Cina
Stato dell’Asia centrale e orientale. Testimonianze fossili documentano che la C. fu abitata dal Paleolitico inferiore. In particolare, l’uomo di Yuanmou è stato datato oltre 1 milione di anni fa, l’uomo di Lantian a 600.000, il Sinanthropus pekinensis di Zhoukoudian (riconducibile a Homo erectus) al Pleistocene medio. Dopo tali culture paleolitiche è stato possibile datare varie culture neolitiche, come quelle localizzate nelle province del Hebei e del Henan (5900-5400 a.C.), quelle di Yangshao (4800-3000 a.C.) e di Longshan (nella provincia del Henan, 3000-2300 a.C.). V.
La prima dinastia registrata nelle cronache cinesi è quella Xia (23°-18° sec.). Con l’Età del bronzo ha inizio la dinastia Shang (18° sec.-1122 a.C. ca.), il cui regno appare molto esteso. La struttura sociale e politica, molto primitiva, sembrava allora fondata su una specie di protofeudalesimo, in cui il sovrano aveva funzioni soprattutto sacrali. Al Nord-Ovest si formò lo Stato di Zhou, su base etnica analoga ma con qualche peculiarità culturale. Intorno al 1070 a.C. il suo re distrusse il regno Shang impadronendosi dei suoi territori, che furono distribuiti tra capi fedeli. Sorse così una struttura feudale, in cui l’autorità del re si indebolì sempre più, mentre le lotte fra i principi portavano alla sparizione dei più deboli. Tentativi di dare un assetto più stabile alla C. sotto un principe egemone fallirono, e i secoli dal 5° al 3° a.C. furono un’epoca di lotte incessanti (i cosiddetti Stati combattenti).
Fra le dinastie contendenti, che tutte, l’una dopo l’altra, assunsero il titolo regio, ottenne il sopravvento quella di Qin, che nel 256 prevalse sugli Zhou. Nel 221 il re di Qin, avendo unificato la C. del Nord e del Centro, assunse il titolo di imperatore, abolì il feudalesimo, diede al Paese un’organizzazione burocratica, lo protesse collegando nella Grande muraglia i tratti di muro preesistenti, e avviò la conquista e colonizzazione del Sud, abitato da popolazioni non cinesi. La guerra civile che seguì la sua morte si concluse con l’affermazione della dinastia Han, che completò la conquista del Sud e diede inizio all’espansione cinese in Asia centrale con notevole impulso dei traffici. In questo periodo penetrò dall’India il buddhismo, che presto si diffuse largamente. Alla fine degli Han la C. si divise in tre Stati: Wei al Nord, Wu al Sud, Shu Han nel Sichuan. L’ultimo dei Wei fondò la dinastia Jin (265-420), che nel 280 riuscì a riunificare il Paese, prima di perdere la capitale Luoyang e parte dei territori sotto l’attacco dei barbari, dopo il quale la C. restò divisa tra Sud imperiale, con capitale Nanchino, e il Nord, dominato da dinastie prototurche e prototibetane. La C. venne nuovamente riunificata sotto i Sui (581-617), che ripresero l’espansione ma riportarono gravi insuccessi in Corea; ai Sui succedettero i Tang (618-907), con i quali la C. raggiunse il massimo splendore politico-culturale. Le due principali figure della dinastia furono gli imperatori Taizong (627-649) e Xuanzong (712-755). Il primo sottomise i turchi e condusse una serie di imprese militari verso occidente. Il secondo è famoso soprattutto per il grande sviluppo che pittura e letteratura ebbero alla sua corte. Alla caduta dei Tang successe un periodo di disgregazione. Cinque effimere dinastie regnarono successivamente nel Nord (907-960), mentre il Sud era smembrato in una mezza dozzina di Stati regionali. L’unità della C. venne ricostituita dalla dinastia Song (960-1279), la cui capitale era Kaifeng. Una stretta fascia nordorientale era però caduta in mano ai Kitan che, tra il 1115 e il 1124, furono soppiantati a loro volta dai Nüzhen della dinastia Jin. Questi si lanciarono alla conquista della C. del Nord e i Song, indeboliti dall’aggravarsi della situazione agraria, perdettero nel 1126 la loro capitale e diedero il Nord agli invasori. I Nüzhen mantennero i loro privilegi di conquistatori senza concedere diritti politici ai cinesi.
