Chirurgia
La chirurgia, dal greco χειρουργία, composto di χείρ, "mano" e ἔργον, "opera", è quella branca della medicina che cura malformazioni, malattie, lesioni traumatiche con atti manuali o con operazioni strumentali. La storia della chirurgia è stata condizionata dall'evoluzione del pensiero medico in genere e, in particolare, dai progressi dell'anatomia e della fisiologia e dalle conquiste della medicina sperimentale; solo a partire dalla metà del 19° secolo, però, con lo sviluppo delle tecniche di anestesia, di antisepsi e poi di asepsi, nonché del trattamento profilattico dello shock postoperatorio, e grazie all'acquisizione di sempre più appropriate tecniche d'indagine, la chirurgia ha compiuto progressi notevolissimi, fino a raggiungere, in anni recenti, un grado molto elevato di perfezionamento e specializzazione
Probabilmente la nascita della chirurgia precede quella delle altre pratiche mediche, in quanto il trattamento delle ferite e l'arresto delle emorragie esterne devono essere stati, senza dubbio, i primi interventi terapeutici in cui l'uomo ha avuto occasione di cimentarsi fin dall'inizio della sua storia. Atti chirurgici sono documentati in papiri egiziani del 1600 a.C., ma è assai probabile che fossero praticati dagli egizi già in epoca molto più antica. A Babilonia vigevano regolamenti assai rigidi riguardo all'esercizio dell'attività chirurgica: se un paziente moriva in conseguenza di un intervento, al chirurgo veniva tagliata la mano destra se il paziente era una persona libera, mentre se era uno schiavo il chirurgo doveva risarcire il proprietario con una somma di denaro. In Persia, nessun chirurgo era abilitato a operare, se non dopo aver eseguito in modo corretto tre interventi su cittadini non liberi. In India, la chirurgia aveva raggiunto un notevole livello già 2000 anni fa e prevedeva l'uso di un gran numero di strumenti originali; la chirurgia plastica si era sviluppata raggiungendo un alto grado di specializzazione: un testo in sanscrito discute in dettaglio di trapianti autologhi di cute per la ricostruzione di nasi, orecchie e labbra.
In Grecia e a Roma la pratica chirurgica ebbe un notevole sviluppo; all'epoca di Ippocrate (5°-4° secolo a.C.) risale un testo contenente descrizioni accurate di operazioni, nel quale si specificano anche le qualità che il chirurgo deve possedere. All'inizio del 1° secolo d.C., fondamentale importanza ebbe l'opera di Aulo Cornelio Celso De re medica, che aveva per oggetto tutta la medicina e i cui libri di chirurgia (il 7° e l'8°) contengono fra l'altro la descrizione dei sintomi dell'infiammazione, norme per il trattamento degli ascessi, un metodo di plastica cutanea con scorrimento dei lembi (autoplastico), istruzioni per la riduzione dei visceri addominali e per la sutura di ferite profonde dell'addome con la descrizione di una particolare posizione da far assumere al malato, corrispondente a quella detta oggi di Trendelenburg ("resupinandus autem homo est, coxibus exterioribus"). Secondo Celso, il chirurgo dovrebbe essere giovane o comunque di carattere giovanile; essere capace di usare tanto la mano destra che la sinistra; possedere una vista netta e chiara; essere dotato di spirito audace; essere animato da sentimenti di pietà e desideroso di curare il paziente, ma non mosso dalle sue grida ad agire con eccessiva fretta e ad asportare meno di quanto non sia necessario; agire sempre, infine, senza emozioni.
Nel 2° secolo d.C., l'opera di Galeno, con la sua concezione delle malattie causate dagli 'umori' - la bile gialla, la bile nera, il sangue, la flemma - in eccesso o in posizione sbagliata nel corpo, non favorì lo sviluppo della chirurgia, dal momento che essa non può agire sugli 'umori', tranne nel caso di un'emorragia o di un ascesso.Nel Medioevo, i chirurghi itineranti operavano le ernie ed eseguivano pochi altri interventi, oltre a quelli sui traumi. Peraltro, al pari della medicina, la chirurgia in questo periodo subisce un processo di involuzione, al cui verificarsi non fu certo estranea l'interdizione del suo esercizio al clero pronunciata da vari concili e motivata dagli aspetti cruenti di questa disciplina.
