola di DNA può formare due nuove molecole identiche tra loro. Prima di ogni divisione, ogni cellula duplica il proprio DNA formando due patrimoni genetici identici, che saranno poi equamente distribuiti nelle due nuove cellule. In questo modo, il programma della vita è trasmesso alle generazioni cellulari successive, che non si originano infatti da assemblaggio ex novo di tutti i componenti, ma dalla divisione di cellule preesistenti.
Tutte le cellule sono circondate dalla membrana plasmatica, che rappresenta un sistema estremamente fluido, costituito da un doppio strato lipidico a cui si associano proteine differenti. Tale struttura, di uno spessore di circa 9 nm, permette di controllare la permeabilità della cellula all'acqua e alle sostanze in essa disciolte, la risposta cellulare agli stimoli ambientali e le interazioni tra cellule negli organismi pluricellulari. Lo strato lipidico che forma l'impalcatura della membrana è costituito da fosfolipidi, molecole che contengono una porzione polare e una porzione non polare, e da colesterolo, presente nella membrana di tutte le cellule eucariotiche e in quella dei micoplasmi. I fosfolipidi sono orientati in modo da formare un doppio strato, con le regioni polari rivolte verso la fase acquosa e le parti non polari rivolte verso l'interno, affacciate le une alle altre e stabilizzate da legami deboli. La componente non polare è determinante per la permeabilità della membrana, che può essere attraversata solo da molecole solubili in solventi organici o dall'acqua, mentre risulta completamente impermeabile agli ioni o alle molecole polari più grandi dell'acqua, come per es. gli zuccheri. La libera diffusione delle molecole d'acqua attraverso la membrana plasmatica implica la formazione di una pressione osmotica, fenomeno caratteristico di tutte le membrane semipermeabili, che deve essere rigorosamente mantenuta entro certi limiti fisiologici, onde evitare la distruzione dell'integrità della membrana stessa. La componente lipidica rappresenta di fatto un supporto flessibile che impone limiti alla permeabilità e nel quale si trovano inseriti i componenti proteici della membrana stessa: le proteine intrinseche, che grazie alla presenza di segmenti idrofobici costituiti da aminoacidi non polari attraversano completamente il doppio strato fosfolipidico, e le proteine estrinseche, che sporgono da uno dei due lati della membrana unite ai lipidi o alle proteine intrinseche attraverso legami elettrostatici o covalenti. Le molecole fosfolipidiche e le proteine rivolte verso il versante non citoplasmatico della membrana possono essere legate covalentemente a residui oligosaccaridici o polisaccaridici, che formano quindi una rete di carboidrati sulla superficie cellulare. La quantità e il tipo di proteine presenti nella membrana plasmatica variano a seconda dei differenti tipi cellulari e sono strettamente correlati alla fisiologia cellulare. La componente proteica è infatti responsabile di tutte le attività specifiche a carico della membrana plasmatica, come il trasporto selettivo di molecole, il passaggio di materiale, la captazione di messaggi dall'ambiente extracellulare, l'espressione dell'identità cellulare e la formazione di connessioni fisiche tra cellule.Il citoplasma di tutte le cellule consiste in una matrice semifluida, chiamata citoplasma fondamentale o citosol, contenente composti utilizzati dalla cellula per la crescita e la riproduzione. Nel citoplasma delle cellule eucariotiche si trovano anche numerosi organelli specializzati nello svolgimento di funzioni specifiche (v. oltre) e una fitta rete di fibre proteiche costituenti il citoscheletro (fig. 5), che ha il compito di garantire la forma e il movimento cellulare, di ancorare i vari organelli in posizione fissa, di organizzare le molteplici reazioni enzimatiche che hanno luogo nel citosol e di orientare il flusso delle molecole presenti nel citoplasma. Il citosol rappresenta circa il 55% del volume totale della cellula e deve la sua consistenza gelatinosa all'alta concentrazione di macromolecole, di cui il 20% sono proteine. In esso sono infatti presenti migliaia di enzimi che intervengono nella catalisi delle reazioni della glicolisi e della gliconeogenesi, oltre che nella sintesi dei composti essenziali per la costruzione delle macromolecole biologiche, quali glucidi, acidi grassi, aminoacidi e nucleotidi. Vi si trovano inoltre i ribosomi, le molecole di tRNA e gli enzimi indispensabili per la sintesi delle proteine. Utilizzando tecniche avanzate di microscopia elettronica, si è potuto dimostrare che il citoplasma fondamentale possiede una fitta rete di fibre dello spessore di 3-5 nm, intrecciate tra loro fino a dare una trama tridimensionale (microtrabecole) la quale si estende tra i componenti del citoscheletro e avvolge tutti gli organelli citoplasmatici. Il reticolo microtrabecolare è presumibilmente formato da proteine ad alta affinità associate tramite legami non covalenti, cosicché solo le proteine disciolte nell'acqua degli spazi intertrabecolari sono libere di spostarsi nella trama del reticolo e si muovono secondo le leggi della diffusione. La struttura microtrabecolare riveste un ruolo determinante per l'attività citoplasmatica, in quanto permette di mantenere ben definiti rapporti spaziali tra i componenti molecolari del citoplasma e di orientarne i movimenti, facilitandone l'interazione. È probabile che anche i diversi enzimi coinvolti nello stesso processo metabolico o i componenti che partecipano alla sintesi delle proteine siano mantenuti spazialmente vicini proprio grazie alla trama microtrabecolare. Il citoscheletro è formato da tre tipi principali di filamenti, i microtubuli, i microfilamenti e i filamenti intermedi, che costituiscono un sistema dinamico in continua formazione e disgregazione. I microtubuli e i microfilamenti sono costituiti da sub-unità proteiche di forma globulare, mentre i filamenti intermedi sono formati da subunità proteiche fibrose e sono molto più stabili dei filamenti degli altri due tipi. I microtubuli, aventi un diametro di 25 nm e una lunghezza di parecchi μm, assomigliano a dei tubi cavi. Sono composti di dimeri di una proteina globulare chiamata tubulina, associati a formare una spirale con un lume centrale denso di elettroni. I microtubuli si formano spontaneamente per polimerizzazione dei dimeri di tubulina e il loro orientamento è determinato da strutture citoplasmatiche specializzate, quali centrioli e corpuscoli basali, strutturalmente simili ai centrioli, anche se nelle cellule vegetali, prive di centrioli, essi si formano da strutture apparentemente amorfe. Questi filamenti sono presenti come unità singole in tutto il citoplasma della cellula (microtubuli citoplasmatici), oppure si trovano associati in modo specifico nella formazione di strutture quali ciglia, flagelli e centrioli. I microtubuli citoplasmatici sono generalmente distribuiti a raggiera a partire da una zona perinucleare in cui si trova una coppia di centrioli, detto centrosoma. Le loro funzioni sono molteplici, tra cui quella meccanica, che consiste nel loro intervento nelle modificazioni morfogenetiche che avvengono durante il differenziamento e nel trasporto intracellulare di molecole.