Nel frattempo, al di là della Grande muraglia, Genghiz khan (1162-1227) creava la potenza mongola. Le prime scorrerie dei mongoli ebbero inizio nel 1210 e nel 1215 essi occuparono Pechino. La conquista della C. meridionale fu opera di Qubilay Khan, le cui truppe presero Hangzhou (1276) stroncando le ultime resistenze dei Song (1279). La C. era così di nuovo unificata, ma questa volta a opera di un conquistatore straniero, il primo che nella sua storia la dominasse interamente. Qubilay fissò la capitale a Khanbaliq (Pechino) e diede alla sua dinastia il nome cinese di Yuan. Adottò una politica razzista, allo scopo di evitare che i mongoli fossero assorbiti nella massa cinese; attaccò il Giappone (1274; 1281), il Champa e il Vietnam (1283-84; 1287-88). Costruì strade, creò un regolare servizio postale e riorganizzò le finanze. Le diverse religioni godevano di completa tolleranza, sebbene il buddhismo tibetano venisse favorito. I successori di Qubilay si dimostrarono tuttavia incapaci di reggere il peso del grande impero. Dopo il 1350 ebbero inizio le rivolte nella C. meridionale, finché Zhu Yuanzhang seppe riunire sotto la sua guida le forze del Sud e cacciare i mongoli dal Nord (1368).
Zhu Yuanzhang, noto sotto il suo nome di regno Hongwu (1368-1398), fondò la dinastia nazionale dei Ming (1368-1644), sotto cui la C. si chiuse completamente verso l’esterno. L’imperatore Yongle (1403-1424) fu l’unico sovrano a lanciare una grande politica marinara; nel 1403 le flotte cinesi si spinsero fino a Giava, nel 1408 raggiunsero Ceylon, nel 1411 Aden. Ma tale politica fu presto abbandonata, la C. si richiuse verso l’esterno e i mercanti stranieri furono tollerati solamente a Canton. Durante il regno di Wanli (1573-1619) si ebbero continui attacchi da parte dei mongoli e nel 1592 truppe cinesi dovettero intervenire per respingere gli invasori giapponesi dalla Corea. Frattanto, nel 1514, i primi portoghesi erano apparsi nei mari della C., seguiti dagli spagnoli e dagli olandesi che, nel 1623, s’insediarono a Formosa. Del progressivo indebolimento della dinastia approfittò il nuovo Stato mancese, sorto alla fine del 16° sec. al di là della Grande muraglia, ma la fine della dinastia fu opera di un ribelle, Li Zicheng, che nel 1644 occupò Pechino. I mancesi, chiamati in aiuto dalla burocrazia cinese, rioccuparono la capitale e completarono la conquista del Paese nel giro di due decenni.
I mancesi furono il secondo popolo straniero a dominare l’intera C., col nome di dinastia Qing. Cercarono di servirsi della collaborazione della classe dirigente cinese, mantenendola però in una condizione subordinata e tutelando gelosamente i diritti dei vincitori; non riuscirono però evitare una rapida sinizzazione. Kangxi (1662-1722) poté intraprendere una grande politica imperiale: venne annessa Formosa (1683), furono affrontati e respinti gli zungari, stabilendo l’alto dominio sulla Mongolia (1691) e imponendo il protettorato al Tibet (1720). Al Nord l’espansione russa fu frenata col trattato di Nerchinsk (1689). Kangxi protesse le lettere e le arti e favorì i gesuiti finché, in seguito alla questione dei riti, nel 1717 emanò il primo di una serie di editti contenenti misure restrittive. Qianlong (1735-1796) distrusse il regno degli zungari e annesse all’impero i loro domini, il Turkestan cinese o Xinjiang (1756-59).