Successivamente, per una serie di fattori, quali la grande espansione della civiltà araba, l'influenza esercitata dalla Scuola medica salernitana (fiorita tra il 10° e il 12° secolo), la diffusione delle polveri da sparo nel 14° secolo, con la conseguente necessità di curare ferite da arma da fuoco, e nello stesso periodo l'accrescersi dell'interesse per lo studio dell'anatomia in Europa, si determinò un notevole sviluppo della chirurgia.
A partire dal 13° secolo i chirurghi vennero considerati specialisti separati dagli altri rappresentanti della professione medica, che peraltro non li tenevano in grande considerazione. Esercitavano la disciplina, pur se a un livello inferiore, anche i barbieri, preferiti dai medici in quanto ne seguivano più docilmente le direttive.A Bologna, nella seconda metà del Cinquecento, G. Tagliacozzi fu autore del primo trattato sistematico di chirurgia plastica, che contiene anche la descrizione della tecnica di ricostruzione del naso con lembo cutaneo del cranio. In Inghilterra, barbieri e chirurghi appartenevano a corporazioni separate; nel 1540, però, venne fondata una Compagnia comprendente sia gli uni sia gli altri: i chirurghi accettavano di non fare i barbieri e questi si impegnavano a limitare la propria attività alla odontoiatria (nel 1745 la Compagnia fu sciolta e la corporazione dei chirurghi si rese definitivamente indipendente, fino a trasformarsi, nel 1843, nel Royal college of surgeons, tuttora esistente).
Alla fine del 16° secolo, un testo inglese di chirurgia descriveva le caratteristiche di questa disciplina, scienza e arte allo stesso tempo, che insegna come si lavora sul corpo umano e come si devono eseguire le operazioni manuali che sono necessarie a guarirlo. Alla metà del Seicento, uno specialista inglese affermava che per esercitare la professione del chirurgo è indispensabile essere esperti, ingegnosi e di buone maniere.Durante il Rinascimento, la chirurgia acquistò una più alta dignità sociale, e Paracelso, nel 16° secolo, ne patrocinò l'unione con la medicina, sostenendo che non si può essere chirurghi se non si è medici. In questo periodo, il progresso della chirurgia va di pari passo con lo sviluppo dello studio dell'anatomia umana. In passato, fatta eccezione per l'età ellenistica, gli anatomisti si avvalevano esclusivamente delle osservazioni sugli animali. In epoca medievale si era cominciato a indagare l'anatomia umana mediante le autopsie eseguite dai chirurghi per accertare la causa di morte.
Solamente alla metà del 15° secolo, però, lo studio dell'anatomia umana divenne comune, tanto che a Padova fu costruita una sala di dimostrazione, tuttora conservata. Testi di anatomia cominciarono a comparire alla fine del Quattrocento, tuttavia il fondamentale trattato di A. Vesalio, De humani corporis fabrica, fu pubblicato solo nel 1543, nello stesso anno in cui vedeva la luce il De revolutionibus orbium coelestium di Nicola Copernico. Vesalio, nato a Lovanio, divenne professore di anatomia e chirurgia a Padova a 23 anni, e scrisse una guida per studenti, nella quale sottolineava l'importanza dell'anatomia come materia di imprescindibile ausilio per la chirurgia. Questa impostazione fu a lungo prevalente e ancora agli inizi dell'Ottocento i professori di chirurgia insegnavano insieme le due materie.Nel Settecento il progresso della disciplina si deve in particolare a G.B. Morgagni, professore di anatomia a Padova e autore di un testo fondamentale che poneva in risalto l'importanza del controllo post mortem della patologia, e a W. Hunter, scozzese, che, combinando le nozioni di chirurgia, fisiologia e patologia, diede inizio alla chirurgia sperimentale. Tra l'altro, Hunter scoprì che la legatura di un'arteria periferica viene compensata da un circolo collaterale e suggerì questo tipo di intervento nella terapia degli aneurismi degli arti, onde evitare l'amputazione. Molti dei migliori chirurghi inglesi e americani dell'epoca furono suoi allievi.
Il cammino della chirurgia, comunque, progredì molto lentamente; al principio dell'Ottocento, gli interventi chirurgici erano poco frequenti: in molti grandi ospedali europei venivano effettuate in un anno meno operazioni di quante se ne eseguano oggi in due giorni in un moderno ospedale in piena attività. La maggior parte degli interventi riguardava la tubercolosi ossea, traumi, ascessi, ernie e aneurismi, e la mortalità arrivava al 40-60%. I problemi principali che il chirurgo si trovava ad affrontare erano sostanzialmente il dolore durante e dopo l'atto operatorio, le infezioni, l'emorragia e lo shock. Uno dei più importanti progressi fu segnato dunque dallo sviluppo dell'anestesia: l'alcol, l'oppio e perfino la riduzione della massa sanguigna per mezzo di un'emorragia, programmata per ridurre la circolazione cerebrale e di conseguenza la sensibilità, erano i mezzi anestetici usati fin dall'antichità; solo nel 1842 si cominciò a impiegare l'etere e pochi anni più tardi il cloroformio. L'anestesia è divenuta una branca specialistica solo dopo la Seconda guerra mondiale; fino ad allora, a eseguire questa pratica era un infermiere o un giovane chirurgo, o addirittura uno studente.