Durante la divisione cellulare, i microtubuli citoplasmatici scompaiono, mentre i centrioli si dispongono ai lati opposti della cellula, duplicandosi, e organizzando i microtubuli del fuso mitotico (v. riproduzione). I microfilamenti costituiscono l'apparato contrattile delle cellule eucariotiche e raggiungono un grado elevato di organizzazione in alcuni tipi di cellule, come quelle muscolari. Costituiti dall'unione di molecole di actina, i microfilamenti hanno un diametro medio di circa 7 nm e si trovano spesso organizzati in fasci, grazie alla formazione di legami trasversali determinati da proteine differenti, quali la miosina. Il sistema actina-miosina è responsabile dei processi di contrazione cellulare relativi al movimento ameboide e ai flussi citoplasmatici. I microfilamenti interagiscono sia con i microtubuli sia con alcune proteine della membrana plasmatica, assicurando la contrazione di quest'ultima in processi specifici, quali la citochinesi (divisione della membrana durante la duplicazione cellulare), e anche la formazione di strutture specializzate di superficie. I filamenti intermedi hanno un diametro di circa 8-10 nm e sono formati da proteine fibrose molto resistenti avvolte l'una intorno all'altra. Il costituente proteico più frequentemente coinvolto nella loro struttura è la vimentina, ma si possono trovare anche altri tipi di molecole, quali la cheratina e la desmina. La funzione dei filamenti intermedi è quella di prevenire un eccessivo stiramento della cellula, perciò queste strutture sono abbondanti nelle cellule sottoposte a tensione meccanica, come quelle epiteliali, quelle della muscolatura liscia e anche gli assoni delle cellule nervose.
Gli organelli cellulari caratteristici delle cellule eucariotiche possono essere suddivisi, in base alla loro storia evolutiva e alla loro funzione, in tre tipi principali:
a) organelli derivanti dalla membrana, come reticolo endoplasmatico, apparato di Golgi, lisosomi, perossisomi, vacuoli e nucleo;
b) organelli originatisi dai batteri e coinvolti nella produzione di energia, come mitocondri e cloroplasti;
c) organelli coinvolti nell'espressione dell'informazione genetica, come cromosomi e ribosomi. La formazione di tali sistemi membranosi interni funzionalmente specializzati se, da una parte, garantisce l'autonomia di processi specifici, dall'altra, impone la necessità di un meccanismo selettivo per la distribuzione dei substrati, delle macromolecole e dei componenti strutturali a seconda delle competenze specifiche dei vari organelli. I substrati e gli enzimi coinvolti nel ciclo degli acidi tricarbossilici e nella fosforilazione ossidativa si troveranno, per es., nei mitocondri; gli enzimi degradativi necessari alla digestione intracellulare saranno confinati all'interno dei lisosomi; gli acidi grassi necessari per la biosintesi delle membrane dovranno raggiungere il reticolo endoplasmatico, e così via (v. oltre). Non sorprende quindi che negli eucarioti una quota considerevole dell'energia venga utilizzata per garantire l'organizzazione cellulare, cioè la differente localizzazione intracellulare delle varie molecole e macromolecole, in particolare delle proteine. Infatti, sebbene la sintesi di tutte le proteine cominci con l'unione di una molecola di RNA messaggero con i ribosomi contenuti nel citoplasma, la formazione completa della catena polipeptidica avviene in siti differenti, a seconda del destino definitivo della molecola. Le proteine destinate a rimanere nel citoplasma o a entrare nei mitocondri, cloroplasti e perossisomi vengono infatti sintetizzate completamente sui ribosomi citoplasmatici e poi trasportate nelle zone o agli organelli di competenza; le proteine di membrana, quelle che si trovano all'interno dei lisosomi e le proteine di secrezione possiedono invece una sequenza segnale nel terminale aminico, il primo a essere sintetizzato, che blocca l'attività del ribosoma sino a che esso non si lega in siti appropriati del reticolo endoplasmatico, così che solo in questo caso la formazione della catena polipeptidica potrà essere ultimata ed essa verrà trasportata alle differenti destinazioni. Il risultato di questo processo di assortimento è la corretta distribuzione delle proteine intracellulari tra i diversi organelli e la secrezione delle proteine a funzione extracellulare.