Dopo la morte di Qianlong gli effetti delle guerre, della cattiva amministrazione e dell’aumento della popolazione determinarono, per tutto il 19° sec., un graduale impoverimento del Paese, provato da numerose rivolte, in un momento in cui l’espansionismo industriale e commerciale europeo, soprattutto inglese, insisteva per l’apertura del commercio con la Cina. La prima guerra anglo-cinese, detta dell’oppio (1839-42), si concluse con il trattato di Nanchino, per il quale l’Inghilterra ebbe Hong Kong e diversi porti furono aperti al commercio. Il trattato di Tianjin, che nel 1861 pose fine alla seconda guerra anglo-franco-cinese sancì il raddoppio dell’ammontare dell’indennità dovuta dalla Cina alla Gran Bretagna, che acquisiva anche la penisola di Kowloon di fronte al possedimento di Hong Kong, l’apertura di altri porti e il diritto per i cittadini britannici di reclutare manodopera cinese da far lavorare nelle colonie britanniche o in altre località. Ai disastri esterni si aggiunsero quelli determinati dalle rivolte interne, tra le quali famosa fu la rivolta dei Taiping (1849-64), che devastò la C. centrale. Intanto, i traffici con gli stranieri lungo la costa favorivano il sorgere di una borghesia commerciale che, specie nel Sud, diveniva il miglior ambiente di propagazione delle nuove idee venute dall’Occidente. Nel 1894 scoppiò la prima guerra cino-giapponese, che vide la C. costretta a firmare il trattato di Shimonoseki (1895), con cui cedette Formosa e rinunciò alla tradizionale sovranità sulla Corea. Il governo mancese, retto dall’imperatrice Cixi (1833-1908), reggente durante i regni di Tongzhi e Guangxu, persistette nella sua politica di reazione; Cixi riuscì anzi a far rivolgere contro gli stranieri il movimento dei Boxers, originariamente antimancese. Il risultato, però, fu la spedizione internazionale del 1900, che diede il colpo di grazia al prestigio della corte. Mentre nel Sud della C. si preparava la rivoluzione a opera di Sun Zhongshan, nel Nord il generale Yuan Shikai mirava a trarre vantaggio dalla decadenza della dinastia per i suoi fini personali. Nel 1910 scoppiarono le prime rivolte, rapidamente seguite nel 1911 dalla costituzione di un governo provvisorio a Nanchino e dal tradimento di Yuan Shikai che forzò l’ultimo imperatore, il giovane Pu Yi, a rinunciare al trono (1912), mentre egli era eletto primo presidente della Repubblica.
Sun Zhongshan nel 1912 organizzò il Partito nazionalista, Guomindang, ma Yuan Shikai, dichiaratolo illegale, riportò la capitale a Pechino e prese a governare autocraticamente. Alla sua morte (1916) si aggravò il contrasto tra i rivoluzionari e il governo di Pechino, rimasto in balia dei generali che miravano a costituirsi dei feudi personali nelle varie province. Nel 1917 il governo dichiarò guerra alle potenze centrali, mentre i deputati del Guomindang, contrari, costituirono un governo militare a Canton sotto Sun Zhongshan. I successivi tentativi di riunificare i due governi fallirono, mentre l’insuccesso riportato alla conferenza di Versailles (mancata reintegrazione dei territori ex tedeschi nello Shandong, rivendicati dal Giappone per diritto di conquista) portò allo scoppio di violenti moti studenteschi antioccidentali (1919). Accanto agli studenti parteciparono al movimento insurrezionale anche gli esponenti delle nuove classi sradicate dall’ordine confuciano tradizionale, come la borghesia mercantile e il nascente proletariato industriale. Fu a queste nuove forze che si rivolse Sun Zhongshan quando riorganizzò il Guomindang facendone, con la collaborazione del Partito comunista cinese, un partito totalitario di massa. Il Partito comunista cinese era stato fondato nel 1921 a Shanghai per iniziativa di un gruppo d’intellettuali illuministi convertiti al marxismo, come Chen Duxiu, Li Dazhao, Mao Zedong, e di cinesi formatisi all’estero, come Zhou Enlai. Il governo sovietico inviò a Canton degli emissari del Comintern per aiutare a organizzare non solo il Partito comunista cinese ma lo stesso Guomindang su di una base comune di lotta antimperialista. Sun Zhongshan procedé, quindi, a una ridefinizione della sua ideologia dei Tre principi del popolo, e riorganizzò il Guomindang sul modello leninista. La morte di Sun (1925) fu seguita da violente agitazioni antimperialiste, culminate a Shanghai nel Movimento del 30 maggio, che accrebbero in seno al Guomindang l’influenza già forte dei comunisti. Tuttavia la guida del Guomindang fu assunta dal generale conservatore Jiang Jieshi, che nell’aprile 1927 ruppe con il Partito comunista, massacrandone i quadri riuniti a Shanghai. Nel frattempo completava le campagne contro i signori della guerra del Nord, unificando almeno formalmente la C. sotto il governo del Guomindang, la cui sede era stata stabilita a Nanchino. Liquidati i signori della guerra, Jiang si rivolse contro i comunisti, che nel 1931 avevano proclamato una Repubblica cinese sovietica, con capitale a Ruijin, nel Jiangxi. Riuscì a sconfiggere l’esercito avversario, ma più della metà di questo sfuggì all’accerchiamento e si sganciò con un’epica marcia (la cd. lunga marcia; v.