Il problema delle infezioni si avviò a soluzione nella seconda metà dell'Ottocento, quando il chirurgo inglese J. Lister, in seguito alla scoperta di L. Pasteur del ruolo causale dei germi nelle sepsi, suggerì il lavaggio attento della cute del paziente e delle mani del chirurgo, nonché l'impiego di strumenti disinfettati e di telini sterili per circondare l'area dell'intervento. Fu questo un passo fondamentale, anche se la chirurgia addominale, quella toracica e quella cranica furono ancora per molti anni poco praticate. Alla fine dell'Ottocento, il settore della chirurgia più sviluppato era quello addominale: l'appendicectomia, la colecistectomia, la resezione gastrica, la riparazione delle ernie, l'asportazione dell'ovaio e le suture intestinali furono gli interventi più frequentemente praticati. L'intervento più originale sull'ernia inguinale venne descritto dall'italiano E. Bassini nel 1884.
I progressi dell'anatomia patologica, legati principalmente all'opera del patologo tedesco R. Virchow, resero possibile la comprensione delle malattie affrontabili chirurgicamente. La nascita della neurochirurgia si deve all'americano H. Cushing, che prima di dedicarsi a questa specialità aveva seguito un tirocinio di chirurgia generale. L'apertura della calotta cranica era eseguita già in tempi remoti, sostanzialmente per la riparazione delle lesioni traumatiche, ma solo dopo che la patologia ebbe descritto le lesioni localizzate nel cervello, l'apertura del cranio divenne il metodo razionale per la loro asportazione. La cardiochirurgia iniziò con la riparazione di ferite: il primo chirurgo che eseguì questo intervento con risultati positivi fu il tedesco L. Rehn. Per la riparazione di lesioni valvolari si deve attendere il 1925, quando l'inglese H. Souttar penetrò con il dito nell'atrio sinistro e aprì la valvola mitralica stenotica di una ragazza di 19 anni. La chirurgia toracica, che rende necessaria l'apertura della cassa toracica, poté avere inizio solo dopo che il tedesco F. Sauerbruch ebbe costruito, nel 1903, una camera in cui veniva mantenuta una pressione minore di quella esistente all'interno dei polmoni, in modo da permetterne l'espansione ed evitarne il collasso. Intorno al 1910 le difficoltà tecniche connesse all'impiego della camera furono superate per mezzo dell'introduzione del tubo endotracheale, che determina l'espansione sotto pressione del polmone. L'ipotermia e la macchina cardiopolmonare per eseguire interventi sul cuore fermo sono sviluppi più recenti, verificatisi tra le due guerre, e l'applicazione clinica della macchina si ebbe nel 1953, per opera dell'americano J. Gibbon, che aveva dedicato oltre vent'anni di lavoro alla messa a punto di questa tecnica. Passi avanti fondamentali per i trapianti di organi furono compiuti dal francese A. Carrel, che mise a punto sperimentalmente la tecnica della sutura vascolare termino-terminale: è a lui che si deve, sostanzialmente, la fondazione della chirurgia vascolare. Il francese C. Dubost asportò per primo un aneurisma dell'aorta addominale e l'americano M.E. De Bakey introdusse l'uso di arterie in materiale plastico.
L'istituzionalizzazione della pratica del tirocinio dei giovani chirurghi è nata in Germania durante l'Ottocento per merito di B. von Langenbeck, professore a Berlino, e si è successivamente estesa a opera dei suoi allievi, tra cui T. Billroth, professore a Vienna, T. Kocher a Berna e F. Trendelenburg a Lipsia. Il metodo tedesco passò quindi negli Stati Uniti attraverso uno dei più grandi chirurghi di tutti i tempi, W. Halsted, che fu il primo professore della nuova Università Johns Hopkins di Baltimora. Halsted, come già Langenbeck, sceglieva i migliori laureati e li addestrava nella pratica chirurgica portandoli allo stesso grado di abilità dei docenti. Molti dei suoi allievi svolsero la loro attività ai massimi livelli in vari centri universitari americani. Oltre al tirocinio pratico, gli specializzandi si dedicavano a ricerche cliniche e sperimentali: in una conferenza tenuta nel 1904 alla Yale University, Halsted raccomandava infatti che gli specializzandi, oltre al lavoro in corsia e in sala operatoria, eseguissero ricerche originali, mantenendo altresì uno stretto contatto con la patologia, la batteriologia e, fin dove possibile, con la fisiologia.