Il reticolo endoplasmatico è un sistema costituito da comparti funzionali delimitati da membrane, il cui spazio interno viene detto lume del reticolo o spazio cisternale. Esso rappresenta più del 50% delle membrane cellulari totali e può essere distinto in reticolo endoplasmatico rugoso, la cui superficie è ricca di ribosomi, e reticolo endoplasmatico liscio, pressoché privo di ribosomi. Il reticolo endoplasmatico liscio è costituito principalmente da un intreccio di tubuli membranosi che si anastomizzano tra loro, le cui membrane sono ricche di enzimi che catalizzano la sintesi di molti carboidrati e lipidi. Esso è predominante nelle cellule che sintetizzano ormoni steroidei, nelle cellule intestinali e negli epatociti e rappresenta in tutte le cellule il sito di condensazione dei fosfolipidi per la formazione del doppio strato delle membrane cellulari. Nelle cisterne del reticolo endoplasmatico rugoso vengono sintetizzate le proteine di membrana e dei lisosomi, così come quelle che devono essere secrete all'esterno della cellula, come gli ormoni proteici.L'apparato di Golgi consiste in un insieme di sistemi di membrane appiattiti, detti corpi di Golgi, localizzati in differenti siti citoplasmatici. Le cellule animali possiedono generalmente da 10 a 20 corpi di Golgi, mentre quelle vegetali ne possono contenere diverse centinaia. I corpi di Golgi funzionano da centri di raccolta, maturazione e distribuzione delle macromolecole sintetizzate nel reticolo endoplasmatico. Ogni corpo di Golgi mostra una faccia convessa, detta faccia di formazione o lato cis, in comunicazione con il reticolo endoplasmatico, e una faccia concava, detta faccia di maturazione o lato trans, da cui emergono vacuoli colmi di prodotto. La comunicazione tra il reticolo endoplasmatico e i corpi di Golgi, o tra le cisterne dello stesso, si basa sulla formazione di microvescicole che, tramite processi di gemmazione e fusione, garantiscono il passaggio dei prodotti da un sistema membranoso all'altro. Nell'apparato di Golgi viene completata la glicosilazione di lipidi e proteine, che si radunano verso il lato trans del complesso e si depositano poi all'interno delle vescicole di condensazione, alcune delle quali si fondono con la membrana plasmatica per accrescere o rigenerare la superficie cellulare, oppure per liberare all'esterno il proprio contenuto (vescicole di secrezione), mentre altre sono destinate a rimanere all'interno del citoplasma cellulare per dare origine ai lisosomi.I lisosomi sono vescicole che contengono enzimi capaci di scindere praticamente qualsiasi macromolecola biologica e rappresentano i principali siti di digestione intracellulare. Allo scopo di proteggere i componenti cellulari da una distruzione casuale, gli enzimi lisosomiali sono attivi solo a un pH acido, che viene mantenuto all'interno dell'organello tramite il trasferimento attivo di ioni H+ da parte della membrana. I lisosomi sono estremamente eterogenei rispetto alla forma e dimensione, probabilmente in relazione alla varietà delle loro funzioni.I perossisomi delle cellule animali e i gliossisomi delle cellule vegetali, analoghi per funzione, contengono enzimi quali le ossidasi e le catalasi che intervengono nella rimozione di elettroni e protoni liberatisi durante il metabolismo ossidativo. La neutralizzazione degli elettroni comporta la formazione di perossido di idrogeno (H₂O₂), il quale viene scisso in acqua e ossigeno. I gliossisomi dei vegetali contengono anche gli enzimi del ciclo gliossilico, cruciale per la trasformazione dei grassi in carboidrati. Questi organelli hanno dimensioni che variano da 0,5 a 1 μm e, a differenza dei lisosomi, si originano come vescicole membranose dal reticolo endoplasmatico liscio e accumulano selettivamente al loro interno gli enzimi che si trovano nel citoplasma.I vacuoli, presenti nelle cellule vegetali, possono occupare una porzione anche cospicua dell'intero volume cellulare (dal 5% al 90%). Sono circondati da una membrana chiamata tonoplasto e derivano dalla fusione progressiva di vescicole più piccole provenienti dall'apparato di Golgi. Essi possono contenere enzimi idrolitici, come i lisosomi, ma sono utilizzati anche per l'immagazzinamento di materiale di riserva e come mezzo per aumentare il volume cellulare o per controllarne il turgore.Il nucleo (dal latino nux, "nocciolo"), con un diametro medio di circa 6 μm, contiene quasi tutto il DNA presente nelle cellule eucariotiche e occupa circa il 10% dell'intero volume cellulare. Esso rappresenta il centro di controllo di tutta l'attività cellulare. I geni, infatti, tramite la sintesi di copie di RNA messaggero, trasferiscono l'informazione nel citoplasma determinando la sintesi delle proteine. Essi sono anche in grado di regolare la quantità e il tipo di RNA messaggero prodotto, così da avere una sintesi proteica differenziata nei vari tipi cellulari, e di sintetizzare, ed eventualmente trasportare nel citoplasma, tutte le altre classi di acido ribonucleico. Nel nucleo delle cellule eucariotiche il materiale genetico è presente sotto forma di molteplici molecole di DNA lineare organizzate in cromosomi, costituiti da complessi DNA-proteine che possono assumere strutture altamente condensate (v. acidi nucleici; cromosoma; proteine). Lo spazio nucleare, o nucleoplasma, è delimitato da due membrane concentriche: la membrana nucleare esterna, derivante dal reticolo endoplasmatico rugoso; e la membrana nucleare interna, contenente, tra le altre, proteine specifiche necessarie per la formazione della lamina nucleare, un sottile guscio di filamenti intermedi in grado di disgregarsi e assemblarsi rapidamente durante le divisione cellulare (v. riproduzione). La membrana nucleare esterna contiene numerosi ribosomi legati sul versante citoplasmatico e coinvolti nella sintesi di proteine che vengono immesse nello spazio perinucleare, in continuità con il lume del reticolo endoplasmatico rugoso. Oltre il DNA, il nucleo contiene numerose proteine necessarie per l'organizzazione del materiale genetico e per lo svolgimento delle funzioni nucleari (istoni, enzimi, fattori di regolazione ecc.). Queste proteine vengono sintetizzate nel citoplasma e solo successivamente sono trasferite nel nucleoplasma. Viceversa, alcune macromolecole, come gli RNA messaggeri e gli RNA di trasferimento, o complessi riboproteici, come le subunità ribosomiali (v. oltre), si formano nel nucleo ma hanno come destinazione finale il citoplasma. La membrana nucleare è quindi costellata di canali di comunicazione che permettono il passaggio di materiale ad alto peso molecolare. Questi canali, chiamati pori nucleari, rappresentano il punto di fusione tra le due membrane e contengono un'organizzazione proteica specifica.