), che portò i 30.000 superstiti nella C. del Nord. Nello Shaanxi i comunisti organizzarono un’amministrazione sovietica autonoma e Mao Zedong fu riconosciuto capo incontrastato del movimento comunista in Cina. Nel frattempo il regime nazionalista, il cui potere era detenuto da una ristretta oligarchia politica dominata da Jiang Jieshi, falliva in politica economica, nel programma di «ricostruzione rurale» e nei tentativi di promuovere lo sviluppo industriale e la modernizzazione del credito. Ad aggravare le difficoltà di Jiang contribuì in modo decisivo l’aggressione giapponese.
I giapponesi occuparono nel 1931 la Manciuria, erigendola in Stato separato, il Manchukuo, formalmente indipendente, in realtà sotto il loro controllo, e nel 1937 dilagarono nella C. del Nord (➔ cino-giapponese, seconda guerra). In questa emergenza comunisti e Guomindang furono costretti a collaborare. Le forze armate comuniste, pur mantenendo la loro unità, furono poste sotto il comando di Jiang Jieshi. L’ingresso del Giappone nella Seconda guerra mondiale ridusse lo sforzo militare giapponese in C. e consentì ai cinesi, riforniti dagli alleati, di resistere fino alla resa giapponese (1945). L’occupazione sovietica della Manciuria provocò nuovi scontri armati tra nazionalisti e comunisti; le missioni di pace statunitensi fallirono ed ebbe inizio la guerra civile che durò fino al 1949. I comunisti estesero il loro controllo sulla Manciuria e tutta la C. settentrionale, nel 1949 conquistarono il resto del Paese e il 1° ottobre Mao proclamò a Pechino la Repubblica popolare di Cina. Il governo nazionalista, rifugiatosi a Taiwan, poté mantenere il controllo dell’isola grazie al sostegno statunitense.
I delegati del PCC, di altri 11 partiti minori e dell’esercito popolare approvarono una Costituzione provvisoria. Nel 1950 fu promulgata una legge di riforma agraria, allo scopo di ridistribuire le terre ai piccoli e medi contadini; in politica estera, fu firmato a Mosca un accordo trentennale di alleanza fra C. e Unione Sovietica; intanto la C. riaffermava la propria sovranità sul Tibet e interveniva nel conflitto coreano. Il tentativo di rioccupare Taiwan fu bloccato dalla neutralizzazione dello stretto e dall’intervento della flotta statunitense. Nel 1954 l’Assemblea approvò la Costituzione definitiva e confermò Mao (presidente della Repubblica dal 1949) alla guida dello Stato. Nel 1958, con il nome di «grande balzo in avanti», prese avvio una campagna per favorire l’aumento della produzione agricola e industriale, che impresse una decisa caratterizzazione in senso maoista alla politica interna; fra l’altro, nelle campagne si passò dalle cooperative alle comuni popolari agricole, ciascuna dotata di una sua organizzazione militare difensiva. L’attuazione di tale programma provocò contrasti all’interno del PCC con i fautori del modello sovietico di costruzione del socialismo; principale esponente di questa linea era Liu Shaoqi, che nel 1959 fu eletto presidente della Repubblica. Anche la politica estera subì una progressiva radicalizzazione in senso antimperialista entrando in conflitto con gli sviluppi della politica sovietica di coesistenza pacifica. Tali contrasti nel 1960 portarono al ritiro di tutti i tecnici sovietici e alla sospensione degli aiuti di Mosca ai programmi di industrializzazione cinesi. Dopo la defenestrazione di Chruščëv (1964) e di fronte all’intensificarsi dell’intervento statunitense nel Vietnam, all’interno del gruppo dirigente cinese si manifestarono tendenze a una riconciliazione con l’URSS e alla realizzazione di un fronte comune contro l’azione americana nel Sud-Est asiatico; ma, con l’avvio nell’autunno 1965 della «grande rivoluzione culturale proletaria», i rapporti con l’URSS subirono un ulteriore peggioramento. La rivoluzione culturale ebbe come protagonisti milioni di giovani che si mobilitarono, dando vita al movimento delle guardie rosse, per una radicalizzazione del processo rivoluzionario e una lotta serrata contro le tendenze «revisioniste», rappresentate da burocrati, intellettuali, dirigenti del partito e dello Stato. Il processo coinvolse gli operai delle grandi città e con il tempo divenne sempre più impetuoso, fino a provocare una crisi nelle strutture politiche e amministrative del Paese (anche per la messa sotto accusa e l’esautorazione di migliaia di quadri) e un calo della produzione. Dopo la destituzione di Liu Shaoqi (1968), il IX congresso del PCC, nell’aprile 1969, pose di fatto termine alla rivoluzione culturale, registrando il rafforzamento degli esponenti radicali all’interno del gruppo dirigente cinese (tra i quali Lin Biao, designato dal congresso erede politico di Mao). Mentre si acuivano i contrasti con l’URSS, anche con violenti scontri di frontiera, a partire dal 1971 la C. avviò il riavvicinamento agli USA e un’apertura verso tutti i Paesi occidentali. Sul piano interno iniziò la revisione della linea di sinistra e riprese quota l’ala moderata e pragmatica del partito.