I progressi conseguiti dalla chirurgia negli ultimi tempi sono legati all'imponente sviluppo tecnologico e scientifico registratosi in ogni campo del sapere, grazie al quale la chirurgia ha acquisito nuove possibilità di diagnosi e di terapia, nuove macchine e anche nuovi materiali.
Nel 19° secolo maturano le condizioni per l'allargamento del campo d'azione della chirurgia. L'ostacolo del dolore comincia a essere rimosso alla metà del secolo da C.T. Jackson, W.T. Morton, J.Y. Simpson, che sono considerati gli iniziatori dei metodi di anestesia generale (v. anestesia) ai quali, in successione di tempo, si affiancheranno le altre tecniche: l'anestesia rachidiana e quella locale. Il perfezionamento delle tecniche d'anestesia ha permesso l'esecuzione di interventi particolarmente lunghi e complessi.
Molta importanza ha avuto l'istituzione di reparti di terapia intensiva, che hanno permesso la 'monitorizzazione' dei malati, sia di quelli sottoposti a interventi chirurgici sia di quelli in stato di shock. In questo modo è stato possibile ridurre la mortalità operatoria ed estendere le indicazioni anche a casi particolarmente gravi, prima non suscettibili di cure chirurgiche. Il controllo delle complicanze settiche, avviato da Lister con le irrorazioni antisettiche del campo operatorio, ha raggiunto un livello di notevole efficacia, grazie alla razionale applicazione di più avanzate conoscenze di batteriologia, con la condotta asettica dell'intervento, cioè con la sterilizzazione preventiva di tutto il materiale suscettibile di contatto, diretto o indiretto, con il campo operatorio. I nuovi presidi terapeutici (chemioterapici antibiotici) hanno ridotto il problema della sepsi postoperatoria in termini impensabili nei primi decenni del 20° secolo. La protezione del paziente operato dall'anemizzazione si è giovata dapprima del perfezionamento delle tecniche di emostasi e poi del ricorso alle emotrasfusioni dirette; con la messa a punto della tecnica per la conservazione del sangue, si è avvalsa anche delle crescenti risorse della pratica trasfusionale.
Il recuperatore intraoperatorio di sangue rappresenta un'acquisizione recente e di estrema importanza. Consente, infatti, di recuperare sangue durante un intervento emorragico, prepararlo in sacche e reinfonderlo rapidamente al paziente stesso, con l'ovvio vantaggio di risparmiare le scorte delle banche e di reinfondere all'ammalato il proprio sangue fresco. In parallelo si sono sviluppati sia metodi di assistenza durante l'intervento delle funzioni fisiologiche fondamentali, sia tecniche di protezione dallo shock operatorio e dai danni specifici che le alterate condizioni di irrorazione fatalmente indurrebbero: di queste innovazioni è un esempio particolarmente significativo l'ipotermia controllata, o ibernazione, che raggiunge il suo scopo protettivo riducendo, per tutta la durata della sua applicazione, il bisogno di O₂ dei singoli tessuti. Il caso limite di assistenza delle funzioni fondamentali è rappresentato dalle tecniche di circolazione extracorporea (v. cardiochirurgia) e da quelle di emodialisi (v. dialisi). Progressi importanti sono stati conseguiti nel campo della diagnostica. In primo luogo è da ricordare l'endoscopia clinica (v. vol. 1°, IV, cap. 7: Le immagini endoscopiche) con l'adozione di apparecchi molto flessibili a fibre ottiche, e, quale ultima conquista della miniaturizzazione nell'elettronica, dei videoendoscopi, così da poter seguire docilmente la via imposta dall'anatomia del viscere. Vi è anche la possibilità di eseguire interventi sotto il controllo endoscopico con un particolare strumentario. Questi interventi consistono in prelievi bioptici di tessuto e di cellule per una diagnosi istologica e citologica, nell'asportazione di polipi e corpi estranei, nella dilatazione di visceri cavi stenotici, nella distruzione di tessuto tumorale, accoppiando all'endoscopio l'uso di laser chirurgici ad argon e a neodimio-YAG (Yttrium-aluminium-garnet). La pHmetria gastroesofagea e la manometria esofagea e anale permettono di meglio precisare dal punto di vista diagnostico patologie quali l'acalasia dell'esofago, il reflusso gastroesofageo, il megacolon congenito ecc., di indirizzare più correttamente alla terapia chirurgica e di controllare i risultati dell'intervento.