Durante l'interfase, stadio di non divisione cellulare, nel nucleo è ben visibile il nucleolo, una regione del nucleoplasma intensamente colorata in cui ha luogo l'assemblaggio dei ribosomi. Questi organelli rappresentano il sito di interazione ordinata di tutte le molecole che partecipano alla sintesi proteica; si trovano localizzati nel citoplasma di tutte le cellule e all'interno degli organuli cellulari forniti di parziale autonomia genetica (mitocondri e cloroplasti). I ribosomi che si trovano nel citoplasma delle cellule eucariotiche sono più grandi di quelli delle cellule procariotiche o dei mitocondri e cloroplasti, ma tutti presentano la stessa organizzazione generale, così come identico è il loro ruolo nella formazione delle catene polipeptidiche. I ribosomi sono costituiti da forme particolari di RNA, gli RNA ribosomiali, legati a un complesso di proteine differenti. Con l'approssimarsi della divisione cellulare, la sintesi proteica, e quindi la richiesta di ribosomi, decresce rapidamente, con conseguente interruzione della trascrizione di RNA ribosomiale, poi l'assemblaggio dei ribosomi cessa e si osserva la scomparsa del nucleolo, che si riformerà al termine del processo di divisione cellulare (v. ciclo). Nei mitocondri e nei cloroplasti, infine, avvengono le principali trasformazioni energetiche delle cellule eucariotiche. Questi organelli, simili per morfologia, sfruttano entrambi il trasferimento di elettroni per il passaggio di energia da una forma a un'altra, sebbene, per certi aspetti, funzionino in direzione opposta: i cloroplasti, presenti nelle cellule fotosintetiche, trasformano attraverso la fotosintesi l'energia luminosa in energia chimica di legame tra atomi di carbonio, ovvero sintetizzano glucosio, mentre i mitocondri, tramite ossidazione, trasferiscono alle molecole di ATP l'energia contenuta nei legami tra gli atomi di carbonio, ovvero degradano completamente il glucosio nel processo della respirazione cellulare. Mitocondri e cloroplasti hanno in comune una struttura interna altamente complessa, una specifica compartimentalizzazione delle varie tappe energetiche e l'autonomia informazionale di alcune funzioni. I mitocondri, di dimensioni comprese tra 1 e 3 μm, possono avere forma sferoidale o allungata, e la loro morfologia varia in relazione al grado di funzionalità. Sono generalmente distribuiti in modo uniforme all'interno del citoplasma, ma possono anche concentrarsi nei siti in cui si realizza un alto consumo energetico. Il mitocondrio è delimitato da due membrane, una esterna e una interna, separate da uno spazio intermembrana detto camera esterna (fig. 13). La membrana esterna è simile per composizione a quella del reticolo endoplasmatico e contiene ampi canali costituiti da una proteina detta porina, che la rendono permeabile a tutte le molecole con peso inferiore a 10.000 dalton. La membrana interna, che risulta invece altamente selettiva, si solleva verso la cavità dell'organulo, dove si trova la matrice mitocondriale, formando le cosiddette creste mitocondriali. I diversi componenti strutturali del mitocondrio sono strettamente associati alle varie tappe della respirazione cellulare (v. metabolismo). La matrice mitocondriale contiene tutti gli enzimi coinvolti nella degradazione iniziale dell'acido piruvico e degli acidi grassi, nonché tutti gli enzimi del ciclo di Krebs, mentre la maggior parte delle proteine inserite nella membrana interna sono enzimi della catena respiratoria, enzimi necessari per la sintesi di ATP e proteine di trasporto specifiche che regolano il passaggio di metaboliti da e verso la matrice mitocondriale. La membrana interna rappresenta di fatto il sito dove avvengono le reazioni chiave della fosforilazione ossidativa, e la formazione delle creste mitocondriali permette l'aumento della superficie totale a disposizione. All'interno della matrice mitocondriale sono presenti anche una molecola circolare di DNA e i ribosomi necessari alla sintesi di alcuni enzimi mitocondriali. Inoltre, i mitocondri si riproducono con un meccanismo di scissione binaria analogo alla duplicazione batterica ed è per tutte queste loro caratteristiche che si pensa che essi derivino da forme batteriche entrate in simbiosi con le primitive cellule eucariotiche, anche se attualmente per la loro riproduzione sono indispensabili dei componenti codificati dal DNA nucleare e sintetizzati nel citoplasma cellulare (v. oltre).I cloroplasti sono più grandi dei mitocondri e, come questi, sono circondati da due membrane che sembrano avere la stessa origine delle membrane mitocondriali. La membrana interna del cloroplasto è però più complessa, in quanto le invaginazioni interne si fondono alle estremità dando origine a un terzo sistema membranoso distinto formato da compartimenti discoidali chiusi detti tilacoidi. I cloroplasti sono gli organuli cellulari specializzati nella fotosintesi, che è il processo in cui l'energia trasportata dalla luce solare viene catturata per essere trasformata in energia utile alla cellula. Questo processo viene generalmente suddiviso in due fasi principali: una fase alla luce, in cui l'energia radiante, tramite eccitazione di molecole di clorofilla, viene utilizzata per formare molecole di ATP e potere riducente (NADPH₂), e una fase al buio, in cui l'energia chimica e il potere riducente formati nella fase luminosa vengono utilizzati per la sintesi di glucosio tramite riduzione di anidride carbonica (CO₂). Tutti i componenti che intervengono nella fase luminosa della fotosintesi (pigmenti, proteine di trasporto, enzimi) sono localizzati sulle membrane tilacoidali, mentre gli enzimi necessari alla fase oscura si trovano nel compartimento interno del cloroplasto, detto stroma. Come i mitocondri, anche i cloroplasti contengono una molecola di DNA circolare, alcuni ribosomi e i componenti necessari alla sintesi di alcune delle proteine necessarie alla loro funzione e duplicazione. In carenza di luce, la produzione di clorofilla cessa, con conseguente riassorbimento delle membrane interne, e l'organello, denominato leucoplasto, viene utilizzato dalle cellule vegetali per l'immagazzinamento di materiale di riserva. Tutti gli organelli che derivano dai cloroplasti vengono compresi nel gruppo generale dei plastidi, e derivano dalla scissione di plastidi preesistenti.