Alla morte di Mao Zedong (1976), con l’ascesa al potere di Hua Guofeng l’ala sinistra del PCC fu definitivamente sconfitta. La sessione plenaria del Comitato centrale del PCC del 1978 decise l’avvio di un processo di decentramento e di liberalizzazione dell’economia, di riforma del sistema amministrativo e di profonda revisione ideologica. Negli anni successivi ebbe crescente influenza la corrente pragmatica e modernizzatrice che faceva capo a Deng Xiaoping. Intanto subivano un grave deterioramento le relazioni con il Vietnam, anche a causa della sua politica di alleanza con l’Unione Sovietica e del suo tentativo di assicurarsi un ruolo egemone in Indocina. Tali contrasti portarono, dopo l’intervento vietnamita in Cambogia del 1979, a un attacco dei cinesi al Vietnam; il breve ma violento conflitto (febbraio-marzo 1979) lasciò un persistente clima di tensione tra i due Paesi. Nel 1980 la campagna contro l’estrema sinistra culminò nell’apertura del processo contro la «banda dei quattro» (Jiang Qing, la vedova di Mao, Zhang Chunqiao, ex vice primo ministro, Wang Hongwen, ex vicepresidente del PCC, Yao Wenyuan, ideologo della rivoluzione culturale), accusati di aver commesso delitti durante la rivoluzione culturale. Proseguiva intanto il rafforzamento del gruppo di Deng Xiaoping con l’avvento di Zhao Ziyang alla direzione del governo (1980), di Hu Yaobang alla presidenza del partito, e dello stesso Deng alla presidenza della sua Commissione militare (1981). Nel 1982 la quarta Costituzione del Paese ristabilì la carica di presidente della Repubblica, alla quale fu designato Li Xiannian. Ormai saldamente al potere ai vertici del partito e dello Stato, la nuova leadership cinese, moderata, tecnocratica ed efficientista, accentuava negli anni successivi la politica di modernizzazione e di promozione della crescita economica del Paese e ampliava le misure di liberalizzazione e di apertura dell’economia verso l’estero (dal 1980 la C. aveva aderito al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale). In campo internazionale, l’aspirazione cinese ad arrivare a una completa riunificazione della madre patria entro la fine del secolo ottenne due successi con gli accordi per la restituzione di Hong Kong nel 1997 e di Macao nel 1999 stipulati con il governo britannico nel 1984 e con quello portoghese nel 1987. Gli aiuti militari da parte di Washington a Taiwan restavano il principale elemento di attrito nei rapporti tra la C. e gli USA. Un graduale disgelo dall’inizio degli anni Ottanta nelle relazioni con l’URSS consentì una ripresa degli scambi economici e commerciali e degli accordi di cooperazione tra i due Paesi, ristabiliti regolarmente dopo l’annuncio del ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan e dalla Mongolia. Sul piano interno, la politica di Deng provocò una forte accelerazione dello sviluppo produttivo, accompagnata tuttavia da contraddizioni e squilibri. L’insorgere di fenomeni inflazionistici, di problemi occupazionali e di massicci movimenti migratori, l’aumento delle diseguaglianze sociali e regionali, della corruzione e della criminalità suscitavano forti tensioni sociali. Nel 1989 dimostrazioni studentesche indette a Pechino in onore del riformatore Hu Yaobang, appena scomparso, si trasformarono in un ampio movimento di protesta, volto a ottenere profonde riforme del sistema (aprile-maggio). Il movimento si concentrò infine nell’occupazione della piazza Tiananmen, intrecciandosi con la visita del leader sovietico M.S. Gorbačëv (16-17 maggio), e allargandosi a varie altre città. Il primo ministro Li Peng e il presidente della Repubblica Yang Shangkun, con l’appoggio di Deng, temendo effetti destabilizzanti, risposero con la proclamazione della legge marziale (19 maggio). L’esercito occupò dunque il centro di Pechino. Intanto il tentativo di mediazione di Zhao Ziyang falliva e la piazza rimaneva occupata da migliaia di giovani. Il 3 giu., dinanzi al rifiuto di sgomberare la piazza, l’esercito intervenne con forza, provocando un numero imprecisato di morti (la Croce Rossa ne stimò 2600); fu poi avviata una dura repressione, con migliaia di arresti e decine di esecuzioni nei mesi successivi. Nel 1993 l’Assemblea nazionale elesse Jiang Zemin (già segretario generale del PCC e capo della commissione