L'uso degli ultrasuoni, di macchine a effetto Doppler e a effetto eco, lo studio angiografico del sistema arterioso e venoso, l'impiego dei raggi Roentgen, dell'esame TAC (tomografia assiale computerizzata), della RMN (risonanza magnetica nucleare) e della scintigrafia costituiscono metodi di diagnosi di grande precisione, in grado di visualizzare alterazioni patologiche prima non diagnosticabili. In questa direzione la moderna tecnologia ha dato un grande contributo alla chirurgia (v. vol. 1°, IV, cap. 5: La diagnostica per immagini).Nel campo del supporto all'attività intraoperatoria del chirurgo occorre far riferimento ancora ad apparecchiature che sono frutto di avanzata tecnologia. Il cavitron, bisturi aspiratore a ultrasuoni, distrugge con l'emissione di ultrasuoni le cellule parenchimatose colpite e aspira, ma lascia intatte, le strutture vascolari e biliari; consente in questo modo di operare con relativa sicurezza sul cervello e sul fegato. I laser chirurgici ad anidride carbonica, ad argon e a neodimio-YAG utilizzati direttamente, o accoppiati ad apparecchi endoscopici, permettono di incidere tessuti ottenendo un'emostasi dei vasi sanguigni recisi, o di distruggere completamente il tessuto tumorale lasciando intatto il tessuto sano residuo.Le suturatrici meccaniche di tipo circolare e lineare sono sempre più usate in chirurgia intestinale. Dopo resezioni parziali o totali dell'esofago e dello stomaco permettono ricostruzioni rapide e sicure, perché le anastomosi intestinali, invece di essere praticate a mano con ago e filo, vengono eseguite automaticamente con una serie di punti metallici simultaneamente messi in opera dalla semplice pressione di un grilletto. Ciò consente interventi più semplici, più rapidi e più sicuri. Quando queste suturatrici meccaniche sono utilizzate nella chirurgia ricostruttiva, dopo resezione del retto basso, ai vantaggi precedentemente accennati si aggiunge quello di poter ristabilire il normale transito delle feci, evitando l'istituzione di un ano artificiale, come si sarebbe costretti a fare per l'impossibilità tecnica di eseguire una sutura a mano. Il miglioramento dei materiali artificiali, dai fili di sutura alle protesi vascolari, consente un ulteriore salto di qualità nelle percentuali positive dei risultati degli interventi chirurgici.
Questo continuo arricchimento di risorse si è ripercosso favorevolmente nei vari settori specializzati della chirurgia. In quello della neurochirurgia , oltre al conseguimento di una maggior sicurezza negli interventi demolitori per i tumori endocranici, è stato realizzato il trattamento di varie condizioni morbose, per es. alcune sindromi parkinsoniane, sfruttando tra l'altro un metodo (la stereotassia) mutuato dalla neurofisiologia sperimentale, che permette di penetrare nella profondità degli emisferi senza danneggiare il parenchima sovrastante. Inoltre, non solo in neurochirurgia, ma in altri ambiti chirurgici (urologia, oculistica, otorinolaringologia ecc.), l'introduzione del microscopio chirurgico ha consentito interventi su strutture di piccole dimensioni (v. oltre).
Nel campo della chirurgia vascolare, superati con successo i tentativi di effettuare omotrapianti di arterie, si è poi prescelta l'attuazione di protesi con materiale plastico (dacron) che hanno permesso di sostituire anche tratti estesi di arterie obliterate. Una vera rivoluzione tecnica in chirurgia è rappresentata infine dalle tecniche microchirurgiche. Queste tecniche consistono nell'uso di strumenti miniaturizzati, in fili atraumatici sottili molto più di un capello (50 μm), e naturalmente in mezzi diottrici (microscopio operatore) che permettono ingrandimenti da 2 a 40 volte. Con il dovuto allenamento, il chirurgo esperto in queste tecniche può operare le delicate e piccole strutture anatomiche di un neonato, o addirittura di un feto; può riparare arterie il cui diametro sia inferiore di un millimetro o ricostruire nervi traumaticamente lesi.
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