Negli organismi animali pluricellulari, la maggior parte delle cellule sono organizzate in modo cooperativo all'interno dei tessuti, che a loro volta partecipano alla formazione di unità funzionali più grandi chiamate organi. Per la formazione e il mantenimento di queste unità è necessario che cellule dello stesso tipo si riconoscano, si associno in maniera stabile formando connessioni specifiche e interagiscano a livello funzionale tra loro e con cellule differenti appartenenti allo stesso organo o a organi diversi. Sebbene i meccanismi alla base del riconoscimento cellulare non siano stati ancora completamente chiariti, è stato possibile stabilire che le cellule dei vertebrati possiedono una specificità tissutale determinata da glicoproteine intrinseche presenti sulla membrana cellulare. Queste proteine vengono chiamate proteine CAM (dall'inglese Cell adhesion molecules, "molecole di adesione cellulare") e garantiscono il riconoscimento cellulare tramite l'interazione delle porzioni glucidiche presenti sulla superficie cellulare. All'interno dei tessuti, le cellule possono interagire direttamente con altre cellule in punti di contatto specifici, detti giunzioni intercellulari, o possono essere immerse in una complessa struttura macromolecolare secreta dalle cellule stesse e chiamata matrice extracellulare. Per semplicità, è utile distinguere due classi principali di tessuti, il tessuto epiteliale e il tessuto connettivo, in cui il ruolo ricoperto dalle giunzioni intercellulari e dalla matrice extracellulare è radicalmente differente. Negli epiteli che rivestono la superficie e le cavità interne degli organismi regolando il movimento di acqua, soluti e cellule da una regione all'altra, la matrice extracellulare è decisamente scarsa e le cellule sono strettamente legate le une alle altre a formare degli strati compatti, mentre il citoscheletro all'interno del citoplasma è estremamente sviluppato e garantisce la formazione di strutture intercellulari altamente specializzate. Nei tessuti connettivi, invece, le cellule sono completamente circondate dalla matrice extracellulare, ricca in polimeri fibrosi, ed è la matrice, più che le cellule, a sopportare la tensione meccanica cui è sottoposto il tessuto e a determinarne molte delle caratteristiche specifiche. La specificità delle matrici extracellulari nei vari tessuti è determinata dalle differenze nel tipo e nell'organizzazione delle macromolecole che le compongono. La matrice, che può calcificare dando origine alle strutture ossee o ai denti o può trasformarsi nella sostanza trasparente della cornea o in quella dei tendini ecc., si compone di due elementi principali: la sostanza fondamentale e la componente fibrosa. La sostanza fondamentale rappresenta la parte amorfa della matrice ed è ricca in glicani, presenti come unità singole (glicosaminoglicani) o in associazione con proteine fibrose (protidoglicani), a cui possono unirsi altri componenti della sostanza fondamentale, come l'acido ialuronico. I glicani hanno la caratteristica di legare un numero altissimo di molecole d'acqua e sono responsabili dell'aspetto gelatinoso della sostanza fondamentale. La componente fibrosa della matrice contiene proteine con due funzioni principali, adesiva e strutturale. Le proteine adesive, tra cui la fibronectina, garantiscono l'ancoraggio della membrana cellulare ai componenti della matrice. Queste proteine hanno la caratteristica di possedere siti di riconoscimento multipli sulla loro molecola e possono quindi interagire sia con la membrana cellulare sia con i vari componenti extracellulari. Un esempio particolare di proteina adesiva è la laminina, presente nella lamina basale che si forma nel punto di contatto tra tessuto connettivo e tessuto epiteliale. Le proteine strutturali, che sono le componenti predominanti della matrice, sono rappresentate da collagene ed elastina. Sono noti almeno dieci differenti tipi di collagene, tra cui il più comune, il collagene di tipo I, è la proteina in assoluto più abbondante nei Vertebrati. Si conosce invece un solo tipo di molecola di elastina, una catena polipeptidica idrofobica in grado di formare reticoli proteici diversi a seconda del numero di legami che intercorrono tra le varie molecole. I collageni e l'elastina sono dotati di proprietà strutturali differenti: mentre i primi sono caratterizzati dalla resistenza alla trazione, l'elastina è invece dotata di un alto grado di elasticità. Proporzioni diverse di queste proteine nelle matrici extracellulari determinano le proprietà meccaniche dei vari tessuti.Una struttura che può essere considerata una forma specializzata di matrice extracellulare è infine la parete cellulare, che negli eucarioti, a esclusione delle cellule animali e di alcuni protisti, ricopre la membrana plasmatica. Nelle cellule vegetali, in particolare, dalla parete cellulare dipendono molte delle funzioni indispensabili per la vita delle piante. Essa garantisce infatti alla cellula una protezione meccanica e un controllo chimico dell'ambiente circostante; rappresenta un mezzo poroso per la circolazione e la distribuzione di acqua, minerali e molecole nutritizie; controlla lo sviluppo dei tessuti vegetali e l'ingresso di organismi patogeni; permette infine la realizzazione di strutture rigide, quali le foglie. La parete cellulare degli organismi vegetali consiste di una parete primaria e una lamella mediana, la quale è utilizzata per cementare insieme le pareti primarie di due cellule adiacenti. Molte cellule producono anche una parete secondaria, la quale, dotata di caratteristiche differenti dalla parete primaria, ha però in comune con essa la composizione generale. La parete cellulare è costituita da fibre di cellulosa, un polisaccaride formato da migliaia di molecole di glucosio, immerse in una matrice ricca di polisaccaridi (pectina e emicellulosa) e glicoproteine. Tra le pareti di cellule adiacenti esistono molteplici ponti citoplasmatici, detti plasmodesmi, i quali, analogamente alle giunzioni comunicanti delle cellule animali, permettono il passaggio diretto di molecole da una cellula vegetale all'altra. Per molte cellule animali l'ambiente esterno è rappresentato da altre cellule e le connessioni che si formeranno tra esse saranno determinanti per le caratteristiche del tessuto e dell'organo. Le principali connessioni tra cellule animali sono i desmosomi, le giunzioni serrate e le giunzioni comunicanti o giunzioni gap (intervallo). I desmosomi, o emidesmosomi in caso di giunzione di una cellula con la sottostante matrice extracellulare, sono presenti in tessuti sottoposti a notevoli stress meccanici, quali gli epiteli superficiali o il muscolo cardiaco, e consistono in forti connessioni consolidate da fibre proteiche. Sul versante citoplasmatico, le membrane delle due cellule affacciate mostrano una spessa placca circolare formata da proteine dette desmoplachine, da cui sporgono internamente fibre di cheratina ed esternamente