militare centrale del partito e dello Stato) alla presidenza della Repubblica. Alla morte di Deng (1997), lo stesso Jiang Zemin fu ufficialmente indicato come suo successore alla guida del Paese. Il congresso approvò un progetto di riforma amministrativa che riduceva drasticamente l’apparato burocratico e rilanciò la politica di liberalizzazione economica, che permise alla C. di incrementare gli scambi economici e commerciali con i Paesi occidentali; lo sviluppo di questa tendenza portò nel 2001 all’ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio. La liberalizzazione economica fu però accompagnata da un’accentuazione della politica repressiva nei confronti dei dissidenti e da un’estensione del controllo politico su tutti gli aspetti della vita sociale. A Jiang Zemin nella carica di segretario generale del partito subentrò nel 2002 Hu Jintao, eletto poi presidente della Repubblica (2003) e capo della commissione militare centrale (2004). Capo del governo nel 2003 è stato nominato Wen Jiabao. La nuova leadership ha proseguito sulla strada della liberalizzazione economica, conseguendo risultati notevolissimi in termini di crescita del PIL (superiore per più anni al 9%), che hanno portato la C. al secondo posto nella graduatoria mondiale, dopo gli Stati Uniti. La crescita sostenuta del settore industriale ha però accresciuto il divario fra la popolazione urbana e quella rurale, a favore della quale sono stati disposti diversi interventi, culminati nel 2008 con il varo di una riforma agraria, in base alla quale i contadini possono gestire la terra come se fossero titolari della proprietà, che rimane solo nominalmente allo Stato. La proprietà privata è totalmente ammessa in altri settori, dopo gli emendamenti introdotti nella costituzione nel 2004. Sul piano della politica estera, oltre alla crescente rete di rapporti con i paesi dell’Africa subsahariana, ai quali sono forniti finanziamenti in cambio di materie prime, è da segnalare la generale tendenza alla distensione, esplicitata negli accordi per la soluzione delle vertenze sui confini con l’India (2004) e con la Russia (2008), ma che ha visto un irrigidimento dopo le prese di posizione della comunità internazionale a favore del Tibet, dopo la rivolta guidata dai monaci buddhisti nel 2008, brutalmente repressa. Altra minoranza etnica che aspira a una maggiore autonomia è quella degli uiguri nello Xinjiang.
Secondo fonti cinesi un’ambasceria fu inviata alla C. da Marco Aurelio nel 166 d.C. e Bisanzio inviò ambasciatori nel 7° e 8° sec., mentre giungevano in Cina i primi missionari (A-lo-pen nel 635-646 e Kiho nel 744). Altre due missioni furono inviate da Costantinopoli agli inizi dell’11° secolo. Dal 7° al 13° sec. l’islamismo chiuse la strada verso oriente agli europei (gli arabi svilupparono essi stessi viaggi e traffici in Asia) fino alla formazione dell’impero mongolo; poi Qubilay Khan, conquistata la C. (dinastia Yuan, 1271-1368), ricevette i Polo a Pechino. Fino al 1340 molti furono i viaggiatori, fra cui i francescani Giovanni da Montecorvino e Giovanni dei Marignolli, oltre che Odorico da Pordenone (ca. 1286-1331) e F. Balducci Pegolotti (1310-47). Un’altra interruzione nelle relazioni con l’esterno fu causata dalla graduale islamizzazione delle province periferiche dell’impero e dalla fine della dinastia mongola, sostituita da quella dei Ming (1368-1644). I viaggi dei portoghesi (Afonso de Albuquerque, Jorge Álvares, Rafael Perestrello) ripresero nel 16° sec., ma determinarono una forte reazione ed in breve le relazioni si limitarono al porto di Patane, salvo qualche spedizione clandestina. Riprese anche l’attività missionaria di agostiniani, francescani (Basilio Brollo) e soprattutto di gesuiti (Matteo Ricci, Emanuele Diaz, Giulio Aleni, Johann Adam Schall, posto dal governo imperiale a capo del tribunale d’astronomia, Martino Martini, Alessandro de Rhodes, Prospero Intorcetta, Johann Grueber di Linz, Bouvet e Gerbillon, che iniziarono a costruire una carta dell’impero su basi astronomiche), i quali diedero un grandissimo contributo alla conoscenza delle province interne grazie al favore dell’imperatore Kangxi (1662-1722). Nei primi anni del 18° sec. si acuirono le controversie fra cappuccini, domenicani e gesuiti e cessò il favore accordato ai religiosi stranieri, i