glicoproteine formanti una matrice proteica tra le due membrane. Le fibre di cheratina si associano con i filamenti intermedi del citoplasma cellulare, dando origine a una trama fibrosa continua che lega saldamente insieme tutte le cellule. Per quanto riguarda le giunzioni serrate, esse determinano uno stretto contatto tra membrane di cellule adiacenti tramite la formazione di microfilamenti proteici interposti nello spazio intercellulare. In questi punti le membrane decorrono rigide formando una barriera impermeabile per la maggior parte delle sostanze presenti nel liquido extracellulare. Le giunzioni comunicanti o giunzioni gap, infine, derivano dalla sovrapposizione precisa di complessi proteici transmembrana di due cellule, con formazione di un canale polare di 2-4 nm di diametro. Attraverso questi canali possono passare molecole piccole, quali ioni inorganici, zuccheri e aminoacidi. Giunzioni di questo tipo, di importanza basilare per la diffusione di mediatori chimici durante l'embriogenesi, sono presenti praticamente in tutte le cellule animali. Oltre che dalla matrice e dalle interazioni cellulari, le caratteristiche morfologiche e funzionali delle cellule negli organismi pluricellulari sono coordinate dal passaggio di segnali chimici o elettrici tra cellule. I segnali chimici possono agire all'interno della cellula in cui sono stati prodotti (sistema autocrino), oppure sulle cellule circostanti (sistema paracrino), o ancora in siti distanti, trasportati dal sistema circolatorio (sistema endocrino). Nel meccanismo autocrino e paracrino, il mediatore chimico agisce nelle immediate vicinanze della cellula che lo ha prodotto, generalmente ad alte concentrazioni. Esempi di mediatori autocrini sono alcuni fattori di crescita (v. oltre) e molecole della matrice extracellulare, mentre l'induzione della contrazione muscolare da parte di una cellula nervosa è un esempio di mediatore paracrino. Il meccanismo endocrino si basa invece sulla presenza nel circolo sanguigno di concentrazioni relativamente basse di mediatori, come gli ormoni prodotti da varie ghiandole. La capacità delle cellule di reagire a un determinato mediatore dipende dalla presenza di recettori specifici sulla membrana cellulare o nel citoplasma. Mentre le molecole idrofobiche, come, per es., gli ormoni steroidei, interagiscono direttamente con i recettori citoplasmatici, i segnali intercellulari mediati da molecole che non possono diffondere attraverso la membrana plasmatica, come i mediatori proteici, vengono trasmessi all'interno della cellula mediante un recettore di membrana associato a un sistema di trasduzione che libera dei messaggeri interni, detti secondi messaggeri. Tra questi i più noti sono l'adenosin-monofosfato ciclico (cAMP), il guanosin-monofosfato ciclico (cGMP) e gli ioni calcio (Ca++). Sembra che l'effetto diretto o indiretto dei secondi messaggeri sia quello di attivare una specifica classe di enzimi (protein-chinasi cAMP dipendenti) che a loro volta possono indurre fosforilazione e attivazione di proteine diverse.
In tutti gli organismi, le cellule si riproducono duplicando il proprio contenuto genetico e poi dividendosi. Negli organismi unicellulari la divisione cellulare coincide con la riproduzione dell'organismo, mentre negli organismi pluricellulari il processo è indispensabile per la crescita e il mantenimento dei tessuti. Così, nei primi la velocità di riproduzione cellulare è limitata dalla velocità di conversione del nutrimento in metaboliti cellulari e nei secondi, dove ciò che è importante è la sopravvivenza dell'intero organismo, la velocità di proliferazione dipende dalla necessità di mantenere una distribuzione bilanciata dei vari tipi cellulari. Gli organismi pluricellulari possono contenere cellule immature in continua proliferazione verso lo stadio differenziativo (v. oltre), cellule differenziate che non si dividono più, e cellule differenziate che non hanno perso la capacità moltiplicativa ma che si dividono solo in seguito a stimoli specifici. In questi organismi infatti la divisione e la crescita cellulare sono sottoposte a preciso controllo genico, e sebbene tale controllo possa essere differentemente modulato, i meccanismi generali di regolazione sono simili in tutti gli organismi. Nelle cellule procariotiche la divisione cellulare avviene tramite scissione binaria, un processo abbastanza semplice da cui si originano due cellule identiche tra loro e alla cellula di partenza (v. batterio). In condizioni ottimali, tale processo si verifica circa ogni 20 minuti, che è in pratica il tempo necessario alla cellula per duplicare il proprio DNA. I batteri vivono per dividersi e la velocità di crescita rallenta, fino a bloccarsi, solo in condizioni ambientali restrittive.Negli organismi pluricellulari, la duplicazione del DNA e la divisione occupano invece solo una parte del ciclo riproduttivo cellulare, che nel suo insieme viene definito come ciclo cellulare e che consiste in varie fasi distinte (v. ciclo; riproduzione). La fase S di sintesi del materiale genetico avviene con meccanismo simile in tutte le cellule eucariotiche, e consiste nella duplicazione semiconservativa dei cromosomi, conseguenza diretta del meccanismo di duplicazione del DNA (v. acidi nucleici). La fase M, ovvero il momento in cui avviene la ripartizione del materiale genetico e la divisione della cellula (citochinesi), può avvenire secondo due meccanismi distinti, mitosi o meiosi, con risultati completamente differenti rispetto al contenuto genetico delle nuove cellule. La mitosi è un processo di divisione tramite il quale la cellula duplica esattamente sé stessa dando origine a due nuove cellule, identiche tra loro e alla cellula da cui si sono originate. Le cellule che costituiscono il nostro organismo derivano tutte da divisioni mitotiche in cui, a partire dalla cellula uovo fecondata, il materiale genetico duplicato è stato ripartito sempre in parti uguali tra le due cellule figlie. La meiosi invece è un meccanismo di riproduzione cellulare con il quale il materiale genetico duplicato viene ripartito, tramite due divisioni successive, la seconda delle quali non preceduta da sintesi di DNA, in quattro cellule; le cellule che si ottengono contengono un patrimonio genetico aploide, cioè hanno un numero di cromosomi pari alla metà rispetto a quello della cellula madre (diploide), e risultano diverse sia da questa che tra di loro, in quanto ricevono assortimenti cromosomici differenti. La meiosi è un processo specifico utilizzato per la formazione dei gameti, e avviene nelle cellule della linea germinale degli organismi a riproduzione sessuale. I due processi, che differiscono per la modalità di ripartizione del materiale genetico, si attuano sostanzialmente grazie all'intervento degli stessi componenti strutturali, primo tra tutti il citoscheletro, il quale, grazie alla formazione del fuso mitotico, garantisce la segregazione corretta dei cromosomi duplicati.
Le cellule che costituiscono gli organismi pluricellulari sono per lo più differenziate nello svolgimento di funzioni specializzate. Nel corpo umano, per es., esistono circa 200 tipi di cellule differenti. Alcune di esse hanno sviluppato strutture citoplasmatiche necessarie allo svolgimento di compiti particolari: nelle cellule muscolari si osserva la formazione di filamenti contrattili, nelle cellule nervose quella di assoni e dendriti, mentre gli spermatozoi sono caratterizzati da flagelli e alcune cellule epiteliali da ciglia. Altre, invece, sono deputate alla sintesi di sostanze chimiche specifiche, come enzimi digestivi, ormoni, collagene. A livello molecolare, la diversificazione riflette un'espressione genica differenziata tra cellule dello stesso organismo. La specializzazione della cellula implica infatti la sintesi preferenziale di alcune proteine e, dal momento che nei nuclei sono generalmente presenti tutti i geni di un determinato organismo, la comprensione del differenziamento cellulare implica il chiarimento del meccanismo di regolazione genica delle cellule eucariotiche. Una volta raggiunto, lo stadio differenziativo terminale è un fenomeno stabile che persiste per tutta la durata della vita cellulare o anche, in caso di cellule differenziate che non hanno perso la capacità proliferativa, attraverso le generazioni cellulari successive. Il processo differenziativo, inteso come passaggio da una forma cellulare indifferenziata a una forma specializzata, è un processo continuo che interviene con finalità differenti durante tutto il corso della vita di un organismo. Durante lo sviluppo embrionale, nel quale dalla singola cellula uovo fecondata (zigote) si ha la formazione di milioni di cellule diverse, il differenziamento procede attraverso stadi progressivi che restringono gradualmente la potenzialità cellulare (determinazione cellulare). In questo stadio della vita di un organismo sono stati identificati tre processi fondamentali, correlati con la determinazione cellulare: la localizzazione citoplasmatica durante i primissimi stadi di sviluppo embrionale, la modificazione cromosomica progressiva, fenomeno eccezionale nei Mammiferi, ma comune in alcune specie di Invertebrati, e l'induzione biochimica, attraverso la quale le sostanze secrete da un gruppo di cellule modificano lo sviluppo di altri gruppi cellulari. Nei Mammiferi adulti, accanto a cellule differenziate che hanno perso stabilmente o temporaneamente la capacità di riprodursi, vi sono cellule, dette cellule staminali, che si sono originate durante l'embriogenesi e persistono nell'adulto con il compito di rinnovare tessuti sottoposti a continua degenerazione. Esse possono essere pluripotenti, in grado di dare origine a più tipi cellulari diversi, come le cellule staminali emopoietiche, oppure unipotenti, che possono cioè dare origine a un solo tipo cellulare, come le cellule osteoprogenitrici. Le cellule staminali non vanno direttamente incontro al processo differenziativo, ma hanno il ruolo di cellule progenitrici in quanto formano, tramite divisioni mitotiche, cellule figlie capaci di differenziamento.
Nei primi decenni del 20° secolo si è andata rafforzando l'evidenza che tutti gli organismi viventi avessero in comune costituenti e processi biochimici; ciò ha favorito l'ipotesi che la vita sulla Terra si sia generata grazie alla progressiva organizzazione di molecole organiche formatesi abioticamente sul nostro pianeta. Gli scienziati russi A.I. Oparin e J.B.S. Haldane postularono che, nel periodo precedente la comparsa della vita sulla Terra, la presenza di un'atmosfera altamente riducente, costituita da idrogeno, metano, ammoniaca e acqua, potesse aver determinato, grazie all'energia delle radiazioni luminose, la formazione spontanea di molecole organiche e la loro successiva polimerizzazione in macromolecole stabili. In una pubblicazione del 1938 intitolata L'origine della vita, Oparin ipotizzò che la prima cellula si fosse formata da una massa di materiale organico prebiotico, denominato brodo organico primordiale.A partire dal 1953, numerosi esperimenti effettuati ricreando l'ambiente terrestre prebiotico hanno dimostrato la possibile sintesi abiotica di un'ampia varietà di piccole molecole organiche, compresi nucleotidi e aminoacidi, e la possibilità di reazioni di polimerizzazione con conseguente comparsa di polinucleotidi e polipeptidi. Centinaia di milioni di anni sono stati necessari affinché, dalla comparsa di macromolecole più o meno complesse, si sia potuti giungere, attraverso numerosi probabili fallimenti, alla formazione della prima cellula.
È quindi del tutto inverosimile pensare di poter mai assistere all'esperimento cruciale che verifichi inconfutabilmente la validità delle ipotesi sull'origine della vita. Ciononostante, l'approfondimento delle conoscenze sui meccanismi molecolari che regolano la fisiologia cellulare e l'analisi della loro evoluzione nei vari organismi permettono oggi di ricostruire la via ipotetica che, a partire da una prima molecola informazionale di tipo rudimentale, ha determinato la comparsa della prima cellula e, successivamente, di tutti i tipi cellulari che costituiscono gli organismi viventi.Nell'ambito dell'organizzazione cellulare, la presenza di catalizzatori chimici, la cui sintesi è regolata e trasmessa alle generazioni cellulari successive tramite molecole informazionali, rappresenta sicuramente la caratteristica distintiva tra viventi e non viventi. Si ritiene oggi che una situazione del genere debba essersi sviluppata nel cosiddetto brodo primordiale precedentemente alla comparsa della prima cellula, e che si sia affermata nell'ambito dei sistemi organici prebiotici grazie alla proprietà autoreplicativa. Le recenti scoperte nell'ambito della biologia molecolare indicano l'RNA (acido ribonucleico; v. acidi nucleici; codice genetico) come candidato ideale per questo ruolo: questa molecola può infatti possedere siti catalitici, come dimostrato dalla scoperta dei ribozimi, poliribonucleotidi forniti di attività nucleasica, e può dirigere la propria replicazione tramite la sintesi di un'elica complementare.
Il processo catalizzatore-molecola informazionale può quindi essere individuato in un sistema relativamente semplice, rappresentato da una singola molecola di RNA in grado di catalizzare la propria duplicazione che, non priva di errori, può aver determinato la comparsa di molecole varianti aventi in comune la proprietà catalitica. È anche ipotizzabile che molecole di RNA provviste di attività catalitica differenziata si siano associate a formare delle famiglie di catalizzatori in cui ogni membro partecipava al vantaggio autoreplicativo reciproco. Il passo successivo verso l'evoluzione della cellula deve aver poi implicato la comparsa di un sia pur primitivo apparato per la sintesi delle proteine le quali, non potendo in nessun modo dirigere la propria polimerizzazione, devono essersi affermate in età prebiotica solo successivamente alla comparsa di una famiglia di RNA catalitici estremamente specifica. Questi catalizzatori dovevano presumibilmente possedere attività confrontabili con quelle delle attuali molecole di RNA: molecole di RNA informazionali (simili all'mRNA) capaci anche di autoduplicarsi; molecole di RNA adattatori (sovrapponibili agli attuali tRNA) e molecole di RNA (simili agli rRNA) che facilitavano l'interazione tra molecole informazionali e adattatori. Il processo che ha portato alla formazione dei primi polimeri è ancora piuttosto ipotetico, anche perché è difficile capire come sia sorta una relazione ordinata tra i precursori degli RNA e i peptidi, ovvero una prima forma di codice genetico. Sebbene tra gli aminoacidi e le triplette di basi corrispondenti non vi sia affinità chimica, l'analisi del codice genetico ci permette di assumere ragionevolmente che esso sia sorto in modo graduale e che le prime interazioni RNA-aminoacidi dovevano basarsi su caratteristiche chimiche.