quali furono quasi tutti espulsi. Alle imprese commerciali portoghesi, intanto, si erano affiancate dal 1544 quelle dei mercanti olandesi (Pieter van Goyer, Jacob van Keyser e Pieter van Hoorn) e russi (Petrov, Jalyšev, Evashko Pettliu, Ysbrandt Ides, John Bell di Antermony), cui si aggiunsero i primi missionari russi nel 1808 (Jakinf Bičurin); dal 17° sec. si affacciò anche l’Inghilterra con i viaggi di Weddel, seguito dalle ambascerie di Macartney (1792-94) e Amherst (1816-17). L’esplorazione sistematica della C. cominciò nel 19° sec., con spedizioni costiere e lavori idrografici (Macleod, Basil Hall, Gutzlaff, Berncastle, Blakiston, Dowson, Palmer) e con i percorsi dei padri gesuiti (Huc, Gabet). Fra 1868 e 1872 F. von Richthofen raggiunse quasi ogni parte dell’impero, e dopo di lui di grande importanza furono le missioni (1874-75) di A.R. Margary, Grosvenor, Colbor Baber e Sosnovskij, seguiti dai gesuiti J. McCarthy, Cameron e S. Chevalier, e da viaggiatori francesi (Madrolle, Bonin). Agli inizi del Novecento, rilevanti furono i viaggi nella C. occidentale (Litton, Carey, Davis, Ryder, il missionario Fergusson). Le esplorazioni continuarono negli anni Venti (P.E. Licent, Teilhard de Chardin), dopo la parziale interruzione dovuta alla Prima guerra mondiale.
Nella coltivazione dei terreni, sotto le dinastie dei Qin (221-206 a.C.) e degli Han occidentali (206 a.C.-9 d.C.) furono introdotti nuovi attrezzi e metodi di coltivazione: seminatrice meccanica a tre piedi, aratri più avanzati, mole azionate a mano e pestelli mossi mediante un sistema di leva per la macinatura, mulini ad acqua, aratura alternata di strisce di terra per i terreni secchi. Gli Han orientali (25-220) contribuirono a migliorare i sistemi di coltivazione attraverso il processo di concentrazione della proprietà fondiaria: esso dava l’opportunità sia di scegliere il prodotto più idoneo al suolo grazie ai terreni più ampi sia di introdurre nuove attrezzature grazie alle maggiori disponibilità finanziarie. Si diffuse ovunque l’utilizzo degli animali per l’aratura e furono introdotte nuove apparecchiature (macchine seminatrici, mulini a vento, ad acqua e a forza motrice animale). Il periodo medievale (220-589), invece, fu testimone di un gran divario fra il Nord e il Sud. A settentrione furono create le «colonie di Stato» per ripopolare i campi abbandonati dai contadini stremati dai conflitti: questi erano incentivati attraverso l’esenzione dal carico fiscale; a meridione fu conservato il sistema della grande proprietà. I Sui (581-617) divisero la terra in diverse categorie: terra arabile (lutian), terra trasmissibile per eredità (yongyetian) e terra tenuta a orto e destinata all’edificazione dell’abitazione (yuanzhaitian); i terreni erano anche divisi in terre ereditabili e terre connesse con l’esercizio di funzioni pubbliche. I Tang (618-907) aggiunsero al sistema di «perequazione agraria» (juntianzhi) dei Sui alcuni provvedimenti per agevolare gli anziani, gli inabili al lavoro e le vedove. Sotto i Song (960-1279), al Nord la produzione agricola era caratterizzata da cereali asciutti, legumi, ortaggi e frutta; al Sud, invece, fu sviluppata la risicoltura grazie all’introduzione di nuovi tipi di riso importati dal Sud-Est asiatico, fu introdotta la coltura del cotone e della canna da zucchero, utilizzata l’energia idrica per trebbiatura e macinatura, migliorato il sistema di irrigazione e introdotto un nuovo sistema di concimazione. Durante la dinastia Yuan (1279-1368) Qubilay Khan (1215-1294) adottò una politica tesa allo sviluppo dell’agricoltura, incentivò la messa a coltura di terre incolte, favorì la coltura del cotone e diffuse tra la popolazione trattati sulle tecniche agricole e sulla sericoltura. I Ming (1368-1644) introdussero nuove tecniche agricole, aumentarono la superficie coltivata, svilupparono il processo del doppio raccolto a S e introdussero un tipo di riso idoneo alle zone collinose a N. Sotto i Qing (1644-1912) l’imperatore Kangxi concesse ai contadini il diritto di proprietà sulle terre che precedentemente avevano coltivato in veste di coloni (1669). Furono introdotti nuovi prodotti provenienti dall’America (patata, arachide, granoturco), effettuati nuovi lavori idrici e sviluppati i processi di risicoltura e della doppia coltura.