Poiché tutte le triplette che codificano per aminoacidi estremamente idrofobici contengono al loro centro la base azotata uracile, mentre tutte le triplette che codificano per aminoacidi estremamente idrofilici hanno come base centrale l'adenina, si può pensare che il codice genetico primordiale specificasse solo il carattere di idrofilicità o di idrofobicità. Inoltre, data la relativa scarsa importanza della terza base (vacillamento del codice), è probabile che l'apparato traduzionale primitivo riconoscesse solo le prime due basi di ogni tripletta. Si concorda poi sul fatto che, stabilito un dato codice, questo venisse mantenuto onde evitare cambiamenti con probabili effetti negativi. Una volta organizzato, il sistema di sintesi proteica ha determinato il rapido affermarsi delle proteine quali catalizzatori organici. La variabilità delle catene laterali degli aminoacidi permette infatti la formazione di una quantità estremamente eterogenea di siti catalitici, con conseguente aumento del numero di reazioni possibili. La comparsa della prima cellula può essere avvenuta nel momento in cui una piccolissima regione del brodo primordiale contenente una specifica famiglia di catalizzatori autoreplicanti sia stata separata dall'ambiente esterno tramite una membrana. È infatti noto che molecole anfipatiche, tipo i fosfolipidi, sono in grado di organizzarsi spontaneamente in soluzione acquosa per dare origine a un doppio strato, e ciò potrebbe aver determinato la nascita di unità individuali selezionate vantaggiosamente, grazie alle proprietà catalizzatrici e informazionali delle molecole in esse contenute. Si ritiene generalmente che l'efficienza dell'organizzazione cellulare debba sottintendere la presenza di un apparato di sintesi proteica, ma non ci sono motivazioni valide per escludere la comparsa di un sistema cellulare contenente solo catalizzatori a RNA. In ogni caso, si deve essere arrivati a un punto in cui la molecola di RNA ricopriva esclusivamente la funzione di materiale genetico, trasmesso di cellula in cellula per la corretta sintesi delle proteine. Questo modello ipotetico di cellula primordiale conteneva probabilmente molecole informazionali piccole in quanto, potendo utilizzare le molecole organiche presenti in abbondanza nel brodo primordiale, necessitava di un numero molto limitato di processi metabolici. Con l'aumentare della complessità cellulare, l'esigenza di un genoma più stabile può aver determinato la sostituzione delle sequenze di RNA in sequenze di DNA, che hanno quindi assunto il ruolo di molecole informazionali.Si ritiene che, una volta affermato, il sistema cellulare si sia evoluto grazie alla selezione esercitata dall'ambiente esterno sulle proprietà metaboliche che si andavano via via organizzando.
La prima cellula, comparsa più di 3,5 miliardi di anni fa, doveva possedere un'organizzazione interna molto semplice, priva di compartimentalizzazione, e traeva la propria energia dalla fermentazione anaerobica delle molecole organiche presenti nel brodo primordiale. Con l'esaurirsi di questa fonte di nutrimento, la selezione ha probabilmente favorito cellule più complesse in grado di effettuare una forma rudimentale di fotosintesi e trasformare l'energia luminosa in energia di legame chimico. Il passo evolutivo successivo, ovvero la comparsa di procarioti fotosintetici che, in seguito alle trasformazioni energetiche, erano capaci di liberare ossigeno molecolare, ha rappresentato una svolta decisiva per la storia della vita sul nostro pianeta: l'aumento della concentrazione di ossigeno nell'atmosfera terrestre deve aver infatti determinato, circa 2 miliardi di anni fa, la scomparsa della maggior parte dei tipi cellulari anaerobici evolutisi fino a quel punto, permettendo la diffusione di quelle forme in grado di effettuare un metabolismo di tipo aerobico, molto più efficiente in termini di resa energetica. Riguardo alla comparsa delle cellule eucariotiche, l'ipotesi che esse rappresentino l'evoluzione diretta di forme procariotiche analoghe a quelle tuttora esistenti è stata completamente ribaltata dai recenti risultati derivanti dall'analisi dei geni per gli RNA ribosomiali.
Sembra ormai certo che negli organismi attuali siano rappresentate tre linee cellulari fondamentali, gli archeobatteri, gli eubatteri e gli eucarioti, ognuna delle quali si è evoluta indipendentemente a partire da un ipotetico progenitore comune, denominato progenota, o addirittura è emersa autonomamente da un pool di precursori non cellulari. Il nucleo degli eucarioti è sicuramente molto più antico di 1,5 miliardi di anni, e precedente dunque alla comparsa delle prime cellule eucariotiche aerobiche, che divennero tali tramite inglobamento di batteri specializzati nel metabolismo aerobio, con i quali instaurarono una relazione endosimbiontica. Con il tempo, molte informazioni contenute nel DNA batterico furono trasferite nel DNA nucleare, così l'ospite perse parte dell'autonomia funzionale, trasformandosi negli attuali mitocondri. Con lo stesso meccanismo, alcune cellule eucariotiche aerobiche devono aver acquisito la capacità fotosintetica inglobando organismi simili agli attuali cianobatteri, trasformatisi poi in cloroplasti. L'acquisizione di organelli citoplasmatici specializzati nel metabolismo energetico, oltre a migliorare l'efficienza dei processi biochimici, ha introdotto un'importante novità per l'evoluzione degli organismi viventi. La membrana plasmatica delle cellule eucariotiche, non più impegnata nelle trasformazioni energetiche, si è potuta specializzare nei riguardi delle interazioni tra cellule e del riconoscimento di segnali dall'ambiente extracellulare, determinando quindi la comparsa di organismi pluricellulari complessi.
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