Era il sistema usato nella C. imperiale per il reclutamento dei funzionari e della burocrazia imperiale. La partecipazione agli esami, aperta solamente agli uomini, necessitava anni di studio e di memorizzazione. Pertanto, le ingenti spese sostenute dalle famiglie per tutori e insegnanti privati, a cui si aggiungevano quelle per le lunghe trasferte nelle sedi d’esame, rendevano praticamente impossibile il mantenimento di un candidato se non da parte delle classi più agiate. In questo senso il sistema degli esami costituì il principale meccanismo per l’autoconservazione del ceto burocratico. Gli esami vertevano fondamentalmente sulla conoscenza letteraria delle fonti classiche, in particolare della tradizione confuciana. Il candidato non solo doveva saper produrre testi secondo i modelli classici, ma doveva anche essere in grado di adattarne i contenuti secondo le esigenze politiche del tempo. Il superamento degli esami significava per le famiglie dei candidati potere, ricchezza e prestigio. Per tale ragione molti arrivavano a ripetere la prova più volte, fino al suo superamento. Durante la dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.) l’accesso alla burocrazia avveniva tramite legami parentali, il censo e il sistema della «segnalazione». Tuttavia, a partire dal 165 a.C. i funzionari raccomandati per l’assunzione dovevano sostenere esami scritti per accertare la loro preparazione letteraria. Nel 124 a.C. l’imperatore Wudi istituì la prima università imperiale, dove giovani raccomandati seguivano corsi annuali che terminavano con una prova scritta, basata sulla conoscenza dei Cinque classici confuciani. Fu la dinastia Sui (581-617) a formalizzare il sistema degli esami per selezionare i candidati che potevano ottenere incarichi nell’amministrazione. Sotto la dinastia Tang (618-907) il sistema si consolidò, grazie soprattutto all’imperatrice Wu. Gli esami si tenevano annualmente con la partecipazione di 800-2000 candidati, ma solo una piccolissima percentuale (1%) superava la prova. Nel 702 vennero introdotti esami anche per i funzionari militari. Il sistema degli esami fu sviluppato ulteriormente dalla dinastia Song (960-1279). Gli esami avevano una cadenza triennale ed erano divisi in tre livelli: superato il livello provinciale vi era quello metropolitano; i candidati ritenuti meritevoli venivano poi inviati a corte per sostenere un esame alla presenza dell’imperatore. I Song introdussero diverse riforme, tra cui l’anonimato degli elaborati e la correzione effettuata da due diversi commissari. Inoltre, era richiesto ai candidati di esprimere le proprie opinioni in merito alla pratica di governo. Durante la dinastia mongola degli Yuan (1279-1368) il sistema degli esami fu temporaneamente abbandonato per essere reintrodotto successivamente, su basi etniche, con quote riservate ai mongoli. Con la dinastia Ming (1368-1644) il sistema degli esami divenne il principale metodo di ingresso nella burocrazia imperiale fino alla fine dell’impero. Il neoconfucianesimo fu adottato come criterio di interpretazione dei Cinque classici confuciani e il «saggio a otto gambe» fu preso come standard per le risposte. La dinastia mancese dei Qing (1644-1912) mantenne sostanzialmente inalterato il sistema degli esami fino alla loro completa abolizione, nel 1905. Per gli imperatori cinesi v. Tav.
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Si veda anche Cina e India. Lo sviluppo economico